ASSOCIAZIONE CULTURALE COSTANTINO NIGRA
sede sociale presso Biblioteca Civica di Castellamonte
Indirizzo | Via P. Educ, 59 - 10081 - Castellamonte (TO) |
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Telefono | 0124582787 |
Fax | 0124582787 |
Premessa
Su Costantino Nigra, dopo una serie di pubblicazioni interessanti ma assai poco conosciute, si è iniziato a scrivere più approfonditamente nel 2001 con la pubblicazione, da parte del Lions Club Alto Canavese, del libro delle sue poesie; poi seguì la pubblicazione della sua Biografia nel 2006 (Io, Costantino Nigra: l'Unità d'Italia narrata da un protagonista dimenticato dalla storia) e successivamente, grazie alle ricerche condotte dall'Associazione Culturale e dal Centro Studi Costantino Nigra, la mole di documentazione raccolta fu tale da consentirne una catalogazione completa (vedi il sito www.costantinonigra.eu) e la pubblicazione del volume "Verità e segreti di storia Risorgimentale nella corrispondenza di Costantino Nigra", pubblicazioni che di Nigra danno un quadro completo e approfondito.
Da questa mole straordinaria di carteggi e documenti, raccolti negli ultimi 15 anni, nasce ora questa pubblicazione che si prefigge di farne conoscere, attraverso i suoi scritti e quelli dei suoi contemporanei, la personalità complessa, autorevole, professionalmente eccellente, culturalmente profonda, di natura intellettuale superiore; una personalità dal fascino straordinario che sapeva colpire gli interlocutori con la grazia del suo disquisire, una bella presenza e quelle doti uniche che il suo compagno di studi, il commediografo e giornalista Vittorio Bersezio, così descriveva:
" ...Aveva qualche cosa di particolare nella composta gentilezza delle mosse, nella voluta graziosità del contegno, nell'abituale cortesia della parola, nella temperata dolcezza della voce; ma sotto quella morbidezza vellutata si ammetteva che c'era pure una volontà di ferro, la cui forza metteva talvolta dei riflessi di lama d'acciaio nello sguardo delle sue pupille chiare e faceva avvertire una saldezza di proposito nella severa calma di una affermazione".[1]
Su Costantino Nigra si è scritto in passato (vedi sito www.costantinonigra.eu) e se ne sono pubblicate molte lettere. Di queste pubblicazioni vorrei ricordare in particolare:
- CARTEGGIO CAVOUR NIGRA edito dalla Commissione Regia istituita nel 1928 e pubblicati in 5 interessantissimi volumi dall'Editore Zanichelli di Bologna
- NIGRA ARTISTA E AMICO D'ARTISTI edito da Luigi Collino e pubblicato nel 1929 dalla Tipografia Chiantore-Mascarelli di Pinerolo
- CARTEGGI E BIBLIOGRAFIA DI COSTANTINO NIGRA a cura di Adolfo Colombo, Luigi Collino, Walter Maturi, Eugenio Passamonti, Luigi Màdaro, pubblicato nel 1930 dalla casa editrice Giovanni Chiantore di Torino
pubblicazioni tutte disponibili presso Il Centro Studi Nigra, situato all'interno della Biblioteca Civica di Castellamonte, a cui rimando per i dettagli del caso.
I Carteggi privati raccolti in questo volume naturalmente riguardano altra corrispondenza, conservata da privati o da pubbliche istituzioni, mai pubblicate in passato e da cui, oltre alla personalità del Nigra, emergono fatti e personaggi italiani ed europei che hanno caratterizzato le vicende del nostro Risorgimento e di cui la storia patria mai ha parlato, troppo assorbita da quelli che gli storici hanno sempre definito come i "Padri della Patria", ignorando molti altri protagonisti, i cui meriti sono certamente da ricordare e valorizzare e Costantino Nigra, come anche il suo maestro Cavour ripetutamente scrive, è uno di questi.
Ci auguriamo che la lettura degli scritti, pubblicati in questo volume (con quelli contenuti nel volume -Verità e segreti di storia risorgimentale-), possa ampiamente giustificare questa affermazione.
Introduzione
Il volume contiene copia delle lettere che Nigra scrisse o ricevette da una serie di interlocutori, alcuni noti, altri sconosciuti; di tutti verranno riportate note biografiche sintetiche, in modo da consentirne una collocazione storica precisa.
Verranno altresì citate le fonti da cui provengono le varie lettere affinché gli interessati possano accedere ai documenti originali la cui lettura, comunque, richiede tempo e fatica non indifferenti essendo tutte scritte a mano e spesso con una calligrafia assai poco leggibile.
Molte delle lettere sono state tradotte e trascritte in formato informatico universale (PDF) per consentirne, a chi lo desidera, l'utilizzazione; alcune sono disponibili sul sito del Centro Studi Nigra, mentre altre possono essere richieste dagli interessati al Centro stesso.
L'organizzazione degli scritti è fatta per personaggio e generalmente in ordine di cronologia storica, salvo alcune eccezioni fatte per esigenze di organicità della pubblicazione: caso tipico quello dei carteggi tra Nigra ed alcune Nobildonne, che sono stati riportati in fondo alla pubblicazione.
Mi auguro di poter aver contribuito alla ulteriore rivalutazione storica di Costantino Nigra che dopo aver autorevolmente collaborato col Conte di Cavour, nella fase del processo di unificazione italiana, ne proseguì l'opera, dopo la sua morte avvenuta nel 1861, rappresentando autorevolmente l'Italia nella nascente Europa come Ambasciatore apprezzato e stimato da Imperatori e re e dalla diplomazia del tempo.
CARTEGGI PRIVATI INEDITI (nel seguito)
Camillo Benso Conte di Cavour Contessa di Castiglione Alfonso Lamarmora Quintino Sella Gerolamo Napoleone (Plon Plon) Emilio Visconti Venosta arco Minghetti Stanislao Mancini Luigi Sormani Moretti Isacco Artom
Camillo Benso Conte di Cavour
Cavour assunse Nigra come addetto alla segreteria nel 1852, poi, intuitene le rare doti, lo nominò suo Segretario particolare un anno dopo e Capo di Gabinetto al Congresso di Parigi nel 1856. Da quella data Cavour e Nigra iniziarono la loro strettissima collaborazione che culminò nell'affidamento da parte di Cavour a Nigra della missione segreta alla Corte di Napoleone III per la stipula dell'alleanza tra Regno di Sardegna e Impero di Francia, discussa tra Cavour e Napoleone III a Plombiéres, che portò alla guerra del 1859 con l'Austria.
La loro cospicua corrispondenza è stata pubblicata nei 4 volumi dei Carteggi Cavour-Nigra che la Commissione Regia così descrive:
" Con la corrispondenza Nigra, il triennio specialmente dell'azione più febbrile, più logorante di Cavour vien posto nella luce più splendida: seguiamo, per così dire, giorno per giorno meraviglioso collaboratore sa rendere più luminoso con la sua genialità di segretario e concorre a tradurre in realtà con l'acume del suo ingegno, con lo charme di negoziatore, prudente e audace ad un tempo.
Quella fusione d'animi, quella illimitata vicendevole fiducia non turbata mai, tranne forse sul fine, quando il surmenage troppo teso rendeva irritabile il Cavour, ed egli inclinò a credere che il Nigra, sopraffatto a sua volta dalle brighe della Luogotenenza di Napoli, non avesse più pel maestro l'antica deferenza".
Non riproporrò naturalmente lettere incluse in queste pubblicazioni ma alcune inedite che ribadiscono ulteriormente quella sinergia di intenti che li legò per tutta la vita e che rese possibile operare quella unificazione del nostro paese ambita dalle popolazioni di tutta Italia da secoli.
CAVOUR a NIGRA - 4 ottobre 1858
Mio caro Nigra,
il Re è stato molto soddisfatto del vostro rapporto sull’incontro con l’Imperatore. A più riprese si è messo a gridare: “Bravo, ha proprio detto quello che avrei detto Io se fossi stato là”. Ha riletto attentamente alcuni passaggi ed ha finito per incaricarmi di farvi i suoi complimenti.
Non abbiamo più discusso la questione del matrimonio, ma mi sono fatto l’idea che abbia preso una decisione e che consideri la cosa come sistemata.
Non ho notizie da Racconigi; ma non dubito che la missione a Varsavia abbia prodotto un buon effetto sulla Principessa Maria Clotilde.
Avete fatto molto bene a restare a Parigi. E’ bene che vediate il Principe Napoleone e che lo catechizziate come avete fatto con l’Imperatore.
Per contro non ritengo necessario che domandiate una nuova udienza all’Imperatore, salvo che nasca qualche situazione imprevista. M’incontro con Gambarotta nel caso abbia qualche notizia da darvi.
A seguito della vostra lettera, penso che la domanda del Conte di Chartres non sia piaciuta all’Imperatore.
Malauguratamente il Re ha scritto al Duca d’Aumale circa il vostro messaggio telegrafico. Pazienza, tutto si aggiusterà.
Come diavolo è successo che non mi avete risposto a riguardo di Salmour? E’ possibile che pensiate che possa restare al suo posto dopo tutte le – ciance – che si sono fatte su di lui?
Mi spiace dovergli dire ciò che dovrebbe immaginare, ma berrò anche questo calice, pur se amaro.
Credete, mio caro Nigra, alla mia sincera amicizia
NIGRA a CAVOUR - 1° ottobre 1858
Hotel du Louvre Parigi
Signor Conte, lo stesso giorno del mio arrivo a Parigi, avvenuto il 21 del mese scorso, ho inviato a Biarritz, per la via che l’Imperatore m’aveva indicato, la lettera che mi è stata inviata da parte di Vostra Eccellenza. Ho accompagnato questo invio con una richiesta di udienza a S.M.I. (Sua Maestà Imperiale ndr). La lettera di V.E. e la mia, partite da Parigi la sera del 21, sono pervenute alla loro alta destinazione il 23. E’ in effetti questa la data che ho trovato scritta sulla risposta che l’Imperatore mi ha fatto avere dal suo Segretario particolare, e con la quale S.M. mi fissava udienza per il 30 al castello di St. Cloud all’ 1 e ½ del pomeriggio. Su questi antefatti il Principe Napoleone era partito in tutta fretta per Biarritz.
Il 23, vale a dire lo stesso giorno quando dopo miei calcoli la lettera di V.E. doveva essere nelle mani dell’Imperatore, ho rimesso ad un domestico del Signor Bixio (in assenza del suo segretario) la lettera che V.E. mi aveva ugualmente incaricato di consegnare. Il 25 il Principe Napoleone faceva una breve apparizione a Parigi, e partiva subito per Varsavia, incaricato di una missione presso l’Imperatore di Russia. Il Signor Bixio, che ho visto il giorno successivo a casa sua, mi disse che aveva visto per un attimo il Principe prima della sua partenza e che S.A. lo aveva incaricato di far sapere a Torino “che tutto andava per il meglio” e più in fretta di quello che potessimo sperare, e che la sua missione presso lo Czar “si riallacciava ai progetti interrotti dal Re e dall’Imperatore Napoleone”. Il Signor Bixio, da me interpellato sullo stato d’animo con cui aveva trovato il Principe a proposito del suo viaggio in Piemonte, mi rispose che non aveva potuto che trattenersi alcuni istanti con S.A.I. e che tutto quello che poteva dirmi sull’argomento era che il Principe era disposto a venire a Torino nella data indicata dal Re. Essendo il principe partito, non ho ritenuto conveniente entrare in altri dettagli col Bixio, prima di aver parlato con l’Imperatore.
Ieri, 30 settembre, fui ammesso alla presenza dell’Imperatore, che mi accolse con la sua tipica benevolenza. Dopo che egli indirizzò alcuni complimenti al nostro Re, lo feci partecipe della domanda del duca di Aumale e diedi lettura della lettera che V.E. mi scrisse prima di partire, secondo gli ordini di S.M. Dissi all’Imperatore che, se il Re non avesse ascoltato che la voce del suo cuore, non avrebbe esitato a rispondere in maniera favorevole alle istanze d’un parente prossimo e di un parente infelice, ma che innanzitutto ci teneva a non fare nulla che potesse dispiacere all’Imperatore, e che di conseguenza mi aveva incaricato di chiedere il suo parere. L’Imperatore apparve subito un po’ sorpreso, mi disse che bisognava preoccuparsi dell’effetto che l’ammissione del Duca di Chartres nell’Accademia di Torino avesse prodotto nel paese; ma, dopo aver riflettuto qualche istante, mi disse che “la cosa gli era perfettamente indifferente”. Prima di prendere poi congedo da S.M.I. gli ho ancora riproposto questa stessa questione con lo scopo di ottenere una risposta più esplicita, ma l’Imperatore mi ha risposto ancora con l’identica frase che ho sottolineato innanzi.
L’Imperatore prese successivamente la parola e volse la conversazione sull’impresa d’Italia. S.M. mi disse che aveva letto con molta attenzione le osservazioni politiche e militari che il Re gli aveva fatto pervenire tramite V.E.; che quelle osservazioni gli sembravano molto gravi e giuste; che di conseguenza era disposto a entrare in una campagna militare nell’epoca scelta dal Re, vale a dire verso la fine della primavera o all’inizio dell’estate. “In attesa (aggiunse l’Imperatore) mi occuperò senza ritardi della questione finanziaria, che non è senza difficoltà; poiché questa maledetta guerra di Crimea ci ha posto, a questo riguardo, in una posizione molto seria”.
L’Imperatore tornò nuovamente ancora una volta sul pretesto della guerra. Gli dissi che il Re e V.E. non hanno mai cessato di pensare a questo punto molto delicato, e che certamente non avrebbero lasciato passare nessuna occasione favorevole, non appena si presentasse, ma che in attesa di tempi migliori e contando anche su azzardi ed errori del nostro avversario comune, si mantenevano sull’idea proposta dallo stesso Imperatore.
Mi chiese se credevo che occorresse molto tempo per mettere in atto il piano di Massa e Carrara. Gli risposi che non potevamo determinare in anticipo i tempi che il Duca di Modena avesse impiegato per rispondere alla nostra Nota, ma che la cosa non avrebbe dovuto richiedere tempi lunghi, e che, quanto a riceverla, potevamo sollecitarla subito se fosse necessario.
L’Imperatore, prima di concludere questo argomento, mi ha incaricato di raccomandare al Re ed a V.E. di occuparsi attentamente della questione. A suo giudizio, è dal modo più o meno abile, più o meno giustificabile, con cui la guerra verrà dichiarata, che dipenderà in gran parte l’esito della lotta. L’Imperatore pensa che sia una necessità per noi avere dalla nostra parte l’opinione pubblica non solamente in Italia ma anche in Francia, e soprattutto in Inghilterra, se si vuole accusare questi (gli austriaci ndr) di esserci nemici.
“Non avete (aggiunse l’Imperatore) qualche questione di confini con l’Austria, qualche vecchia disputa di vicinato che possa servire di pretesto plausibile per giustificare una rottura?” – “Sire (gli risposi), quando V.M. la cercava, noi l’avevamo il pretesto, se possiamo dare questo nome ad un vero Casus belli; era il numero di sequestri”
“Sfortunatamente finiti (rilevò l’Imperatore) a cui non possiamo più pensare”. S.M. mi domandò se non fosse conveniente che la protesta degli abitanti di Massa e Carrara, fosse indirizzata anche alla Francia contemporaneamente che alla Sardegna, nel caso questo fosse il piano prescelto. Anche se non ebbi istruzioni in merito, non ho esitato a rispondere che a mio giudizio questo fatto potrebbe dare luogo a gravi inconvenienti. “Gli abitanti del ducato (gli dissi) possono a ragione indirizzarsi al Regno di Sardegna che l’Europa si è abituata a considerare come un difensore dell’Italia, ma non avrebbero questi ragioni sufficienti se si indirizzassero all’Imperatore dei Francesi”. “Come a quello Turco (rispose ridendo il mio Augusto interlocutore)” - “Non dico al Sultano (ripresi), ma per esempio alla Regina della Gran Bretagna. Del resto se l’indirizzo portasse il nome della V.M. l’Austria non avrebbe certamente troppa difficoltà a indovinare l’enigma, ed in quel caso piuttosto che esporsi ad una guerra che avrebbe tutto l’interesse di evitare, si trincererebbe dietro ad un semplice intervento diplomatico, nel quale probabilmente riuscirebbe a coinvolgere l’Inghilterra e qualche altra potenza”. L’Imperatore mi è parso approvare questa considerazione, e mi disse che dopo tutto era consigliabile che l’indirizzo fosse fatto al Re di Sardegna soltanto.
L’Imperatore mi conferma l’invio del generale Niel a Torino per l’epoca precedentemente fissata. Mi ha nel medesimo tempo incaricato di ripetere al Re ed alla V.E. che sarebbe conveniente che questo ufficiale non sia messo al corrente (come il Principe Napoleone) del segreto concernente il pretesto di guerra.
S.M.I. mi chiese se l’Italia, e soprattutto la Lombardia, erano pronte ad assecondare la mossa in preparazione. Gli risposi affermativamente e gli diedi a questo riguardo qualche indicazione sullo stato attuale degli atteggiamenti in Lombardia, tratti dalle memorie che V.E. mi aveva fatto leggere a Torino e di cui mi ricordavo perfettamente. Essendo stato interrogato su ciò che il partito Mazziniano avrebbe potuto fare durante la guerra, risposi che, se la lotta non tardasse troppo ad accendersi, il Governo del Re aveva tutte le ragioni per credere che i Mazziniani, oramai non troppo numerosi, sarebbero stati tranquilli, o per lo meno non avrebbero intrapreso nulla di serio nei paesi occupati dalle armate alleate. L’Imperatore mi domandò ancora sino a quali limiti territoriali potevamo contare su di un favorevole atteggiamento degli italiani. Non esitai a rispondere che tutti coloro che parlavano italiano, anche nel Tirolo, erano con noi e odiavano l’Austria, e non credo di aver esagerato.
L’Imperatore mi espose poi lo scopo della missione affidata al Principe Napoleone presso lo Czar. Il Principe doveva porre chiaramente la questione all’Imperatore di Russia e persuaderlo a tenere in scacco la Germania durante la guerra in Italia, minacciando di sguainare la spada in favore del Piemonte e della Francia qualora la Germania mostrasse qualche velleità di correre in aiuto all’Austria. “Questa è (mi disse l’Imperatore) la missione che ho affidato al Principe. Ho molta speranza che possa riuscirci. Ci siamo promessi, io e lo Czar, a Stoccarda, di non fare nulla di importante senza prima consultarci. In tutti i casi, credete sul fatto che il Principe farà tutto il possibile per riuscire, e non temiate che possa tornare a mani vuote”.
L’Imperatore mi disse allora che il Principe, che sarebbe stato di ritorno fra qualche giorno, si preparerà a rispondere all’invito del Re nei primi giorni di novembre.
Fu a questo punto della conversazione che l’Imperatore mi rinnovò le questioni già sollevate nell’incontro precedente sulle intenzioni del Re e della Principessa Clotilde circa il matrimonio proposto tra S.A.R. ed il Principe Napoleone. Mi aspettavo questa domanda e mi ero preparato prima a rispondere conformemente alle istruzioni che S.M. il Re, mio augusto sovrano, mi aveva voluto amorevolmente dare.
L’Imperatore mi ascoltò, cupo e tranquillo, gli occhi attenti e fissi, il viso impassibile. Ma mi parve di scoprire sotto quelle apparenze calme e fredde i segni inequivocabili di una reale inquietudine. Gli parlai in questo modo:
“Il Re, mio Augusto Sovrano, ha considerato il matrimonio proposto, sotto l’aspetto politico e sotto l’aspetto privato, come Re e come Padre. Come Re, non ha fatto alcuna difficoltà; trova l’alleanza conforme agli interessi politici dei due paesi. Come Padre, non può evidentemente dimenticare che sua figlia è molto giovane per affrontare un matrimonio, e che non esiste una differenza di età ragionevole tra lei ed il principe che le si propone come sposo. Nonostante ciò il Re ha consigliato alla Principessa di accettare il matrimonio; ma, in questo suo appello, ha creduto di lasciarla libera di pronunciarsi, secondo la propria coscienza ed il proprio cuore. Il Re pensa che l’epoca scelta per il matrimonio non debba essere necessariamente decisa dalla politica: il cuore e le considerazioni personali devono avere la loro parte; anche l’Imperatore ha scelto come compagna sul trono, quella che il suo cuore aveva designato. Ora le qualità personali di un Principe, non si possono conoscere ed apprezzare se non con i propri occhi. Ecco perché il Re ha chiesto al Principe di venire in Piemonte. Se da un lato la Principessa vuole, prima di esprimersi, incontrare il promesso sposo, d’altro lato il Re ci tiene a che il Principe possa conoscere anticipatamente la sua augusta figliuola, esaminarne le aspirazioni, il carattere, il cuore e lo spirito.
La Principessa, interpellata dal Re suo padre, ha dichiarato di non aver alcuna obiezione di principio ad accettare, se non il pensiero di allontanarsi dalla sua giovanissima sorella, su cui esisteva una promessa, fatta alla sua defunta madre, di non abbandonare prima di una certa età. Lei pensa che il vostro Casato sia troppo glorioso, che Voi Sire, siate troppo degno della stima e dell’ammirazione di tutto il mondo, per cui si ritiene grandemente onorata della proposta che le viene fatta. Ma, siccome, alla fine dei conti, si tratta del suo avvenire, ella desidera, prima di prendere una decisione definitiva, vedere da vicino ed approfondire la conoscenza dell’uomo che le si vuole donare in sposo; tanto più che le informazioni pervenute sino a lei, nei riguardi del principe, non sono tutte in suo favore”.
L’Imperatore mi ascoltò sempre muto e pensieroso, ed io continuai, nei modi più affabili possibili, per attirare la sua attenzione sul carattere impaziente e focoso del Principe suo cugino, sui suoi comportamenti, anche in presenza di S.M.I., sulla proposta di matrimonio fatta, in precedenza, alla Duchessa di Genova, sulla scarsa simpatia dell’Imperatrice nei suoi confronti derivata dalla condotta del Principe ed infine sui motivi che l’Imperatore stesso aveva, per non interessarsi troppo all’avvenire di suo cugino. Questo discorso, nel mio pensiero, doveva avere molteplici obbiettivi: spiegare chiaramente il comportamento del Re e della Principessa; dimostrare che quel comportamento era conseguente e conforme alle regole della prudenza; premunirci contro un rifiuto, poco probabile ma possibile, della Principessa; far pesare la concessione che il Re faceva all’Imperatore accordando a suo cugino la mano della Principessa; costringere infine l’Imperatore a far conoscere la propria opinione circa il matrimonio.
Avevo sempre creduto che l’Imperatore si interessasse molto a questo matrimonio e che lo avesse particolarmente a cuore. Ogni volta però questo mio convincimento era messo in dubbio dalle considerazioni forti e gravi che l’Imperatore faceva verbalmente. Dopo questa conversazione non avevo però più alcun dubbio al riguardo ed ero certo che, sia l’Imperatore sia l’Imperatrice, volevano questo matrimonio con gran compiacimento; ad ulteriore conferma, c’era la volontà dell’Imperatore di scrivere direttamente al Re per fargli conoscere il suo pensiero al riguardo.
Una volta accertate le intenzioni dell’Imperatore, non rimaneva che conoscere quelle della Principessa.
Quale sarebbe stata la sua decisione? Forse il destino della nazione dipendeva dalle parole che avesse pronunciato. Non è di mia competenza discutere tali argomenti così importanti e delicati. Ciononostante mi permetta V.E. di dare un consiglio. Se il matrimonio non si facesse dovremmo necessariamente aggiornare l’impresa d’Italia. I pretesti per un rinvio da parte francese non mancherebbero e noi stessi non potremmo imbarcarci in una impresa simile dopo un tale rifiuto: le regole più elementari di prudenza ce lo impedirebbero. Anche la marcia del Governo del Re diventerebbe ancora più difficile. Occorrerebbe calmare lo spirito degli italiani, visto che la guerra non sarebbe possibile, e ritornare alla vecchia politica delle aspettative; cosa che significherebbe un cambiamento in seno al Gabinetto, in quanto la presenza di V.E. al Ministero diventerebbe assolutamente incompatibile. Tutto ciò avrebbe gravi inconvenienti; e sarebbe deplorevole. Ma si dovrà ricominciare l’opera da capo se le cose andranno male e per traverso adesso.
L’Imperatore desiderando far conoscere al Re il risultato della missione del Principe Napoleone, mi pregò di rimanere a Parigi sino all’arrivo di suo cugino da Varsavia. Aspetterò quindi qui gli ordini di S.M. anche se avrei preferito ritornare a Torino subito.
Essendo stato interpellato dall’Imperatore sul modo con cui servirci della corrispondenza segreta tra Parigi e Torino dopo la mia partenza da qui, gli dissi che avrei avuto l’onore di mettere a disposizione del dottor Conneau, che doveva arrivare in questi giorni, una persona sicura, che nulla sapeva, ma che avrebbe fedelmente trasmesso la nostra corrispondenza. S.M. approvò in pieno questo mezzo.
Poiché il Re non mi ha autorizzato a scrivergli direttamente, ho indirizzato questa lettera a V.E.
Chiedo indulgenza per il modo con cui l’ho redatta. La scrissi in fretta e senza minuta. Che V.E. abbia la bontà di portarne il contenuto a S.M. il Re dicendogli che ho fatto del mio meglio per portare a termine la missione delicatissima che mi ha voluto affidare.
Vogliate gradire ……….
PS: mi sono scordato di dire che l’Imperatore mi ha chiesto se la Principessa era bella. Gli ho risposto, come è assolutamente vero, che è incantevole.
Virginia Oldoini Verasis Contessa di Castiglione
E' oramai assodato che Re Vittorio Emanuele II ed il Conte di Cavour affidarono, negli anni dal 1855 al 1857, per la ricerca dell'alleanza tra Regno di Sardegna e Impero di Francia rivolta a sostenere la guerra contro l'Austria, una missione segreta a due giovani intelligenti, di bella presenza, abili conversatori e di temperamento audace.
A Costantino Nigra, giovane canavesano ventisettenne, era affidato il compito di convincere l'autorevole Imperatrice Eugenia ad abbandonare l'atteggiamento intransigente verso l'annessione all'Italia del Lazio e di Roma, territori che Lei difendeva per la sua dedizione al Papa ed il convincimento che non si doveva abbattere il potere temporale della Chiesa. (Nigra avrà poi in seguito un' altra missione segreta, ancora più importante, quella di tradurre le intese di Plombiéres, tra Cavour e Napoleone III, in Trattato di Alleanza).
A Virginia Oldoini Verasis, Contessa di Castiglione, avvenente fiorentina allora ventenne, il compito di sedurre l'Imperatore, carpirgli i segreti politici e convertirlo alla causa italiana.
Lei col suo titolo nobiliare poteva accedere alle feste di corte, mentre Nigra (che riceverà il titolo di cavaliere soltanto a fine 1856) poteva avere accesso a corte soltanto come funzionario della Legazione Sarda a Parigi.
Questi due agenti dovevano operare in stretta sinergia, evitando di compromettersi e di compromettere il Governo Sardo, e la cosa significava estrema cautela di comportamenti, comunicazioni scritte riservate e verbali in luoghi segreti e nascosti.
Per lo scambio di informazioni si incontravano in orari in cui circolava poca gente ed in cui neanche gli informatori della polizia imperiale potevano intercettarli.
Lei era di una bellezza irresistibile, di fronte alla quale qualsiasi uomo rimaneva soggiogato e abbagliato; Nigra stesso provava grande attrazione, ma i loro incarichi imponevano un comportamento che doveva privilegiare gli interessi sovrani dello stato.
Il loro rapporto fu sempre improntato alla simpatia e stima reciproca, anche molto spinta sul piano dialettico, ma mai sul piano sentimentale, ancorché l’attrazione fisica era tale da coinvolgerli, cosa del tutto normale fra un uomo giovane ed una donna disinibita che si incontravano di notte e in gran segreto. Nigra, in questa relazione, seppe sempre mantenere massimo controllo e assoluta riservatezza e cautela; del resto erano entrambi consapevoli del ruolo primario e delicato che era stato affidato loro. Da uomo maturo Nigra la giudicava così:
“La più bella giovinetta che in cielo ed in terra si possa trovare”.
I due si conobbero a Parigi, durante il Congresso delle Grandi Potenze, successivo alla guerra di Crimea, a metà del 1856; a presentarli fu Cavour stesso che diede loro le istruzioni sui ruoli di ciascuno. L’incontro avvenne in casa di Lord Holland, che, durante un soggiorno diplomatico a Firenze, era diventato amico di famiglia degli Oldoini ed aveva impartito lezioni di inglese alla giovane Virginia, da lui definita darling beauty, un tesoro di bellezza.
Ci fu anche un aspetto curioso in questo incontro: Cavour, nel comunicare segretamente con la Contessa per l’abboccamento, le scrisse di doverle consegnare una lettera di un personaggio molto altolocato (il Re ndr), dal nome fittizio di NAPoléon, riferendosi furbescamente all’aiuto che potevano darle i membri della Delegazione Piemontese, le cui iniziali componevano proprio quel nome (Nigra, Aynard, Puliga). Per Nigra la Castiglione rappresentò un vero rompicapo in quanto, su preciso incarico di Cavour, avrebbe dovuto fungere anche da sua guardia del corpo, per sorvegliarla, per controllarne i movimenti e le spese, per impedirle mosse che potessero creare problemi diplomatici e politici. Ma la cosa non fu né facile né sempre possibile, vista l’imprevedibilità del personaggio femminile ed il suo carattere bizzoso.
La Castiglione (Nicchia per i confidenti e per alcuni Ninì) affidava a Nigra i suoi messaggi personali per il Re Vittorio Emanuele II, tra cui un album di fotografie molto eccitanti, che Nigra consegnò al Ministro di Casa Reale Giovanni Nigra, per l’inoltro diretto a Sua Maestà.
Per Nicchia la missione era di riuscire a diventare l’amante dell’Imperatore.
Ella riuscì rapidamente nel suo intento e a Compiegne, nell’ottobre del 1856, dove la corte imperiale si era data convegno per inaugurare una ricca giostra di cavalli in legno, aveva sedotto un Napoleone III follemente invaghito di lei. I rapporti tra i due continuarono ancora per alcuni mesi, di nascosto. Gli incontri avvenivano nella casa della Contessa in avenue Montaigne a Parigi, una lussuosa residenza che aveva un secondo ingresso affacciato sul giardino, da dove ci si poteva introdurre facilmente senza dare nell’occhio. Una sera, ai primi di aprile del 1857, l’Imperatore si recò al convegno amoroso accompagnato solamente dal generale Fleury e da un agente di scorta, un individuo poco conosciuto ma con la fama di essere assai spregiudicato. Quella sera avvenne un fatto inspiegabile, forse un tentativo di attentato all’Imperatore, sventato dall’uomo di scorta che uccise il probabile cospiratore. Si scoprì però che il cadavere apparteneva ad un agente corso alle dipendenze del Prefetto di polizia. Forse il falso attentato era stato architettato dall’Imperatrice con lo scopo di sbarazzarsi della rivale sempre più invadente; l'incidente ebbe conseguenze drammatiche per Nicchia che fu condotta nottetempo nel vicino posto di polizia. Nigra, ufficialmente funzionario della Legazione Sarda a Parigi, fu chiamato immediatamente sul posto e, dopo varie discussioni, riuscì a farla rilasciare indicandola come persona appartenente alla Legazione Italiana; Nicchia era fuori di sé nei confronti dell’Imperatrice a cui indirizzava ad alta voce insulti ed imprecazioni. Nigra la tenne sotto controllo per qualche giorno anche perché scoprì, il mattino successivo, due pistole nella sua camera da letto, intuendo immediatamente l’uso a cui erano destinate: sparare all’Imperatrice Eugenia. Fu una brutta avventura che durò soltanto qualche mese ed a cui la Corte Imperiale ed i Servizi di Sicurezza posero rapidamente fine con metodi anche violenti, culminati successivamente con un decreto di espulsione della Castiglione dalla Francia, emesso nei primi mesi del 1858.
Fu Nicchia a raccontare come Nigra la rimbrottò per quel suo colpo di testa:
"Mi parlò come si parla ad una bambina di tre anni, con la bocca a due centimetri dalla mia, e non mi baciò, no, perché l'avrei strozzato se avesse osato farlo. Sapeva tutto, quel demonio, tutto! Aveva indovinato che alle cinque avrei bruciato le cervella della spagnola. Mi disse che la mia casa era sorvegliata, che la polizia avrebbe seguito la mia carrozza e mi avrebbe nuovamente arrestata. Non avrei fatto in tempo ad entrare alle Tuileries. Bisognava saper perdere la prima partita per vincere l'ultima e mi accarezzava i capelli come mia madre, proprio come quel giorno in cui da piccola stavo per cadere nel pozzo. Mi disse che Cavour sarebbe venuto anche all'inferno per stritolarmi se avessi fatto quel gesto. E mi teneva le mani strette strette. Io vedevo nei suoi occhi gli occhi di Cavour, l'uomo con gli occhialini, il solo al mondo di cui avevo paura".
La missione di Nicchia in Francia terminava così dopo appena due anni; mestamente se ne partì per Londra, prima ancora che le giungesse il decreto di espulsione, e colà ad accoglierla furono i vecchi amici Lord e Lady Holland, i suoi genitori putativi.
Qui terminò anche la collaborazione tra i due agenti segreti che non si rividero per lungo tempo; dopo il 1860 quando Nicchia fu riammessa in Francia e sino al 1870 quando Nicchia chiese a Nigra (allora Ambasciatore d'Italia a Parigi) di mettergli in salvo casa e suppellettili, nel timore di un’invasione con saccheggi, dopo la sconfitta della Francia nella guerra franco-prussiana. A Nigra la Castiglione aveva lasciato in omaggio un Album di sue fotografie, però quelle caste di lei in posa per mettere in evidenza la sua bellezza e non le sue nudità. L'Album è conservato al Museo Nazionale del Risorgimento di Torino, un lascito, insieme a moltissime altre carte e cimeli, del commendator Agostino Marten Perolin, fratello ed erede della contessa Teresina Nigra, nuora di Costantino, la persona che poté godere dell'eredità Nigra, alla morte del marito Lionello, figlio di Costantino, avvenuta un anno dopo il padre, nel 1908.
Il Carteggio
Il carteggio Nigra Contessa di Castiglione consiste principalmente di lettere, biglietti e bigliettini, spesso senza data e con una semplice sigla in calce, scritte nel periodo 1855-57; poi di sole lettere sino all'anno 1871 in cui si interrompe il rapporto epistolare (in nostro possesso) tra i due.
In totale si tratta di 78 lettere contenute negli Archivi Fondi Privati - Castiglione (Carte Castiglione - Mazzo 3 - Fascicolo 12), presso l'Archivio di Stato di Torino; copia delle lettere è depositata al Centro Studi Costantino Nigra di Castellamonte.
La corrispondenza di Nigra alla Castiglione presenta un'importanza tutta particolare dal punto di vista storico, oltre che aneddotico e documentale. Galante e allegro, a volte ironico, ma sempre amichevole e amabile, Nigra scrive lettere rimarchevolmente belle, con bella grafia, sia in italiano che in francese: il diplomatico elegante e brillante si rivela in pieno in questa corrispondenza.
Lui si firma sempre Nigra o con la sola iniziale N.
Lei evidentemente è affascinata da questo uomo intelligente ed arguto, che la aiuta e la difende, ma che è anche ben introdotto negli ambienti che contano; la sua calligrafia peraltro è difficile, non sempre grammaticalmente corretta e a volte poco leggibile. La Contessa aveva spesso la pretesa di considerare la Legazione Sarda a Parigi al suo servizio personale, anche successivamente alla sua espulsione dalla Francia; Nigra si mette quasi sempre al suo servizio in maniera diligente ma in qualche caso, per non rispondere con insofferenza, incarica il segretario di Legazione, Costantino Ressman, di occuparsi di Lei, e Ressman raramente si ribella.
Lei si firma quasi sempre Verasis.
Un elemento indiscutibile si può trarre dal carteggio: non ci fu mai "amore" tra Nigra e la Contessa di Castiglione. Ogni affermazione contraria di biografi o storici deve essere considerata falsa o arbitraria. Su questioni di relazioni sessuali invece di dubbi proprio non ve ne sono.
Il Carteggio contiene 69 tra lettere e biglietti di Nigra alla Castiglione e 9 lettere autografe della Castiglione a Nigra. Già durante il Congresso di Parigi però erano iniziati i "pizzini" tra i due e l'esempio più evidente è in questo biglietto:
"Ricordatevi di tirare il verme dal naso del vecchio per il discorso ..."
Il vecchio era il conte Francesco Arese (in realtà allora soltanto 50nne), amico intimo di Napoleone III, suo fidato consigliere ed estensore dei suoi discorsi; il verme era il testo del discorso che Napoleone III avrebbe letto al Consiglio dei Paesi partecipanti al Congresso.
Diamo in questa sede però i saggi della corrispondenza intercorsa tra i due successivamente alla chiusura del Congresso.
Iniziamo da una lettera del Nigra, datata 7 marzo 1857 che riferisce alla Contessa di aver consegnato l'Album di fotografie (che Nicchia ha dedicato a Re Vittorio Emanuele II) personalmente al Segretario del Re, il Ministro Giovanni Nigra (omonimo ma non parente di Costantino). Siamo nel periodo successivo alle vicende del Congresso di Parigi e nel pieno della relazione tra la Castiglione e Napoleone III, di cui evidentemente non esistono tracce scritte.
"Mia buona signora, secondo le istruzioni, al mio ritorno da Parigi feci rimettere al Re il vostro album direttamente, senza passare per la trafila dei Ministri e dei Funzionari di Corte. Poco tempo dopo passò fra le mie mani una lettera a voi diretta ch'io supposi essere la risposta al vostro invio. Per questo motivo m'astenni dal domandar notizie dell'album; né ero da voi autorizzato a farlo. Appena però ebbi la vostra lettera mi recai dal conte Nigra, Ministro della Casa del Re, al quale feci le vostre due commissioni.
Egli mi assicurò che avrebbe preso immediati ordini da S.M. e che me li avrebbe fatti conoscere. Non dubito che essi saranno quali voi li desiderate. Per quanto riguarda il signor Biletta (Emanuele Biletta, compositore, pianista, autore dell'opera "La rose de Florence", su libretto di H. Saint-George, poi rappresentata a Parigi al Teatro dell'Opéra, il 10 nov. 1856 ndr), potete essere certa che il permesso sarà accordato senza difficoltà. Ad ogni modo vi farò sapere senza indugio le decisioni sovrane sull'una e sull'altra cosa. Probabilmente l'album fu creduto dono vostro, ché altrimenti non saprei spiegare la dimenticanza.
Non accusatemi di negligenza nell'adempiere a servigi vostri. Se dipendesse da me, da lungo tempo sarebbero soddisfatti. Non vi scrissi perché non avevo buone cose da dirvi. Per ora non si può pensare a traslocare il Marchese (Oldoini Verasis marito di Virginia) né ad aumentargli l'assegnamento. Però gli si è scritto ufficialmente in termini lusinghieri dalla Segreteria per la sua reggenza. Non lascerò occasione d'interporre tutti i miei uffici per ottenere quanto desideriamo. Le vostre commissioni non mi annoiano mai. Mi fate torto dubitandone. Vi auguro ogni felicità e vi prego di credermi davvero vostro buon servitore. Costantino Nigra".
Successivamente, il 23 marzo 1857, da Torino, Nigra le scrive, con tono galante ma ancora compassato, una lunga lettera, da cui traspare il carattere malinconico della contessa, vista con gli occhi di un compagno di avventura, assolutamente non condizionato, un consigliere fidato e un suggeritore molto colto:
"Mia bella signora, lo stesso giorno in cui ho ricevuto la vostra seconda amabilissima lettera, mi recai nuovamente dal Ministro del Re e sollecitai da esso le disposizioni necessarie per gli oggetti di cui m'avete scritto. Egli mi promise di usar diligenza, mi confermò che S.M. aveva ricevuto a suo tempo il vostro album e che finalmente stava a cuore anche a lui di poter obbligare Biletta, col cui padre era in relazione, e di cui mi fece moltissimi elogi. Adunque io credo che questa faccenda sarà sbrigata a soddisfazione vostra, e con tutta quella sollecitudine che è conciliabile coll'ordinaria lentezza degli Uffici di Corte.
E' bene che sappiate che il vostro album e la lettera che avete consegnato a me, furono rimessi al loro alto indirizzo appena io giunsi a Torino, e quindi prima del viaggio a Nizza. Perciò quando passò per le mie mani una lettera a voi diretta, il cui carattere m'era perfettamente conosciuto, non dubitai che fosse essa la risposta alla vostra, la quale come vi dissi era stata consegnata qualche giorno prima. Tutto ciò accadeva prima del viaggio. Noi sappiamo dai giornali dei vostri balli e delle feste vostre in cui, come dappertutto, voi regnate sovrana. La povera Torino non ha notizie da mandarvi che possano interessarvi punto per punto. Il Re farà un altro viaggio per salutare l'Imperatrice di Russia. Si attende pure in questi giorni l'arrivo a Nizza del principe Carlo di Prussia, fratello del Re Guglielmo.
Giunse recentemente il sig. De Cappio, nuovo Ministro di Spagna a Torino, con moglie e figlie, giovani entrambe e non brutte; ma non parla. Giovedì ci sarà la prima serata alla Legazione Spagnola.
Mia bella signora, onoratevi degli ordini vostri; guardatevi di guarire affatto, e non lasciatevi, in nome di Dio, pigliare dalla nera malinconia che traspare dalla vostra lettera cara. Io vi suggerisco un mezzo, che credo ottimo, per liberarvene. Voi avete spirito e cultura. Voi scrivete bene e potete scriver benissimo con un po' di attenzione. Voi esercitate su tutte le persone che vi circondano un vero fascino, effetto in parte della beltà vostra, ma più del vostro carattere, capriccioso se volete, ma in fin dei conti umile e buono. Voi siete in contatto con persone che hanno qualche parte nelle cose di quaggiù. Il vostro criterio è giusto, sensato, esatto, per quanto ho potuto giudicare. Ebbene con tutti questi dati voi potete scrivere delle eccellenti memorie. Voi troverete il vantaggio di lasciare, per qualche ora del giorno, la malinconia ed i tristi pensieri e di prepararvi un gran conforto per l'avvenire.
Perdonatemi la predica e lasciate che baciando la vostra mano bella mi dica di nuovo il Vostro Buon Servitore Costantino Nigra".
Poi ai primi di aprile, e precisamente il 5 aprile 1857, Nigra Le scrive:
"Cara Contessina, ho una notizia molto importante da darvi ma non posso farvela che domani a casa mia alle 7.30 (di sera ndr). Fatevi bionda, tanto bionda perché le bionde piacciono. Bisogna farlo, mi avete capito?". Il personaggio che avrebbe incontrato è sconosciuto ma certamente di natura assai influente; forse un ricco banchiere parigino, forse Napoleone III in persona (ricordiamo che Lei era riuscita a sedurlo a Compiégne nell'ottobre dell'anno prima, il 1856 ndr).
Ma abbandoniamo le date e prendiamo in esame una serie di bigliettini curiosi che Nigra fece pervenire alla contessa nel periodo compreso fra il 1856 e l'inizio del 1858 quando poi Lei venne espulsa dalla Francia.
In questo periodo dominano gli scambi di messaggi brevi fatti su semplici cartoncini o piccoli foglietti.
Nicchia scrive a Nigra con la sua calligrafia a caratteri grandi e molto arrotondati, Nigra è sempre impeccabile con le sue frasi eleganti e complimentose.
Nicchia scrive un po' confusamente. Ecco come risponde a Nigra che le chiede dei ritratti:
Mio Caro Nigra ecco i ritratti richiesti; Vi invio la bruna e la bionda con i capelli di quei colori così discussi da ciascuna persona che non mi ha mai vista nell'una e nell'altra maniera, e non credano ad uno scherzo della natura. Essa mi ha favorita in tal maniera da poter essere ammirata grande e piccola ma mai male. Ecco la mia criniera! Il ritratto biondo è d'arte ma la terza capigliatura è dipinta su di una tela di 20 anni, la più artificiale di tutte le altre. Appare a me come la mia amicizia e consegna me stessa ai loro sentimenti e non contradditemi perché il mondo deve diventare sincero come lo credo io e come mi direte che dovremo crederlo.
Virginia Verasis Contessa di Castiglione
Lo stile dei messaggi di Nigra lo scopriamo nei bigliettini di cui abbiamo vari esempi; ecco cosa scrive Nigra per dire alla Castiglione che l'accompagnerà a corte:
"Cara Contessa, ho visto il padrone oggi (l'Imperatore ndr). Stasera andrò alle Tuileries (residenza dell'Imperatore ndr). Credo che fareste bene a mettervi sotto la scorta di una donna per far la vostra entrata.
Ad ogni modo il mio braccio è a vostra disposizione fin sopra le scale. Una volta dentro vi lascio all'ammirazione altrui.
Io non ci vado che per far atto di presenza e poi mi ritirerò subito. Io starò alla Legazione sino alle 9 1/2".
Lei reagisce protestando e Nigra Le risponde ancora:
"Non andate in furia. Il mio braccio è a vostra disposizione. Se volete venire alla Legazione vi condurrò. Se mi aspettate sulla scala, vi piglierò sulla scala. Solo vi prevengo che una volta dentro, vi lascerò andare a salutar lei (l'Imperatrice? ndr).
Vi dirò a voce il perché io non farò altrettanto. La mia carrozza sarà a vostra disposizione uscendo. Io partirò dalla Legazione alle 9 1/2".
Entriamo adesso nei rapporti fra i due che si scambiano comunicazioni di varia natura:
"cara Contessa, decisamente domani, invece d'andar ad ammirare la statua di Vela devo indossare l'uniforme e far visita all'Ambasciatore Prussiano. Esprimete vi prego il mio rincrescimento all'amabile vostra vicina e portatele i miei più rispettosi sentimenti. N".
e ancora:
"Il Principe (Gerolamo Napoleone ndr) accetta per Domenica (essendo già impegnato per sabato). Domenica alle 7 meno un quarto sarò dunque a Passy per pigliarvi. Siate esatta. Vostro N.
Mandatemi un rigo per dirmi che nulla è mutato nelle vostre istruzioni e che possa contare su voi per Domenica".
Ma esaminiamo adesso i rapporti più personali tra i due:
"Verrò da voi questa sera alle 11. Non fatemi fare troppo lunga anticamera. Senza frasi inutili mi dico Vostro N ".
"Ho assolutamente impegnata la sera. Debbo accompagnare due principesse alla rappresentazione del Barbiere (l'opera il Barbiere di Siviglia ndr). Tuttavia vi sacrificherei le Principesse se non attendessi con ansietà i dispacci che possono giungermi da un istante all'altro per annunziarmi la composizione del Nuovo Gabinetto. Devo dunque rinunciare a Dieppe. Verrò a vedervi martedì in giornata. Se non vi troverò tornerò il mercoledì e così di seguito finché mi sia dato di baciarvi la mano bella".
"Cara Contessa, ho risposto or ora al vostro bigliettino. Appena avevo consegnato la mia lettera ho ricevuto un invito per cacciare coll'Imperatore per giovedì. Vi supplico perciò di rispondere col telegramma che giovedì non potete, ma che potrete sia domani mercoledì sia venerdì. Fatemi poi sapere, vi prego, il giorno e l'ora che avrete fissato. Ben inteso, silenzio. Vostro devotissimo N".
"Il regalo del Principe fu portato da Incontri (segretario di Legazione ndr) credo. Ma non so a chi sia destinato. Penso che sia per voi. Ad ogni modo sapremo a giorni cosa è contenuto là dentro. Ieri sera volevo entrare ad aspettarvi. Ma il domestico mi disse che forse potevate rimanere anche due ore fuori e me ne sono tornato. Verrò a vedervi quando potrete darmi una serata intera per me, e che non siate affaticata e non di cattivo umore. Se per domenica tanto meglio".
"Mia bella contessina, Vi mando il foglio per Gagliardi. Verrò a vedervi domani sera, ma dopo pranzo, a condizioni però che non vi vestiate niente. Vi ringrazio dell'album che è veramente magnifico. I ritratti sono lungi dal rappresentare tutta la vostra bellezza divina, ma indicano che chi ha immaginato le pose, è artista nell'animo. E poi quanta espressione in quello sguardo! Dio, Dio!".
"Siete adorabile come sempre, bella Contessa, da vicino o da lontano, presente o assente, a Passy come a Parigi. Vado stasera alle Tuileries ma al primo momento di libertà verrò a bussare alla vostra porta e a dirvi a voce che questo biglietto, col profumo che emana, non sarà sufficiente per dirvi che ci siete mancata stasera infinitamente e che ci mettiamo ai vostri piedi. Mille cose amabili".
Questo invece è un esempio di lettera galante e complimentosa che la prosa di Nigra sa condire con frasi eleganti (la lettera originale è in francese):
"Che graziosa e affascinante lettera, così piena di spirito e di buon umore! Ecco come vi voglio. Amabile, gaia, spiritosa, coquette, amante della caccia, delle gite, della musica, dei balli e di tutte le buone cose tranne che l'amore. Sapete che sono a volte riconoscente e stupito che nel sostenere la vostra vita voi abbiate trovato un momento per scrivermi?
Ah! Come vorrei sapere cosa chiedete ai Santi nei vostri pellegrinaggi! Essere più seducente, impossibile! Avere i capelli più biondi, ancora impossibile! Avere le mani più sottili, sempre impossibile; essere più insensibile? la cosa sarebbe un bene ma voi non formulereste mai tal desiderio. Voi ne avete abbastanza, voi ne avete troppa di sensibilità, questo è il vostro difetto, se ne avete uno. Cosa potreste chiedere un giorno al buon Dio? Degli adoratori? Ne avete tanti da non saper cosa farne, da Lightennelf sino al piccolo De Belleyne. A proposito di quest'ultimo sono lietissimo che sia a Fontainebleau. Per Voi resterà! Sarò molto preso in quei giorni per l'arrivo del Principe lunedì. Non so se potrò scrivervi durante la settimana. Ma aspetto da voi lunghe lettere, ditemi tutto ciò che fate, ditemi tutto ciò che vi passa nella vostra bella testolina, non dimenticatemi nel mezzo dei vostri divertimenti.
La grande novità di Parigi sono in questo momento i fratelli Davenport, i celebri medium americani, che sono, come dicono gli esperti, i più straordinari al mondo. Del resto tutta Parigi è a Bade. Le corse sono state splendide. Nariskine ha perso centomila franchi al giorno. Shittels ha perso i capelli e Cora è caduto nel tentativo di inseguire il Re di Prussia. Eccovi le notizie.
Susanna! Ingrata Susanna! La salute fa dimenticare l'amicizia! Alberti mi ha detto che la cuginetta è tornata nei giorni scorsi a Parigi. Buttate gli occhi su di Lei vi supplico, perché Alberti è al punto di mano morta e mi pare la trovi forte e di suo gusto. Ecco la mia quarta pagina. Mi metto ai vostri piccoli piedi e vi chiedo di lasciarvi adorare.
Tutto per Voi Nigra
Assisto stasera al contratto di matrimonio del Principe di Inonslearc con M.lle de la Tremouville. Lei ha 54 anni e lo sposo sessanta e lui è al quarto matrimonio legittimo.
Mille cose le più affettuose".
"Cara e bella Contessa, che diavolo mi pigliate a giudice del colore delle vostre vesti? Io so dirvi solamente che comunque siate vestita - Siete la più bella giovinetta che in cielo o in terra si possa trovare e colorita più che rosa fresca e chi vi vede fate innamorare -.
Se venite alle 4 discorreremo. Vi bacio la mano bella".
"cara Contessina, fatemi sapere quanti sigari vi abbisognano e di che qualità. Quando avrò questi dati saprò dirvi se è possibile farli venire al mio indirizzo".
"Cara Contessina, mandatemi le vostre nuove per mezzo di Artom che va a vedervi in vece mia. Oggi non siamo liberi per la sera nè lui nè io. Vi rimando il pacco, con mille ringraziamenti. E' inutile che io me ne occupi finchè non avrò saputo positivamente le intenzioni del Principe Umberto. Mi riservo di parlarvene se sarà deciso che il Principe preferisce la Legazione ad un altro Hotel. Ma finora non solo non posso occuparmi d'una cosa che è soltanto eventuale, ma ancora desidero che non se ne parli. Vi bacio la mano bella".
"Cara amica, Vi avevo detto che m'è assolutamente impossibile il domandare un invito in bianco. Ora, cioè il giorno stesso del ballo, è ancora più impossibile. Ma a Voi non mancherà il modo di rendere facile ciò che è per me impossibile.
Vi ho aspettata l'altra sera fino a mezzanotte. Ma invano! Pazienza. Sarà per un'altra volta. M'hanno detto che eravate molto bella e l'ho creduto".
"Sono stato indisposto tutti questi giorni. Ecco perché non m'han visto in nessun luogo. So che tutti non son buoni come Voi. Ma ciò torna ad elogio vostro.
Ho scritto al Barone Schweizer Ministro di Bade perché mi mandi una raccomandazione alla dogana della sua frontiera in favore dell'individuo di cui non mi avete detto il nome e che rimarrà in bianco, perché sia scritto da voi. Appena questa raccomandazione mi sarà rimessa ve la manderò.
La primavera è venuta, tiepido è l'aere, limpido il cielo, perché non venite a spasseggiarmi alle 7?
Domani pranzo dalla Principessa Matilde. Verrò domenica dopo le 10, giacchè così volete. Fleury (Ministro di Francia ndr) vi scriverà. Ho mandato il corriere a ritirar la cassa, la quale porta il vostro indirizzo. Ve la porterà appena sarà ritirata".
"Cara Contessa sono arrivato, dopo un viaggio ben triste come potete pensare. Ho ricevuto a Firenze prima di partire una lettera vostra veramente amabile e della quale vi sono riconoscentissimo. Credete che questa prova di simpatia per parte vostra m'ha commosso e che ve ne conservo una gratitudine sincera. Se avete un po' di tempo lasciatevi vedere. Potrò darvi notizie del vostro figliuolo che ho visto a Firenze. Vostra affezionatissimo Nigra".
"Cara amica son desolato di sapervi ammalata, e più desolato di non poter andare a vedervi oggi. Pranzo al Palais Royal e non ne uscirò che a mezzanotte secondo il solito. Ma verrò domani o nella giornata o nella sera, a tenervi compagnia insieme ad Artom, che è à vous soigner.(viene a curarvi ndr)
Rispondete al telegramma e fissate l'ora e fatemi sapere l'ora che avete fissata per giovedì. Ci verrò anch'io, ma zitta! Vi bacio la mano bella".
"Un'altra volta, quando cadete ammalata (fo' voti che non capiti mai), ma se capita vi scongiuro di farmelo dire. ieri rischiai di rompermi il collo in carrozza. Urto, caduta del domestico e rottura della gamba sua; caduta del cocchiere e contusioni; il cavallo senza cocchiere corre, passa il round-point des Champes Elisées e là si arresta ficcando una ruota nel ventre d'un cavallo di fiacre che passava. Mentre ciò accadeva io stavo dentro, non con piacere come potete pensare, ma senza turbamento. E appena vidi che l'incontro del fiacre aveva diminuito il moto della carrozza saltai giù snello e leggero. Vogliatemi bene N".
"Cara Contessina, siete viva o morta? Quale angolo della terra ha il privilegio di possedervi? Mando ad ogni buon fine questa lettera alla rue Rameau, di dove spero vi sarà fatta pervenire. Baldelli mi ha recato le vostre nuove e mi disse che siete più bella che mai. Lo credo facilmente. Io sono ancora inchiodato qui a Parigi e non posso muovermi per ora. La notizia del mio congedo ha fatto credere a Torino che doveva arrivare il finimondo. Eppure ne avrei bisogno, perché non sono ancora ristabilito bene. Non vado a vedervi perché ho un ceffo da morto e non vi piacerei. Vi bacio la mano bella".
A questa lettera la Contessa risponde arrabbiata:
" Se fossi morta v'avrei chiamato per sotterrarmi, cosa che non posso far fare da altri. Non voglio vedervi, è ridicolo che facciate finta di non aver saputo nulla della mia malattia. Non ignorate il fatto, anche se nessuno ci crede. Adesso sono resuscitata e come vedete la mia mente non ne ha patito. Dite se c'è un'altra donna come me. Non ne troverete un'altra ma i..."
La permanenza della Contessa a Parigi sta per finire e allora i toni delle missive cambiano.
"V'aspetto a pranzo alle 6. Vi darò un passaporto nuovo se volete, se no faremo vistare il vecchio. Portatemi l'autografo. Finora non mi fu rimesso il pacco contenente il braccialetto. Farò la commissione domani. Arrivederci alle 6".
La corrispondenza si dirada negli anni dal 1863 al 1870. Dopo la parentesi dell'esilio londinese, dal 1858 al 1863, Nicchia ritorna a Parigi e tenta di rientrare nel giro di corte ma, a trent'anni, non riesce più a raggiungere il successo di otto anni prima. Nigra è oramai Ambasciatore d'Italia a Parigi e ha ben altre incombenze che quelle di servire la sua antica compagna di avventura. Ne ricorda eventi e successi, come si deduce da questa lettera del 1° gennaio 1867:
"Cara Contessa, v'abbiamo aspettata fino alle 10 passate. Volevo rimettervi un piccolo ventaglio etrusco, destinato alla regina d'Etruria.(Nigra ricorda un famoso quadro vivente interpretato dalla contessa alla corte imperiale ndr). Ve lo mando pregandovi d'accettarlo come souvenir d'amico. Avrei desiderato che il ritratto della regina d'Etruria fosse riuscito più somigliante. Ma quando s'ha un visino così bello come il vostro, non v'è pennello che tenga. Vi lasciate vedere domani mercoledì? Se venite, fatemelo sapere. Se no, venite sabato. Non sarò in casa né giovedì né venerdì sera. Vi bacio le mani belle. Nigra".
Nigra le dà poi notizie della guerra del 1866 e nella primavera del 1870, prima che la Francia entri in guerra con la Prussia, le scrive una lunga lettera:
"Contessa gentilissima, Ressmann (Segretario di Legazione ndr) mi fece leggere la lettera ch'egli ha ricevuto da Giorgio (il figlio trentunenne della Contessa rimasto orfano del padre morto nel 1867 ndr). Spero che nel frattempo Le sarà pervenuto il mio recente foglio e ch'Ella si sarà un po' tranquillizzata. Ma per fare meglio ancora, Le mando qui unita la risposta ch'ebbi dal Prefetto di Polizia. Ella si convincerà così che non ho soltanto promesso, ma che ho agito. Aggiungo ora che sovente la distanza fa parere i pericoli molto maggiori che non siano in fatto, e che v'ha luogo di sperare che le terribili Sue previsioni non si avvereranno. Una grande parte della plebaglia parigina fu ammalata ed è quindi fuori dalle mura; gli elementi che qui si trovano in armi per la difesa della città contro i Prussiani sono invece per la maggior parte dispostissimi a rivolgere i loro chassepots (fucili a ripetizione ndr) contro chi volesse approfittare d'alcuna occasione per pescare nel torbido e per attentare alle proprietà private. dall'altro lato, la condotta dei Prussiani nei dipartimenti conquistati non deve lasciar dubbio su quella ch'essi terrebbero qualora entrassero a Parigi. essi aspirano troppo al titolo di eroi civilizzati per venir a mettere Parigi a fuoco ed a sacco e per ritornare da qui col titolo d'assassini. E non è ancora detto che ci vengano. Credo dunque, per quanto valgano le previsioni della ragione che le precauzioni prese basteranno e ch'Ella possa con migliore animo e senza troppo duri sacrifici correre quel tanto di rischio che qui tutti corriamo e che poi davvero non mi pare immenso. Mi creda sempre suo aff.mo Nigra.
PS: E' inteso coi Rotschild che le casse a loro affidate saranno disposte in caso di pericolo alla Legazione, dove correrebbero naturalmente la sorte della Legazione stessa. Se volete farle partire per Firenze, mandate qualcheduno che se ne incarichi. Ma allora parlatene a Visconti (Emilio Visconti Venosta Ministro degli Esteri ndr) affinché mi autorizzi a mettere i sigilli della Legazione e l'indirizzo ufficiale al Ministero degli esteri. Vostro sempre N".
Le ultime lettere tra i due sono dell'estate 1870. Scrive la Castiglione a Nigra una missiva di 16 pagine che riassumiamo:
"Non volevo seccarvi ma è tempo che parli al Ministro d'Italia (Nigra ndr). Da quel che mi si dice bisogna che la Legazione Italiana prenda sotto la sua protezione la mia casa di Passy, 51 rue Verola, e la faccia rispettare con Bandiera Italiana da invasioni Prussiane come difendere dalla forza francese contro ogni attacco di popolo in rivolta che volesse ivi entrare, saccheggiare o bruciare. Se c'è pericolo bisognerà far levar tutto fuori, sia armadi che mobili ordinari e mettere sia alla Legazione nelle stanze della Cancelleria sia da Rotschild dove è più sicuro, ma se anche li v'è pericolo, allora tutte le casse fatemele spedire a Torino. Voglio che la casa sia guardata dalla Police e all'occorrenza le guardie vi dormano. Per questo intendetevene col Prefetto di Polizia che dia ordine speciale e che dia incarico al suo segretario Gautier de Noyelle che conosco e che ha conoscenze e rapporti a Passy. Rispondetemi subito a Firenze a Mons. Good Palazzo Aldobrandini con busta per la Contessa. Ieri sera il Padrone (il Re Vittorio Emanuele II ndr) aveva voglia di discorrere di voi e io gli ho risposto che qui andrà peggio che là ..."
Nigra rispose nell'agosto 1870 così:
"Contessa Gentilissima, ho fatto quanto era in mio potere. Ho messo la vostra casa di Passy sotto la speciale custodia della Prefettura di Polizia e non dubito ch'essa sarà bene tutelata in caso di disordini locali finché resterà forza alle leggi ed alle Autorità. Ho personalmente impegnato il sig. Pietri a farla sorvegliare qualora minacciasse un pericolo".
E poi ancora circa un anno dopo nel giugno 1971:
"Cara e bella contessina, ho il piacere d'annunziarvi che tutte le cose vostre, cioè:
1° le casse deposte alla Legazione
2° gli effetti della rue Castiglione
3° tutto quanto era rimasto in via Nicolò
Tutto ciò si trova in perfetto stato, ben conservato e in ordine. Nessuno li toccò. Nessun guasto avvenne. La povera Legazione fu forata da 4 obici e da numerosi altri proiettili. Il tetto è fracassato e v'è una breccia in un muro; rotti tutti i vetri, gli specchi e parecchi mobili fracassati. Ma per ventura le vostre casse disposte sul luogo più sicuro della casa non furono toccate, nemmeno una. Tanto alla Legazione che alla rue Castiglione e rue Nicolò nessuno toccherà senza ordine vostro. In compenso mi direte quando vedrò la più bella fotografia vostra. Il vostro vecchio amico Nigra".
Non abbiamo altre testimonianze che, forse, si potrebbero trovare negli archivi della Regione Toscana, dove proseguiremo le ricerche.
Le strade dei due si divisero definitivamente.
Nel 1876 Nigra si trasferì a San Pietroburgo, nel 1882 a Londra e nel 1885 a Vienna come Ambasciatore d'Italia. Fece una carriera straordinaria, stimato da Imperatori, Re e Regine di tutta Europa, divenendo prima Conte, poi Cugino del Re con l'attribuzione del Collare della S.S. Annunziata di Casa Savoia, poi Senatore del Regno.
Nigra morirà all'età di quasi ottant'anni il 1° luglio del 1907 a Rapallo, a Villa Tigullio, lasciando un patrimonio consistente (valutabile oggi in circa 14 milioni di Euro), che finì alla nuora Teresa Marten Perolin, rimasta vedova dopo la morte del figlio di Nigra, Lionello, avvenuta un anno dopo il padre. Un patrimonio rappresentato da una Villa sul Canal Grande a Venezia (oggi lo splendido Resourt Ca' Nigra), un Palazzo a Trinità dei Monti a Roma, altre case a Venezia e Torino, azioni e obbligazioni presso la Banca d'Italia, di cui era socio fondatore, e presso la Banca Rotschild a Parigi. Fu poeta e scrittore, folklorista e glottologo; le sue memorie sulla Storia d'Italia scomparvero dopo la sua morte e rappresentano il mistero più profondo della sua intensa vita diplomatica.
La divina Contessa, caduto il Secondo Impero nel 1870, con abilità e scaltrezza continuò a tessere, tra Parigi, Torino e La Spezia, la rete delle sue amicizie influenti collezionando 43 amanti, 12 dei quali avuti contemporaneamente e sempre all’insaputa l’uno dell’altro. La venere incontrastata del bel mondo che aveva incantato per le sue toilette da favola, i suoi gioielli, tra i fasti e i piaceri della mondanità, ebbe il solo grave torto di sopravvivere alla sua bellezza. Trascorse l’autunno della vita sola, nel terrore dell’indigenza, sopraffatta da cupa nevrastenia e senso di persecuzione. Dei ricordi ormai non sapeva che farsene: per non vedere la sua decadenza fisica si velava il volto, copriva gli specchi, usciva solo la notte, circondandosi di un’aura patetica di mistero. Ancora ricca, ma in crisi di liquidità, nel 1893 subì l’onta dello sfratto dal suo elegantissimo e ricco ammezzato di Place Vendôme, occupato dal 1876.
Morì a Parigi il 28 novembre 1899 in un piccolo alloggio sopra il ristorante Voisin. All’indomani del suo funerale, la Polizia e Carlo Sforza per l’ambasciata italiana, distrussero tutte le lettere e i documenti compromettenti riguardanti re, politici, papi e banchieri, da Napoleone III a Bismarck, Cavour, Pio IX, Rothschild. Ci restano i suoi diari. Avrebbe voluto tornare in Italia e farsi seppellire alla Spezia con i suoi gioielli (andarono invece a sconosciuti eredi con una fortuna stimata in due milioni di lire del tempo, circa 1.5 milioni di Euro di oggi), con la camicia da notte verde acqua di Compiègne e con i suoi due pechinesi, Sanduga e Kasino, imbalsamati.
Riposa invece, tra i grandi, al Cimitero Monumentale di Parigi Père Lachaise.
Le lettere originali Nigra Castiglione sono conservate all'Archivio di Stato di Torino.
Generale Alfonso La Marmora
generale Alfonso Lamarmora
La sua carriera nell’esercito piemontese inizia a 12 anni con l’Accademia Militare di Torino nel 1816 e prosegue lungo tutti i gradi di promozione fino all’esordio in battaglia, a 44 anni, nelle campagne del 1848-1849, anno in cui ottiene la nomina a luogotenente generale. Durante la prima Guerra d’Indipendenza (1848) comanda, col grado di maggiore, l’artiglieria della divisione Federici e contribuisce in modo determinante alla vittoria di Pastrengo. Nell’agosto dello stesso anno al comando di un battaglione della brigata Piemonte e di una compagnia di Bersaglieri, Alfonso La Marmora protegge re Carlo Alberto durante l’assedio a Milano, seguito alla battaglia di Custoza. Nel febbraio del 1849 assume il comando della sesta divisone e, dopo l’armistizio con l’Austria, viene inviato a Parma.
Nel 1849 Alfonso La Marmora ha 45 anni ed ha raggiunto il massimo grado dell’esercito sabaudo nel giro di dieci mesi dopo aver trascorso 22 anni nei gradi più bassi della gerarchia militare. Nel marzo del 1849 è inviato a Genova con l’incarico di riportare l’ordine dopo la rivolta antimonarchica seguita alla sconfitta nella 1a guerra di Indipendenza; un’operazione che comporterà un alto numero di caduti e che gli varrà la fama di “cannoneggiatore del popolo” per il resto della vita. L’intervento a Genova di La Marmora viene premiato con una medaglia d’oro al valore militare e la promozione a comandante del 2° corpo d’armata. Ma Alfonso La Marmora è soprattutto, con Camillo Benso conte di Cavour, l’eroe della Guerra di Crimea a cui partecipa a 51 anni, nel 1855, come comandante supremo di un contingente di 18.000 uomini. Alfonso aveva lavorato alacremente a livello diplomatico prima del conflitto, recandosi per esempio a Londra a incontrare la regina Vittoria e tessendo una rete di contatti che si rivelarono di sostegno fondamentale ai piani di Cavour.
Il rientro a Torino nel giugno del 1856 è trionfale e La Marmora riceve dal Re il Collare dell’Ordine Supremo della Santissima Annunziata e la nomina a Generale d’Armata. La Camera dei Deputati gli assegna inoltre, come premio di guerra, un terreno lungo la futura via Cernaia a Torino dove Alfonso costruisce una residenza con giardino all’inglese che ospiterà il monumento al fratello Alessandro, morto di colera in Crimea nel 1855. Nel 1860, tornato
Cavour al potere, viene affidato ad Alfonso il comando del corpo d’armata di Milano e l’anno successivo, 1861, è inviato a Napoli come prefetto e comandante generale delle truppe stanziate nell’Italia Meridionale; qui sarà impegnato per tre anni nella lotta alle rivolte civili e nella repressione del brigantaggio.
Nonostante la prima Guerra di Indipendenza (1848-49) si concluda con una sconfitta per il Piemonte, Alfonso La Marmora riesce a dare grande evidenza agli episodi di coraggio patriottico di quel conflitto, infatti a lui si deve l’iniziativa di mandare a Parigi il giovane pittore Stanislao Grimaldi a studiare incisione per poi affidargli l’esecuzione delle tavole che mostrano gli atti di valore. Nel giugno del 1866 assume l’incarico di Capo di Stato Maggiore dell’armata del Mincio.
Dopo la sconfitta nella terza Guerra di Indipendenza (1866), si sviluppa una violenta polemica e una parte dell’opinione pubblica attribuisce ad Alfonso La Marmora le maggiori responsabilità dell’esito negativo del conflitto. Il generale continua a difendere la propria posizione con numerose pubblicazioni ma lascia la carriera militare nello stesso anno, dimettendosi da capo di Stato Maggiore, e accetta di guidare per un anno il dipartimento militare di Firenze prima di ritirarsi definitivamente a vita privata. Accetterà unicamente la luogotenenza di Roma e delle Province Romane dopo il 20 settembre 1870 e passerà il resto della sua vita occupandosi di opere benefiche.
Una malattia agli occhi tormenta gli ultimi anni della sua vita. Alfonso La Marmora muore nella casa di Firenze il 5 gennaio 1878, è assistito dal nipote Tommaso, figlio del fratello Carlo Emanuele, e da Paolo Crespi, fedele aiutante in campo in Crimea. La salma è trasferita a Biella nella chiesa di San Sebastiano con quelle dei fratelli Carlo ed Emanuele La Marmora e Alberto la marmora (il corpo di Alessandro La Marmora verrà traslato nel 1911 dalla Russia a Biella).
Come ministro della Guerra, dal 1849 al 1859, Alfonso La Marmora è la mente che attua una completa riforma dell’esercito sabaudo; una riorganizzazione che viene premiata dal successo nella Guerra di Crimea e crea le premesse per il successo della seconda guerra d’indipendenza.
A partire dal 1848, e per tre volte di seguito, Alfonso, che allora aveva 44 anni, ricopre la carica di ministro per gli affari di Guerra e di Marina del Regno di Sardegna dopo essere stato deputato al Parlamento fin dalla prima legislatura. In particolare, dal 3 novembre 1849, assume per la terza volta il portafoglio del ministero della Guerra e lo manterrà per i successivi dieci anni con i vari governi di Cavour.
A 55 anni, nel 1859, è per la prima volta presidente del Consiglio per un anno. Dal 1864 il Re lo chiama nuovamente a presiedere il governo con il triplice incarico di presidente del Consiglio, ministro della Marina e degli Affari Esteri ed è proprio sotto il mandato di La Marmora che la capitale del nuovo Regno viene trasferita a Roma.
A 61 anni, nel 1865, mentre regge il ministero degli Esteri, tratta l’alleanza con la Prussia fino all’apertura delle ostilità con l’Austria nel 1866. Nello stesso anno lascia il governo e riprende le armi per entrare in guerra con la carica di capo di stato maggiore subendo però la pesante sconfitta di Custoza (23 giugno 1866).
Rimasto vedovo a 72 anni, nel 1876, il generale decide di destinare una parte del cospicuo patrimonio suo e della moglie a opere sociali, su consiglio dell’amico Quintino Sella, avviando numerose iniziative caritatevoli a Biella, nel Biellese e a Torino dove dispone un fondo per l’ospedale dove ha oggi sede il Museo di Storia Naturale. Alfonso dona al Comune di Biella una rendita di 10mila lire l’anno per aiutare gli operai vittime di infortuni sul lavoro; il fondo è alla base della costituzione dell’Opera Pia La Marmora in favore di operai e artigiani poveri. Il generale assegna inoltre una somma per la costruzione del mercato coperto e della rete dell’acquedotto nel quartiere di Biella Piazzo. Il finanziamento della rete idrica verrà seguito dai nipoti Tommaso e Maria Luisa dopo la morte di Alfonso avvenuta nel 1878. Le fontane pubbliche saranno inaugurate il 24 dicembre del 1882.
Le lettere originali di Alfonso Lamarmora a Nigra sono conservate all'Archivio di Stato di Biella. Presso il Centro Studi Nigra esistono 25 copie di lettere Lamarmora-Nigra e 3 Nigra-Lamarmora.
Nel seguito riportiamo soltanto alcune lettere di maggiore rilevanza; lo stile letterario del Lamarmora certo non è al livello del Nigra. La corrispondenza riguarda la 3a guerra di indipendenza.
Nigra al Ministro della Guerra Generale Lamarmora - Parigi, 26 novembre 1864
Io tenni a Drouyn de Lhuys, confidenzialmente, il linguaggio che Lei mi prescrisse.
Eccole la risposta di questo Ministro, risposta puramente accademica, perché mi avvertì che non era in misura di pigliare impegni o dar promesse, e che si limitava ad esporre il suo avviso personale. Secondo il Signor Drouyn de Lhuys (ed anche secondo la mia opinione) l'Austria rifiuterà ogni proposta di cessione della Venezia dietro un compenso di denaro.
Il Sig. Drouyn de Lhuys non ammette in proposito il minimo dubbio. Ma egli crede che forse in avvenire si potrà vincere la resistenza dell'Austria, se invece di denaro si proponesse un cambiamento di territorio. La suscettibilità militare in questo caso, sarebbe più salva. Qual territorio le si potrebbe dare? Quale può convenirle? I Principati della Moldavia-Valacchia che darebbero all'Austria il corso del Danubio, un territorio più vasto della Venezia, una popolazione più numerosa, meno ostile e non superiore ad essa in termini di civiltà, infine lo sbocco sul mare, cosa importantissima per l'Austria. L'Inghilterra non sarebbe ostile al progetto. La Russia ne sarebbe scontenta, ma cosa potrebbe fare contro Francia, Inghilterra, Austria ed Italia messe d'accordo? La Turchia cercherebbe d'opporsi, ma cederebbe alla fine. L'Italia dovrebbe comprare dalla Turchia i diritti di sovranità, cioè quel poco che le rimane d'autorità sui principati. Resta la volontà delle popolazioni rumene, di cui la Francia dovrebbe tener conto. Ma non sarebbe difficile ottenere l'adesione di Couza (Principe dei luoghi ndr) e un plebiscito popolare.
Ora chi dovrebbe pigliare l'iniziativa di un'apertura del genere presso il Gabinetto di Vienna?
Non l'Italia, certo. Secondo Drouyn de Lhuys, neanche la Francia, perché c'è la memoria di Solferino e poi le proposte che vengono da Parigi sono sempre sospette a Vienna. L'Inghilterra, non sospetta all'Austria, sarebbe più indicata, e Drouyn de Lhuys ebbe quindi d'avviso che i primi passi ufficiosi fossero fatti a Vienna dal Gabinetto di Londra, allo scopo almeno di tastare il terreno. Fin qui la risposta di Drouyn de Lhuys, il quale soggiunse che egli già prima d'ora s'occupò di questo concetto il quale avrebbe l'approvazione dell'Imperatore.
Ma questo programma il Governo del Re lo mise in campo, circa un anno fa. Il conte Pasolini (nel 1864 Prefetto di Torino ndr) fu mandato a Londra per questo.
Lo presentai in quella circostanza a Compiègne. L'imperatore approvò, autorizzò Pasolini a dire a Russell e a Palmerston, non che esso Pasolini avesse visto l'Imperatore, ma che l'Imperatore, parlando con me, aveva approvato questo progetto. Pasolini andò a Londra. Russel e Palmerston non si mostrarono contrari, ma declinarono di pigliar l'iniziativa e la cosa rimase lì.
La prego di parlare di ciò con Pasolini per farsi raccontare più particolarmente il risultato della sua missione. Ella quindi vedrà il da farsi. Nel caso in cui Ella creda che si debbano fare nuove istanze presso l'Imperatore, lui persisterà a dire che tocca all'Inghilterra il fare i primi passi a Vienna. Devo aggiungere che Drouyn de Lhuys consiglia che non si parli di questa cosa a Vienna prima che il Reicharath (Parlamento austriaco ndr) sia prorogato, e ciò per impedire che questa Assemblea emetta dei voti a proposito della Venezia, i quali possono incagliare la libertà d'azione de1 Governo Austriaco.
Dal Ministro Lamarmora all'Ambasciatore Nigra - 28 novembre 1864
Caro Nigra, La ringrazio per la sua lettera del 19 corrente; mentre le scrivo ella non conosceva ancora il voto delle Camere. I giornali francesi che ci arrivano, già lo commentano, all’annunzio telegrafico emesso, naturalmente secondo il loro punto di vista; ma per me l’importante è di sapere che impatto abbia prodotto quella votazione nelle regioni imperiali ed ella ne sono certo me lo vorrà comunicare.
Ella che vive brutti momenti e che conosce il motivo che mi obbliga ad accettare questo posto (di Ministro della Guerra ndr), sarà rimasto molto stupito di un così splendido risultato. E io spero che il governo imperiale vorrà tener conto dei nostri sforzi affinché la cosa riesca.
Dicendo nostri non intendo parlare né di me né dei miei colleghi, che non abbiamo fatto che il nostro dovere, e che per noi nulla si pretendeva.
Ma dell’Italia intendo parlare che si trova in una critica posizione e che più da noi ha bisogno dell’appoggio dell’Imperatore. Sono assai gravi i quesiti dei quali ella con la sua lettera del 19 richiama tutta la mia attenzione. Anzi tanto gravi che prima di riferirne ai miei colleghi intendo riflettere bene io stesso. Mi pare indubbio che da una parte il riconoscimento del Re d’Italia per parte dell’Austria sarebbe un grave fatto in quanto colpirebbe, se non mortalmente, gravemente almeno tutti i Principi spodestati che nell’Austria sola possono ancora sperare. A mio avviso poi questo riconoscimento basterebbe da solo a classificare l’Italia fra le grandi potenze europee.
Questi ed altri vantaggi sono incontestabili ma se non si trova il mezzo di lasciar almeno intendere che il riconoscimento dell’Austria ci può condurre alla cessione delle Venezie io non so come si potrà farla accettare. Mi sento comunque in grado di dirle che, il fatto a cui ella accenna e che a Lei pare di tanto più difficile esecuzione di quanto si creda, io vi sia avverso è un fatto belle compiuto. Ella capirà che io parlo del disarmo ma qui sono necessarie alcune spiegazioni.
Da tutti gli stati militarmente organizzati gli eserciti stanno, in tempo di pace, su di un piede economico dal quale si possa facilmente passare ad un piede di guerra, nel qual caso tutti i militari sono chiamati sotto le armi per dare all’esercito il maggior possibile sviluppo.
Oltre al piede di pace e al piede di guerra, ben distinti tra di loro, accade alcune volte, ed è precisamente il caso nostro, che pur trovandoci in una situazione che non è né vera pace né vera guerra, si tiene l’esercito sospeso in un piede intermedio. E’ ciò che appunto da noi avviene dopo il 1859. Il generale Manfredo Fanti per primo, e Dio gli perdoni non solo il denaro che ha sprecato ma anche quello che hanno sprecato gli altri dopo di lui, per tema che deputati e giornalisti gli chiedessero di disarmare.
Io che questi clamori non ho mai temuto e che nel ‘59 non mi lasciai neppure trascinare dall’imposizione di Cavour a richiamare prima del necessario le truppe sotto le armi, appena giunto al Ministero, vedendo come lo Stato sottraeva dalle nostre finanze, invitai il mio amico generale Agostino Petitti a mandare in congedo tutti quelli che potevamo senza disorganizzare l’esercito.
Si sono mandati, in un colpo solo, più di 50.000 uomini in congedo e dopo altri si manderanno prima che giungano le nuove leve. Di questo la informo e assicuri pure il governo francese che noi abbiamo disarmato.
Non creda però che ciò basti a migliorare la nostra situazione finanziaria. E qui sta l’errore, credere che sia sufficiente smilitarizzare.
Al Ministero della guerra io faccio anche più di quel che sarebbe in certo modo giustificabile, ma che dire degli altri Ministri che con la guerra nulla hanno a che fare e che sprecarono milioni tanto da ridurci al punto che siamo.
Da Lamarmora a Nigra Ministro d’Italia a Parigi - dicembre 1864
"Caro Nigra, La ringrazio per la sua lettera particolare del 9 corrente. Mi valgo del Cavalier La Tour, che si reca a Parigi, per andare quindi al dunque onde trattenerla sul grave argomento di cui ella mi scrisse con le sue lettere particolari del 19 e 26 novembre scorso. Ella capisce che io intendo parlare del riconoscimento del Regno d’Italia per parte dell’Austria. Con mia lettera particolare del 23 novembre Io già le dicevo come Io scorgessi in quel riconoscimento due grossi vantaggi; il primo di levare ai Principi spodestati ogni speranza di recuperare i loro troni; il secondo di esercitare il diritto al Regno d’Italia di entrare nel concerto delle grandi potenze. A questi vantaggi incontestabili bisogna pur aggiungerne un altro non meno importante nelle attuali nostre condizioni; quello cioè di rilevare il nostro credito e assestare le nostre finanze.
Ma queste considerazioni quantunque importantissime non sono appoggiate che dagli uomini seri e moderati e disgraziatamente abbiamo un buon numero di uomini poco assennati che trattano le questioni politiche anche del maggior interesse con molta leggerezza e imprudenza ( e fra questi ve ne sono alcuni sventuratamente anche assai altolocati ) ; per cui temo che per non capire e per non voler capire ragione riescono a sviare l’opinione pubblica e ingarbugliare maggiormente la materia governativa già inceppata da mille difficoltà.
Io non ho comunicato queste cose che a due dei miei colleghi con i quali sono stato d’accordo che essendo ormai prossime le nuove elezioni ci convenga per ora astenerci da qualsiasi trattativa per il riconoscimento dell’Austria giacchè non mancherebbero certamente gli uomini dal profilo avanzato, di sicuro i moderati e infine coloro che sono al governo, dopo di aver abbandonato Roma, di sacrificare anche le Venezie; e con queste accuse sviluppate e ricamate sotto tutte le forme e colori, noi rischiassimo di avere una nuova camera rossa con tutte le deplorevoli conseguenze che ne deriverebbero.
Se le nuove elezioni riusciranno favorevoli, che si concentri cioè nella camera una forte maggioranza ragionevole, sarà allora il caso di esaminare la grave questione del
riconoscimento dell’Austria. Intanto badi che né la diplomazia né l’ufficio stampa dell’Impero non ci compromettano. S.E. Abemoriel, diplomatico qua giunto stamane, ha una serie di articoli che si riferiscono a quella questione e non dubito che il Drouyn de Lhuys vi entri per qualcuno di essi, giacchè rimarranno in quegli articoli non solo le idee ma per riportare frasi di cui ella si è meco servito. Questo indugio mi sembra tanto più necessario perché non so ancora bene fino a che punto possiamo contare sull’appoggio del Governo Inglese non già per il riconoscimento puro e semplice. In questo sono dell’avviso che l’Inghilterra, con il suo attuale o per meglio dire con la sua sfrenata avversione per qualunque cosa che alla guerra possa condurre, applaudirà a qualsiasi passo pacifico che noi facessimo verso l’Austria. Ma sulla cessione della Venezia, questione che noi in nessun modo possiamo perdere di vista, in questi giorni abbiamo anche un poco indietreggiato da quella buona disposizione che avevamo prima dimostrato a questo riguardo. Infatti io ho lungamente parlato con Pasolini e confrontando i risultati della sua missione con quanto ci scrive D’Azeglio, sulla conversazione recentemente avuta con Lord Palmerston e Brufel, sembra lasci che di simpatie ce ne dimostrassero allora, come ce ne dimostrano tutt’oggi ad eseguire diplomaticamente qualunque iniziativa di guerra. Io spero sia ancora rimarcato come abbia dichiarato al Senato che eravamo sul piede di guerra. Nigra".
Da Lamarmora a Nigra Costantino Ministro d’Italia a Parigi - marzo 1865
Avendo alcune cose a dirle che non conviene consegnare alla posta, ho pensato di spedire un corriere. Del resto io dei corrieri non abuso. Intendo rispondere particolarmente alle sue lettere del 20 e del 23.
Comincio dal viaggio possibile dell’Imperatore in Algeria. Ella mi dice, nella sua lettera del 20, che se l’Imperatore fosse dal Re invitato è persuaso che accetterebbe di recarsi a vedere Napoli e forse anche fino a Brindisi. Così posta la questione è improbabile riuscire giacché sono intimamente persuaso che il Re, a fronte di tante avversioni, cioè quella di allontanarsi e di toccare il mare, quella di fare degli errori e quella finalmente di dover trattare cose serie con chi è a lui tanto inferiore, non solo si rifiuterà , ne sono certo, ma dirà cose dell’altro mondo che non tarderebbero ad arrivare alle orecchie dei diplomatici.
Ella non si può immaginare i propositi che urtano sulla Casa Reale quando il nostro Sire è di cattivo umore.
Se l’Imperatore si decide ad andare in Algeria e che esterni lui il desiderio di vedere il golfo di Napoli, come ella mi presentò le cose la prima volta, in quel caso io potrei costringere il Re in modo che non si potesse più né rifiutare né svincolare. Così feci quando si parlò di Firenze. Io le ripeto che indurre il Re a fare lui l’invito all’Imperatore non è possibile. Ma bisogna poi ricordare che la presenza dell’Imperatore nel sud dell’Italia ha anche i suoi inconvenienti, per riguardo massimo a Roma. Andrebbe l’Imperatore a Roma? Desterebbe in Italia gravi sospetti, né saprei come ci potrebbe andare senza qualche promessa o lusinga al Papa. Non vi andrebbe?
Sarebbe troppo urtare non solo i clericali che diventerebbero furenti ma anche i cattolici più moderati che riguarderebbero il fatto come un’offesa alla Cattolicità.
Ma passiamo ad altro. Del viaggio di Sarcigny(?) molto parlano i giornali. Anche Mollares(?) me ne ha parlato ed è persuaso che passerà per Torino. Non è improbabile che otterrà una missione malgrado dica voler fare per conto suo una proposta al Papa. Comunque sia passerà a Torino, procurerò di vederlo e di farlo parlare. Se andrà solo a Firenze dopo essere stato a Roma, certo gli procurerò una udienza dal Re ma a condizione che egli non prometta impegni di cui il Governo solo è responsabile.
A proposito di Roma le dirò in segreto che il Papa ci dimostrò desiderio di trattare riguardo alle sedi vescovili vacanti. E’ probabile che questo non sia che un pretesto per intavolare trattative più serie. Stiamo studiando chi incaricare di questa importante missione. Ciò mi induce a parlarle del viaggio recente di Castiglione a Parigi. Che cosa è egli andato a fare? Egli è stato imprudentissimo riferendole che il Re non era di buon umore con lei, della qual cosa le parlerò in appresso, come giustificare un uomo che gode piena confidenza del Re trasmette un dialogo che egli ha avuto col Principe Napoleone che era falso e pure probabilmente molto esagerato; doveva almeno riferirle verbalmente anziché scriverlo e quel che è più, consegnarlo alle poste. Secondo Castiglione il Principe Napoleone avrebbe detto cose incredibili. Che io ero d’accordo per cedere al Papa la Sicilia (niente meno), che se non si cede al Papa la Sicilia o l’Elba (meno male) , siccome Roma deve essere capitale d’Italia il Re V.E. deve mettersi alla testa di una riforma religiosa . Bisogna conoscere ben poco il nostro Sire e meno ancora la popolazione nostra per credere che l’Italia possa diventare protestante.
Più ci penso e più mi persuado che il solo mezzo di sciogliere la grave questione è di lasciare Roma al Papa come un Santuario; ben inteso la sola città verrebbe amministrata da un Municipio eletto dalla popolazione. Il Papa avrebbe gli averi da Fourcen (?) ma non si occuperebbe che di Religione. La città dovrebbe essere aperta a tutti, Italiani e non Italiani. Il solo Vaticano sarebbe esclusivamente riservato al Papa e presidiato da una guardia papalina; questo è il mio modo di vedere e come una tale soluzione dovrebbe molto convenire al Governo (?) e al cospetto dell'Imperatore noi dobbiamo rappresentarla non come cosa che ci conviene ma come un sacrificio che siamo disposti a fare qualora si possa contemporaneamente avere in un modo o in un altro la Venezia. So bene che per trattare della Venezia il momento non è opportuno essendo Vienna più che mai contro di noi furenti ma le condizioni dell'Austria a mio avviso peggiorano ogni giorno e fare ancora per forza bisogna che ceda la Venezia per ora non credo di più.
Siccome le promisi più sopra ritorno a quanto le disse Castiglione. Sta di fatto che una volta, in consiglio, il Re si lasciò sfuggire che ella non era adatto al posto di Parigi. Chi abbia messo in testa questa cosa al Re non saprei, forse Vimercati o lo stesso Castiglione; non mi stupirebbe giacché tutti quelli di quel calibro sono i suoi confidenti. Ma la posso assicurare che ogni qualvolta il Re esterni quel suo pensiero anche appoggiato dai miei colleghi non ho mancato mai di ribattere le infondate asserzioni Reali, protestando che il Ministero aveva in lei piena fiducia.
Al Ministro Nigra a Parigi - Firenze 11 gennaio 1866
Più di una volta io sentivo il desiderio di scriverle durante l’ultima crisi ma non ne ho avuto il tempo. Ma ciò di cui mi sento di ben ragguagliarla ora che la crisi è superata dato che ad informarla di tutto quanto accadde non basterebbe un volume della mole del libro verde. Se poco ella legge i giornali nostri ella si potrà fare un criterio forse più esatto di quello che io le potrei fornire se anche io fossi capace di raccapezzare le differenti fasi che subì la crisi ogni giorno anzi più volte nello stesso giorno. Solo le posso dire che ho trovato meno coraggio e devozione di quello che ero in diritto di aspettarmi e che molti affronti ricevuti anche da quegli uomini politici sui quali facevo più affidamento mi fecero più di una volta venire in mente se non sarebbe stato meglio dimettermi dall’impresa. Ma chi potevo io consigliare alla Corona che volesse o potesse assumersi l’ingrato incarico di formare un Ministero con la deplorabile confusione dei partiti che regna nella camera.
Sul finire del ‘59, malgrado la viva opposizione di alcuni miei colleghi e fra gli altri il Rattazzi insistei presso il Re affinché accettasse le mie dimissioni. Se io ero allora poco amante del potere ora lo detesto.
Ma allora tutti volevano un uomo e quell’uomo che era Cavour denunciava di arrivare al Governo perché si sentiva capace di fare quello che poi fece. Ma io ora non conosco che uno solo che agogni questo mio posto e questi comunque non difetti né di capacità governative né di una certa fermezza. Ella ben capisce che io intendo parlare di Rattazzi che se io non l’avessi prima conosciuto basterebbe a giustificarmelo la condotta veramente indegna che egli tenne in tutta questa vertenza.
Ella non si può fare una idea delle bassezze che egli fece promettendo, con improfferibili e le più disparate proposte, ai partiti più avversi purché potesse giungere ai suoi fini.
Che egli fosse ambiguo ben lo sapevo ma confesso non mi immaginavo che la sua ambizione potesse degenerare in una acre libidine del potere che lo rende capace di qualsiasi atto anche il più contrario agli interessi e alla dignità della Nazione e della Corona. Ma lasciamo queste brutte cose che mi rincresce perfino mi siano dalla penna sfuggite.
Il fatto sta che io ho creduto tanto per ciò che riguarda la politica interna quanto la estera, ho creduto dover rimanere al mio posto. Il nuovo Ministero è composto di uomini che presi separatamente hanno forse messo più valore personale dei precedenti ma in complesso è forse più forte in quanto che vi ha, per ora almeno, più omogeneità di vista e maggior spirito di conciliazione.
Per me era più evidente che mai che in un Ministero comunque composto di individualità capacissime se manca lo spirito di conciliazione come avvenne di S.E. il conte Lanza Sella e Natoli si cammina a stento e male. Finora ripeto andiamo bene. Questo era l’affare importante che mi ha indotto a spedirle un corriere, giacché non si sarà immaginato che io le spedissi un corriere per ciò che le ho riferito, che potevo mandarglielo per la posta o meglio non dirglielo.
La cosa importante che le volevo dire è questa. Il Barone Mullaret è venuto ieri l’altro a leggermi un dispaccio che il Duca di Grammont spediva al Ministro degli affari Esteri Francese e di cui questi mandava copia a Firenze perché mi fosse comunicato. Secondo la solita usanza diplomatica che io mi limito a chiamare strana, il Mullaret mi lesse i dispacci e poi se ne andò senza lasciarmene copia. Siccome per soprappiù quella lettura mi venne fatta nella camera attigua al Consiglio e mentre io ricevevo la lista piena della nostra interna discussione, non posso dire di aver perfettamente capito ogni cosa e tanto meno di aver indovinato il vero pensiero del Governo Francese. Tant’è che ieri sera incontrando Mullaret in società gli esternai il desiderio di ricevere quei documenti, cioè le lettere di Grammont e di Sella e le risposte di G. e di S. al Barone Mullaret.
Ciò feci in modo da lasciargli chiaramente intendere che se mai ne avesse dato copia mi avrebbe fatto piacere ma egli o non ha capito o, quel che è più probabile, fece sembianza di non capire ma gentilmente però mi promise di venir oggi a ripetermi la lettura dei dispacci. Se verrà e se avrò altre importanti o differenti osservazioni in parte gliele indicherò in fine di questa mia lettera ma intanto mi preme riferirle quale fu l’impressione in me prodotta da quella comunicazione.
Il dispaccio di Grammont riprende una conversazione da lui avuta con il Ministro Austriaco Mensdorff dalla quale risulterebbe che il Governo Austriaco ritorna alla carica sulla opportunità di riprendere rapporti commerciali con l’Italia. Le intenzioni e le espressioni di massima del Governo Austriaco mi sembrarono molto conciliative per cui non ho il minimo dubbio che il Governo Austriaco sia ora disposto, come ella già me lo faceva presagire in una sua lettera particolare di alcuni mesi addietro, a riconoscere il Regno d’Italia purché si ristabiliscano rapporti commerciali che accordino i vantaggi delle Nazioni più favorite, come fu recentemente stabilito con la .. (illeggibile).
Colto un po’ all’improvviso, mentre chiedevo tempo a pensarci, dichiarai però che eravamo pronti a mantenere quanto avevamo manifestato nelle due circolari inserite nel libro verde soggiungendo che fosse ben inteso che quanto noi intendevamo dire al Governo Austriaco era che trattasse con noi come Regno d’Italia.
Ciò dicendo mi balenò il sospetto che si trattasse anche di stabilire i rapporti diplomatici e perciò soggiunsi tosto che, conseguenza alla mia circolare del 28 ( ? ), non era possibile stabilire rapporti diplomatici senza trattare la questione Veneta e che perciò si poteva studiare il modo di stabilire rapporti commerciali fra l’Austria e il Regno d’Italia senza ristabilire i rapporti diplomatici e citai l’esempio delle Sardegne che vissero, anche se non perfettamente d’accordo ma con sufficiente armonia per quanto riguarda l’interesse commerciale dal 58 al 59.
Ciò che più di ogni altra cosa mi ha fatto impressione è il modo, direi la disinvoltura, con la quale Mullaret mi parlò lui della impossibilità nella quale noi ci troviamo di ristabilire rapporti diplomatici con l’Austria perché il Ministro di Prussia conosce lui per primo le nostre difficoltà.
Posso ingannarmi e vorrei che ciò fosse, ma mi fu sembrato scorgere che mentre l’Austria è ora disposta ad una conciliazione, fors’anche fino a trattare la questione Veneta, la Prussia in questo momento non la desidera; questo è il fatto importantissimo che io a lei sottopongo perché ne ricerchi i motivi e ne pesi le conseguenze. Anche in questo mi ingannerò ma non mi stupirebbe che la Francia (però non l’Imperatore) non deciderà di risolvere la questione veneta finché non sia definita quella di Roma e che almeno siano i francesi fuori di Roma.
Si rammenti come io più di una volta le scrissi che l’Imperatore poteva risolvere le due gran questioni nostre che colla cessione delle Venezie si poteva pur recedere l’Italia dal suo voto lasciando la Città di Roma al Papa. A queste condizioni non dubito che la maggioranza degli Italiani si adatterebbe e il Governo Italiano potrebbe essere forte abbastanza per accettare il Papa nella Città Eterna. Non perda un istante. Indaghi anzitutto la vera opinione del Governo Francese e per poco la trovi favorevole nulla tralasci per far risolvere dall’Imperatore il gran problema nel senso da me indicato.
Da Nigra al Ministro Della Guerra Generale Alfonso Lamarmora
Parigi, 24 Febbraio 1866
Onorevolissimo Signor Ministro, Un dispaccio telegrafico giunto questa notte a Parigi annuncia che una rivoluzione è scoppiata a Bukarest, che il Principe Couza ha abdicato e che è prigioniero degli insorti. Un governo provvisorio fu istituito e le Camere riunite hanno proclamato Principe di Romania il Conte di Fiandra.
La caduta del Principe Couza può avere conseguenze così gravi ed esercitare tanta influenza sulla politica delle grandi Potenze, che io credo mio debito di esprimere a V. E. il mio avviso sulla possibilità di trarre profìtto da questo avvenimento per risolvere in modo pacifico la questione veneta. E' noto che fu per lungo tempo accarezzato dalla diplomazia europea il disegno di dare all'Austria il dominio delle bocche del Danubio.
Uno dei più integerrimi uomini di Stato piemontesi, il conte Cesare Balbo, sviluppò lungamente questo disegno nel suo celebre libro delle Speranze d'Italia. Il principe dì Talleyrand in Francia, per motivi dedotti dalla necessità dell'equilibrio politico, in Austria il Principe di Metternich, per desiderio di accrescere l'influenza austriaca sulle razze slave, erano notoriamente favorevoli a questa idea. E se la guerra delle Potenze occidentali contro la Russia nel 1854 non fosse stata limitata alla spedizione di Crimea ed alla presa di Sebastopoli, se la morte dello Czar Nicola non avesse forzato il governo russo a rinunciare provvisoriamente alle sue tendenze invaditrici, la cessione all'Austria della Moldavia e della Valacchia sarebbe stata forse la conseguenza naturale della lotta, che avrebbe dovuto pigliare col tempo più vaste proporzioni.
Ma il Congresso di Parigi, erigendo a dogma il principio dell'integrità dell'impero d'Oriente, troncò la via a cercare per allora più feconde combinazioni. Parve intanto savia politica quella di favorire alle bocche del Danubio lo sviluppo d'uno Stato, indipendente di fatto, e soggetto solo di nome all'alta sovranità della Turchia. Il riconoscimento di una nazionalità affine in qualche modo per razza e per lingua alla nazionalità italiana, non poteva essere combattuto dal Piemonte, il quale era accorso in Crimea appunto per rinnovare lo splendore e la fama di valore della razza latina. Ed infatti l'omaggio reso allora al principio di nazionalità fu il primo passo fatto dall'Europa in quella via che la condusse a non osteggiare dapprima, a riconoscere in appresso l'unità e l'indipendenza d'Italia.
Ma lo stato creato sulle bocche del Danubio dal Congresso di Parigi non fu mai così saldamente ordinato da far cessare ogni preoccupazione dell'Europa a questo riguardo. Continue perturbazioni sociali e politiche che V. E. conosce meglio di me, impedirono che il governo del Principe Couza pigliasse salde radici nel paese, e soprattutto che esso si acquistasse la piena fiducia dei Gabinetti Europei. Il Governo italiano potè quindi all'epoca in cui la rivoluzione polacca aveva fatto nascere un grave antagonismo fra la Duma e le Potenze occidentali, rimettere sul tappeto in modo confidenziale la questione dei Principati colla Venezia. Questi negoziati segreti, di cui V. E. conosce tutte le fasi, avevano soprattutto per scopo di iniziare una specie d'accordo preliminare fra la Francia e l'Inghilterra, circa il modo in cui le trattative coll'Austria avrebbero potuto essere iniziate, nel caso soprattutto in cui sorgesse la necessità di occuparsi di nuovo delle sorti delle popolazioni moldave e valacche. In questa sfera puramente ipotetica e teorica non può dirsi che quei tentativi siano stati affatto privi di risultati.
Il Governo Francese ed il Governo Inglese, per organo dei loro principali uomini di Stato, diedero la loro adesione di massima a questo modo di risolvere la questione veneta. Ma rifiutarono sia l'uno che l'altro di prendere verso l'Austria l'iniziativa di una proposta, che l'Austria avrebbe certamente respinta. Decisero così, sia l'una che l'altra, di non muovere guerra alla Russia in favore della Polonia, convinte, dall'esempio stesso della Russia, della inefficacia d'una semplice pressione morale, quand'anche fosse constatata da note diplomatiche, e di ottenere cessioni territoriali, spaventate dalla possibilità di una coalizione delle tre potenze del Nord, l'Inghilterra e la Francia si limitarono ad esprimere voti perché il disegno rimesso in campo dal Governo Italiano potesse essere realizzato. Inoltre Lord Palmerston non dissimulava la sua ripugnanza a promuovere egli stesso un primo smembramento dell'Impero Ottomano, e l'Imperatore Luigi Napoleone non nascondeva il suo desiderio che il consenso stesso delle popolazioni moldave e valacche sancisse il cambiamento che si avrebbe voluto operare nelle loro condizioni. Se io non mi inganno, gli ostacoli incontrati tre anni fa dalla diplomazia italiana sono in parte scomparsi, in parte scemati.
Ripugnava all'Inghilterra e soprattutto alla Francia di abbattere quel principato che avevano eretto esse stesse a favore di Couza : la rivoluzione testé accaduta forzerà l'Europa ad occuparsi di nuovo della Moldavia e della Valacchia : la Conferenza istituita dal Congresso di Parigi dovrà riunirsi di nuovo e recare un giudizio sulla mutazione testé avvenuta : e malgrado che il telegrafo annunci che la rivoluzione segua quasi per moto unanime, e senza effusione di sangue, è impossibile che, concordi nell'abbattere, i partiti lo siano pure nel ricostituire una forma di Governo. Ma è noto altresì che ciascuno dei principali partiti che si agitano a Pest ed a Bukarest ha attinenza colle potenze confinanti, o trae i mezzi d'azione dalla Russia, dall'Austria, dall'Inghilterra o dalla Francia. E' naturale perciò il supporre che la lotta interna di questi partiti avrà per conseguenza una lotta diplomatica d'influenze, la quale, messa abilmente a profitto, può dar campo all'Italia di far prevalere una soluzione, che fu già, almeno teoricamente, accolta con favore dalla Francia e dall'Inghilterra.
Se non che, ove ben si consideri, le difficoltà sono scemate appunto là dove erano più gravi. Finché il Gabinetto di Vienna cercava il suo punto principale d'appoggio nei 7 od 8 milioni di razza germanica, e subordinava ad essi le simpatie e le tradizioni delle altre razze del suo impero, era evidente che poco dovesse sorridergli un aumento di popolazioni miste di razze slave e latine, nemiche entrambe, come le razze serbe ed ungheresi, alla centralizzazione ed all'assolutismo del Governo Viennese. Il Gabinetto Belcredi, Majlath, e Larisch spostò il centro politico dell'impero: riconobbe l'autonomia delle nazionalità diverse in esse contenute, e sarà costretto, a quanto pare, dalla forza stessa delle cose, ad accordare all'Ungheria il mantenimento della sua costituzione secolare. A questo punto di vista, un accrescimento notevole di popolazioni rumene potrebbe servire di contrappeso alla preponderanza che le razze serbe e magiare tendono a conquistare : la Dieta di Bukarest potrebbe far riscontro a quella di Pest : anzi il solo modo di impedire che i Magiari siano arbitri delle sorti della Monarchia o si servano dell'autonomia che sta per essere loro restituita per staccarsi dalle altre parti dell'Impero, si è di isolare l'Ungheria da ogni influenza estera, di neutralizzare la sua influenza accarezzando i rumeni, tradizionali nemici dei magiari. Pare dunque a me che l'Austria debba essere non meno risoluta a respingere il disegno di cui parlo : e che l'attuale sua organizzazione politica, ammettendo per ogni nazionalità un governo autonomo ed un'amministrazione separata, renda eziandio meno difficile di ottenere l'assenso delle popolazioni moldave e valacche. L'Imperatore Napoleone poteva infatti farsi scrupolo di sottoporre all'assolutismo austriaco le popolazioni danubiane, per sottrarre quelle della Venezia: ma ora che l'Austria tende a trasformarsi in una vera confederazione di Stati danubiani, nulla vieta che una Dieta segga a Bukarest, come a Pest, e che gli stessi rapporti intercorrano fra Bukarest e Vienna come fra questa città e la capitale dell'Ungheria. E perciò io non so astenermi dal consigliare a V. E. di far tentare abilmente e segretamente il terreno a Vienna stessa, e di scoprire se, per avventura, il Gabinetto Austriaco sia ora meno ostinatamente deciso a rifiutare lo scambio di cui parlo.
Conosco i pericoli della politica congetturale, e chiedo scusa a V. E. se mi vi avventuro più che non sia mio costume di farlo. Ma pare a me che l'Austria sia ora in tale condizione da non potere rigettare assolutamente un partito che le assicura, per l'avvenire, un notevole accrescimento di forze politiche ed economiche. Stretta di nuovo dalla Prussia nella questione dei Ducati, non potendo, senza suicidarsi, rinunciare alla sua influenza in Germania, poco sicura della Russia, convinta della impossibilità di mantenere tranquillamente il suo dominio sul Veneto, e di governarla, come desidera, con leggi e modi civili, stretta alla gola dalle necessità finanziarie, essa non rifiuterà forse di compiere la trasformazione che ha già incominciato, e di avere nel Mar Nero, nel Levante, un campo immenso di potenza commerciale e politica. Io non dubito che la Francia e l'Inghilterra insisterebbero presso il Gabinetto di Vienna in questo senso, quando fossero sicure che una simile proposta non sarebbe considerata come un insulto. La morte di Lord Palmerston ha tolto al dogma dell'integrità dell'impero d'Oriente l'autorità d'un gran nome, e d'un passato irrevocabile: io non temo d'errare affermando che Gladstone, il membro principale del Gabinetto Inglese, e forse lo stesso Lord John Russel, ammetterebbero una lieve deroga a quel famoso dogma, per dimostrare le loro sincere simpatie per l'Italia e per prevenire una guerra lunga, pericolosa, inevitabile.
Quanto alla Francia basterà accennarle che S. E. il sig. Drouyn de Lhuys reclama per sé il merito di avere enunciato pel primo il disegno di questa soluzione della questione veneta. L'Imperatore sarebbe lieto di compiere senza sangue, senza nuovi sacrifici per parte della Francia, quell'opera della indipendenza italiana, che sarà presso la posterità, il suo migliore titolo di gloria : esso non chiederà che di ottenere l'assenso delle popolazioni da cedersi all'Austria ed anche ciò, ora, non mi pare impossibile ad ottenersi.
La Prussia non vedrà con piacere che l'Austria, liberata dei suoi imbarazzi dal lato dell'Italia, possa contare sicuramente sull'appoggio della Francia e dell'Inghilterra, Ma dall'altro canto potrebbe convenirle il precedente per cui l'Austria sposti il suo centro politico e si sobbarchi sempre più nelle difficoltà della politica slava. Ad ogni modo essa non potrà né giovare né nuocere efficacemente alla soluzione da noi desiderata.
La Russia ci osteggerà naturalmente in tutti i modi. Ma l'idea di pigliare così su di essa, pacificamente, una rivincita della sconfitta diplomatica subita nella questione polacca, dovrà, a mio avviso, rendere l'Inghilterra e la Francia più propizia che mai al nostro disegno. Quando l'Austria fosse d'accordo con esse, non vi sarebbe infatti alcun pericolo di guerra da parte della Russia.
Gradisca onorevolissimo signor Ministro, gli atti della mia rispettosa osservanza. Nigra
Nigra al Ministro della Guerra Generale Lamarmora - 28 febbraio 1866
Dopo aver ricevuto i telegrammi ch’Ella mi spedì, il 20 e il 21 corrente, risolsi di recarmi di nuovo dall’Imperatore per domandare il di lui avviso. Feci un sunto dei due telegrammi, mutando le parole ma non il senso, lasciando quel che c’era da lasciare. Li misi in un plico. Mi recai alle Tuileries. Feci passare il plico all’Imperatore e feci avvisare S.M. che, se aveva qualche cosa da dirmi, io avrei aspettato i suoi ordini presso la residenza dell’Imperatrice. Il plico fu rimesso subito. L’Imperatore non era solo. Tuttavia, non avevo ancora salito metà della scala che conduceva all’appartamento dell’Imperatrice, che il Ciambellano di servizio mi corse dietro per dirmi che l’Imperatore desiderava vedermi subito. Fui introdotto difatti presso l’Imperatore e la conversazione cominciò. In sostanza si trattava di sapere se l’Imperatore ci consigliava di accettare o di respingere la proposta di Bismarck, relativa alla firma di un trattato generico d’alleanza, riportante però che in certe eventualità di guerra si sarebbe firmato un trattato speciale d’alleanza offensiva e difensiva con azione comune inseparabile e scopi determinati. Non celai all’Imperatore che la nostra posizione non era favorevole, e che questa proposta pareva a noi poco sicura e inutilmente compromettente. L’Imperatore mi disse al contrario che non vedeva nessun inconveniente nell’accettazione di tale proposta, per parte della Italia, e che gli pareva che noi potevamo dare a Bismarck quest’arma onde se ne servisse per indurre il Re di Prussia alla guerra.
Io feci notare all’Imperatore che si poteva temere che Bismark si servisse invece di questo trattato per indurre l’Austria a nuove concessioni e che l’Austria dal suo lato avrebbe potuto farcene un gravame che le servisse di pretesto per cader sopra di noi, rimasti soli. L’Imperatore rispose che, nella peggiore delle ipotesi, l’Italia non aveva nulla da temere giacché da un lato la sua situazione verso l’Austria era tale che nulla poteva renderla più compromettente; dall’altro lato l’Italia era libera di scegliere le sue alleanze ed un trattato generico, di alleanza con la Prussia, non poteva fornire un pretesto, giustificato, all’ Austria. All’eventualità che l’Austria, in seguito a ciò, venisse ad attaccarci, l’Imperatore disse che l’Austria sapeva benissimo che, se attaccava l’Italia per prima, la Francia l’avrebbe difesa. Allora io feci un’ultima obiezione; dissi che dovevamo anche prevedere la possibilità che l’Austria, quando vedeva la guerra prossima ed inevitabile, si decidesse a farci proposte per la cessione della Venezia; che perciò sarebbe stato utile per noi di conservarci liberi da ogni impegno fino alla vera vigilia della guerra. L’Imperatore replicò senza esitazione. Non fatevi illusioni. L’Austria non cederà la Venezia se non forzata dalla guerra. Sono convinto che non vi farà nessuna proposta in questo senso. In altra occasione io feci capire all’ Austria che le conveniva di cedere amichevolmente la Venezia. Il Governo Austriaco pigliò la cosa molto male e rispose che le si proponeva di fare, in piena pace o prima della guerra, ciò che appena le si sarebbe potuto domandare dopo una guerra disastrosa per lei. L’Imperatore concluse che credeva che l’Italia potesse, senza inconvenienti, firmare il trattato proposto da Bismarck. Dopo queste osservazioni, molto esplicite, dell’Imperatore, mi parve che non ci potevano essere esitazioni a firmare il trattato generico e vedo con piacere che anch’Ella è di questo avviso, in sostanza. Solamente riservo il mio giudizio intorno alla redazione del trattato futuro, il quale deve determinare i risultati della guerra.
S’informò dal Principe dello stato delle nostre forze e delle nostre finanze. Oggi il Principe ha ricevuto un telegramma del Re con cui S.M. lo prega di informarlo in genere delle idee dell’Imperatore. Io ho impegnato il Principe ad andar di nuovo dall’Imperatore e di ben determinare le varie questioni da risolversi. Queste mi paiono ridursi a tre.
1° Se si deve accettare la proposta di trattato generico. Questa questione è già risolta in senso affermativo dall’Imperatore, e, dal telegramma del Re, appare che istruzioni conformi furono trasmesse a Berlino. Non occorre ch’io Le dica che il mio avviso, e quello del Principe, sono perfettamente all’unisono ed affermativo.
2° Se l’Italia deve pigliare l’iniziativa delle ostilità, la Prussia deve impegnarsi a tirar la spada il giorno dopo. Ho pregato il Principe di dire all’Imperatore che la nostra risposta non era e non poteva essere dubbia. Noi rifiuteremo di pigliare l’iniziativa, a condizione che la Francia ci prometta di essere dietro a noi. Se l’Imperatore ci promette ciò, l’Italia, a mio giudizio, potrebbe disporsi anche a questo, benché sarebbe arduo trovare un buon pretesto legale che ci giustificasse davanti ai Gabinetti d’Europa. Il Principe porrà la questione all’Imperatore e risponderà per telegrafo, o in altra via, al Re.
3° Se non sia il caso, per l’Imperatore, di entrare anch’ esso nella Lega e, in tal caso, esso dovrebbe dire chiaramente alla Prussia che cosa vuole sul Reno. Ma questa è una grave questione e non credo che l’Imperatore si risolva a tanto. Non posso nemmeno decidermi a sperare che l’Imperatore voglia pigliar l’impegno d’aiutarci col suo esercito, se noi prendessimo l’iniziativa delle ostilità contro l’Austria e se la Prussia mancasse la sua parola.
Riassumo in breve quanto dissi sin qui. Non vedo nessun inconveniente alla firma del trattato generico, dopo quello che l’Imperatore disse al principe ed a me.
Riservo il mio giudizio sulla redazione del trattato futuro che rimane in progetto. Intorno all’iniziativa delle ostilità, mi pare che si debba rispondere negativamente, a meno che l’Imperatore prometta di stare dietro a noi, cosa che sapremo tra breve. Vedo e prevedo grandi difficoltà. Vedo nella Prussia, non tanto il desiderio d’intimidire l’Austria per il nostro tramite, quanto le esitazioni, i dubbi, i pregiudizi, le debolezze del Re, e le influenze della corte. Non so che cosa ne uscirà. Certo è che la situazione è estremamente tesa; ma in ogni evento, operando come noi facciamo, avremo la coscienza di non aver nulla omesso per sfruttare questa importante occasione. D’altra parte questa stessa occasione avrà fornito all’Imperatore il modo naturale di riavvicinarsi al Principe Gerolamo Napoleone. E questo è già un successo per noi come lo è per l’Imperatore e per il Principe. Il ghiaccio è rotto; gli eventi faranno il resto.
Nigra al Ministro della Guerra Generale Lamarmora
Parigi, 10 marzo 1866
Onorevole Sig. Ministro, oggi al tocco e mezzo al Ministero degli Esteri si riunì La Conferenza dei Rappresentanti delle potenze segnatarie del trattato di Parigi del 30 Marzo 1856, conferenza provocata dalla recente rivoluzione di Bukarest.
Presero parte alla Conferenza per l'Italia il Ministro di S. M. accreditato in Parigi, per l'Austria il Principe di Metternick, per la Francia il sig. Drouyn de Lhuys, per la Gran Bretagna Lord Cowley, per la Prussia il Conte Goltz, per la Russia in assenza del sig. Budberg il sig. Tchitcherine, incaricato interinale di Russia, per la Turchia Saufet Pascià ambasciatore della Porta.
I plenipotenziari presero posto intorno alla tavola rotonda per ordine alfabetico degli Stati che rappresentano, cioè Austria, Francia, Gran Bretagna, Italia, Prussia, Russia e Turchia. I Plenipotenziari non trovandosi tutti muniti dei pieni poteri speciali fu convenuto che questi documenti sarebbero stati presentati alla conferenza nelle prossime riunioni.
Su proposta del plenipotenziario d'Austria, primo per ordine alfabetico, la presidenza della Conferenza fu deferita, secondo la consuetudine, al Sig. Drouyn de Lhuys nella sua qualità di plenipotenziario dello Stato in cui la conferenza si riunisce.
Il signor Drouyn de Lhuys accettò, ringraziando, la Presidenza: quindi S. E. espose brevemente gli antecedenti della questione dei Principati Danubiani a cominciare dalla stipulazione del trattato di Parigi del 1850 fino ai fatti recentemente accaduti a Bukarest: enunciò lo scopo della Conferenza che è quello d'esaminare e risolvere le questioni che da questi fatti furono sollevate. Disse poi che in assenza dell'Ambasciatore di Russia, atteso prossimamente a Parigi, questa prima riunione aveva principalmente per scopo di dichiarare che la Conferenza si è costituita, e che è investita dell'esame delle questioni relative ai Principati Danubiani.
Il Signor Tchitcherine dichiarò infatti che era autorizzato ad assistere alla Conferenza unicamente per non impedire di ritardarne la sua costituzione, ma che non aveva facoltà di deliberare. Annunziò in pari tempo l'arrivo a Parigi del Barone di Budberg per mercoledì prossimo.
L'Ambasciatore di Turchia lesse in seguito una breve nota di cui sarà mandata copia ai plenipotenziari, e che avrò cura di spedire all'Eccellenza Vostra appena sarà in mio possesso.
In quest'atto la Turchia dichiara di prender parte alla Conferenza sotto le espresse riserve seguenti, cioè:
1° che prenderà per base delle risoluzioni della Conferenza il disposto del trattato del 1856 e degli atti relativi posteriori, specialmente della Convenzione del 19 Agosto 1858 e del trattato del 1861; 2° che si escluderà l'elezione d'un Principe straniero sotto qualsiasi denominazione, il principio dell'eredità e la consultazione dei voti delle popolazioni (prima che sia pubblicata la risoluzione di non accettare ) non un Principe indigeno.
La Conferenza, per mezzo del suo Presidente, si limitò a dar atto al Plenipotenziario della Porta di questa dichiarazione.
Finalmente su proposta dell'ambasciatore d'Inghilterra la Conferenza risolse che i Governi in essa rappresentati manderebbero per telegrafo, in tutte lettere, ai Consoli rispettivi a Bukarest, il telegramma seguente che io già mandai all'Eccellenza Vostra:
«Les rappresentants des Puissances signataires du traité du 30 Mars 1856 se sont constitués aujourd'hui en conference a Paris. Vous étes invite a en informer le Gouvernement Provisoire des Principautés. Recommandez-lui de se borner au maintien de l'ordre et à l'administration, en s'abstenant de tout acte préjugeant les décisions de la Conference. Entendez-vous avec vos Collégues pour cette communication».
Prima che la seduta fosse levata fu deciso che il segreto sarebbe serbato dai plenipotenziari e dai Governi intorno alle discussioni ed agli atti della Conferenza. Non fu fissato nessun giorno per la seconda riunione.
Nel pregare l'Eccellenza Vostra di volermi munire delle istruzioni del Governo e dei pieni poteri di Sua Maestà, Le offro l'espressione della mia profonda osservanza. Nigra.
Al Ministro Nigra - Parigi 5 maggio 1866
Ho ricevuto il vostro importante messaggio e attendo con impazienza il corriere. La mia impazienza è dovuta al fatto che si tratta di una questione di onore e di lealtà. Non posso disimpegnarmi verso i prussiani soprattutto perché si stanno armando e dichiarano a tutte le Potenze che attaccheranno l’Austria se l’Austria ci attaccherà. Tenuto conto che la scadenza è fissata per il 8 luglio potrei aggiustare le cose durante i nostri congressi.
Non dimenticheremo il parere personale dell’Imperatore che ci ha consigliato il trattato con la Prussia. Non ditemi niente durante i congressi che la questione verrà discussa a Londra.
Nota: all'epoca Lamarmora è Ministro della guerra e Capo di Stato Maggiore dell'esercito
Al Cav. Costantino Nigra - Ministro plenipotenziario a Parigi - 13 maggio 1866
Govone arrivato ieri sera mi conferma che l’Imperatore non ha ancora preso nessuna decisione; che lui è ancora perfettamente libero di accordarsi o verso l’Austria o verso la Prussia e che si deciderà verso quello che gli offrirà dei vantaggi. Il Duca di Usedam che fino a ieri sera non sapeva nulla, dice questa mattina che il Re, che è a Parigi, sta prendendo in esame un certo progetto che consisterebbe nello smembramento della Prussia o dell’Austria.
Il governo prussiano conosce quindi il pericolo che sta per correre se non soddisferà l’Imperatore su alcuni sacrifici del Reno. Il fatto è che l’Imperatore non si accontenterà della riva sinistra del Reno ma i prussiani dovranno anche accordargli l’ ..?(indecifrabile)
Se la questione è arrivata al punto che o l’Austria o la Prussia devono essere smembrate mi sembrerebbe più conforme all’interesse generale che fosse l’Austria. Se la Prussia ha dei nemici in Germania io credo che la stessa Germania tutta intera si rivolterà all’idea di smembrare l’Austria.
Sono d’accordo con Govone che ha il giusto rigore per potersi sganciare dalla Prussia ma sarebbe comunque poco degno che l'Italia non mantenesse i patti con la Prussia.
Dal Ministro Lamarmora al Cav. Nigra - 14 maggio 1866
Da Londra mi segnalano in merito alla cessione del Veneto alla Francia; dal momento che questo è ancora un progetto dell’Imperatore Vi devo rammentare gli impegni che se il Veneto viene ceduto esso deve ritornarci per suffragio universale e non per una cessione dalla Francia, cosa che sarebbe umiliante e farebbe un effetto deplorevole in Italia avendo più di 300.000 uomini pronti a marciare.
La Francia avrebbe una parte altrettanto gloriosa nel convincere l’Austria ad applicare il suffragio universale. La situazione dell’Italia sarebbe allora soddisfacente vis-a-vis dell’Europa e particolarmente dell’Austria mentre ho il dubbio che le relazioni future con l’Italia risulterebbero compromesse a causa della retrocessione.
Francamente io che ho sempre cercato di facilitare una soluzione pacifica della questione del Veneto preferirei fosse la guerra ad una combinazione simile.
A Nigra 20 maggio 1866
Ho ricevuto il vostro telegramma. Bismark ha detto a Barral che la Prussia ha accettato il congresso senza disarmo e che l’Austria torna indietro dal suo primo rifiuto. Personalmente ritengo che l’Austria non abbia mai categoricamente rifiutato, come Bismark ce l’ha riferito due volte, ma che l’Austria ha esitato e probabilmente esita ancora.
Dal Ministro Lamarmora all'Ambasciatore Nigra - 2 giugno 1866
Launay mi telegrafa, a seguito della dichiarazione del gabinetto austriaco di non accettare la conferenza, che a condizione che non si ponga la questione, neppure sotto la forma più dignitosa, di alcuna cessione di possedimenti austriaci.
Gortchakoff ha fatto chiedere a Parigi e Londra che se si considera ancora la conferenza come un qualcosa che abbia un fine pratico sarebbe un incidente talmente più grave tanto che Benedetti, dopo un incontro molto animato con Bismark, ha annunciato che Bismark andrà a Parigi con l’intenzione ben ferma di mettere fuoco alle polveri.
Dal Ministro Lamarmora Al Cav. Nigra Ambasciatore d'Italia a Parigi
3 giugno
Credo di dovervi avvisare che, sulle difficoltà sollevate dall’attitudine dell’Austria, pare siano meglio informati a Pietroburgo e Londra di quanto vi sembri a Parigi.
Azeglio mi ha telegrafato che gli ambasciatori austriaci a Parigi e Londra hanno fatto conoscere ieri l’intenzione del loro governo di eliminare la questione del Veneto dalle deliberazioni (del Congresso ndr).
Lord Clarendon ha telegrafato sia a Vienna sia a Parigi sia a Londra dicendo che si guarda a questa questione come ad un impedimento alla conferenza dal momento che uno dei punti essenziali verrà a mancare.
La ragione dell’attitudine recalcitrante dell’Austria è senza dubbio quella di riuscire a dare un’idea esagerata delle sue forze. Inoltre De Launay mi informa che l’Austria avrebbe fatto credere a Pietroburgo di disporre di 370.000 uomini alla frontiera prussiana, mentre io so per certo che a malapena riesce a riunirne 200.000 alla frontiera.
Per quanto riguarda noi ci tengo che voi chiariate all’Imperatore che non soltanto non temiamo le forze austriache che sono in Italia ma che noi ci sentiamo molto forti per entrare nel quadrilatero; e se l’Imperatore non vede inconvenienti noi potremo avanzare verso la frontiera, ben inteso senza attraversarla.
Nota: - il marchese Emanuele D'Azeglio è ambasciatore d'Italia a Londra
- Lord Clarendon è il Ministro degli Esteri inglese
- Edoardo De Launay all'epoca è Ambasciatore d'Italia a Pietroburgo
A Nigra - 5 giugno 1866
Poiché non abbiamo alcuna intenzione di attaccare per primi, se si verifica che le nuove truppe austriache arrivino in Italia, è indispensabile che facciamo avanzare i nostri corpi d’armata almeno verso le Chiese. Se l’Imperatore si preoccupa di ciò dovete fargli osservare che maestri di Mantova e Peschiera gli austriaci potrebbero impunemente venire a farci saltare i ponti, danneggiare le ferrovie e a minacciare la Lombardia.
Voi potete ancora aggiungere che è il miglior mezzo per impedire ai volontari di penetrare nelle Venezie.
Garibaldi è ancora a Caprera. Da Tolone mi segnalano la partenza della squadra francese.; cercate di verificare la cosa.
Capisco che l’Imperatore sia furioso soprattutto dopo la decisione della Dieta di Francoforte.
A Nigra - 6 giugno 1866
Cercate di vedere o di far sapere all’Imperatore che il Conte di Usedom mi ha appena letto un telegramma di Bismark che dice che le truppe prussiane vogliono entrare nell’Holstein, e aggiunge che dopo il linguaggio del Conte Karoly le ostilità possono aver seguito immediatamente.
Voi sapete che il trattato ci obbliga a dichiarare la guerra subito dopo. Sono dell’avviso che non possiamo più differire il nostro avvicinamento alla frontiera.
Al Cav. Nigra - 11 giugno 1866
Barral mi informa che Bismark è furioso contro Manteuffel che non ha provocato un conflitto occupando l’Holstein. Io non vedo troppo come Manteuffel avrebbe potuto aprire il fuoco sugli austriaci che si ritiravano senza resistenza. Ciò che di seguito segnala Barral è un nuovo tempo di arresto dal momento che tutto è più ingarbugliato che mai.
Il Re qui mi richiede ad ogni istante che cosa ne pensi l’Imperatore e ritengo che questa mattina abbia telegrafato al Principe Napoleone.
D’altro canto io ricevo dall’armata le più vive istanze affinché vada al mio posto. Cercate anche di sapere dall’Imperatore se, dal momento che la guerra dilaga al nord, anche noi dobbiamo fare una dichiarazione di guerra. A me sembra che la dobbiamo fare, avvertendo che dopo tre giorni ci considereremo in stato di guerra.
Al Cav. Nigra - 12 giugno 1866
E’ molto importante che l’Imperatore sappia anche che Bismark ha proposto in più occasioni a Barral e Govone che fossimo noi ad attaccare per primi l’Austria. Bismark ha detto “Ci renderete un grande servizio”
Al Cav. Nigra - 12 giugno 1866
Malaret mi riferisce di un telegramma di Drouyn de Lhuys (Ministro Esteri francese ndr, del Re e in seguito uno del Principe Napoleone.
Si tratta di un dispaccio di Gramont che assicura che la Regina di Prussia, scrivendo all’imperatore d’Austria, gli avrebbe assicurato che il Re di Prussia aveva dato la sua parola sul fatto che non esisteva un vero trattato tra la Prussia e l’Italia e che se l’Italia avesse attaccato l’Austria la Prussia non era tenuta a seguirla.
Sarà il caso di porre decisamente la questione a Bismark; ma dal momento che costui potrebbe risponderci che tra noi e l’Austria ci sono delle proposte per la cessione della Venezia, desidero sapere se l’Imperatore ammette che noi possiamo ribattere che l’Austria ci ha fatto realmente la proposta di cedere la Venezia se noi resteremo neutrali, ma che noi abbiamo rifiutato per rimanere fedeli al trattato.
Al Cav. Nigra - 12 giugno 1866
E’ molto importante che l’Imperatore sappia anche che Bismark ha proposto in più occasioni a Barral e Govone che fossimo noi ad attaccare per primi l’Austria. Bismark ha detto “Ci renderete un grande servizio”
A Nigra a Parigi - 5 luglio 1866
L’Imperatore ha telegrafato al Re che l’Austria gli cede la Venezia e che si aggiusterà facilmente con noi. La cosa è tanto più grave dal momento che essa è pubblicata dal giornale "Il Moniteur".
Io comprendo che l’Imperatore cerchi di fermare la Prussia ma è ugualmente doloroso che lo faccia in detrimento dell’onore dell’Italia. Ricevere la Venezia in dono dalla Francia è umiliante per noi e tutto il mondo penserà che noi abbiamo tradito la Prussia. In Italia non si potrà più governare e nessuna armata avrà più prestigio.
Cercate di risparmiarci la dura alternativa di una umiliazione insopportabile o di dover mescolare le carte con la Prussia.
Costantino Nigra fu il solo ad assistere al celebre incontro di Monzambano tra il Re e Cavour, dopo l'armistizio di Villafranca nel luglio del 1859, in cui Cavour diede le dimissioni da Presidente del Consiglio ed il Re nominò il Generale Alfonso Lamarmora per sostituirlo.
Lamarmora fu molto restio ad accettare l'incarico ma il Re fu deciso e non gli diede alternative.
Lamarmora durò poco nell'incarico che qualche mese dopo fu poi assegnato a Marco Minghetti.
Su Lamarmora persistono molti dubbi sul suo comportamento nel corso della 3a guerra di Indipendenza (1866), per la sconfitta subita dall'esercito austriaco a Custoza. Le responsabilità della sconfitta furono attribuite al Generale Govone di cui però Nigra fa una difesa lucida e ben documentata, contenuta in una lettera che Nigra scrisse al figlio del Govone il 5 novembre 1901, conservata al Centro Studi Nigra e pubblicata nel volume del sottoscritto "Verità e segreti di storia Risorgimentale nella corrispondenza di Costantino Nigra".
Quintino Sella
Quintino Sella, (Mosso, 7 luglio 1827 – Biella, 14 marzo 1884 ) è stato un politico, mineralogista e alpinista italiano.
Sesto di dieci figli, Quintino Sella discende dalla famiglia Sella, attiva nella provincia di Biella nel settore della lavorazione della Lana fin dal Seicento.
Durante il secondo decennio dell’Ottocento il prozio materno Pietro Sella ha un ruolo fondamentale nell’avviare la prima meccanizzazione dell’industria laniera in Italia. Il padre Maurizio fonda nel 1835 a suo nome un nuovo lanificio, che si caratterizza subito come uno degli stabilimenti tecnologicamente più avanzati non soltanto dell’area biellese, ma dell’intero Regno di Sardegna. Indirizzato dal padre agli studi di Ingegneria Idraulica, il giovane Sella si laurea presso l’Università di Torino nel 1847, a soli vent’anni. Sella decide di accettare l’offerta da parte del Ministero dell’Interno di una Borsa di Studio per la frequentazione di un corso triennale di specializzazione presso la prestigiosa École des Mines di Parigi.
Rientrato a Torino alla fine del 1852, viene nominato il 2 dicembre dello stesso anno professore di Geometria applicata e Mineralogia presso il Regio Istituto tecnico e l’anno successivo gli viene offerta la cattedra di Matematica presso l’Università di Torino. Sempre nel 1853 diventa responsabile del Distretto minerario della Savoia e nel 1856 assume la carica di Ingegnere di 2ª classe del Regio Corpo delle miniere.
Appassionato collezionista di Minerali, viene inoltre nominato direttore del museo mineralogico annesso al Regio istituto tecnico, dove cura, a partire dal 1853, l'opera di riorganizzazione delle raccolte museali, arricchendole con la propria collezione e portandole complessivamente a un totale di 18.000 campioni. Sempre nel 1853 Quintino Sella sposò la cugina Clotilde Rey.
Fra il 1854 e il 1861 pubblica numerosi e rilevanti contributi scientifici nel campo della Cristallografia teorica, non disdegnando incursioni nel campo delle applicazioni industriali, dove si segnala per l’invenzione di una cernitrice elettromagnetica per separare i minerali di rame dalla Magnetite, di cui ottiene il Brevetto nel 1855. Il 25 marzo 1860 viene eletto Deputato della destra nel collegio di Cossato a Biella, seggio in precedenza occupato dallo zio Gregorio Sella. Si impose subito come uno dei più autorevoli rappresentanti della Destra storica: nel 1861 fu Segretario Generale del Ministero della Pubblica istruzione, nel 1862 assunse il Ministero delle Finanze nel Governo Rattazzi.
Sella si prefisse come obiettivo il pareggio del Bilancio Statale, in un momento assai critico per il nuovo Stato gravato dai costi dell’unificazione. Impose a questo scopo una rigida politica di economie e di inasprimenti fiscali sui redditi e sui consumi, non esitando a ricorrere a provvedimenti molto duri, come l’aumento dell’Imposta sul Macinato, approvato nel 1870. Il conseguimento dell'ambizioso obiettivo del pareggio di bilancio fu determinato dalle sue scelte ma raggiunto sotto il mandato di Marco Minghetti nel 1875. L’opera per il riordino delle finanze statali, che egli riassumeva nelle celebri espressioni «economie fino all’osso» o guardare alle spese «con la lente dell’avaro», fu condotta a prezzo di una vasta impopolarità. Sella inoltre fu l'ideatore di altre iniziative volte al raggiungimento del Pareggio di Bilancio come la cessione a società private delle Ferrovie possedute dallo Stato in Piemonte, patrocinandone poi il riscatto nell'Italia settentrionale con la convenzione di Basilea del 1875, e la vendita di larga parte del Demanio. Molte di queste scelte, in particolare le grandi vendite delle terre pubbliche, rappresentavano il tentativo di creare condizioni favorevoli allo sviluppo degli investimenti privati in tutti i campi dell’economia. Ulteriori iniziative furono indirizzate alla crescita dell’Istruzione tecnica e professionale, alla costituzione delle Casse di Risparmio postali, allo sviluppo delle Miniere sarde.
Anticlericale convinto, si scontrò con gli interessi ecclesiastici per aver fatto ricorso all'incameramento e alla vendita dei beni della Chiesa durante il processo di pareggio del bilancio. Inoltre era contrario all'intervento a fianco della Francia contro la Prussia. Dopo la sconfitta di Napoleone III nel 1870 fu tra i più accesi sostenitori della Presa di Roma e fu poi tra gli ideatori della Legge delle guarentigie.
Nel 1881 Sella ebbe l’incarico dal Re d’Italia di formare un nuovo esecutivo, ma il suo tentativo di coinvolgere una parte della Sinistra storica e il Centro, per restituire alla Destra storica un ruolo determinante, fallì.
Nel 1876, senza più incarichi politici di rilievo, Sella torna ad occuparsi in maniera più attiva del lanificio di famiglia, dopo la morte del fratello Giuseppe Venanzio. Cofondatore, con Giovanni Cappellini della Società geologica Italiana il 29 settembre 1881. Muore a Biella nel 1884 ed è sepolto ad Oropa.
Le lettere originali di Nigra a Quintino Sella sono conservate al Centro Studi Sella di Biella. Presso il Centro Studi Nigra esistono 24 copie di lettere autografe.
All'inizio di questi rapporti epistolari si nota un'apparente diffidenza comportamentale che poi si scioglierà nel tempo; nel 1862 Nigra è stato da poco nominato Ambasciatore d'Italia a Parigi.
Nigra a Sella - Parigi 5 aprile 1862
Caro amico, le tue istruzioni mi danno, verso i plenipotenziari, una posizione difficilissima. Noi abbiamo agito in seguito alle istruzioni avute dalle precedenti riunioni, e secondo i nostri portavoce comuni. Le tue istruzioni mi chiariscono che la tua opinione è affatto diversa dalle nostre e contengono una specie di sconfessione del nostro operato. Ora se io non sono sicuro di avere il tuo valido appoggio dinnanzi al Parlamento, non posso conseguentemente firmare il trattato; se fossi Ministro con portafoglio non esiterei ad assumere una reale mia posizione. La mia responsabilità sarebbe illusoria e inefficace. Ma parla confidenzialmente e a lungo con Durando, pregandolo di comunicarti il contenuto del mio dispaccio. Non vi sono che tre posizioni da prendere: o rompere, o accettare addirittura e con convinzione e pronti ad affermare la responsabilità completa e sincera, o richiamare i negoziati a Torino. Ma il partito che avete preso di biasimare i vostri plenipotenziari, o quanto meno contraddirli non mi pare né nobile né degno di voi; ora non lieta conseguenza, dileggiamento, addirittura questo se è fatto e ripetuto. Pensaci seriamente perché la cosa è seria davvero, ma nel tuo lavoro non rinunziare alle convinzioni politiche. Senza dimenticare che l’Inghilterra ha concordato l’esenzione e che il Belgio e la Francia accordarono ad intervalli meno distanti la riduzione a 3Lire al kilo sulle parti senza poi dire che soprattutto la Francia ha posto una condizione sine qua non. Puoi stare certo che nulla verrà trascurato per ottenere condizioni migliori ma se non si astengono dobbiamo sapere se vogliamo firmare e se dobbiamo astenerci da ulteriori trattative. Voglimi bene tuo affettuoso Costantino Nigra
Nigra a Sella - Parigi 5 maggio 1862
Caro amico, gli uomini d’affari, che sono i meglio competenti a giudicare dalle loro parole, sono qui strettamente legati tutti o quasi tutti da interessi rivali che rendono poco attendibili i loro giudizi. Nulla di più contraddittorio che le opinioni che essi emettono qui per conto di Salamanca; gli uni ruotano attorno al parere di Mires, gli altri invece giurano sulla solidità e sulla moralità di Salamanca. In tale stato di cose io m’impegno, se ancora occorre, di ricorrere a nuove informazioni. Il ministero dei Lavori pubblici, Bixio, i Sereni, i Rothschild danno sul conto di Salamanca le informazioni che ti mandai per telegrafo.
Invece Laffitte, il conte di Morny, i numerosi clienti dei Delabanty e Caperronays, danno le migliori notizie e rispondono interamente della moralità di Salamanca Ti prego di non comunicare ad altri fuorché al Ministero dei Lavori Pubblici, a cui serve un servizio, le sorgenti che ti ho accennato. Desidero che questi nomi non siano pronunziati perché se si sa, qui a Parigi, che io mando informazioni che toccano da vicino tutte queste case rivali e tutti questi personaggi, mi si formerebbe non lieve imbarazzo nella mia professione.
Del resto guardati di non trascurare le precauzioni ma soprattutto guardati di far molta attenzione. Mi si dice che Salamanca verrà a Torino fra due giorni accompagnato dal Faru. Ti sarei grato se tu riservi a quest’ultimo, in nome mio, una buona ed amabile accoglienza senza pregiudizio, ben inteso, degli affari. Aspetto una tua risposta per firmare il contratto. Tuo affettuosissimo C. Nigra
Nigra a Sella - Torino 9 maggio 1862
Caro amico, Ti ringrazio per le notizie che mi dai su Salamanca. Forse vi sarà mezzo di utilizzare anche lui giacché la mole di cose da farsi in Italia è tale da dar sfogo all’attività di chiunque. Io sono però soddisfattissimo di ciò che si concluse sia con Rothschild che con Salamanca, perché al credito nostro molto meglio giova il primo che non il secondo e si è inoltre certi che anche in caso di crisi il primo manterrà i suoi impegni mentre lo stesso non potrei dire del secondo. E’ vero che Rothschild ci costa alcuni milioni più di Salamanca ma per conto mio sono affatto tranquillo di aver preferito il primo. La piega delle cose nostre va ogni giorno volgendo al meglio. La fiducia rinasce, la speranza che non si abbia presto guerra coll’Austria essendo diventata certezza io confido che il credito nostro si andrà elevando nelle grandi stanze europee e che ne trarremo vantaggi a patti meno seri e mezzi per dare al nostro paese un conveniente assetto economico, senza cui non giova sperare che si possa concepire la grande impresa della completa liberazione d’Italia. Avevo promesso al vostro ottimo di mandarti qualche cenno sulla situazione finanziaria e sulle regole con cui dirigevo questa amministrazione. Ma finora non riuscii mai a trovare qualche minuto per scriverti. Mio supremo sforzo è di giungere fino al termine del 1862 senza imprevisti. Ora collaboro alle concessioni di ferrovie e vendite di beni serve ad alleggerire per una parte il passivo ed accrescere dall’altra l’attivo della finanza. All’apertura del parlamento porterò il progetto di legge sulle bevande e vario consumo ma non potrò portare altre leggi non essendo sperabile che nella breve sezione ci possano stare molte leggi. La vita politica è ora tutta concentrata a Napoli. Depetris ed io salpiamo domenica alla volta del Vesuvio. Lì mi fermerò pochissimo stante le molte occupazioni che mi trattengono qui. Il ministero (dicesi) si va rafforzando. Vicino a me non vale molto ma quello che moltissimo importa si è che il Governo di Vittorio Emanuele si va rafforzando per le singolari dimostrazioni di Napoli e che i due partiti estremi cadano nell’ombra e nell’impotenza.
Avrai ricevuto la nota sui bolli. Allo stato attuale delle cose la Francia non dovrebbe fare difficoltà perché evidentemente il riconoscimento dell’Austria non può essere lontano ed un trattato di commercio terrà dietro presto al medesimo. Saluti tuo ....
Nigra a Sella - Parigi 29 agosto 1862
Caro amico
Ti ringrazio della tua lettera e son lieto di aver interpretato la tua volontà rifiutandomi di far pressing sul gruppo Rothschild per l’invito fattomi dal Levi. Credo che puoi utilizzare quella operazione per riportare Garibaldi alla regione, sarà buona cosa. Del resto quando crederai che la mia opera possa giovarti sia per il gruppo Rothschild che presso altri banchieri di qui, ti prego di darmi tu stesso le istruzioni adeguate e non associare la mia opinione con quella d’altri. E’ ben inteso quindi che io non impegnerò l’opinione della Legazione senza una tua autorizzazione.
Il contegno della nostra flotta a Catania è giudicato qui con la serietà che merita. Se non dai un grande esempio, avremo molta difficoltà a rilevarci da questo smacco vergognoso nel pensiero di tutti gli uomini seri.
Nigra a Sella - Parigi 30 ottobre 1864
Caro amico, Ti trasmetto confidenzialmente copia di una memoria consegnatami dal Sig. Drohuin de Lohuis circa una dichiarazione del Cardinale Grassellini.
Il Cardinale è come sai personaggio molto abile e influente presso la Corte Romana. Egli ha ed ostenta tendenze liberali ed è perciò ben voluto a Parigi, e possono presentarsi circostanze sulle quali può essere utile che egli non ci sia nemico. So che il tuo predecessore lo conosce personalmente e tu potrai avere da lui, quando lo credi opportuno, più ampie indicazioni.
Gradisci i sentimenti di sincera amicizia. Tuo aff.mo Nigra
P.S: Ti aggiungerò che il Governo francese crede che sarebbe buona politica il contentare il Cardinale. Ti prego di farmi noto di qualche iniziativa e se hai un attimo di tempo, scrivimi quel che pensi al proposito.
Nigra a Sella - Parigi 20 novembre 1864
Confidenziale
Caro amico
Ho ricevuto da certo Mr Durand di Parigi una lettera che contiene l’indicazione di persona per il cui mezzo si eserciterebbe su larga scala il contrabbando a Napoli. Credo utile di trasmetterti la lettera in originale. Tu saprai giovarti delle informazioni in essa contenute nel modo più riservato e senza che se ne conosca la fonte. Gradisci i sensi della mia profonda amicizia. Nigra
Lettera da Parigi 14 febbraio 1865 con annotazione e firma autografa di Quintino Sella “ Ci interessiamo con sollecitudine “ Q. Sella
Nigra a Sella Ministro delle Finanze
Caro amico, Il signor Bornemam, Ministro del Mecklembourg a Parigi e Tesoriere della Società di Amministrazione delle Miniere di Gennamari e d’Ingurtosu in Sardegna mi ha indirizzato la supplica qui unita con cui chiede che sia tolto il divieto, recentemente fatto alla Società, di sbarcare le sue macchine ed altri oggetti nel porto di Carloforte pagando, come nel passato, i dazi voluti.
Il signor Bornemam è uno dei pochi tedeschi che amino l’Italia e capiscono le questioni italiane. Egli fu in rapporto col Conte di Cavour, sotto la cui amministrazione si costituì questa società di miniere di piombo argentifero. Se qualche motivo gravissimo non costringe il Ministro delle Finanze a mutare lo stato di cose sinora esistente a Carloforte, io spero che tu vorrai accogliere la domanda che ti trasmetto e che raccomando alla tua gentilezza.
Colgo questa occasione per esprimerti i sentimenti della mia amicizia C. Nigra
Aggiungo l'incarico di presentarti i suoi rispetti.
Nigra a Sella - Parigi 19 giugno 1865
Caro amico, Eccomi trasferito nella casa di St Denis. Ne mandai poco tempo fa al Ministero degli Affari Esteri, che me la chiese, un’altra copia.
Tre anni fa la famiglia Monteverdi viveva qui a Parigi dicendosi incaricata dal Re e dal Ministero della Guerra di studiare l’organizzazione di St Denis dando effetti, con mia lettera di introduzione, a St Denis ove ebbe comunicazione di gruppo ed altri documenti che portò con sé a Torino. Ti ricordo ciò ad ogni buon fine. Altri documenti non ci sono, tranne il regolamento interno, il quale si sta modificando in questo stesso momento e che non potrai avere che quando sarà compiuto ed approvato. Se ti occorrerà riscrivimi un rigo e guarderò di averlo.
Ora poi devo dirti, ma molto confidenzialmente, che la casa di St Denis e le sue succursali hanno fatto e fanno cattiva prova. Queste povere ragazze vi ricevono un’educazione superiore alle condizioni di semplici operaie.
Escono di là non avendo più né attitudine né voglia per diventare buone operaie, non abbastanza istruite per far da istitutrici e non avendo mezzi per maritarsi bene. La grande maggioranza si incontra poi sull’asfalto di Parigi dalle 10 alle 11 di sera.
Prova egualmente cattiva fa l’istituto degli invalidi. Questi veterani, i quali consumerebbero onestamente e con frutto per le famiglie, la loro pensione ove rimanere al villaggio, diventano nella casa degli invalidi pieni di vizi, giocatori, bevitori ed altro. La maggior parte di essi ha quel che qui chiamano menage en ville con consumo e birra e bevande.. Ti stringo cordialmente la mano Tuo aff.mo Nigra
Nigra a Sella - Parigi 23 ottobre 1865
Particolare
Caro amico, Il Sig. Bival mi manda l’illustrazione di alcune tue idee sull’opportunità di aumentare il prodotto dell’imposta sulle successioni in Italia. Ti trasmetto, qui unito, questo manoscritto onde se ti pare tu possa prenderne notizia. Giudicherai tu stesso quanto possa valere e se meriti in cambio il regalo delle leggi sul registro, sul bollo e sulle successioni che l’autore domanda e che ti pregherei di spedirgli da costà se lo stimi meritevole.
Gradisci un’amichevole stretta di mano. Tuo aff.mo Nigra
P.S: Il sig. Darny, Ministro della Pubblica Istruzione in Francia mi domanda di quanti metri all’anno il delta del Po avanza sul mare. De Prony calcolava, or sono 6 anni, 70 metri all’anno. I nostri ingegneri ammettono questa cifra? Ti sarei grato se potessi mettermi in misura di dare al Sig. De Prony una risposta che abbia un valore scientifico.
Nigra a Sella - Parigi 12 novembre 1867
Il sig. Favre mi ha inviato una lettera amichevole, nella quale si parla di armamenti che si fabbricano con ostentazione in Italia ed in particolare a Civitavecchia e dichiara nell'occasione che la Francia risponderà in maniera assoluta a qualsiasi apertura che le si farà circa il potere temporale del Papa e della sua libertà personale e spirituale. Dichiara calunniose tutte le indiscrezioni che la Francia organizzi una spedizione in favore del potere temporale. Vi invio per posta questa lettera che vi fornirà occasione di uno scambio di spiegazioni utile. Nigra
Nigra a Sella - Parigi 28 luglio 1871
Sono convinto che il Re, per una serie di ragioni, non debba assistere all'inaugurazione del Tunnel (del Frejus ndr). Questa cerimonia deve avere, in queste circostanze, carattere economico e non politico. Di conseguenza, se non mi inviate istruzioni contrarie, darò a Thiers e Fane il messaggio corretto su questo soggetto. Nigra
Principe Gerolamo Napoleone
Napoleone Giuseppe Carlo Bonaparte detto Gerolamo (Jérôme) oppure Plon -Plon (Trieste, 9 settembre 1822 – Roma, 17 marzo 1891), è stato Generale e Principe del Regno di Vestalia, cugino dell'Imperatore dei Francesi Napoleone III.
Napoleone Giuseppe Carlo era figlio di Girolamo Bonaparte (1784 –1860), fratello minore di Napoleone I, e della principessa Caterina di Wurttemberg (1873-1835).
Il Principe Napoleone, o Plon-Plon, come veniva chiamato dai famigliari, fu ufficiale dell'esercito del Wurttemberg dal 1837 al 1840. Nel 1848 fu un membro dell'Assemblea costituente in Francia. Durante l'impero del cugino Napoleone III, divenne generale di divisione nell’esercito francese e prese parte, in tale funzione, alla Guerra di Crimea. Siccome questa guerra andava per le lunghe, il principe Napoleone lasciò le truppe. L'opinione pubblica francese perciò lo accusò di vigliaccheria ma il generale Francois Certain de Canrobert lo difese giustificando il suo abbandono con la «insalubrità e scomodità della vita negli acquartieramenti».
Durante la Seconda Guerra di Indipendenza italiana del 1859 comandò il V Corpo d'Armata francese.
Nel biennio 1864 / 1865 fu membro del Consiglio Segreto. Nel 1876 fu eletto alla Camera dei Deputati francese. Dopo la morte di Napoleone Eugenio Luigi Bonaparte, figlio di Napoleone III, nella guerra degli Zulu (1879), divenne il capo riconosciuto della famiglia Bonaparte.
Il 16 gennaio 1883 fu arrestato a Parigi per aver sponsorizzato un plebiscito a favore del suo diritto al trono e nel 1886, a causa della sua potenziale pretesa al trono imperiale, fu bandito dal territorio francese.
Morì nel 1891 a Roma, in grazia di Dio dopo essere stato ateo per quasi tutta la sua vita, ed è sepolto nelle tombe dei Savoia a Superga in quanto la Francia rifiutò di ricevere la salma di Gerolamo nonostante le sue precise volontà.
Napoleone Giuseppe Carlo Paolo era affiliato alla loggia massonica Les Amis de la Patrie.
Napoleone Giuseppe Carlo sposò il 30 gennaio 1859 Maria Clotilde di Savoia (Torino, 2 marzo 1843 – Moncalieri, 25 giugno 1911), figlia del re di Sardegna (e poi d'Italia) Vittorio Emanuele di Savoia, Napoleone Giuseppe carlo Paolo Bonaparte.
Da questo matrimonio nacquero tre figli:
* Napoleone Vittorio Bonaparte (1862 – 1926),
* Napoleone Luigi Giuseppe Girolamo, (1864 – 1932)
* Maria Letizia Bonaparte, (1866 – 1926)
Egli ebbe inoltre due figli dalla contessa Charlotte de Carbonnel de Canisy, di trent'anni più giovane di lui.
I rapporti col Nigra furono eccellenti per tutto il periodo che andò dal 1858 al 1870 quando i due ebbero parte fondamentale nell'alleanza tra Regno di Sardegna e Impero di Francia, il cui sigillo fu rappresentato dal matrimonio tra il Principe Gerolamo Napoleone e la Principessa Maria Clotilde di Savoia.
In questo periodo intensa fu la frequentazione tra i due che raggiunsero un rapporto confidenziale profondo e di reciproca stima.
Successivamente, quando la Francia si avviò verso il conflitto contro la Prussia del Cancelliere Bismark e Nigra, Ambasciatore d'Italia a Parigi, oppose il rifiuto all'alleanza dell'Italia con la Francia per evitare un tracollo dell'economia italiana, i rapporti si incrinarono. Il principe Gerolamo, genero di Vittorio Emanuele II, ne chiese ripetutamente la sostituzione che poi il Re effettuò, nel 1876, inviando Nigra come Ambasciatore a San Pietroburgo.
All'inizio della loro frequentazione, quando Nigra avviò la sua missione segreta presso Napoleone III, per tradurre le intese di Plombiéres tra Cavour e l'Imperatore nell'agosto 1858, Gerolamo seppe esprimere a Cavour il proprio apprezzamento nei confronti del giovane Nigra (allora trentenne) con questa lettera.
Gerolamo Napoleone a Cavour - Parigi
Signor Conte, gli affari che stiamo trattando sono così grandi e importanti da richiedere la presenza frequente del cavalier Nigra a Parigi affinché possa costituire il trais-d'union permanente tra noi.
L'Imperatore, Voi, Io e Nigra saremo i soli a sapere tutto senza eccezioni.
La corrispondenza fra i due fu intensa ed è riportata nei volumi del carteggio Cavour-Nigra citato innanzi; riporteremo qui soltanto una lettera di maggiore significanza dal punto di vista storico.
E' una lettera del 1860, appena dopo gli avvenimenti della 2a guerra di indipendenza, in cui il Principe Napoleone fa una disamina eccezionalmente lucida della situazione italiana elargendo consigli che, a distanza di tempo, sono giudicabili di grande equilibrio e visione storica.
Gerolamo Napoleone quindi non era soltanto un uomo di mondo ma un politico di grandi vedute capace di analizzare le situazioni con lungimiranza ed equilibrio certamente non comune.
Gerolamo Napoleone a Nigra - Parigi 10 ottobre 1860
"Mio caro Nigra, sono vivamente dispiaciuto di non più trovarvi al mio ritorno[2]. Gli avvenimenti in Italia si sono sviluppati molto velocemente, e debbo constatare molto bene nell'ultimo mese. Sono orgoglioso e fiero per mio suocero della sua audacia e della sua prudenza, sapete come la penso sulla sua condotta che è la sola buona e patriottica; niente rivoluzioni da parte di Garibaldi e del suo malvagio entourage e niente debolezze.
La bandiera dell'Unità d'Italia, della vera libertà, del progresso nell'ordine e del buon governo, ecco le uniche voci gloriose e grandi, se pur pericolose; dopo che l'annessione della Toscana ha deciso la vostra politica (cosa di cui mi sono addolorato) non c'è nient'altro da fare.
Fate a mio nome sinceri complimenti al Conte di Cavour, è un grande uomo di stato, trovo la sua esposizione delle ragioni semplicemente ammirabile. Questo grande ministro avrà una bella pagina nella storia.
Avevo ragione di non disperare dopo Villafranca e di combattere lo scoramento di Cavour a Monzambano?
Oggi l'avvenire mi pare difficile ma chiaro. Cacciate in fretta, molto in fretta, il Re di Napoli, come avete fatto con Lamoriciére; sbarazzatevi in fretta anche di Mazzini, Crispi e compagni; sono canaglie che non vi danno alcuna forza e vi comprometteranno; non hanno né valore né forza; onore e soldi a Garibaldi, se li vuole, ma niente potere, occorre limitare il suo ruolo sin tanto che si ha bisogno di lui per le Venezie e per l'Ungheria.
Stabilite la vostra capitale temporanea a Firenze e organizzate l'Italia sulla base delle più grandi libertà comunali e provinciali: che Pisa-Siena-Perugia-Bologna etc. siano dei piccoli centri, se ne dovrebbero avere una quindicina in Italia per non averne quattro o cinque, cosa che sa di federalismo - forte organizzazione centrale militare. Rispettate Venezia, sino a che il momento non sia propizio, e Roma, finché saremo lì noi francesi - ma proponete o insinuate l'idea di un Papa che resti vescovo spirituale di Roma con il Vaticano e San Pietro dove starebbe quindici giorni l'anno e sovrano temporale all'isola d'Elba o in Sardegna con una garanzia e una larga lista civile: questa idea farà il suo cammino nell'opinione pubblica. Stendete un cordone sanitario attorno a Roma per forzare il papa ad andarsene, la cosa funzionerà se siete saggi - date un bello spettacolo di un popolo sottomesso a un Re leale, adorato e patriottico, consigliato da un gran ministro, se costituito, dopo essersi affrancato e incamminato verso la libertà con ordine.
Evitate di Piemontesizzare l'Italia, cosa che abbiamo visto fare con qualche ragione. Andate a Firenze sino a che non potrete entrare in Roma.
Questi consigli ve li dò per simpatia e ardore verso l'Italia, sono sinceri. Desidero seguitare a conservare con voi relazioni. Scrivetemi e trovate il modo di nascondere le nostre lettere alla vista indiscreta. Vi ho fatto consegnare questa dal vostro segretario di legazione. E' una persona sicura?
L'Imperatore è indeciso, incerto, ben disposto in fondo, ma sballottato, mal consigliato. Thouvenel non è male, l'opinione pubblica ben disposta verso il Piemonte, anche se lo si considera un po' ambizioso, ma mal disposta verso Garibaldi, che è considerato ridicolo e i suoi amici troppo insolenti per il nostro gusto. Sbarazzatevi di tutti questi eroi da opera comica, di questi - Fra Diavolo- l'Italia ne ha dei migliori da impiegare.
La grande questione oggi è sapere cosa farà il Papa, sarà una bella giornata se si imbarcherà. Ditemi cosa sapete delle sue decisioni!
Vi stringo la mano e vi rinnovo, mio caro Nigra, l'assicurazione dei miei sentimenti più affettuosi. Gerolamo Napoleone".
Emilio Visconti Venosta
Il Marchese Emilio Visconti Venosta (Milano 22 gennaio 1829 –Roma 28 novembre 1914) è stato un Diplomatico e Politico Italiano, più volte ministro degli Esteri, Senatore della XVI Legislatura del regno d’Italia.
Studiò al Liceo Classico Giuseppe Parini a Milano e successivamente frequentò la facoltà di Giurisprudenza a Pavia, poi intraprese la politica prima con i repubblicani e poi con i cavouriani. Sposò Maria Luisa Alfieri di Sostegno, parente sia di Vittorio Alfieri, sia di Cavour.
Discepolo di Giuseppe Mazzini, prese parte a tutte le cospirazioni anti-Austria fino alla sollevazione di Milano il 6 febbraio1853, di cui aveva previsto l'insuccesso e che lo spinse a porre termine alla sua affiliazione mazziniana. Continuando comunque la sua propaganda anti-austriaca, rese un buon servizio alla causa nazionale; infastidito dalla polizia austriaca, fu obbligato nel 1859 a rifugiarsi a Torino e, durante la guerra con l'Austria di quell'anno, fu nominato da Cavour commissario del Re nelle forze di Giuseppe Garibaldi.
Eletto deputato nel 1860, accompagnò Luigi Carlo Farini in missioni diplomatiche a Modena e Napoli e fu quindi inviato a Londra e Parigi per ragguagliare i governi inglese e francese sulla situazione italiana. Come riconoscimento per la diplomazia usata in questa occasione, Cavour gli conferì un incarico stabile al Ministero degli Esteri. In seguito Visconti Venosta fu nominato Segretario Generale del Ministero degli Affari Esteri dal conte Giuseppe Paolini. Alla morte di questi, divenne ministro degli Esteri, il 24 marzo 1863, nel governo Marco Minghetti; in questa veste nel 1864 sottoscrisse la "Convenzione di Settembre" con la Francia sulla "Questione Romana" avendo l'amico Costantino Nigra come ambasciatore d'Italia a Parigi.
Terminata la funzione di Ministro con la caduta di Minghetti, nell'autunno del 1864, nel marzo 1866 fu inviato dal nuovo capo del governo Alfonso La Marmora a Costantinopoli come "Ministro del Re", ma venne quasi immediatamente richiamato e nominato di nuovo Ministro degli Esteri da Bettino Ricasoli. Assunto l'incarico all'indomani della Battaglia di Custoza (1866), riuscì ad evitare che parte del debito dell'Impero Austriaco venisse trasferito all'Italia in aggiunta al debito veneziano. La fine del governo Ricasoli nel febbraio 1867 lo privò per un po' del suo incarico, ma ridivenne Ministro degli Esteri nel dicembre 1869 entrando nel governo Giovanni Lanza-Quintino Sella; mantenne il dicastero anche nel successivo governo Minghetti, fino alla fine del governo della Destra, nel 1876.
Durante questo lungo periodo, fu chiamato a condurre i delicati negoziati connessi con la Guerra Franco-Prussiana, l'occupazione di Roma e la conseguente fine del potere temporale del Papa con la Legge delle Guarentigie; poi le visite di Vittorio Emanuele II a Vienna e Berlino. In occasione del suo matrimonio con la figlia di Carlo Alfieri di Sostegno, nipote di Cavour, il Re gli attribuì il titolo di Marchese. Per un certo periodo rimase in Parlamento, all'opposizione, e il 7 giugno 1886 fu nominato senatore. Risale allo stesso anno la sua nomina a Presidente dell'Accademia di Brera, carica che ricoprì per ben due mandati, fino al 1897. Successivamente ne acquisì il titolo di Presidente onorario.
Nel 1894, dopo sedici anni di assenza dalla politica attiva, fu scelto come l'arbitro italiano nella disputa del Mare di Bering; nel 1896 accettò un'altra volta il dicastero degli esteri nel governo di Antonio Starabba in un momento in cui le disfatte in Abissinia e la pubblicazione di notizie di fonte abissina avevano reso la posizione italiana estremamente difficile. La sua prima preoccupazione fu migliorare le relazioni tra Italia e Francia, contrattando con Parigi un accordo riguardo a Tunisi. Durante i negoziati sulla questione di Creta e la Guerra Greco-Turca del 1897 assicurò all'Italia un ruolo significativo in ambito europeo e appoggiò Robert Gascoyne Cecil nel risparmiare alla Grecia la perdita della Tessaglia.
Si ritirò nuovamente a vita privata nel maggio 1898, dimettendosi per questioni di politica interna, ritornando però in carica nel maggio 1899, sempre come Ministro degli Esteri, nel secondo governo Luigi Pelloux, e vi rimase anche nel successivo governo Giuseppe Saracco, fino alla caduta di questo nel febbraio 1901. Durante questo periodo dedicò la sua attenzione soprattutto al problema della Cina e al mantenimento dell'equilibrio nel Mar Mediterraneo e nel Mare Adriatico. In tal senso concluse un patto con la Francia per cui si lasciava tacitamente mano libera agli italiani a Tripoli, mentre l'Italia non avrebbe interferito nella politica francese in Marocco; riguardo all'Adriatico, raggiunse un accordo con l'Austria garantendo lo Status-quo in Albania.
Prudenza e sagacia, insieme a una ineguagliabile esperienza in politica estera, gli consentirono di assicurare all'Italia la massima influenza possibile nelle questioni internazionali, guadagnandosi la stima unanime delle diplomazie e governi europei. Come riconoscimento per i suoi meriti di servizio, fu nominato Ordine Supremo della santissima Annunziata da Vittorio Emanuele III, in occasione della nascita della principessa Iolanda Margherita di Savoia, il 1º giugno 1901.
Nel febbraio 1906 fu il delegato italiano nella Conferenza di Algesiras. Lo scopo della conferenza era mediare tra Francia e Germania, nella Crisi Marocchina, e assicurare il rimborso di un ingente prestito concesso al Sultano nel 1904. Ad Algesiras Visconti Venosta rese evidenti le contraddizioni della politica degli austro-tedeschi nei confronti dell'Italia, non potendo costoro sostenere che la Triplice Alleanza (1882) non avesse efficacia nelle questioni mediterranee e contemporaneamente richiedere all'Italia di appoggiare il tentativo di penetrazione tedesca in Marocco.
L'amicizia fraterna caratterizzò i rapporti tra Costantino Nigra ed Emilio Visconti Venosta per tutto il periodo intercorso tra la proclamazione del Regno d'Italia, nel 1861, e la morte del Nigra avvenuta nel 1907.
Così Nigra, da Ambasciatore d'Italia a Parigi, rispondeva al Venosta, nel momento della sua nomina a Ministro degli Esteri, nel 1863, e alla sua interrogazione sulla situazione di Roma, dall'alto delle sue profonde conoscenze sulla situazione dei rapporti tra Italia, Francia e Stato Pontificio:
" Caro Ministro, ricevo in questo momento la sua lettera del 7 corrente e quella di Minghetti[3]. Io credo fermamente che anche il possesso di Roma dato all'Italia non troncherebbe ipso facto le radici al brigantaggio. Queste radici sono profonde ed hanno origine nel suolo medesimo. Ma sono parimenti convinto che, com'Ella lo è, che la presenza di Francesco II a Roma, l'ostilità del Papa, la connivenza delle autorità pontificie, l'attitudine della Francia, aiutino ed accrescano il male. Penso dunque che il Governo del Re può, senza mettere in pericolo la condizione dei nostri rapporti con la Francia, presentare al Governo imperiale le osservazioni ch'ella propone. Non vedo quindi inconvenienti a che mi si diriga un dispaccio nel senso ch'ella mi scrive. Io lo comunicherò, e ne lascerò copia, se lo domanda, al sig. Drouyn De Lhuys (Ministro Esteri francese ndr) e tenterò che la risposta sia possibilmente com'ella la desidera. Io crederei che sia utile il parlar di ciò al sig. Drouyn De Lhuys solamente quando avrà il dispaccio tra le mani. Per l'allontanamento di Francesco II non vi è nulla da sperare. Ma se il dispaccio è concepito nei termini comunicati e benevoli ch'ella mi dice, non dispero di ottenere una risposta egualmente benevola, rassicurante sugli altri punti.
Del resto sarebbe bene che i membri della commissione, quelli della Camera, e ogni italiano, non dimenticassero che al principio di non intervento, proclamato e mantenuto dalla Francia, siamo debitori di quanto si è fatto da Villafranca in poi; che se abbiamo bisogno di armi ricorriamo alla Francia; che se ci occorrono denari ricorriamo egualmente al mercato francese, che l'esistenza dell'Imperatore Napoleone è ancora per noi la più sicura guarentigia. Non bisognerebbe dimenticare che sin da quando si trattò la guerra d'Italia, l'Imperatore dichiarò costantemente che non poteva e non voleva darci né Roma né il patrimonio. E questa dichiarazione ci fu sempre ripetuta in seguito.
Rispondo anche a Minghetti. Scrivendo a lei intendo scrivere egualmente a lui, ed ella può ben inteso comunicare sempre a Minghetti quanto le scrivo. Creda alla sincera stima e amicizia del suo affezionatissimo Nigra".
La corrispondenza tra Nigra e Visconti Venosta è veramente cospicua, stante i diversi incarichi di Ministro degli Esteri che il Visconti Venosta ebbe nella sua lunga carriera di uomo politico. Comprende 280 lettere da Parigi, 42 da Vienna e 40 circa da altre località. Molte sono di grande interesse e meriterebbero di essere riportate ma lo si potrà fare in una pubblicazione successiva magari dedicata esclusivamente alla corrispondenza Nigra Visconti Venosta. Del carteggio in nostro possesso citeremo naturalmente soltanto le lettere più importanti. La prima riguarda la storia della Convenzione di Settembre tra Italia e Francia (per gli accordi sul trasferimento della capitale da Torino a Firenze) che Nigra (firmatario) illustra al Ministro degli Esteri Visconti Venosta al momento della firma della Convenzione.
Questo scritto è un'altra dimostrazione della straordinaria dote di sintesi che il Nigra vanta nei suoi scritti e particolarmente in quelli molto articolati.
Nigra a Visconti Venosta - 15 ottobre 1864
Onorevolissimo signor Ministro, Ho l'onore di mandare qui unito all'Eccellenza Vostra il trattato originale relativo alla futura cessazione dell'occupazione del territorio Pontificio da parte della guarnigione francese, firmato oggi alle 9 pomeridiane al Ministero Imperiale degli Affari Esteri dal Sig. Drouyin de Lhuis, dal marchese Pepoli e da me.
Credo conveniente accompagnare la spedizione di questo importante documento con una relazione che riassuma i negoziati che ne precedettero la conclusione.
Pochi giorni prima della morte del Conte di Cavour un progetto di trattato veniva, per opera del Principe Napoleone, comunicato a Torino col consenso dell'Imperatore. Questo progetto, fondato sull'applicazione del principio di non intervento, recitava in sostanza: Il Barone Ricasoli, appena entrato al Ministero, fece assicurare l'Imperatore, per mezzo della Legazione del Re a Parigi e più tardi per mezzo del Conte Arese, che il progetto accettato dal Conte di Cavour, od ogni altro ragionevole accomodamento sarebbe stato preso in considerazione dal Governo del Re, purché avesse per scopo finale la cessazione dell'occupazione francese a Roma. Ma le risposte dell'Imperatore non lasciarono speranza che si potesse allora intavolare una pratica seria.
Il Barone Ricasoli fece un altro tentativo.
Egli sottomise all'esame del Governo Francese il progetto di capitolato che fu comunicato al Parlamento. Il Governo Imperiale non credette opportuno di dare corso a tale progetto.
Non scoraggiato dal fallimento di queste pratiche, il Governo del Re faceva fare a questa Legazione continue istanze presso il governo francese perché si richiamassero le truppe, si allontanasse Francesco II (di Borbone ndr) da Roma, si sorvegliasse la frontiera ove si riparava il brigantaggio. Si ottenne che il Marchese di Lavallette, mandato a Roma sul finire del 1861, portasse alla S. Sede le prime generali proposte per un accomodamento e consigliasse Francesco II ad abbandonare il territorio pontificio. Ma proposte e consigli furono ugualmente senza effetto.
Venuta al Governo l'amministrazione presieduta dal Sig. Rattazzi, uno dei suoi primi atti fu una circolare colla quale furono di nuovo dichiarati i diritti dell'Italia su Roma.
Intanto il governo francese faceva a Roma un nuovo tentativo e lo appoggiava, in una pubblicazione sul Moniteur del 25 settembre 1862, con la celebre lettera dell'Imperatore al Sig. Thouvenel (Ministro Esteri Imperiale ndr), che porta la data del 20 maggio precedente. Il Marchese Lavallette, rispedito a Roma nel giugno dello stesso anno, portava le seguenti proposte alla S. Sede:
1° Mantenimento dello statu quo territoriale, il Santo Padre rassegnandosi sotto ogni riserva a non esercitare il suo potere altro che sulle provincie che gli rimangono, mentre l'Italia s'impegnava a rispettare quelle che il Pontefice possiede tuttora. Se il sommo Pontefice consentiva ad una transazione il Governo francese avrebbe cercato di farvi partecipare le Potenze che avevano firmato l'atto generale di Vienna.
2° Trasferimento a carico dell'Italia della maggior parte, se non del totale, del debito Romano.
3° Stabilimento, a profitto del papa, di una lista civile destinata a compensare le risorse che più non troverebbe nel numero ristretto dei suoi sudditi. Prendendo l'iniziativa di questa proposta presso le Potenze Europee, la Francia si sarebbe impegnata dal canto suo a contribuire, nella proporzione di una rendita di tre milioni, all'indennità offerta al Capo della Cattolicità.
4° Concessione da parte del Papa di riforme le quali, concigliandogli l'animo dei suoi sudditi, consoliderebbero all'Interno un potere già protetto all'estero dalla garanzia della Francia e delle Potenze Europee.
Queste proposte furono, come le prime, rigettate dalla S. Sede.
Poco dopo succedeva in Italia il fatto doloroso e deplorabile di Aspromonte.
Energicamente e prontamente domato questo malaugurato movimento il generale Durando, allora Ministro degli Affari Esteri, ne prese occasione per domandare di nuovo che Roma fosse resa all'Italia (Circolare del 10 settembre 1862).
In questo documento la questione era posta in modo assoluto. Si trattava in esso della rivendicazione di Roma per l'Italia. Convinto, per le ripetute dichiarazioni dell'Imperatore e del Sig. Thouvenel, che il porre la questione sopra un terreno così radicale equivaleva a renderne impossibile la soluzione, mi recai io stesso a Torino per proporre che la questione fosse ricondotta sul terreno stesso su cui l'aveva lasciata il Conte di Cavour, cioè la cessazione dell'occupazione ed il principio di non intervento. Il generale Durando consentì allora ad incontrare in quest'ordine di idee e mi diresse il dispaccio dell'8 ottobre in cui difatti il Governo del Re si limitava a domandare un accomodamento sulla base del richiamo delle truppe francesi.
Ma intanto, nel Consiglio dell'Imperatore, al Sig. Thouvenel era succeduto il Sig. Drouyn de Lhuys, il quale trovatosi al suo ingresso al Ministero in presenza della circolare del 10 settembre e del dispaccio dell'8 ottobre rispose ad entrambi questi documenti col suo dispaccio del 26 ottobre, che ebbe la più larga pubblicità e di cui giova qui riprodurre la conclusione:
"In presenza di questa solenne affermazione e di questa perentoria rivendicazione, ogni discussione mi sembra inutile ed ogni tentativo di transazione illusorio. Io lo constato con sincero rincrescimento, il governo italiano colle dichiarazioni assolute che ho appena ricordato, si è posto su di un terreno dove gli interessi permanenti e tradizionali della Francia, non meno che le esigenze attuali della politica, ci interdicono di seguirlo. Rendo giustizia alla forma amichevole e moderata della comunicazione che mi è stata fatta ultimamente dal sig. ministro d'Italia, ma vi cerco invano gli elementi di una negoziazione alla quale noi possiamo prendere parte. Nel nostro pensiero un tale negoziato non può avere per oggetto che di riconciliare due interessi che si raccomandano alla nostre cure per titoli diversi ma per noi ugualmente rispettabili e non sapremmo consentire a sacrificare l'uno o l'altro. Il Governo Italiano sa d'altronde che ci troverà sempre disposti ad esaminare con deferenza e simpatia tutte quelle combinazioni che potrebbe convenirgli di suggerirci e che gli sembrerebbero di natura tale da avvicinarci a quella meta che la sua saggezza, noi vogliamo sperarlo, ci aiuterà, a raggiungere".
Il Governo Francese dunque, mentre escludeva ogni trattativa sulla questione di ridurre il potere temporale del Papa e di dare Roma all'Italia, ammetteva la discussione sulla questione della cessazione dell'occupazione e della riconciliazione dell'Italia col Papato, anzi invitava il Governo del Re a proporgli una combinazione accettabile in questo senso.
Il Conte Giuseppe Pasolini, succeduto nel Ministero degli Affari Esteri al Generale Durando, credette conveniente di approfittare immediatamente di questo invito del Sig. Drouyn de Lhuys. Egli credette, e con ragione, che il tempo e le condizioni non erano favorevoli ed opportune per intavolare una pratica. Non fu che nel luglio 1863 che l'Eccellenza Vostra, succeduta al Conte Pasolini, pigliando occasione dalle discussioni del Parlamento sulla questione romana, mi diresse il dispaccio del 9 di detto mese, nel quale Ella domandava che i negoziati fossero ripresi ove il Conte di Cavour li aveva lasciati, e furono basati sul principio di non intervento, dichiarando che il Governo del Re era pronto a pigliare l'impegno che nessuna forza regolare e irregolare invadesse il territorio pontificio.
Questo dispaccio del 9 luglio 1863 costituisce il punto di partenza della nuova fase di negoziati ora chiusi. Esso fu da me comunicato al Sig. Drouyn de Lhuys il 16 di detto mese.
Il Ministro Imperiale degli Affari Esteri si astenne dal rispondere. Le condizioni erano da un anno migliorate, ma non erano ancora tali da rendere possibile la ripresa dei negoziati. Bisognava quindi attendere ancora e preparare a poco a poco il terreno per pratiche più fortunate.
La previsione di un eventuale avvenimento, cioè della vacanza della S. Sede determinata dai rumori sulla cadente salute del Pontefice, venne a fornire l'occasione di richiamare più efficacemente l'attenzione del Governo francese sulla questione romana.
L'Eccellenza Vostra mi dirigeva in quella circostanza, e colla data del 27 maggio scorso, un nuovo dispaccio in cui, pigliando argomento dall'eventualità sopraccennata e dalle complicazioni a cui essa darebbe luogo, richiamava quanto aveva precedentemente esposto nel dispaccio del 9 luglio 1863.
Il nuovo dispaccio dell'Ecc. V. veniva da me comunicato al Sig. Drouyn de Lhuys il 2 giugno. Nel fare questa comunicazione dissi al Ministro Imperiale degli Affari Esteri: che io era incaricato di richiamare in modo speciale l'attenzione del Governo francese sul contenuto di esso; che il Governo del Re prevedeva che l'eventualità possibile della morte del Papa poteva dar luogo a torbidi in Roma e negli stati romani ed a serie complicazioni ove i due governi d'Italia e di Francia non assicurassero per tempo in modo da evitare gli uni e le altre, mediante un accordo il quale su questa stessa eventualità fondava la base della soluzione; aggiunsi che il Governo del Re era pronto, per parte sua, a comunicargli un progetto particolareggiato.
L'Imperatore, informato di queste cose, si mostrò disposto a prendere in considerazione il progetto da noi accennato. Dovendo in quell'epoca passare alcuni giorni a Fontainebleau presso S.M. domandai all'E.V. che mi si mandasse il progetto di trattato accompagnato da precise e particolari istruzioni. V.E. mi mandò il progetto di trattato ed incaricò il marchese Pepoli di portare a voce istruzioni più ampie.
Giunto il marchese Pepoli a Fontainebleau avemmo coll'Imperatore una lunga conferenza.
Il Marchese Pepoli ed io cogliemmo l'argomento dall'eventualità della morte del Papa. Se il Papa morisse, dicemmo a S.M., senza che noi possiamo promettere ai romani la prossima partenza della guarnigione francese, noi non potremmo impedire che gli esuli romani passassero la frontiera, che vi fossero manifestazioni e forse anche la votazione di un plebiscito, che vi fossero movimenti generali o parziali nello Stato Pontificio e nei luoghi non occupati dalle truppe francesi. Il Sig. Drouyn de Lhuys si spinse a dare consigli di prudenza e di pazienza, ma aggiunse che nessuna autorità potrebbe rifiutare proposte concrete se voi offriste una guarentigia politica, la quale dimostrasse che il trattato non è una finzione.
A queste parole il marchese Pepoli rispose che sapeva come il Governo del Re, indipendentemente dalla questione che ora si trattava e per ragioni di amministrazione interna, aveva l'intenzione di proporre a S.M. di trasportare la capitale da Torino ad un'altra città d'Italia e domandò se questo fatto non poteva costituire agli occhi dell'Imperatore quella guarentigia che andava cercando. L'Imperatore, dopo qualche istante di riflessione, disse che ove questo fatto si verificasse, gli sarebbe parso di natura adatta ad ottenere lo scopo a cui si tendeva e ad ingenerare quella fiducia di cui aveva parlato, ed aggiunse che, ciò posto, non avrebbe avuto difficoltà a firmare il trattato.
Io non celai all'Imperatore che l'idea del trasporto della capitale, non avendo ancora il Governo che una semplice intenzione, non poteva pigliare che ad referendum l'accomodamento quale ora si presentava, cioè condizionato al fatto del trasporto della capitale. Aggiunsi che questo fatto era cosa assai grave, che presentava difficoltà ed inconvenienti serissimi; che si trattava di spostare il centro di gravitazione del Governo, e di levarlo di mezzo ad un elemento inizialmente governativo, solido e sicuro, per portarlo in mezzo ad un elemento nuovo; che le stesse difficoltà materiali di esecuzione erano grandi e numerose. Io insisteva quindi perché all'infuori del fatto del trasporto della capitale, fatto che doveva essere più specialmente considerato nei rapporti dell'ordinamento interno d'Italia, noi tentassimo di metterci ora d'accordo per un’azione comune sull'eventualità della morte del Papa, eventualità che poteva verificarsi anche all'improvviso. Ma l'Imperatore, pur dichiarando che non poteva non apprezzare queste considerazioni, confermò quanto aveva detto precedentemente, cioè che il fatto del trasporto della capitale gli pareva il solo che, ingenerando fiducia sulla serietà dei nostri impegni, lo potesse mettere in grado di firmare il trattato. Le medesime cose furono confermate al Marchese Pepoli e a me dal Sig. Drouyn de Lhuys, in una conferenza che avemmo con lui a Fontainebleau. Queste cose avvennero verso la metà del mese di giugno scorso. Il Marchese Pepoli partì per Torino il 23 giugno e portò queste considerazioni a notizia dell'E.V. e del Presidente del Consiglio (Marco Minghetti ndr).
Sul principio di luglio l'E.V. mi spediva di nuovo il M.se Pepoli per domandare quale sarebbe stato il termine entro cui l'Imperatore avrebbe acconsentito a ritirare le truppe da Roma, nel caso in cui l'accordo, di cui si erano indicati i preliminari a Fontainebleau, si potesse concludere. Essendo sin da allora l'Imperatore a Vichy, ci recammo con il M.se Pepoli dal Sig. Druyn de Lhuys, il quale domandò istruzioni all'Imperatore. La sua risposta portò che questo termine doveva esser fissato in maximum a due anni. Noi facemmo due istanze presso l'Imperatore e presso il Ministro perché questo termine fosse abbreviato. Ma non si poté ottenere nessuna modifica alla risoluzione dell'Imperatore. Nel frattempo il progetto di trattato fu formulato, nella conferenza che avemmo col sig. Drouyn de Lhuys, nel seguente modo:
Art. I
L'Italia si obbliga a non attaccare e ad impedire anche colla forza qualunque attacco proveniente dal di fuori contro il territorio attuale del Papa.
Art. II
La Francia ritirerà le sue truppe da Roma gradatamente ed a misura che l'Esercito Pontificio sarà organizzato. L'evacuazione dovrà cionondimeno essere compiuta nel termine di due anni.
Art. III
Il governo italiano si interdirà ogni reclamo contro l'organizzazione di un esercito Papale anche composto da volontari cattolici stranieri, sufficiente a mantenere l'autorità del Santo Padre e la tranquillità nei suoi Stati, purchè esso non possa degenerare in un mezzo di attacco contro il governo italiano.
Art. IV
l'Italia si dichiarerebbe pronta ad entrare in accomodamento col governo del Papa per prendere a suo carico una parte proporzionale del debito degli antichi stati della Chiesa.
Art. Segreto
La presente convenzione non avrà valore ed esecuzione che quando S.M. il Re d'Italia avrà decretato il trasporto della capitale del regno sul luogo che sarà ulteriormente determinato dalla predetta S.M. Questo trasporto dovrà essere operato nel termine di sei mesi a far data dalla presente convenzione.
Sottomesso questo progetto a S.M. il Re ed al Consiglio dei Ministri, fu deliberato che, in ultima analisi, si dovesse accettare, ma che tuttavia la questione del trasporto della capitale essendo un fatto che doveva essere indipendente da queste pratiche e non essendo ancora possibile il determinare se e quando lo si potesse effettuare, un ultimo tentativo era da farsi presso l'Imperatore perché il trattato fosse firmato senza accennare al trasporto predetto. S.M. il Re scrisse a tal fine una lettera all'Imperatore e la confidò al Generale Menabrea che ebbe istruzione di completare a voce le cose dette nella lettera stessa. Il Gen. Menabrea rese conto al Governo del Re della sua missione. Mi astengo quindi dal parlarne. Noterò soltanto che l'Imperatore mantenne quanto aveva precedentemente detto.
In seguito a ciò, essendo S.M. il Re risoluto ad accettare il trattato quale era formulato sul progetto, volle dare a me ed al M.se Pepoli i primi poteri necessari per la conclusione di questo accordo.
Il M.se Pepoli giunse qui il 13 corrente con questi primi poteri ed il giorno dopo giunsero le istruzioni di V.E. che portano la data del 12 settembre. Il 14 seguente ci recammo il M.se Pepoli ed Io a Saint Cloud, ove avemmo una conferenza coll'Imperatore alla quale assistettero il Sig. Drouyn de Lhuys ed il Sig. Rouher Ministro di Stato. In questa conferenza fu definitivamente fissata la redazione del trattato.
L'Art, I fu conservato quale era nel primitivo progetto del Conte di Cavour.
L'Art. II contiene l'impegno della Francia di ritirare le sue truppe da Roma gradatamente e di mano in mano che l'esercito Pontificio andrà costituendosi, ma fissa il termine dell'evacuazione a due anni.
L'Art. III è quale si trovava nel progetto Cavour salvo che invece di fissare la cifra delle forze che debbono formare l'esercito Pontificio, ci si è limitati a stabilire che queste forze non debbono degenerare in mezzo di attacco contro il Governo italiano. In aggiunta inoltre la frase "tranquillità sulla frontiera" per indicare l'obbligo del governo Pontificio di impedire che essa diventi riparo del brigantaggio.
L'Art. IV è pure identico al progetto Cavour. Solo fu tolta la frase col governo del Papa, a seconda delle istruzioni verbali dell'E.V.
Quanto all' Articolo Segreto, esso fu convertito in un semplice protocollo separato conformemente alle di Lei istruzioni. Ma l'Imperatore riservò a più tardi la questione della distruzione di questo documento.
Penso ora agli altri punti indicati nelle di lei istruzioni del 10 settembre.
Fu inteso coll'Imperatore e col Drouyn de Lhuys che, nelle comunicazioni che il Governo Francese dovrà fare in proposito, si dirà che il Governo Italiano, per ragioni strategiche e di interna amministrazione, aveva scelto di trasportare la capitale del regno a Firenze; questo fatto, convenuto dal Governo Francese, agevolò i negoziati, perché parve di natura tale da indurre la convinzione che il Governo Italiano rinunziava ad ogni mezzo violento per andare a Roma. Fu inteso che il trattato non doveva significare né più né meno di quello che dice.
Sulle istruzioni V.E. si incaricava di domandare una guarentigia del nostro attuale territorio contro l'Austria nel caso che questa ci attaccasse; questa guarentigia avrebbe dovuto essere formulata su suo scambio di note. Già precedentemente noi avevamo interpellato in proposito l'Imperatore ed anche il Gen.le Menabrea era stato incaricato di fare una eguale domanda. L'Imperatore rispose prima e poi confermò che non poteva pigliare a questo riguardo nessun impegno formale; ma che l'Italia poteva contare sul caso proposto nelle tradizioni e nella tendenza della sua politica. Questo medesimo linguaggio fu confermato dai due Ministri presenti alla conferenza di Saint Cloud.
Quanto al caso in cui la Spagna o altra Potenza secondaria s'avviasse ad intervenire a Roma, noi dichiarammo molto esplicitamente che avremmo considerato la cosa come un casus belli ed agito di conseguenza. L'Imperatore domandò: in forza di qual diritto? Rispondemmo: in forza del principio di non intervento che V.M. sanziona in questo momento con un solenne trattato. Il Sig. Rouher appoggiò vivamente questa nostra risposta di cui l'Imperatore si ritenne soddisfatto.
Intorno alla domanda da noi fatta perché la Francia si astenesse dal garantire al Papa il potere temporale, l'Imperatore rispose semplicemente che il suo Governo si limiterebbe ad annunziare al Governo Pontificio i termini della Convenzione.
L'ultimo punto delle istruzioni esprime il pensiero che la Francia dovrebbe intanto ottenere l'immediato allontanamento di Francesco II da Roma. Io già ebbi più volte a riferire all'E.V. come il governo francese abbia fatto ripetute istanze sia presso il Governo Pontificio sia presso Francesco II a questo proposito. Ma queste istanze furono inutili, e d'altra parte il governo francese non era disposto ad usare la forza per ottenere questo allontanamento. Abbiamo quindi creduto inutile e poco conveniente il mettere sul tappeto una tale questione al momento della firma del trattato.
Oggi 19 il trattato fu firmato e sarà rimesso dal M.se Pepoli nelle mani di V.E.
Io penso che il Governo del Re abbia ragione di essere soddisfatto di questi lunghi e difficili negoziati. Per poco che si considerino le presenti circostanze politiche e lo stato dell'opinione in Francia e nell'Europa Cattolica, per poco che si voglia rammentare la vivacità delle passioni che la questione romana sollevò nel mondo, ogni uomo imparziale giudicherà che il Governo Italiano e la sua Diplomazia ottennero un reale successo e bene meritarono per l'Italia non solo, ma anche per la causa liberale in Europa.
Non rimane che l'Italia, al di cui vantaggio più speciale rimane la presente Convenzione, l'accolga e la giudichi senza passione e senza pregiudizi. Il senso politico che forma uno dei principali caratteri della nostra ragione mi fa sperare che così sarà. firmato Nigra
Interessanti le osservazioni che Nigra riporta al Visconti Venosta su presunti accordi tra Prussia e Austria per la cessione di Venezia.
Nigra a Emilio Visconti Venosta Ministro degli Esteri
Parigi 29 luglio 1864
Caro Amico, trovandomi ieri sera a Saint Cloud (Palazzo Imperiale ndr) col Conte Goltz, ambasciatore di Prussia, gli domandai che c'era di fondato nella voce corsa d'un trattato firmato a Vienna il 24 corrente dalla Prussia e dall'Austria il cui oggetto sarebbe la guarentigia della Venezia promessa da quella a quella. Goltz mi rispose che la voce in questione era stata originata da un telegramma privato, mandato da un impiegato del Ministero degli Affari Esteri di Vienna ad un suo collega a Parigi, il quale impiegato ha ragioni di essere malcontento del proprio governo. Il dispaccio è redatto in tedesco e suona pressa poco così: "Oggi il gufo (cioè Bismarck) guarentì il leone di San Marco (cioè Venezia) allo struzzo (cioè l’Austria)"
Goltz sostiene che la è una delle solite mistificazioni. Ma interrogato da me se la Prussia accorderebbe la guarentigia, ove l'Austria accondiscendesse all'annessione dei ducati alla Prussia, rispose che egli personalmente sarebbe contrario ma che credeva che Bismarck probabilmente accetterebbe.
Io per me credo che la guarentigia esiste, scritta e non scritta, poco importa; ma che è limitata all'eventualità in cui un'altra potenza venisse in aiuto dell'Italia per togliere la Venezia all'Austria.
Gradisca, vi prego, l'espressione della mia sincera amicizia. Nigra
La successiva lettera riguarda i momenti cruciali della 3a guerra di Indipendenza e Nigra critica la situazione militare dell'esercito italiano.
Nigra a Emilio Visconti Venosta Ministro degli Esteri
Parigi 28 giugno 1866 (Confidenzialissima)
Caro Amico, un telegramma giuntomi in questo momento (e sono le 6) mi annunzia il vostro arrivo e la vostra presa di possesso del Ministero degli Esteri. Non ho tempo di scrivervi oggi. E d'altronde che cosa avrei da dirvi?
Le nuove importanti vengono dal campo.
E' la spada che deve compiere ciò che abbiamo cominciato colla penna.
Io sono profondamente attonito di quanto è successo il 24 (è il giorno della battaglia di Custoza in cui l'esercito italiano è sconfitto sonoramente dall'esercito austriaco ndr).
Sarebbe stato impossibile mettere migliori circostanze a favore dell'esercito austriaco. Nemmeno nel '48 non si fece prova di tanta imprudenza, di tanta leggerezza, d'una mancanza così assoluta di un piano.
Questo rimanga, ben inteso, tra noi.
Faccio voti perché la dura lezione sia di profitto a chi tocca.
Vi mando qui unita, e per voi solo, una minuta d'un rapporto che feci, confidenzialmente, al principe reggente intorno ai negoziati che hanno preceduto e preparato la guerra. Vi prego di ardere la minuta quando l'avrete letta (purtroppo la minuta non è giunta a noi ndr).
Affinché possiate farvi un'idea completa di tutti questi negoziati, fo conto di mandarvi Artom per qualche giorno. Ma desidererei che me lo rimandaste.
Se approvate questa idea fatemene un cenno per telegrafo ed Artom partirà, e vi dirà quanto sarebbe impossibile e molto difficile il dirvi per iscritto. In fretta ma sinceramente mi dico tutto Vostro affezionatissimo Nigra
Quest'altra lettera riguarda la fase che precede l'entrata in guerra della Francia contro la Prussia con le considerazioni relative alla liberazione di Roma dalla tenaglia della Guarnizione francese a Civitavecchia.
Nigra a Emilio Visconti Venosta Ministro degli Esteri
Parigi 7 gennaio 1870 (Particolare)
Carissimo Amico, approfitto dell'occasione del sig. Vanetti che parte stasera e che porterà i miei dispacci a Torino per rispondere alle vostre due lettere.
Alla prima, relativa alla candidatura del Duca di Genova, ho già risposto per telegrafo e dopo quanto mi avete telegrafato per parte vostra, la questione mi pare risolta definitivamente in modo negativo. Non posso che lodarvi di questa determinazione: agire in modo diverso sarebbe stato il seguire una politica del XVI secolo.
Ho visto Guerrieri Gonzaga. Ho creduto d'interpretare le vostre intenzioni mettendolo a giorno, confidenzialmente, della situazione, affinché quando giungerà a Madrid sappia su che terreno cammina. L'ho messo in relazione con Fernan Nuney che gli darà lettera per Madrid. E gliene darò un’altra Io stesso. Passo al soggetto dell'altra vostra lettera.
Noi dobbiamo rispetto alla Francia in una fase nuova e difficile. Noi dobbiamo conservare la benevolenza dell'Imperatore e nel tempo stesso non essere ostili agli uomini che entrano ora al Governo. Il mio compito si fa delicatissimo. Non giova illudersi; al di fuori di Ollivier, i nuovi Ministri appartengono ad una fazione di cui Thiers è l'espressione più accentuata, e che non hanno troppa simpatia per l'Italia. Per buona ventura l'Italia si trova ora in circostanze tali da non aver nulla a temere in sostanza da qualsiasi Ministero che venga al potere in Francia. D'altro lato il Governo non ha pareri concordi per ciò che riguarda la questione romana. Il concilio ci gioverà in ciò.
A proposito di questa questione io sono interamente d'accordo con Voi sui due pesi che per il momento mi sembrano i soli a cui dobbiamo limitarci, cioè 1° l'ottenere che il Governo francese non pigli pubblicamente impegni per lasciare le truppe a Roma per un termine fisso; 2° astenersi dal fare, per ora, passi ufficiali per domandare il ritiro delle truppe stesse. Se noi spingiamo in questo momento il Governo francese a pronunciarsi, temo che la risposta non sia soddisfacente e che la questione invece di essere avvicinata ad una soluzione, ne venga allontanata. Si parla della possibilità d'una interpellanza che la sinistra vorrebbe fare a questo riguardo al Ministero, interpellanza che potrebbe venir fatta anche dalla destra però in senso opposto. Quelli che desiderano il ritiro delle truppe temono il risultato di questa interpellanza e so che fecero sforzi per impedirla. Io devo vedere di nuovo l'Imperatore. Vedrò anche di mantenere l'occupazione per un termine determinato e che conservi una piena libertà d'azione. Questa è nello stato delle cose la sola concessione che possiamo ottenere ora. Più tardi e quando il nuovo Ministero e la Camera saranno meglio disegnati, sapremo se ed in qual modo e fin dove potremo e dovremo agire. Vi scriverò dopo che avrò visto l'Imperatore. Intanto tenetemi, vi prego, al corrente delle vostre intenzioni affinché io possa assecondarle nel miglior modo possibile. Vi stringo cordialmente la mano Vostro affezionatissimo Nigra
La lettera seguente invece si occupa del problema dell'irredentismo triestino e trentino, di cui Nigra si occupa negli ultimi anni della sua residenza a Vienna.
Nigra a Emilio Visconti Venosta Ministro degli Esteri
Vienna 15 ottobre 1900
Caro Amico, il Barone Pasetti è in procinto di tornare a Roma. Debbo avvertirvi che egli è incaricato di intrattenervi sul fatto della partecipazione di Ministri e Sottosegretari di Stato al Congresso tenutosi recentemente in Ravenna dalla società Dante Alighieri, nel quale, secondo quanto riferitomi, sarebbero stati pronunciati discorsi in senso irredentista, ed a cui avrebbero partecipato delegazioni triestine e trentine. Goluchowski (Ministro Esteri austriaco ndr) me ne parlò, senza alcun riferimento a dire il vero, ma con un sentimento di rammarico, e mi disse che non mi incaricava di fare alcuna comunicazione in proposito, preferendo che Pasetti ve ne intrattenga soltanto verbalmente. Io dissi a Goluchowski prima di tutto che la Società Dante Alighieri non aveva alcun scopo irredentista e che Villari, ch'io personalmente conoscevo ed apprezzavo, era sincero e leale nei suoi propositi e non poteva essersi occupato di favorire l'irredentismo. Soggiunsi che certamente Pascolato e Rava e altri personaggi ufficiali non conoscevano, prima che fossero pronunciati, i discorsi degli oratori. Goluchowski lasciò cadere la conversazione. L'incidente non avrà, né avrebbe potuto avere altro seguito, poiché noi avremmo potuto opporre la presenza dei Luogotenenti Imperiali a certi congressi cattolici, nei quali si espressero voti per il ristabilimento del potere temporale (del Papa ndr). Ciò non toglie che i suddetti Ministri hanno mancato una buona occasione di starsene a casa.
Nei giorni passati si fece qui un certo rumore circa il prossimo ritiro del conte di Revertera, che si volle connettere coll'incidente del vescovo Stadler (udienza data dal Papa a monsignor Stadler ndr), pubblicamente rimproverato dall'Imperatore e ben accolto dal Papa. In questi rumori c'è molto di falso, e il resto è esagerato. Che ci sia un certo malumore a Vienna per la condotta del Vaticano verso l'Austria-Ungheria è indubbio. Ma questo non è un fatto nuovo. L'incidente Stadler non fece che soffiare su carboni sempre accesi. Revertera lascerà certamente nell'inverno prossimo, o in primavera, il suo posto, essendo oltre i 74 anni. Però il suo ritiro non dipende punto dall'incidente Stadler; ed è ingiusto l'accusarlo, come si fa, d'essere un ultra-clericale, e d'essere una persona graditissima in Vaticano. Il Successore, designato in pectore, non è già il conte di Wessersteimb, che è sposo ad una protestante, bensì il conte di Klemenhuller, ora Ministro a Bruxelles.
Vi prego di tenere queste notizie come confidenziali, perché, a tacer d'altro, di qui alla fine dell'inverno c'è spazio bastante per cambiar più volte di candidatura. Vi informo, con preghiera di farne partecipe in via confidenziale le LL. MM. il Re e la Regina, nonché S.M. la Regina Margherita, che S.M. l'Imperatrice, madre dell'Imperatore di Germania, si trova in stato di salute oramai disperato. La malattia da cui è colpita può durare anche per mesi, ma è di quelle che hanno esito costantemente fatale. Questo stato dell'augusta vedova non è ancora noto al pubblico, e si desidera che non si divulghi. Perciò non sarebbe il caso che le LL.MM. se ne mostrino informati e facciano chiedere notizie. Credetemi sempre Vostro affezionatissimo Nigra
Un' ultima lettera da Vienna ci dà l'idea precisa di come Nigra sapesse consigliare, dall'alto di una esperienza unica, i propri superiori, dando una visione chiara e precisa dei fatti con una capacità di sintesi unica per quei tempi.
Nigra al Ministro degli Esteri Emilio Visconti Venosta
Vienna, 5 agosto 1897
Caro Amico, Vi ringrazio della vostra lettera del 1° corrente.
Purtroppo i negoziati di qui e quelli per la Creta procedono lentamente e, come dire, miseramente. E a dire il vero non si può ancora credere che ogni pericolo di nuove complicazioni sia sparito.
La ragione della lentezza, e del resto, voi l'avete detta; sta nell'invincibile gelosia dalla Russia, dalla Germania verso l'Inghilterra. E purtroppo su questo terreno, malgrado i consigli nostri e quelli dell'Austria, non abbiamo ottenuto nulla. Per quanto ci riguarda, voi potete essere sicuro di una cosa, ed è che tanto in Austria, quanto altrove, si rende giustizia alla vostra condotta.
Non vorrei farvi complimenti. Ma ben posso dirvi ciò che ho inteso da Goluchowsky (Ministro degli Esteri austriaco ndr) e da altri.
Fin dal principio vi siete posto sulla buona via, e avete mantenuto la vostra attitudine, corretta, leale, altamente politica ed apertamente aliena da ogni sentimento egoistico, sino ad ora. La vostra coscienza deve essere tranquilla.
L'invito dell'Imperatore Guglielmo è giunto in cattivo momento, e ciò non accade per la prima volta. Certamente Egli non ha in animo di farci del male, al contrario. Ma ce lo fa. Però fatto l'invito, e tenuto conto che il nostro Re gli è in debito di due visite, sarà ben difficile il respingerlo.
L'impressione in Francia non sarà certo buona, ma stento a credere che ci si voglia dare un'importanza eccessiva. Il chiasso dal viaggio di Faure in Russia occuperà troppo le orecchie francesi, perché esse sentano con intensità i rumori più modesti della visita del nostro Re ad Amburgo. Se poi si vuole avere una scusa per interrompere i negoziati, allora si tratta di questioni diverse, e si può pensare che la scusa sarebbe stata creata altrove. Del resto se mai si facesse qualche illazione a ciò, ben saremmo noi autorizzati a contrapporre il viaggio del Parlamento francese a Pietroburgo.
Io credo fermamente che voi avete fatto il vostro dovere non sconsigliando il Re di essere cortese, e di rendere ora all'Imperatore Guglielmo la visita, che questi gli aveva fatto in circostanze che non si devono dimenticare. Voi avete lavorato e lavorate per un riavvicinamento alla Francia; e si è già avuto qualche buon risultato. Continuerete, se piace a Dio, ad agire in questo senso, lealmente, apertamente. Se un atto doveroso del Re, male interpretato, dovesse essere considerato da gente seria come una cagione sufficiente per suscitare nella nazione vicina nuovi rancori e nuovi pretesti di ostilità, ciò vorrà dire che i tempi non sono maturi per certi frutti, ma non proverà che abbiamo avuto torto. Vi consiglio di prendere e giudicare la cosa da molto alto.
E vi stringo cordialmente la mano. Vostro aff.mo Nigra
MARCO MINGHETTI
Marco Minghetti (Bologna, 8 novembre 1818 – Roma 10 dicembre 1886) è stato un Politico italiano, appartenente alla Destra storica. Sotto il Governo Minghetti II si raggiunse (nel 1876), per la prima volta in Italia, il Pareggio di Bilancio.
Nacque da una famiglia di Latifondisti e ricevette una preparazione culturale molto profonda. Gli interessi culturali del Minghetti spaziavano tra letteratura, scienza ed economia. Egli compì anche lunghi viaggi all'estero. Frequentò a Bologna la scuola di latino dei Barnabiti, dove fu allievo di due liberali: Ugo Bassi e Alessandro Gavazzi. Nel 1832 si recò all'estero. Visitò dapprima Parigi, ospite dello zio Pio Sarti in esilio dopo i moti bolognesi del 1831. A Parigi incontrò Gilbert du Motier de la Fayette, Charles Maurice de Talleyrand-Perigord, Terenzio Mamiani, Piero Maroncelli e altri. Con lo zio si recò infine a Londra, dove soggiornò un paio di mesi prima di ritornare a Bologna.
Aderì al movimento del Riformismo che si era diffuso anche nello Stato Pontificio. Con l'elezione di Papa Pio IX credette possibile un'alleanza fra i liberali e il Papa. Tra il 1842 ed il 1847, partecipò attivamente ai lavori della «Società agraria bolognese», collaborando anche al giornale Il Felsineo e divenendone direttore. Nel novembre del 1847divenne membro della Consulta di Stato (istituzione che rappresentava legalmente le province). Nel marzo 1848 fu chiamato a Roma da Pio IX, che gli offrì la carica di Ministro nel primo governo costituzionale dello Stato Pontificio. Il 29 aprile 1848, dopo l'allocuzione con cui Pio IX annunciò il ritiro dell'esercito pontificio dal fronte della Prima Guerra di Indipendenza Italiana, Minghetti si dimise, con altri sei membri del governo. Nel 1849 fu per breve tempo Ministro dei Lavori Pubblici della Repubblica Romana (1849).
Minghetti trascorse nella natia Bologna gli anni della seconda Restaurazione. Membro del Comitato Bolognese della Società Nazionale Italiana, nel 1856 scrisse alcune relazioni sullo stato delle province pontificie da presentare al Congresso di Parigi. Nel 1857 fu tra i fondatori della "Banca delle quattro legazioni". Nel 1859, dopo i moti popolari e la Seconda Guerra di Indipendenza, divenne presidente dell'Assemblea delle Romagne. Successivamente fu ministro degli Interni con Camillo Cavour e Bettino Ricasoli, poi delle Finanze con Luigi Carlo Farini. Tra il 24 marzo 1863 e il 28 settembre 1864 succedette a Farini nella carica di presidente del Consiglio del Regno d'Italia.
Facendosi forte della decisa azione italiana contro la spedizione di Giuseppe Garibaldi alla Giornata dell’Aspromonte (agosto 1862), Minghetti fu in grado di negoziare un favorevole accordo con la potenza protettrice del Papa, la Francia. All'interno della Convenzione con la Francia, il governo Minghetti incluse la clausola dello spostamento della capitale da Torino a Firenze, suscitando sdegno e costernazione nella popolazione torinese. A seguito della Strage di Torino (1864) e delle pacifiche manifestazioni popolari di protesta, che provocò oltre 50 morti e centinaia di feriti tra piazza Castello a Torino e piazza san Carlo, il Re costrinse Minghetti a dimettersi dal Governo.
Tra le sue più interessanti proposte ci fu quella di una riforma in senso autonomistico dello stato (progetto appoggiato anche da federalisti come Giuseppe Montanelli nel 1870). Nel 1870, subito dopo la breccia di Porta Pia, con l'appoggio di Quintino Sella e di Ruggiero Bonghi, riformò l'Accademia dei Lincei sul modello dell'Institut de France.
Fu nuovamente Presidente del Consiglio tra il 10 luglio 1873 ed il 25 marzo 1876. Durante questa legislatura si trovò in disaccordo con la Destra, alla quale nonostante tutto apparteneva. Motivo del contendere era la rigorosa politica fiscale che perseguì e che portò, per la prima volta nella storia d'Italia, al pareggio di bilancio, annunciato il 16 marzo 1876.
Minghetti fu propugnatore dell'invio di una legazione commerciale in Cina e in Giappone e la creazione di contatti diplomatici con i due Paesi asiatici.
Il 4 settembre 1864 Marco Minghetti sposò la nobile napoletana Laura Acton, già vedova di Domenico Beccadelli di Bologna dei Principi di Camporeale. Dalla coppia nacque un figlio, Filippo, premorto ai genitori e sepolto nella tomba di Marco Minghetti e della Acton alla Certosa di Bologna.
Delle lettere di Nigra a Minghetti riporteremo quelle più significative.
Al Centro Studi sono conservate una ventina di lettere mentre tutta la corrispondenza diplomatica è conservata alla Farnesina nell'archivio del Ministero degli Esteri pubblicato integralmente all'inizio del nuovo millennio.
Riportiamo una lettera che si riferisce al periodo in cui Nigra è Segretario di Stato nelle Provincie Meridionali al seguito del principe Eugenio di Carignano, Luogotenente del Re (gennaio-maggio 1861). Un periodo difficile e pieno di problemi piccoli e grandi.
Nigra al Ministro Minghetti - Napoli 2 marzo 1861
Caro Ministro, due righe in fretta per ringraziarla dal mio Sindaco e per annunziarle che il Principe (Eugenio di Carignano ndr) rimane. Sia lodato Dio.
Accomoderemo alla meglio l'affare degli organizzatori. Fo conto di visitare presto le provincie, almeno le più vicine e mi occuperò specialmente della Guardia Nazionale.
Ma mi domandano armi. E per verità sono armate queste povere guardie di schioppi impossibili. Gli si potrebbero dare loro le vecchie armi trovate a Capua e Gaeta che sono in tutto 50/m. Romano me ne domanda 60/m. Ne ho già parlato al principe e tornerò su questo argomento. Se si potesse procedere ad un disarmo generale si troverebbero armi in tale quantità da fornirne alla Guardia Nazionale in tutto il Regno. Ma sarebbe pericoloso il farlo, per ora almeno, e poi converrebbe avere truppe sufficienti e non le abbiamo.
Le provincie sono sprovviste di truppe e di carabinieri, E' un vero miracolo se si tira avanti senza troppi inconvenienti.
Mi interrompono sicché sono costretto a finire anzitempo.
Mi creda suo devoto Costantino Nigra
Un' importante comunicazione Nigra la invia telegraficamente nel 1866 per comunicare l'accettazione dell'Austria alla mediazione per la cessione delle Venezie.
Nigra al Ministro Minghetti - Parigi 5 luglio 1866
Ieri sera alle 8 il principe di Metternich (ambasciatore d'Austria a Parigi ndr) ha ricevuto un telegramma annunciante che l'Austria accetta il contenuto della lettera dell'Imperatore Napoleone III e chiede la sua mediazione.
L'Imperatore Napoleone non ha ancora comunicato nulla a nessuno, né al Conte Goltz (ambasciatore di Prussia a Parigi ndr), né a Budberg (ambasciatore di Russia ndr), né a Lord Cowley (ambasciatore inglese ndr), né al principe Gerolamo Napoleone né al sottoscritto.
Pasquale Stanislao Mancini
Pasquale Stanislao Mancini, conte, 8º marchese di Fusignano (Castel Baronia, 17 marzo 1817 – Roma, 26 dicembre 1888), è stato un Giurista e Politico Italiano.
Figlio dell'Avvocato conte Francesco Saverio Mancini, 7º marchese di Fusignano e di Maria Grazia Riola, studiò presso il Seminario di Ariano Irpino, poi all'Università degli Studi di Napoli Federico II. Nel 1840 sposò Laura beatrice Oliva ed ebbe undici figli, tra i quali Francesco Eugenio, Ufficiale dei Bersaglieri, Angelo, Grazia, Leonora, Rosa e Flora Piccola Mancini.
Alla concessione dello Statuto da parte di Ferdinando II delle Due Sicilie, il 27 gennaio del 1848, il Mancini iniziò a pubblicare il giornale politico Riscatto italiano. In conseguenza di un articolo dello stesso giornale ebbe un colloquio con il Re che incise sulla decisione di inviare parte dell'esercito in Lombardia per la Prima Guerra di Indipendenza Italiana.
Dopo la dura repressione avvenuta il 15 maggio e l'abrogazione dello statuto da parte del Re, Mancini stese questa fiera protesta (che fu sottoscritta da 54 deputati del Parlamento Napoletano): "La Camera dei deputati riunita nelle sue sedute preparatorie in Monteoliveto, mentre era intenta coi suoi lavori all’adempimento del suo sacro mandato, vedendosi aggredita con inaudita infamia dalla violenza delle armi regie e nelle persone inviolabili dei rappresentanti nei quali concorre la sovrana rappresentanza della Nazione, protesta in faccia alla Nazione medesima, in faccia all’Italia, di cui l’opera del suo provvidenziale risorgimento si vuol turbare con il nefando eccesso, in faccia all’Europa civile, oggi ridestata allo spirito di libertà, contro quest’atto di cieco e incorreggibile dispotismo; e dichiara che essa non sospende le sue sedute, se non perché costretta dalla forza brutale; ma, lungi di abbandonare l’adempimento dei suoi solenni doveri, non fa che sciogliersi momentaneamente per riunirsi di nuovo dove ed appena potrà, affine di prendere quelle deliberazioni che sono reclamate dai diritti del popolo, dalla gravità della situazione e dai principi della conculcata umanità e della dignità nazionale”.
Fu più volte Ministro della Pubblica Istruzione del Regno d’Italia (1861-1946), Ministro degli Esteri (dal 1881-al 1885) e primo Presidente dell'Istituto di Diritto Internazionale, fondazione internazionale che ottenne il Premio Nobel per la Pace nel 1904. Si impegnò nella propaganda a favore dell'espansione coloniale italiana in Africa alla fine del XIX secolo e per l'abolizione della Pena di Morte in Italia, che fu poi attuata con il Codice Zanardelli approvato nel 1889.
Ha avuto un ruolo determinante nella prima elaborazione della disciplina del Diritto Internazionale privato Italiano, la cui ratio consiste - a suo modo di vedere - nella ricerca di principi in base ai quali si può decidere, agevolmente, quale legislazione debba applicarsi a ciascuna specie di rapporti di diritto. I tre fondamentali criteri, da lui indicati, per attuare la scelta della legislazione applicabile sono: il criterio della “Nazionalità” (riferito alla disciplina dei rapporti di famiglia, della condizione delle persone e delle successioni), il criterio di Libertà (per la disciplina delle fattispecie per le quali il legislatore non ha interesse a introdurre con proprie leggi limitazioni alla libertà dello straniero) ed il criterio di “Sovranità” (assoggettamento dello straniero alle leggi penali, di ordine pubblico e di diritto pubblico dello Stato).
Nel gennaio 1851 a Torino pronuncia la prolusione accademica Del principio di nazionalità come fondamento del diritto delle genti, cioè il Diritto Internazionale che regola i rapporti tra le nazioni. Per Mancini la Nazione è un soggetto necessario e originario, che non è mai stato creato, non ha avuto un inizio e non avrà una fine, le nazioni costituiscono una dimensione naturale e necessaria della storia umana, la cui vitalità storica dipende tuttavia dalla loro libertà e indipendenza. Non è stata creata su un patto tra gli uomini (origine Contrattualistica della nazione). La nazione è sempre esistita, magari anche solo nella coscienza degli uomini; è una componente necessaria, gli uomini hanno bisogno della nazione.
Ma aggiunge che, se è vero che la nazione vive indipendentemente dalle scelte degli uomini, è anche vero che una nazione per vivere come entità storicamente vitale e dinamica ha bisogno di leggi e di governo, ha bisogno di agire come un corpo politico; sono gli uomini che la compongono a darle leggi e istituzioni consentendole di darsi un corpo politico sovrano. La nazione esiste in natura, ma come corpo inerte e inanimato, ha bisogno quindi delle leggi e istituzioni: le leggi rappresentano la voce della nazione, le istituzioni sono gli arti. L'uomo non crea e non distrugge una nazione, ma è solo grazie all'intervento dell'uomo che la nazione si dota di leggi e istituzioni, per affermarsi come soggetto storicamente dinamico. La nazione per Mancini non è un mero aggregato di fattori naturali e storici, ma un corpo politico che possiede un governo, una volontà giuridica e leggi proprie. Senza la conquista, attraverso lo Stato, dell'unità e dell'indipendenza, la nazione rischia di restare un corpo inanimato, una realtà naturale e come tale inestirpabile, ma privo di vitalità storica.
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La medesima radice culturale, derivante dall'avvocatura, rese i rapporti tra Nigra e Mancini assai cordiali e di reciproca stima come si può dedurre da questa prima lettera che Nigra scrive al parlamentare Mancini che gli chiede informazioni sui rapporti tra Italia e Francia.
Nigra a Pasquale Stanislao Mancini - Torino 8 luglio 1861 (Confidenziale)
caro signor Commendatore, ho ricevuto la sua lettera del 2 corrente e la ringrazio della sua buona memoria. La ringrazio subito così ella mi perdonerà se non le scrivo a lungo come vorrei poter fare. Primo, per ora non si va a Vichy. Il Convegno di Vichy è una trovata dei giornali e null'altro. Io andrò a Parigi ma quando l'Imperatore vi sarà ritornato. La questione di Roma verrà interamente sul tappeto, ma non subito, e non per quella parte che concerne il nostro progetto d'un nuovo diritto ecclesiastico. Quest'ultima parte sarà trattata, suppongo, assai più tardi. Per ora converrebbe limitarsi a trovare modo di mettere a Roma una guarnigione italiana, o mista, italiana e francese, quando la questione di principio si presentasse alla discussione. Io non dimenticherò certo la promessa a lei fatta dal nostro illustre Conte.
Passo ad altra questione. Io proposi al Ministero com'ella sa di darle un saggio di aperta soddisfazione. Cassinis accolse la proposta e l'avrebbe inoltrata se non fosse uscito dal Ministero. Ignoro le disposizioni di Minghetti che Io conosco appena da pochi giorni. Ma Ella può esser certo che presso Minghetti, con cui ho qualche confidenza, Io invocherò con tutta la mia forza l'esecuzione di ciò ch'io credo un debito di giustizia verso di Lei pel molto che ha fatto in tempi difficilissimi e con discapito grande di suoi interessi d'ogni genere. Approvo la sua idea di pubblicare un volume sulla riforma fatta. Sarà ottima cosa e pei presenti e per chi scriverà poi la gloria dei tempi nostri.
Mi duole quanto ella mi dice della condizione di Napoli. Me ne duole per l'Italia prima e poi anche per questo nobile paese che appresi ad amare e che amo profondamente, benché esso mi rammenti noie e dispiaceri. Ma comunque, ci pensi il Governo. Mi voglia bene, caro Commendatore, mi rammenti alla signora Mancini ed al bravo Oliva e mi creda sempre come pregiami essere Suo buon servitore ed amico Costantino Nigra
Luigi Sormani Moretti
Luigi Sormani Moretti (Reggio Emilia, 3 dicembre 1834 – Reggio Emilia, 9 gennaio 1908) è stato un Politico italiano. Fu Senatore del regno d’Italia nella XVI Legislatura del regno d’Italia. Ereditò il titolo di conte dal padre Mattia.
Si laurea in giurisprudenza all'Università di Pavia e poi frequenta la Scuola Militare di Ivrea nel 1859 diventando ufficiale dell'esercito.
Ebbe vari delicati incarichi da Cavour nel periodo 1859-1861 tra cui quello di
Segretario di legazione onorario al Ministero degli Affari Esteri del Regno di
Sardegna a Pietroburgo dal 2 luglio 1860.
Fu nominato da Cavour Segretario di Legazione a Parigi dal 2 dicembre 1860, con il titolo di Segretario di II classe (9 maggio 1862-19 ottobre 1865), contemporaneamente alla nomina di Costantino Nigra come Ministro Residente.
Cultore delle scienze fisiche al pari che dell'economia politica, si occupò, mentre era a Parigi, di procurare all'Istituto tecnico di Reggio Emilia, sua città natale, dei più importanti moderni strumenti di laboratorio.
Col Commissario regio Grabau organizzò l'intervento dell'Italia all'Esposizione mondiale di Parigi del 1869.
Entrò nell'amicizia cordiale e affettuosa, per tutto il resto della vita, con Costantino Nigra e come Nigra seppe crearsi molte simpatie alla Corte Imperiale francese per la sua presenza e profonda cultura.
Abbandonata la diplomazia nel 1865 si presentò candidato alle elezioni politiche e fu eletto deputato al parlamento. Nel 1876 si sposò, si stabilì a Venezia iniziando la carriera di Prefetto che lo vide in varie città del nord Italia.
Prefetto di Venezia (30 aprile 1876-5 novembre 1880) .
Prefetto di Verona (1° aprile 1888-16 ottobre 1897)
Prefetto di Perugia (dal 1° ottobre 1900 al 1903)
Prefetto di Treviso (10 dicembre 1903-1° ottobre 1906, data del collocamento a riposo).
Fu nominato senatore nel 1886 e nel 1898 delegato del governo al Congresso Internazionale anti-anarchico tenuto a Roma.
Morì nella sua città natale nel 1908, un anno dopo il suo grande amico Nigra.
Le lettere di Nigra a Sormani Moretti sono state raccolte dallo storico Lanfranco Vecchiato e pubblicate in un suo volume dal titolo "Costantino Nigra: diplomatico, erudito, poeta" edito da Edizioni . Nova Historia- di Verona; il volume è disponibile presso il Centro Studi Nigra.
La raccolta comprende circa 50 lettere(1865-1905) di cui ve ne proporremo le maggiormente significative; altre 4 lettere (1863-64) provengono da fonti diverse.
Parigi – Legazione d’Italia - 7 dicembre 1864
Caro Sormani, ecco le due quietanze per Rothschild firmate dal Ministro (si riferisce al Ministro La Marmora eletto nel settembre 1864 ndr).
Spero ch’esse giungeranno in salvo nelle tue mani che fanno tanto scialacquo della povera nostra finanza.
Qui abbiamo un tempo magnifico. Ieri fui a visitare il castello di Pierrefonds che mi piacque assai. Il Ministro fece coll’Imperatore una grandissima strage di selvaggina.
M.me de Lourmet e M.me de Rayneval non finiscono di fare i tuoi elogi.
Vedo ch’è impossibile di “marcher sur les brisèes“(camminare sulle briciole ndr) e rinuncio a farti concorrenza.
Addio, mio buon amico, credimi sempre Tuo affezionatissimo Nigra
Domattina arriverà Villa qua e ripartirà probabilmente la sera stessa per Parigi e Torino. Saluta gli amici e non maltrattare troppo l’autore dei bollettini.
Villa Castelnuovo, 18 luglio 1865
Caro Sormani, La ringrazio della sua buona lettera e le sono veramente riconoscente delle cure ch'Ella ebbe ed ha per me in questi momenti molto tristi per me (è morto il padre di Nigra ndr). Ho trovato la mia vecchia madre oppressa da indicibile dolore. Fo quel che posso per consolarla, ma per ferite come queste non c'è umana consolazione che valga. Vorrei rimanere qui ancora, ma altri doveri mi richiamano costì. Lello (il figlio di Nigra Lionello ndr) sta per pigliar gli esami e voglio essere a Parigi in quel momento. Conto perciò di partire di qui sabato prossimo e d'essere a Parigi il 24 corrente. Voglia farmi il favore di mandarmi la vettura alla stazione e di avvertire il maestro di casa. Sono molto sensibile alle testimonianze di simpatia che mi giungono da ogni parte, e di cui Ella me ne trasmise alcune che mi sono specialmente care. Ringrazi per me i miei colleghi della Legazione per la parte che prendono alle mie tristezze; ed Ella sia persuasa che sento con riconoscenza il prezzo della sua buona e cara amicizia.
Voglia avvertire anche l'ottimo Borgh del mio arrivo. Mi voglia bene e mi creda come sono di cuore suo aff.mo Nigra.
Parigi – Legazione d’Italia - 30 ottobre 1865
Caro amico, Grazie della sua buona e cara lettera. La sua assenza (Sormani ha rassegnato le dimissioni ndr) mi riesce ogni giorno più penosa. Assuefatto a vivere con Lei e valermi del suo aiuto e del suo consiglio, sento ora che son privo di Lei, un vuoto che non riempirò mai. Io la ringrazio di nuovo della sua cara ed utile collaborazione, e La prego di valersi di me come d'un vero amico. I panettoni arrivarono puntualmente e furono con pari puntualità distribuiti. Il maggiore di essi figurò alla cena imperiale data alle LL. MM. Portoghesi e in quella occasione l'Imperatrice fece graziosa menzione di Lei. La sua assenza è rimpianta qui da tutti che la conobbero e a me tocca il dar parole di consolazione alle nostre comuni amiche.
Son già nel nuovo palazzo e vi sto bene, grazie alle di Lei cure.
Quello ch'Ella mi scrive sulla situazione interna del paese non mi sorprende, ma mi affligge. Ricevo oggi l'annunzio che il Ministero è ricomposto quasi interamente, con Scialoia alle Finanze.
La prego di salutare caramente Visconti - Venosta. Anche Artom (il sostituto del Sormani ndr) saluta Lei e Visconti e m'incarica di dirle che non ha ancora ricevuto i disegni di Silbermann.
Mi voglia bene e creda all'amicizia sincera del suo aff.mo Nigra
Parigi, 9 aprile 1869.
Amico carissimo, La ringrazio vivamente delle sue due lettere senza le quali molti fatti e molti incidenti sarebbero rimasti per Artom e per me veramente incomprensibili.
Creda che le sono sinceramente riconoscente di queste prove continue che ella mi da della sua buona amicizia. Non ho bisogno di dirle che ella può contare ora e sempre sulla mia. All'ora in cui scrivo non ho ancora la composizione del ministero. Pensi che incertezza! Qui l'orizzonte s'oscura visibilmente. L'Imperatore tratto in inganno sulle disposizioni della Prussia rispetto alla cessione del Lussemburgo si trovò repentinamente in una situazione gravissima, cioè nell'alternativa di fare la guerra subito e di fare quello che ha fatto, cioè la dichiarazione al Corpo Legislativo e al Senato ch'ella ha appreso prima d'ora dal telegrafo. Ora il pericolo di un conflitto immediato è quindi dissipato. Ma il malcontento contro la Prussia è lungi dall'essere calmato. L'Imperatrice sta assai meglio; non è a letto ma non esce dalla sua camera. Anche il principino sta meglio, e non c'è assolutamente a temere a suo riguardo.
Ho visto Rossi, parlai a lungo de' suoi lanifici con lui. Ignorava affatto questo suo stabilimento e ne appresi l'esistenza con gioia. Giacché Io divido con lei l'opinione che l'industria e il lavoro soltanto porteranno in avvenire un efficace rimedio alle nostre finanze.
Rossi m'ha rimesso i 45 franchi e le ringrazio.
Le mando mille cordiali saluti anche per conto di Artom. Suo aff.mo Nigra
Pietroburgo, 9 marzo 1880
Carissimo amico, La ringrazio molto della sua buona lettera del 26 febbraio scorso e Le sono gratissimo delle nuove che mi dà della sua famiglia. Mi ponga ai piedi di queste signore e mi ricordi all'ottimo suo suocero del quale appresi con pena il non abbastanza soddisfacente stato di salute. Faccia a tutti in casa i miei saluti più sinceri e più cordiali.
Vorrei poterli rivedere tutti e presto ed in buona salute, e mi premerebbe poi specialmente di poter veder Lei, mio buono e fedele amico.
Ma non so ancora che cosa potrò fare questa estate.
Ho passato quest'inverno meno bene degli inverni passati. Fui tormentato da un principio di bronchite che mi fece tossire per più di 15 giorni. Ma che farci? Allo stato delle cose preferisco ancora star qui piuttosto che essere altrove.
Qui la mia situazione è ottima.
Le relazioni tra i Governi d'Italia e di Russia sono eccellenti; e da questo lato non posso desiderare nulla di meglio. Mentre pur troppo in altri posti la situazione è diversa. Vedo dai giornali che l'Austria, fondandosi sulle dimostrazioni studentesche, manda soldati ed alza fortilizi nel Tirolo. Temo da quel lato una tempesta.
Spero che il nostro Governo saprà energicamente reprimere queste colpevoli follie, che possono attirare sull'Italia incalcolabili seccature. Ma parliamo di cose più gradite. Se vede la Contessa Albrizzi, La prego di ricordarmi a Lei. Le scrissi dopo la morte del padre. Ma non ebbi risposta, e temo che la mia lettera sia andata perduta. Ad ogni modo la prego di dirLe che ho preso parte viva e sincera alla sua sventura, e che gliel'ho scritto a suo tempo.
Da qualche tempo noi viviamo qui in mezzo ad orribili attentati. Fa proprio pena il vedere questo buon Imperatore, che fece tanto bene al suo paese, che ha un potere assoluto su 80 milioni di uomini, e che non è sicuro nello stesso suo palazzo. Com'ella ben può pensare questi fatti resero ben triste il Carnevale di quest'anno a Pietroburgo. Tuttavia vi fu qualche ballo, ed uno in costume, assai ben riusciti in casa della Contessa Kreutz.
Mi voglia bene, caro amico, e mi creda come sono di cuore suo vecchio ed aff.mo amico. Nigra
Vienna, 17 maggio 1889,
Mio carissimo Sormani, Le mando un buona stretta di mano e la prego di leggere l'unita lettera, di metterla sotto involto e di farla capitare nelle mani dell'ottimo conte Cipolla. Si tratta di cosa che interessa Verona, perciò son certo che anche lei ci piglierà interesse.
Giacché le scrivo voglio pregarla di una informazione. Io vorrei usare per la cancelleria di questa Ambasciata, carta italiana invece di carta austriaca. Anche quando mi costasse un pochino di più vorrei rendere questo piccolo servizio all'industria italiana. Ora io le domando, se c'è nella sua provincia una buona fabbrica di carta (nella sua o nella provincia vicina). Ho pensato a codesta provincia perché essendo vicina a Vienna, il porto costa meno. Adunque se c'è una buona fabbrica vorrebbe ella farmi mandare campioni coi prezzi ? I formati, come ella sa, per la bella copia sono tre. Uno da dispacci grande, l'altro meno grande, più quadrato (per lettere d'ufficio ai privati) e il terzo piccolo per le lettere particolari. La carta per questi tre formati deve essere bella, senza peli che si attacchino alla penna, e deve essere grattabile col raschietto per le correzioni. Il formato n. 2 (lettere ufficiali ai privati) deve essere di tale dimensione e peso che un foglio col rispettivo involto non oltrepassi i 75 grammi che è l'unità del francobollo. La carta da minuta deve essere in formato grande, ordinaria, a buon mercato, ma di facile scrittura. Il prezzo dovrebbe essermi indicato per cento fogli (e ciò per facilitarmi la comparazione con la carta austriaca che si serve di questa unità di prezzo). Inoltre ci vorrebbero gli involti grandissimi, grandi, medi e piccoli, o lunghi e quadrati e semi-quadrati, e gommati, per i quali il prezzo dovrebbe essere pure calcolato per centinaia.
Prenderei anche una discreta quantità di ceralacca rossa, ordinaria e fina, purché sia, ben inteso di fabbrica italiana giacché, le ripeto, il mio desiderio è di usare roba nostra. Altrimenti ho tutta la facilità come ella sa, per far venire i migliori articoli da Londra e da Parigi. Mi ci vorrebbe poi anche una quantità di cartone da involto forte, e che ci si possa scrivere gli indirizzi. Il formato deve essere grandissimo, per pacchi voluminosi. Questa specie di carta la vorrei calcolata a chilogrammi, e a cento fogli della dimensione di un metro su cinquanta centimetri circa per foglio. Trattandosi di cosa che può essere qualche vantaggio per il nostro paese (e che sarebbe maggiore se tutte le ambasciate e le principali nostre legazioni facessero altrettanto) non sento troppo rimorso nel venire a darle questo disturbo. Del resto nulla preme, ed ella potrà rispondermi a tutto suo agio.
I miei assegni a sua sorella e infinite cose a lei da parte del suo vecchio amico Nigra
Vienna, 77 giugno 1889
Caro Sormani, Grazie della sua cara ultima lettera. Sono in corrispondenza col bravo Cipolla per Catullo. Ma non andiamo d'accordo. Io ho la convinzione che il solo esemplare esistente nel X° secolo fu portato via da Verona dal Vescovo Raterio l'ultima volta che fu espulso, e che il libro rimase in esilio (in Belgio) fino alla fine del XIII0 secolo e al principio del XIV0, alla quale epoca fu riportato in Verona da un veronese, come dice il noto epigramma del De' Campesani.
Egli invece sembra credere che il libro rimase sepolto in qualche angolo in Verona stessa, il che non farebbe onore ai Veronesi, di quel tempo, e non concorda poi coll'
In patriam redeo longis e finibus exsul;
causa mei reditus, compatriota fuit.
Se il libro fosse rimasto e poi ritrovato a Verona stessa, sarebbe quasi ridicolo il dire che fu ritrovato da un compatriota, giacché tutti i veronesi sono compatrioti di Catullo.
Ma veniamo alla prosa: la carta che mi mandò per i dispacci, e per le buste dei dispacci non va. E' troppo sottile per queste, è troppo poco grattabile per quelle. E lei sa per esperienza propria che le buste che devono viaggiar molto devono essere robuste, e che i Segretari di Legazione usano il raschietto (i toscani lo dicono rastino) quasi quanto la penna.
Adunque mando qui uniti i tipi di carta che ci vorrebbe, e che le sarei grato di mostrare al Fedrigoni. La carta dovrebbe essere se non uguale, almeno non troppo dissimile. Quando avrò i nuovi campioni, se corrispondono ai desideri di questi signori segretari, darò gli ordini per la fornitura.
E vorrei naturalmente sapere il prezzo dei nuovi campioni. Le mando poi per la posta alcuni esemplari di una poesia da me scritta; molti anni or sono, quando morì Silvio Pellico, che feci ristampare in occasione del centenario celebrato ora a Saluzzo. Un esemplare è per lei, uno per De Stefani e uno per Cipolla, ai quali la prego di farli pervenire, quando ne avrà agio.
E' ora non mi resta che ringraziarla di tutto e di stringerle bene cordialmente la mano. Suo aff.mo Nigra
P. S. Passando in autunno per Verona, mi ci fermerò di certo uno o due giorni.
Vienna, 1° gennaio 1901
Carissimo amico, Sono dolentissimo d'aver mancato, per qualche ora, la sua visita a Roma. E ne sono tanto più dolente poiché avrei, senza alcun inconveniente, potuto restare un giorno di più in Italia.
La voce corsa della mia candidatura alla presidenza del Senato è senza fondamento. Nessuno me ne ha mai parlato; ed io non accetterei in nessun caso. Quando lascerò la carriera diplomatica (e voglia Dio che io possa farlo al più presto possibile !), intendo godere di un pò di riposo, dopo un servizio di 50 anni senza interruzione.
E la Presidenza del Senato, benché essa non richieda un lavoro eccessivo, è tutt'altro che una sine-cura, almeno come Io la intendo.
Andando a riposo, vorrò riposarmi davvero per quel poco di tempo che mi resterà di vivere. Quanto mi rincresce che la sua magistrale opera su Verona non sia ancora pubblicata! E me ne duole non solo per il fatto che ha speso in essa un enorme somma di lavoro, ma per Verona e per il suo pubblico, e anche per la nostra Amministrazione alla quale la sua monografia apporterebbe un grande lustro. Solleciti quanto occorre i suoi poco premurosi collaboratori.
. . . Il suo Deputato Pompili s'è ammogliato recentemente, come lei saprà di certo. Se lo vede, gli faccia i complimenti anche a mio nome.
Fo conto di fare una corsa a Roma, suppongo in primavera, quando si aprirà la nuova sessione parlamentare. Ed in tale occasione spero di vederla.
Intanto le mando i miei migliori voti, perché abbia costì i1 successo che merita e perché l'opera sua sia debitamente apprezzata. E soprattutto poi le auguro buona e florida salute.Mi voglia bene e mi creda sempre suo aff.mo amico e collega. Nigra
Isacco Artom
CARTEGGIO
COSTANTINO NIGRA - ISACCO ARTOM
i due Segretari personali scelti da Cavour - 1852 - 1899
lettere per cortesia della Famiglia, dell'Archivio di Stato della Farnesina e
dell'archivio delle Comunità ebraiche di Roma
Isacco Artom (Asti, 31 dicembre 1829 – Roma, 24 gennaio 1900) è stato un diplomatico e Politico italiano, divenne il primo ebreo d'Europa ad occupare un alto incarico diplomatico al di fuori del proprio Paese e ricoprì la carica di Senatore del regno d’Italia (1861-1946).
Nato nel 1829 da una delle famiglie Ebraiche più importanti della città di Asti, intraprese gli studi universitari a Pisa dove venne a contatto con l'ambiente Risorgimentale.
Nel 1848, prese parte alla Prima Guerra di Indipendenza italiana, arruolandosi nel battaglione degli studenti universitari, in cui militava anche Costantino Nigra.
Dopo la guerra riprese gli studi universitari presso la Facoltà di Giurisprudenza a Torino dove frequentò Costantino Nigra divenendone suo intimo amico; un'amicizia che durò tutta la vita.
Tra il 1850 ed il 1859 collaborò alle testate giornalistiche dell'"Opinione" e del "Crepuscolo" come giornalista politico. Venne assunto al Ministero degli Affari Esteri, chiamato da Camillo Benso Conte di Cavour nel 1855, come uomo di fiducia presso la sua segreteria.
Personaggio molto riservato, ma competentissimo in tema di leggi, regolamenti, procedure, rappresentava un braccio indispensabile di Cavour per l’espletamento di moltissime pratiche ministeriali e di relazioni con l’estero, attività in cui poteva esprimere un ingegno largo e sicuro.
“Aveva un’intelligenza superiore”, sono le parole di Cavour,” una intelligenza sobria che, dalla immediatezza della percezione e della assimilazione, si dirigeva in medias res, sfrondando le parti ornamentali e toccando rapidamente i vertici essenziali”.
Una prosa la sua, breve, chiara, in cui Artom dà la misura del suo temperamento di diplomatico perfettamente dotato di quel realismo abile e duttile cui apparve sempre ispirata la politica del conte di Cavour.
E questo uomo di intelligenza superiore Cavour lo sceglieva per stare nella stanza dei “bottoni”, accanto alla sua e per dirgli spesso, su biglietti scritti a mano: “Sono anch’io del suo parere!”. Quasi sempre Cavour gli sottoponeva i suoi discorsi ed Isacco Artom scrive:
“Seduto dirimpetto a me egli cercava sul mio volto, che non poté mai celargli nulla, l’impressione che la sottile e forte orditura della sua argomentazione produceva; talvolta m’interrogava con l’occhio o mi costringeva a fargli osservazioni sui punti di cui non era abbastanza pago”.
Di questa piena fiducia, che riconosce all’Artom, non solo per la lealtà e fedeltà ma anche per la qualità e sincerità, testimoniano numerosissimi documenti di delicatissimo rilievo redatti di tutto concetto e di tutto pugno dall’Artom su incarico di Cavour.
Un esempio significativo è la minuta della lettera del 26 aprile 1859, diretta da Cavour al Conte Buol, Ministro degli Affari Esteri dell’Impero austriaco, in risposta all’Ultimatum consegnato il 19 aprile 1859: tre pagine nelle quali si sposa, alla sobria ma esauriente ed inequivocabile fermezza del testo, una grafia nitida, rettilinea, ferma e politicamente impeccabile.
L’ebreo Artom fu oggetto nel 1860 di critiche indirette da parte del giornale cattolico “L’Armonia”, che tacciava Cavour di odiare i cattolici e di servirsi di ebrei nella propria segreteria; polemica che Cavour smorzò subito tessendo elogi incondizionati ad Artom.
Artom e Nigra furono le uniche due persone dell’entourage ministeriale che assistettero Cavour in punto di morte sostenendolo moralmente e dandogli l’assicurazione che si sarebbero preoccupati di proseguirne l’opera.
La devozione dell’Artom verso Cavour e la sua onestà intellettuale, doti queste comuni anche a Costantino Nigra, gli fecero evitare di pubblicare memorie personali sui grandi eventi che aveva vissuto, fedele a quei dettami di riservatezza che Cavour aveva inculcato nei propri collaboratori.
Dopo la morte di Cavour proseguì la sua fattiva opera al Ministero, come Segretario del Ministro, ma poi intraprese una carriera diplomatica prima presso lo Stato Pontificio, poi come Segretario della Legazione parigina (con Nigra capo Legazione), quindi come Consigliere di Legazione ed infine come Ministro Plenipotenziario a Copenhagen, poi a Carlsruhe e Baden.
Dal 1870 al 1876 fu Segretario Generale del Ministero degli Esteri e divenne Senatore nel 1876.
Il suo capolavoro diplomatico lo compì negli anni del conflitto franco-prussiano del 1870 quando riuscirà a creare le premesse perché l’ingresso a Roma avvenisse senza che né la Francia né l’Austria potessero porvi ostacolo.
Di Lui ci rimane l’Introduzione ai discorsi di Cavour, pubblicati dall’editore Barbera: un vero monumento all’artefice dell’Unità d’Italia, un mirabile omaggio, senza ridondanze né esorbitanze al suo maestro di un’arte che Artom saprà interpretare con intelligenza e grande personalità.
Con Nigra e Artom ritroviamo gli interpreti più sagaci ed efficaci della diplomazia piemontese del Risorgimento, nata alla scuola di Cavour e cresciuta grazie alle capacità che questi due piemontesi hanno saputo esprimere, forti di un amor di patria, di una onestà e di una preparazione uniche.
Di loro Cavour ebbe a pubblicare lodi sul giornale l’Opinione del 2 agosto 1860 scrivendo:
“ Non vi sono fatti nella mia vita politica di cui maggiormente mi compiaccia, che di aver saputo scegliere a collaboratori intimi ed efficaci, nel disimpegno dei negozi più delicati e difficili, prima il signor Costantino Nigra, poscia il signor Isacco Artom, giovani di religione diversa, ma del pari d’ingegno singolare e precoce, di zelo instancabile, di carattere aureo”.
Fu nominato senatore il 15 maggio 1876 e fu considerato uno dei maggiori politici della Destra. Il suo discorso funebre, nell'aula del Senato, fu pronunciato dal Ministro Emilio Visconti Venosta.
La corrispondenza col Nigra è cospicua e tratta sia argomenti di carattere personale, privato, che questioni diplomatiche e politiche. La maggior parte di essa proviene dall'Archivio di Stato della Farnesina a Roma, ove sono raccolte sia lettere da Nigra ad Artom che viceversa, e dall'archivio delle Comunità Ebraiche di Roma.
Nigra fu Segretario e Capo di Gabinetto di Cavour dal 1854 al 1859.
Quando fu nominato Ministro Residente a Parigi nel 1860, Nigra suggerì a Cavour di assegnare quell'incarico ad Isacco Artom e Cavour, dopo un attento esame, lo scelse come suo Segretario sino alla sua morte avvenuta il 6 giugno 1861.
Questa pubblicazione è stata realizzata da Roberto Favero, presidente della Associazione Culturale Costantino Nigra raccogliendo testimonianze in vari Musei e Istituzioni pubbliche.
Fondamentale è stato il contributo dell'Archivio delle Comunità Ebraiche di Roma e della sua segretaria, Gisèle Lévy, che hanno fornito una parte consistente di documentazione a testimoniare, attraverso gli scritti dei due protagonisti, le tensioni e le problematiche del processo risorgimentale come vissuto da due genuini italiani di allora, Nigra ed Artom, i due segretari di Cavour, due figure ignorate dalla storia ma che meriterebbero posti rilevanti nella storiografia patria.
Un'amicizia che nasce da lontano[4]
E' la Pasqua ebraica del 1850: Artom ha invitato Nigra ad Asti a trascorrere una giornata in famiglia; si conoscono dal 1848 quando insieme hanno fatto parte della Compagnia di Studenti volontari nella guerra contro l'Austria. Poi si sono frequentati a Torino alla Facoltà di Giurisprudenza dell'Università e sono rimasti molto amici per tutta la loro vita.
"Nigra, che quand'erano entrati nella stanza da pranzo era sembrato soprattutto ammirato della ricchezza antica degli arredi, della patina che i secoli avevano steso sugli argenti, ora appariva compreso della religiosità di quella cerimonia, celebrata in una casa diventata per una sera sacra come un tempio: si sarebbe detto che quel giovanotto, cresciuto come la sua generazione lontano dalla religione, considerata nemica della libertà - forse più per odio contro la tirannia papale e le mene reazionarie del clero che per indifferenza o ateismo -, si sentisse ravvicinato alle cose dello spirito da quella cerchia familiare di ebrei riuniti in preghiera. Non c'era nel suo sguardo la curiosità del freddo osservatore di un costume esotico o remoto. Alla fine del rito porse a Raffaele il suo dono pasquale: una copia del Primato di Gioberti, arricchita da una firma dell'autore.
« Mi sono fatto coraggio e gliel'ho chiesta, andandogli incontro nel cortile dell'università, dove lo si vede ogni giorno. Gli dissi che era per Lei, e quel grand'uomo si mostrò assai lieto di firmarla, aggiungendo di ricordare il Suo nome dal tempo del Suo carteggio con Roberto d'Azeglio per l'emancipazione». Poco più tardi irruppero nella stanza i quattro bambini di Dolce che, finito il seder dal nonno paterno, venivano a fare i loro auguri agli altri nonni. Li accompagnavano i genitori, che impedirono loro di buttarsi con troppa voracità sui pasticcini che li attendevano. Dolce e Salvador non furono sorpresi dalla presenza di un estraneo, dell'amico d'Isacco: di quella singolare novità s'era ormai sparsa la notizia fra i parenti. Ancora una volta Raffaele ammirò l'arte di Costantino Nigra di conquistare le persone. Dopo qualche minuto conversava come un vecchio amico con sua figlia e suo genero.
Raffaele, Costantino e Isacco finirono col fare tardi, parlando di politica nello studio, mentre Benedetta aiutava la domestica a sparecchiare e a riporre gli arredi, che sarebbero rimasti chiusi in un armadio fino alla Pasqua dell'anno seguente. Nigra condivideva la fiducia di Isacco nel giovane Re, che avrebbe continuato a tenere la testa alta di fronte agli austriaci, a conservare lo Statuto concesso dal padre, a difendere i lombardi emigrati in Piemonte. Nonostante le sconfitte e l'abdicazione forzata del Re, anche se le due Repubbliche di Venezia e di Roma non avrebbero potuto resistere a lungo all'assedio degli austriaci e dei francesi, quei due anni, apparentemente disgraziati, sarebbero serviti a mantenere viva la causa e soprattutto a indicare il Regno di Sardegna come la sola vera speranza di fare dell'Italia una realtà. Sia l'uno che l'altro dei due giovanotti sostenevano che quella speranza doveva basarsi su tre forze: un esercito saldo, una politica estera duttile e intelligente, come quella che aveva seguito il Piemonte nei suoi secoli migliori, ma soprattutto l'educazione civile dei cittadini, l'abbandono dei particolarismi e del miope spirito di campanile. L'affluire a Torino di esuli delle varie regioni, via via che la reazione andava rialzando dappertutto la testa, avrebbe giovato a far superare ai piemontesi la diffidenza verso gli italiani degli altri Stati, che dovevano imparare a vedere come concittadini di domani, non come stranieri. Raffaele guardava quei due giovani impegnati con calore a chiarire le loro idee. Fisicamente non potevano essere più differenti: Nigra dietro la sua distinzione, frutto di studio almeno quanto di doti naturali, rivelava la discendenza da persone di campagna, abituate a vivere all'aperto, l'occhio rivolto serenamente ai paesaggi di prati e di monti, più che concentrato sulle pagine di un libro, il colorito roseo, la statura slanciata, le gambe solide di chi ha dietro di sé generazioni di gente abituata a camminare su sentieri di montagna. Isacco pallido e magro, di statura esigua, la fronte ampia, le spalle strette delle persone che trascorrono la vita curve sullo scrittoio; nemmeno le giornate estive al Chiossetto, le corse nel viale e sulla vigna coi fratelli avevano cancellato dal suo corpo la traccia di secoli di vita chiusa e costretta, con l'unica evasione della parola stampata.
Per il resto, apparivano eguali: usavano lo stesso linguaggio, derivato da un'identica cultura, però gli spettavano per l'avvenire gli stessi piani, apparivano figli di una comune generazione, in cui sparivano le tracce di origini tanto diverse, non solo nel modo di vivere dei loro antenati, ma nelle religioni professate dalle loro famiglie".
(gli Artom ebrei, i Nigra cattolici)
Le lettere: la corrispondenza tra i due inizia con questo bel siparietto
Torino, 1852
Caro Isacco, come avvocato sei sprecato, come uomo politico sei troppo modesto e rigoroso nei princìpi. La strada giusta per te, per valorizzare le tue capacità, è quella scelta da me: la carriera diplomatica. Costantino
Caro Costantino, l'hai mai visto tu un ebreo agente diplomatico di Sua Maestà il Re di Sardegna, con tanto di feluca e di spadino? Isacco
Caro Isacco, l'avresti mai visto tu, qualche anno fa, il figlio di un cava-sangue di paese ammesso nella carriera degli Esteri? Costantino
Torino 18 gennaio 1860
Ebbi una lunga conferenza con Pasolini[5] sugli affari di Roma. Dopo aver letto attentamente tutte le lettere di Pantaleoni, le minute da te redatte delle risposte fattegli di qui, ed aver approvate tutte le nostre riserve, Pasolini esclamò: che peccato che non si possa prestar fiducia alle parole di Diomede Pantaleoni![6] Secondo Pasolini non vi sarà negoziato serio e sincero che quando esso sarà tolto di mano al Pantaleoni, che, con tutta la sua buona fede e per mera garrulità e leggerezza può, ingannando se stesso, trarre in inganno anche noi.
Però, circa la possibilità in genere di far che il Papa si decida a rinunciare al temporale, Pasolini non dispera affatto: esso rammenta anzi che nel '48 prima della fuga di Papa Pio IX discusse anche quel partito; e perciò è convinto che il miglior mezzo di riuscire a qualche cosa sarebbe di agire direttamente e con efficacia sull'animo del Papa. Ma ci mancano per ciò i mezzi e soprattutto le persone. Pasolini, che ha moltissimi parenti nella Prelatura e nell'aristocrazia romana, e che inoltre era assai legato col Papa, sarebbe la persona più adatta se non fosse Senatore, Governatore di Milano, scomunicato. Pagani è morto, di Passaglia, ex gesuita, non possiamo fidarci completamente ad un laico, specialmente se non è romano, sarebbe quasi impossibile aver modo di affiatarsi col Papa ed i Cardinali.
Rimane il Senatore Merini, prete liberale, molto stimato in Lombardia, ma che tuttavia sembra abbia conservato i suoi rapporti gerarchici colla Curia.
L'Imperatore si mostra ora più favorevole ai progetti del Conte: dice che non crede alla possibilità di buon esito, ma che lo desidera, e che sarebbe lieto se potesse avere un pretesto per ritirare da Roma la guarnigione francese. Thouvenel tiene lo stesso linguaggio.
D'altro non v'è qualcosa di nuovo. Ricasoli rifiutò la Presidenza del Senato. Essa sarà forse offerta a Ruggero Settimo[7], per essere in fatto assunta da Sclopis[8] che sarebbe nominato 1°Vice Presidente. Se Ruggero Settimo rifiutasse si farebbe forse Presidente del Senato Poerio[9]; ma a me pare preferibile ch'Egli sia deputato (per averne almeno uno buono nella falange napoletana) e Ministro senza portafoglio.
I Persano pranzano oggi dal Conte, sabato a Corte.
I Principi partono per Firenze ove dimoreranno qualche tempo. Il Re andrà a Milano lunedì 11 febbraio; ignoro se il Ministro lo seguirà.
George Sand scrisse al Conte una graziosissima lettera. Te ne mando la copia. Se vuoi servitene per amadouer (ammansire ndr) Dumas, potresti mostragliela e forse farla pubblicare nel giornalaccio ch'Egli stampa a Napoli, o ad un altro giornale. Addio credimi sempre Tuo Artom
Torino, 14 marzo 1860
Ti scrissi ieri in fretta due righe che credevo di dover consegnare alla Posta ma che ho poi dato a Barbolani[10]. Ora ti scrivo di nuovo per mandarti a nome del Ministro una lettera di Pepoli pel P.N. (Principe Napoleone ndr) ed una lettera di Gagnola che risponde a lungo sull'affare della protesta.
Ti prego di rimandarmela perché il Ministro non l'ha ancor letta.
Siamo riusciti a far sì che tutti i giornali interpretino favorevolmente il discorso dell'Imperatore. E' un vero tour de force. Il Consiglio delibera in questo momento sul trattato. Si spera un risultato favorevole, che ti sarà telegrafato.
Fa di mandarmi se puoi una copia dello yellow book per me. E un modo di tenermi bene coi giornalisti.
Torino 27 marzo l860
Aggiungo due righe in fretta alla lettera di S.E. per congratularmi teco della tua nomina a Ministro[11]. Essa era indispensabile per rendere sopportabile la tua posizione a Parigi e sarebbe stata fatta tre settimane prima se il Conte non avesse creduto necessario di aspettare sinché fosse ristabilito l'accordo fra i due Governi.
Questa meritata promozione ti compenserà delle angosce in cui ti sarai trovato negli scorsi giorni.
Ho finito per trovare il libraio da cui hai comprato il Muratori. E' Belgrano della Minerva Subalpina. Andrò quest'oggi a pagarlo.
Ti mando la quietanza del sarto il quale non volle diminuir nulla sul prezzo.
Io sono oltremodo contento della bontà con cui mi tratta il Conte. Egli è così gentile con me che non oso rammentargli la promessa che mi aveva dato prima della pace di Villafranca. Non vorrei però che in seguito all'annessione si riempisse il posto vacante nella pianta del Ministero ed Io dovessi rimanere ancora lungo tempo Applicato.
Il povero Lignana non fu eletto a Crescentino. Pregherò il Ministro di proporlo a candidato per qualcuno dei collegi che rimarranno vacanti in seguito alle numerose opzioni.
Addio caro Nigra ricordati qualche volta del tuo affettuosissimo Artom
Torino, 4 Aprile 1860
Tante grazie dei ritratti fotografici. Ne diedi uno a Cerutti e mostrai quello che ritenni per me al Conte di Cavour il quale mi incaricò di sgridarti per non avermene mandato uno o due anche per lui.
Ti prego quindi di volermi mettere in grado di soddisfare al desiderio del Ministro, senza privarmi di quello destinato a me.
Ho ricevuto da Ballesio le L. 120. Non occorreva punto tanta fretta per simili bagatelle. Faccio il possibile per far eleggere Lignana a Vercelli.
siamo al momento della discussione al Parlamento Subalpino della cessione di Nizza e della Savoia alla Francia
Torino, 27 maggio 1860
Caro Nigra, Non ho d'uopo dirti quale fu l'effetto prodotto dal discorso di ieri (nel Parlamento Subalpino ndr). Continuo dunque senza più il rendiconto più rapido di questi meno importanti discorsi. Michelini G. B. (il deputato Gian Battista Michelini giornalista e politico piemontese ndr) non biasima né approva il Trattato. Esso lo considererà sotto l'aspetto dei confini, delle finanze, delle conseguenze politiche.
Secondo le più accurate statistiche, la popolazione continentale ed insulare d'Italia ascende a 27 milioni circa. Se l'Italia fosse di forte e compatta nazionalità, se Roma ne fosse la capitale, la Savoia non sarebbe necessaria all'Italia. Ma finché il nostro Stato non conta che 11 milioni [di abitanti ndr], a fronte della Francia che ne ha 36, finché Torino rimane la Capitale, la Savoia è necessaria alla nostra difesa.
Nel Trattato è ceduta tutta quanta la Savoia; è vero che la Relazione afferma che l'altipiano del Cenisio continuerà ad appartenerci. Ma quell'altipiano è rivolto verso l'Italia, quel lago versa le sue acque nella Cenisia e quindi nella Dora Riparia; quell'altipiano appartiene dunque all'Italia. La Francia non fa dunque a noi con ciò alcuna concessione; essa dovrebbe lasciarci il possesso di Lesseillon[12], ma disgraziatamente non pare che ciò accada.
Veniamo al Contado di Nizza. Non vi è paese che abbia limiti così ben stabiliti come la penisola italiana. Le Alpi segnano questi limiti in un modo ben determinato. Ma verso Nizza conviene prendere una delle catene che si staccano dalle Alpi per raggiungere il mare. Egli crede che la più estrema di esse segni il vero confine.
Aggiunge che non vi può essere dubbio sulla nazionalità italiana degli abitanti della Valle della Roya (Valle che scende dal Colle di Tenda a Ventimiglia prendendo il nome dall'omonimo fiume ndr) e della Bevera. Crede quindi che almeno tutta la Valle della Roya, cioè ambedue le rive di questo fiume in tutto il suo corso debbano appartenere all'Italia. Interpella il Ministero se sia vero che una parte della valle della Roya apparterrà alla Francia. Si sa che il corso inferiore della Roya non appartiene al circondario di Nizza e non è quindi compreso nella cessione; la relazione dice: il corso superiore rimarrà alla Francia; ma e la media Roya? Gravi sarebbero gli inconvenienti se una parte qualunque della Roya rimanesse in possesso della Francia. (Qui l'oratore in mezzo alla disattenzione generale entra in dettagli topografici nei quali mi dispenso dal seguirlo). Dice poi che malgrado tutte le dichiarazioni del Ministro, è deplorabile 1'indebolimento dei nostri confini militari. Passa poi alla parte finanziaria. Secondo l'art. 4 del Trattato, delle Commissioni miste devono stabilire la quota che la Francia deve sopportare del nostro debito pubblico. Ma su quali basi si farà l'accordo? A proporzione di popolazione? di territorio? di ricchezza? Perché il Ministro non parla di ciò? Quanto al Tunnel il trattato dice che esso si farà tutto a spese del nostro Stato. Eppure, trovandosi esso al confine, la Francia dovrebbe sopportare metà della spesa.
Quanto alla parte politica, Michelini ripeté che il voto fatto, senza una legge del Parlamento che lo autorizzasse, fu illegale ed incostituzionale. Perché nel Trattato di Zurigo si diedero 60/milioni alla Francia, poi le si cede Savoia e Nizza sempre in compenso? L'oratore chiede al Ministro spiegazioni e fatti, non argomentazioni. Nizza e Savoia sono ormai perdute irrevocabilmente, nessun Governo che succedesse in Francia al Napoleonico ce le restituirà mai più. Invece, la Francia essendoci avversa, non vi ha che l'Imperatore che possa esserci utile: ora l'esperienza dimostra che, ogni 15 o 18 anni, vi é in Francia un cambiamento di governo. Noi facciamo dunque una perdita irrevocabile, per ottenere un vantaggio dubbioso o temporaneo. Michelini non voterà dunque in favore del trattato, fuorché nel caso in cui Cavour e Fanti (il generale Manfredo Fanti allora Ministro della Guerra e della Marina ndr) dichiarino che nessuna parte della Roya verrà ceduta alla Francia e diano inoltre spiegazioni finanziarie, ecc.
Bottero (Giovanni Battista Bottero deputato di Nizza ndr) riconosce che la questione della Savoia sarebbe stata decisa sin dal 1610 senza il pugnale di Ravaillac (trattasi del regicidio di Enrico IV di Borbone da parte di Francois Ravagnac insegnante, avvenuto il 14 maggio 1610 ndr). Quindi se potesse scindersi fra Nizza e Savoia Bottero non esiterebbe. Ceder la Savoia è un sacrificio, è vero, ma esso sarebbe doveroso perché, con quest'atto, la Casa di Savoia indica appunto la sua volontà di cessar d'esser il Duca feudale delle Alpi per divenire sempre più Re dell'Italia.
Ma non é così per Nizza. Essa è e fu sempre considerata come terra italiana. Non è vero che, come disse Cavour, Nizza dandosi alla Casa di Savoia che era allora quasi francese, non abbia voluto unirsi all'Italia. Cinque secoli di seguito provarono la costanza e la fedeltà dei Nizzardi. Senza risalire a tempi più remoti, nel 1792 le truppe piemontesi abbandonarono il Var (fiume che sfocia a ovest di Nizza ndr) e si ritirarono sulla Roya; i cittadini di Nizza abbandonati e quasi traditi da quei generali non accorsero però festosamente incontro ai francesi; essi abbandonarono piuttosto la città per venire in Piemonte. Nel 1814 Nizza, restituita alla Casa Savoia, cominciò ad avere nel suo seno un partito francese, che nacque da un errore del Governo piemontese, il quale lasciò che rimanessero a Nizza molti francesi, senza obbligarli a mutar nazionalità. L'abolizione del porto franco fu poi causa dolorosa che il partito francese crescesse d'importanza. Tuttavia i Nizzardi continuarono a dimostrarsi italiani, e benché fossero lesi i loro interessi, non cessarono di far ben volentieri tutti i sacrifici necessari per la guerra italiana. L'argomento dedotto dalla lingua non vale: Nizza, collocata ai confini, sempre piena di forestieri, e che rimase gran tempo sotto il dominio francese, adopera naturalmente il francese. Ma in una sola delle Chiese di Nizza si predica in francese, in tutte le altre si predica in italiano. Ma dato pure che Nizza parli francese, in tutta la Valle della Roya si parla l'italiano. In ogni caso dunque la cessione deve limitarsi alla Turbia (il colle della Turbie sopra Montecarlo ndr). Bottero ammette, col conte di Cavour, che si è esagerata l'importanza di certe posizioni che possono essere girate. Ma il principio di nazionalità voleva che la cessione finisse all'Alpe Summa, alla Turbie. Bottero appoggiò ed appoggerà la politica estera del Governo; esso non crede che il Parlamento si contamini votando il trattato; egli pensa che in questi momenti l'Italia ha troppo bisogno di unione perché Nizza sia il pomo della discordia; ma esso getterà il voto contrario al trattato per dimostrare che Nizza è caduta, ma è caduta italiana. Vi potrà sventolar sopra la bandiera francese, ma il ciclo, il clima, la natura, la popolazione rimarranno italiane.
Borella (il deputato castellamontese Alessandro Borella, medico, giornalista e fondatore, con Bottero, della Gazzetta del Popolo di Torino ndr) a differenza di Bottero non giudica della questione che colla fredda ragione.
Vi sono in Europa ora tre dinastie che hanno una grande missione: I Romanov, i Napolionidi che devono ricondurre la Francia ai suoi confini naturali, al Reno, alla Svizzera francese e la Francia è ora tutta convinta che quei confini le sono dovuti; la dinastia di Savoia, che ha il mandato di far l'Italia. Ma questa potrebbe compiere da sé l'opera sua? L'Austria poteva forse essere vinta coi soli volontari? Interrogate i feriti di Palestro, di Magenta, di San Martino: essi vi diranno se basterebbero i volontari a fugare i battaglioni austriaci. Era d'uopo un aiuto; dove cercarlo altrove che in Francia? Ma qui si trovarono in urto i due mandati dinastici. L'Italia non poteva farsi se non lasciando che la Francia si riconquisti i versanti naturali. L'oratore suppone quindi che la cessione di Savoia e Nizza fosse risolta a Plombières. Forse non si doveva farlo. Ma avevamo noi la possibilità di un rifiuto? Minacciati dall'Austria, costretti ad invocar l'aiuto francese, dovevamo noi suicidarci per impedire che Nizza e Savoia cadessero in mano altrui? È vero che il beneficio francese non fu completo; è vero ch'esso si arrestò a Villafranca; ma ciò non giustificherebbe la nostra ingratitudine. Lasciamone il monopolio all'Austria. Dopo Villafranca venne l'annessione dell'Italia Centrale, che fu dapprima acremente osteggiata dal giornalismo francese.
Viene egli dunque a stupire che l'annessione non si sia potuta fare che concedendo all'Imperatore, anzi alla Francia, Nizza e Savoia? Potevasi forse sperare che la Francia, che l'Imperatore rinunciasse alle sue pretese? Ma si dirà: col tempo sarebbe forse mutata la dinastia in Francia. Forse che l'Italia avrebbe guadagnato da ciò?
Per confutar quest'opinione, Borella dimostra colla storia anteriore al '48, che legittimisti, orleanisti e repubblicani furono e sarebbero ancora nemici dell'Italia. Pensando a questi fatti, pensando che Lamoricière (generale e comandante della guarnigione francese a Civitavecchia ndr) sta ora raccogliendo ai nostri danni un'armata di cosmopolitica ipocrisia. Borella conclude che sarebbe demenza il respingere il Trattato, l'offendere un potente amico, anzi il solo Governo amico che noi abbiamo. Finisce col fare un caldo appello alla concordia.
Chiaves (Desiderato Chiaves deputato di Acqui ndr) non farà che spiegare il suo voto. Esso è favorevole al Trattato, benché sia lungi dal riconoscere la legittimità del suffragio universale di Nizza. In Savoia quel voto fu sincero. Ma quanto a Nizza, si ha bel far discorsi o scrivere libri per dimostrar che è francese: essa rimane e rimarrà italiana. Nel medioevo solo indizio di nazionalità erano le lettere, la poesia; ora gli scrittori, i cronisti di Nizza sono italiani. Gioffredo, Passeroni, ecc. sono tali. Dopo avere dimostrato con altri argomenti analoghi che Nizza è italiana, Chiaves esamina il valore del suffragio universale. Esso è una gran conquista del diritto pubblico, ma inteso in certi confini. Esso non vale contro il principio della nazionalità. Il suffragio universale dell'Emilia e della Toscana è sacrosanto perché conforme alla nazionalità; a Nizza è assurdo perché gli è contrario. Tuttavia Chiaves è favorevole al Trattato perché è persuaso delle ragioni di necessità. Vi è forza maggiore. L'oratore ha domandato a sé cosa accadrebbe se il trattato fosse respinto, ed allora egli si è convinto che era necessario votare a favore. Ma si dirà: Perché non vi astenete? Che valore avrebbe un'astensione? Che si dubita se il Trattato debba o non avere effetto; ma se v'è, come v'è realmente, necessità assoluta che il trattato sia votato, sarebbe irragionevole l'astensione.
Questa questione ha importanza nella discussione, non ne ha nella votazione; questa è forzata, ma con quella si debbono salvare i principi, preservare l'avvenire. Tenga conto Iddio alla mia Patria dell' ineffabile amarezza che mi costa il mio voto.
Ferraris (Luigi Ferraris di Novara ndr) dice che i discorsi di Rattazzi e di Cavour riportarono la sua mente al passato dell'Italia. Egli non spera di modificare il voto del Parlamento, né di impedire un fatto che è compiuto. Ma egli vuole, deve motivare il proprio voto negativo. Tutti gli oratori sono unanimi nel considerare la cessione come un fatto luttuoso. Questo lutto dimostra che vi è un vizio nel sistema politico attuale, vizio che potrà produrre gravissimi disastri se si continua nello stesso sistema. Dopo il 1815 il movimento italiano divenne irresistibile: le insurrezioni potevano essere stolte ma erano legittime. La rivoluzione assorbì dunque tutte le forze della Nazione.
La libertà stessa conservata in Piemonte dopo il '48 era un portato della rivoluzione.
Ma la indipendenza dell'Italia dipende dalla rivoluzione della Francia, la quale fu sempre simpatica all'Italia.
La cessione fu fatta male; fu fatta in modo da compromettere la Casa di Savoia. L'unani... (sic : Artom, iugulato dal tempo, lascia a mezzo il discorso Ferraris).
Boggio (Pier Carlo Boggio torinese uno dei fondatori del giornale il Risorgimento ndr) dichiara che voterà il Trattato non perché vi sia necessità di votarlo, ma perché lo crede utile.
Rinuncio a mandarti il sunto dei discorsi di Ferrari e di Boggio. Il primo espose una serie di idee contradditorie e paradossistiche in cui sarebbe impossibile scoprire un nesso logico. La Camera lo ascoltò con cortese, ma ben spesso ironica ilarità.
Boggio ripetè colla sua solita petulanza i noti argomenti in favore del Trattato. Trovò illogico, incostituzionale l'astenersi dal votare e provocò così le recriminazioni di Sineo e di Chiaves. Boggio finì per proporre che la Camera, prima di dar l'addio a Nizza ed alla Savoia, dichiarasse che esse hanno ben meritato dell'Italia.
Addio, a domani. Tuo Artom
Torino, 28 maggio 1860
Caro Nigra, Biancheri (Giuseppe Biancheri -Ventimiglia 2 dicembre 1821 – Torino, 28 ottobre 1908), deputato di Ventimiglia, che oggi prende pel primo la parola, volendo trattar la questione militare dei confini, lamenta l'assenza di Fanti, che chiama inqualificabile. È rimproverato dal Presidente e dopo poche parole di Farini in difesa del Ministro della Guerra, questi è mandato a chiamare e giunge ad ascoltar l'arringa di Biancheri. Il quale dice e tenta di provare che se tutta la valle di Roya non rimane al Piemonte, la Liguria rimane indifesa e soffre danno incalcolabile. Rammenta i gloriosi fatti di arme di Braus e di Brouis nel 1796 (guerra tra Austria e Francia ndr), confuta gli argomenti militari esposti dal Conte di Cavour, ecc.
Anelli (Luigi Anelli di Lodi ndr) trova immorale il trattato; esso rinnova i delitti dell'antica diplomazia. I Governi non hanno diritto di cedere il territorio dello Stato. Accusa il Ministero di aver violato il diritto dei popoli, ecc. Il Presidente invita l'oratore a non attribuire maligne intenzioni al Governo. Anelli continua tuttavia, ma avendo incominciato a dir male della Francia e dell'Imperatore, Lanza (Presidente della Camera ndr)[13] consulta la Camera che gli toglie la facoltà di parlare.
Boncompagni (Carlo Boncompagni torinese ndr) confessa che il trattato desta grave dolore nel Re, nel Governo, nel Parlamento. Egli crede però che nessun Deputato negherebbe il suo voto al trattato, se credesse d'avere la maggioranza e d'attirar sul paese la responsabilità delle conseguenze del rifiuto. La questione è di fiducia più che d'altro. Trattasi di vedere se il Ministero abbia coi suoi atti meritato o non della stima, della riconoscenza del paese. I Ministri hanno essi violato lo Statuto facendo votar le popolazioni prima di consultare il Parlamento? Il trattato non è eseguito se non quando il territorio è ceduto. Anche prima che i popoli avessero votato, il Parlamento si sarebbe pur sempre trovato nella necessità di votare il trattato, perché questa è una necessità politica, non una necessità legale. L'Oratore pone invece la questione nei termini posti da Rattazzi: cioè se il Ministero non abbia scambiata la politica nazionale in quella del mero ingrandimento dello Stato. Chi vide l'ingresso del Re nell'Italia Centrale, chi vide quell'entusiasmo veramente italiano, non può dubitare che la politica che condusse all'annessione non fosse politica nazionale. Per non parlar del Re rammenterà l'accoglienza fatta a Bologna ed a Firenze al Conte di Cavour; l'uomo che è oggetto di tali ovazioni non può esser tacciato d'aver tradito la politica nazionale.
Il Governo ha dovuto scegliere: o far l'annessione e ceder Nizza e Savoia, o rinunciare a progredire nella politica italiana. Ma fra questi due partiti chi poteva esitare? Si dice che Nizza e Savoia erano fedelissime, mentre si può far minore assegnamento sulla devozione delle nuove provincie. Boncompagni ripudia questa supposizione, che trova ingiuriosa all'Italia. Né dicasi che rispetto alla Toscana l'unione non è compiuta, perché si conserva ancora l'autonomia amministrativa. L'Oratore spiega che può temporaneamente durare una separazione amministrativa senza che ciò punto detragga all'unificazione politica. Tuttavia Boncompagni crede che quanto più presto si potrà dare alla Toscana un ordinamento analogo a quello delle altre parti dello Stato, sarà meglio.
Venendo al vivo della questione politica, Boncompagni crede che l'alleanza indispensabile della Francia non poteva ottenersi senza il sacrificio di Savoia e di Nizza. L'impresa d'Italia significa costituire, colla libertà e coll'indipendenza, una nuova grande potenza, e distruggerne una che da Carlo V in poi fu preponderante in Europa. Ora a ciò non si giunge senza alleanze. Il nostro [Piemonte] è forte per l'armi, ma più assai per le idee. Tuttavia non potremmo compier l'impresa senza la Francia. Ma si dirà: perché non affidarvi all'alleanza della rivoluzione? Boncompagni non è antirivoluzionario; esso ammira le rivoluzioni d'Olanda, d'Inghilterra, d'America, dell'Italia Centrale. Ma se egli accetta l'alleanza di questa specie di rivoluzioni nazionali, non è né può esser l'alleato d'ogni rivoluzione, né di quella che vuoi tutto travolgere, non solo gli ordini politici, ma anche i sociali. Questa rivoluzione scalza i principi della Monarchia Costituzionale, essa sarebbe la padrona del Governo che si unirebbe a lei. La rivoluzione finisce per soffocare la libertà. dato dunque che la Francia sia la nostra sola e necessaria alleata, rimane soltanto a dimostrar che per averla tale fosse d'uopo darle Savoia e Nizza. Ora in Francia tutti i liberali lamentarono sempre la perdita della Savoia e Nizza come una grande umiliazione nazionale. La dinastia napoleonica, che rappresenta il principio della grandezza militare e politica della Francia, non può rinunciare ad avere i versanti delle Alpi. Ora quale occasione, più opportuna per averli che la guerra d'Italia? La storia dimostra che la Francia fu sempre gelosissima d'ogni stato forte che si formasse in Italia, e Thiers (Ministro francese ndr) diceva: "je ne veux pas d'une seconde Prusse a còte de la France" (non voglio una seconda Prussia ai confini della Francia ndr).
L'unico modo dunque di far tacere quella gelosia era di accontentar le legittime esigenze dei francesi. Ma Savoia e Nizza sono poi esse veramente italiane? Boncompagni lo nega non solo per la Savoia, ma anche per Nizza. L'origine di Nizza è provenzale; per andare a Nizza, da Torino come da Genova, bisogna valicare le Alpi; finalmente il Provenzale si parla a Marsiglia non a Genova né a Torino. È vero che a Nizza penetrarono nei cinque secoli in cui fu unita al Piemonte molti elementi di italianità. Tuttavia ciò non basta a far sì che Nizza sia incontrovertibilmente italiana. Boncompagni conclude quindi che il Governo può ceder Nizza senza offender la nazionalità italiana. Tale cessione è indispensabile; essa obbliga l'Imperatore ad aiutarci per l'avvenire. Boncompagni non rammarica che la Francia non abbia nel trattato garantito il possesso della Toscana; ogni guarentigia implica una specie d'intervento politico che avrebbe scemata la nostra libertà interna. L'oratore termina facendo appello alla concordia ed alla temperanza politica.
Berti (Domenico Berti deputato di Cumiana nel Pinerolese ndr) spiega il significato del suo voto. Lamenta che non si siano presentati documenti in appoggio del trattato. Confessa del resto che la Francia fu spinta ad intervenire in Italia dalla speranza di distruggere i trattati del 1815, ottenendo allargamenti di territorio. Non rimprovera quindi il Ministero d'averli promessi. I principi di nazionalità e di libertà fornivano infatti guarentigie contro i pericoli ulteriori dell' intervento francese. Ma poiché la Francia non tenne le sue promesse, ma si fermò a Villafranca, perché darle Nizza e Savoia? Conveniva rifiutarle Nizza e Savoia per costringerla a compiere il suo programma. Ora invece la Francia non ci aiuterà più; potrà valersi di noi come strumento ai suoi fini, ma non farà più la guerra per noi. Berti nega che vi fosse urgente necessità di ceder Nizza e Savoia. Si è perciò che Berti non vota il trattato. Egli si astiene come Rattazzi e ne spiega le ragioni, che sono identiche a quelle esposte da Rattazzi.
Pareto (Lorenzo Pareto genovese ndr) rammenta che nel 1848 quando si era sparsa voce che si sarebbe ceduto alla Toscana un piccolo tratto di territorio verso la Magra, fu uno spavento universale nel paese. Allora si dovette dichiarare che il Regno d'Alta Italia progrediva bensì, ma non retrocedeva mai. Ora il ceder Savoia e Nizza non è progredire nella via della ricostituzione italiana. Nizza, l'oratore ne è intimamente persuaso, Nizza è italiana. Lo prova con ragioni topografiche e geografiche. La Tinca dalle sue origini presso il Monte dell'Argentiere sino al suo sbocco nel Varo segna il confine preciso fra l'Italia e la Francia. Le ragioni militari poi lo persuadono che la cessione di Nizza sarebbe funestissima. Ripete che la Valle della Roya deve rimaner tutta al Piemonte, altrimenti la Francia sarà in tre ore alle sorgenti della Taggia e del Tanaro e scenderà ad Ormea ed a Ceva. Inoltre è d'uopo rassicurar la Liguria, che è già travagliata dalla propaganda francese.
Farini (Luigi Carlo Farini ravennate ndr) non vuol fare un discorso: confuta solo le parole di Berti. Questi negò che la cessione di Nizza e di Savoia debba seguire finché 1'indipendenza d'Italia non è assicurata. Farini osserva che in questo caso Berti deve accettare interamente la pace di Villafranca. In questo caso si doveva accettar la Confederazione, accettare le Ristorazioni. Ma non è innanzi ai Deputati dell'Italia Centrale che si deve far questo raziocinio. Dopo l'annessione come respingere ogni modificazione territoriale? Farini non accettò d'esser uno dei segnatari del Trattato se non perché ne vide la necessità per proseguire il programma italiano. Vi fu una pressione, quella delle grida, delle sofferenze, dei martiri d'Italia. Egli ha quindi affrontato volentieri la perdita della popolarità che il Trattato traeva seco.
Asproni (Giorgio Asproni sardo ndr) ringrazia Cavour d'aver dichiarato che non avrebbe mai ceduta la Sardegna. Però non sa se i Sardi crederanno a questa dichiarazione, poiché Cavour ha spesso fatto dichiarazioni analoghe a favore della Savoia. Quante volte il Governo non disse che la Savoia non sarebbe mai stata ceduta? Quante volte non si disse lo stesso per Nizza? Asproni spera che le parole dette circa la Sardegna saranno più degne di fede. Asproni passa quindi a spiegare perché non abbia approvata, dal 1848 in poi, la politica del Conte di Cavour.
Alfieri (Carlo Alfieri di Sostegno, torinese ndr) brama anch'egli di dire perché vota in favore del Trattato. Vota perché lo crede conforme al principio di libertà, utile a Nizza e Savoia, necessario alla costituzione della nazionalità italiana. Nizza è francese. Se Passeroni (Giancarlo Passeroni, la figura più importante della letteratura nizzarda ndr) scrisse per l'Italia, Massena (André Massena, generale nizzardo ndr)[14] pugnò per la Francia. A Plombières l'Italia, rappresentata dal Conte di Cavour, decise delle sorti di Savoia e di Nizza. Benché vi siano ancora 26 oratori iscritti, si spera che domani la Camera, stanca di tante chiacchiere, accoglierà la proposta di chiudere la discussione.
Sarai informato col telegrafo dell'esito del voto. Addio. Tuo Artom
Torino, 29 maggio 1860
Caro Nigra, Rattazzi (Urbano Rattazzi, alessandrino, deputato della sinistra ndr) ribatte alcune delle osservazioni del conte di Cavour, sulle cause che determinarono la caduta del Ministero precedente. Osserva che l'autonomia toscana fu conservata per aderire alle richieste della Francia, non già come disse Cavour per evitare alla Toscana l'applicazione delle leggi fatte da Rattazzi; dice che queste non sono così cattive come credesi, ecc. Rattazzi non fa censura alla politica dell'alleanza francese; ma nega che la cessione di Savoia e di Nizza fosse il miglior mezzo di conservar l'alleanza francese. Per soddisfare le masse popolari di Francia bastava la cessione della Savoia; quella di Nizza non era necessaria. Ma inoltre la Francia non garantisce il possesso dell'Italia Centrale. Finché il Ministro non assicura esistere questa guarentigia, Rattazzi non può riconoscere utile il Trattato. Egli invoca la testimonianza di tuo suocero (Giovenale Vegezzi Ruscalla ndr), che invita a parlare in proposito della nazionalità di Nizza. Forse si sarebbe potuto cedere i comuni che formavano la France Rustique.
Rattazzi domanda se era opportuno riconoscere la nazionalità francese finché Venezia non è libera, finché le stesse annessioni dell'Italia Centrale non sono riconosciute da nessuna grande Potenza. Risponde poi a Boggio (Pier Carlo Boggio, torinese ndr) quanto ai motivi dell'astensione. Egli non intende porre ostacoli all'approvazione del trattato; vuole soltanto evitare di farsi strumento materiale della approvazione. L'astensione non rende impossibile la votazione. Non si tratta d'abbandonar la Camera e d'impedire la deliberazione. Si tratta semplicemente di salvare la propria responsabilità individuale, Rattazzi non vuole che... (sic).
Cavour ringrazia Rattazzi d'aver dichiarato di non aver preso parte agli insulti diretti contro il Ministro attuale. Risponde quindi alle interpellanze fattegli circa la guarentigia dell'Italia Centrale. Rattazzi, che fu Ministro, non deve insistere per costringere il Ministero ad uscire dalla riserva. La responsabilità ne ricadrà sul deputato Rattazzi. (Rumori nella Camera. Questi protesta di non poter assumere tale responsabilità). Cavour continua dicendo che non solo non ha chiesto, ma avrebbe rifiutato la guarentigia di cui si tratta. Bastava al Ministero che fosse mantenuto chiaramente e solennemente il principio del non intervento. Cavour non sa quale risposta avrebbe dato il Governo Francese se gli si fosse stata domandata questa guarentigia. Ma in caso esso l'avesse garantita ne veniva per conseguenza che la Francia avrebbe richiesto che noi cessassimo ogni provocazione contro l'Austria.
La guarentigia avrebbe portato con sé un certo controllo della Francia sopra di noi nel nostro regime interno. Ma inoltre se il Trattato cementa, come lo fa, l'amicizia dell'Italia e della Francia, è evidente che tale guarentigia sarebbe superflua. Per quello che riguarda l'autonomia toscana, il Ministro replica che essa sta per cessare e cesserà appena si sia trovato il modo di fare l'unificazione senza ledere gli interessi. Così fece pure il Ministero precedente; v'è ancora un bilancio speciale per la Lombardia, v' è una Prefettura di Finanze a Milano. Non vi fu del resto alcuna Nota, alcun consiglio ufficiale della Francia di conservare l'autonomia toscana. Se ne parlò in qualche conversazione diplomatica, ma nulla più.
Boggio ribatte le argomentazioni di Rattazzi sull'astensione.
Bertani (Agostino Bertani milanese ndr) parla contro. Dice che aggiogandoci alla Francia noi ci tiriamo addosso tutta l'Europa; assumiamo la responsabilità della teoria dei confini naturali, ecc. ecc.
Lonaraz chiede la chiusura della discussione. Esso dice che credeva che il Trattato di cessione di Nizza e di Savoia si sarebbe discusso con quella stessa prontezza e serenità con cui si votò l'annessione dell'Italia Centrale. Aggiunge che una più lunga discussione prolungherebbe l'agonia delle popolazioni cedute.
Mellana parla contro la chiusura. Esso provoca Fanti a parlare sui confini.
Fanti dice che si aspetta tuttora la risposta dei Commissari Piemontesi circa la linea dei confini.
Chiaves ed Asproni parlano contro la chiusura.
Castellani-Fantoni ed un Savoiardo (di cui ignoro il nome) si associano ad essi.
Si adotta, dopo prova e controprova per alzata e seduta, la chiusura della discussione generale.
Rorà (Emanuele Rorà, sindaco di Torino ndr), relatore, ha per ultimo la parola per spiegare le conclusioni della Commissione. Egli non dice nulla di nuovo né di peregrino.
Mazza (Pietro Mazza di Voghera ndr) ha la parola sull'articolo. Egli chiede che la cessione abbia luogo col minor danno possibile delle popolazioni cedute. Parla degli interessi degli Impiegati, degli studenti che hanno posti gratuiti, ecc.
Cavour, risponde promettendo che farà il possibile per aver tutti i riguardi pei diritti accennati, ecc.
Tecchio (Sebastiano Tecchio, veneziano ndr) osserva sull'art. 3° del Trattato che il voto è inopportuno finché, come Fanti lo confessa, non è segnata la linea di confine. Egli dice che se la Valle di Saorgio rimane ceduta alla Francia, egli non può votare il Trattato.
Sineo (Riccardo Sineo, alessandrino ndr) dichiara che il Parlamento non può approvare il Trattato finché non sono precisamente determinati i nuovi confini. Dice esser vero che la condizione attuale delle provincie che stanno per cedersi è dolorosa. Il Governo dover provvedere ad esse con disposizioni transitorie. Ad ogni modo però non si può dare al Governo i pieni poteri per tracciare i confini.
Sopra alcune osservazioni d'un Deputato della provincia di Cuneo, Cavour risponde che non v'è da temer che i dazi stabiliti dal Governo Francese rechino danno alla provincia di Cuneo, perché la Francia entrò testé nella via della libertà commerciale. Se poi venissero tempi in cui le nostre finanze fossero in condizione di far traforare anche il colle di Tenda, la riunione di Nizza alla Francia agevolerebbe quest'opera di pubblica ed incontestabile utilità.
Biancheri (Giuseppe Biancheri, di Ventimiglia ndr) ritorna sulla necessità di ritener tutta la linea della Roya. Esso propone un ordine del giorno con cui la Camera invita il Governo a conservar al Piemonte tutto il bacino della Roya.
II Deputato di San Remo dichiara d'astenersi per timore che un giorno o l'altro anche il circondario di San Remo sia ceduto alla Francia.
Valerio e Pareto insistono anch'essi sui confini.
Il Presidente del Consiglio combatte l'ordine del giorno Biancheri. Il Trattato ha per scopo di rinforzare l'alleanza fra la nazione italiana e la nazione francese.
I rappresentanti della nazione italiana lascino al Governo l'intera responsabilità del Trattato. Se verrà giorno in cui il Ministero debba esser posto in accusa per questo Trattato, ch'essi lo siano pure, e se quell'epoca dev'esser quella della liberazione della intera Penisola, il Ministero desidera d'esser posto in accusa domani.
Biancheri ritira il suo ordine del giorno.
Castellani-Fantoni insistono per conoscere l'avviso del Ministro della Guerra.
Fanti risponde che mentre pendono le trattative non può dar le richieste spiegazioni.
Un deputato parla del concorso della Francia al Tunnel del Cenisio e della Ferrovia Vittorio Emanuele.
Marliani, Fenzi, Massari, Gualterio, Poerio e Busacca con alcuni altri domandano il voto per appello nominale.
Frappolli (Lodovico Frappolli, milanese ndr) avrebbe desiderato una votazione unanime e solenne, perché è un atto di rivoluzione ecc. ecc....
Pepoli (Gioacchino Napoleone Pepoli, bolognese ndr) respinge l'appello fatto da Rattazzi ai Deputati dell'Italia Centrale, e dichiara che vota il Trattato che stabilisce fra la Francia e l'Italia solidarietà di fatto, di interessi e di fini politici.
La Camera vota a grandissima maggioranza il Trattato. Quindi dichiara sulla proposta Boggio che Nizza e Savoia hanno ben meritato dell'Italia. Addio. Tuo Artom
Torino 28 luglio l860
Il conte Michele Amari, inviato Siciliano a Torino, mi prega di mandarti una sua lettera in cui egli si rivolge a Te, a nome del suo Governo, per avere informazioni circa persone che misero in campo disegni di ferrovie in Sicilia.
Io raccomando alla tua cortesia il conte Amari il quale è uomo sinceramente devoto al conte di Cavour e merita quindi ogni riguardo.
Io mi proposi più volte di scriverti a lungo ma non ebbi mai tempo né agio di farlo.
Il conte di Cavour è sempre gentilissimo con me, ma fa lavorare assai anche me.
Egli ebbe la bontà di far accordare la Legion d'Onore a Brozolo ed a me. Del resto qui in ufficio non v'ebbe altra promozione che quella di Gattinara che divenne Capo di Sezione. Il posto di Segretario di 1a classe da lui prima occupato fu dato ad un certo Salvini, toscano, vivamente raccomandato dal barone Ricasoli. Ciò fece mormorare alquanto gli altri impiegati i quali desidererebbero che Carutti allargasse la Pianta del Ministero per potere, senza danno loro, collocare gli impiegati dell'Emilia e della Toscana.
Non ti parlo di politica. Il Conte ti informa di tutto quanto può esserti utile con uno zelo ed una diligenza di cui Io sono testimone ogni giorno. Puoi esser superbo di ciò poiché gli altri diplomatici nostri sono ben di rado onorati di qualche sua linea. A Londra Egli fa scrivere quasi sempre da me; ma è d'uopo ch'egli ne sia assolutamente impedito, perché Egli lasci trascorrere un'occasione senza scriverti di proprio pugno.
La condizione del paese non è ottima. I mazziniani si valgono di Garibaldi per sviare il movimento nazionale da quella linea assennata in cui il Conte l'aveva messa.
Certo furono esagerati i reclami pei fatti accaduti a Bologna[15]; ma è purtroppo vero che Farini non amministra. Egli è però ottimo ed onestissimo amico del conte di Cavour ed i tentativi fatti da Bertani e da Guerrazzi per tirarlo a loro sono completamente falliti.
Prevedo però con dolore che quando Garibaldi sarà padrone di Napoli, bisognerà venire a patti con lui: o lasciare il posto a Rattazzi, Depretis etc, o adottare la politica di Garibaldi, la quale consiste nel far la guerra senza tener conto dello stato dell'Europa. Farini è propenso a questo partito a cui pare incline anche il conte di Cavour. Io temo assai che l'esercito, quale lo ha organizzato Fanti non sia capace di regger da solo all'Austria. temo pure che durante la guerra scoppino moti reazionari all'interno, giacché le provincie annesse sono ancora lontane dall'essere saldamente unite al Piemonte. Vorrei quindi che non scoppiasse la guerra prima della prossima primavera. Ebbi ilo coraggio di non nascondere i miei timori al Conte, il quale mi rispose ridendo che in caso di rovescio andrà in America.
Tu che hai naturalmente maggiore autorità sul di lui animo, potrai dirgli liberamente fino a che punti giovi l'essere audace senza divenir temerario.
Quando Tu dici Avanti! non credo Tu intenda di aggredire, non provocati, e senza l'aiuto nemmeno morale dell'Europa, l'Austria nel suo quadrilatero.
Se Napoli potesse tenersi per alcuni mesi, come stettero Firenze e Bologna, in quello stato d'annessione di fatto che permetta di trar partito delle forze del paese per fare nell'aprile prossimo la guerra di tutta Italia contro l'Austria, sarebbe ottima cosa: ma Garibaldi 15 giorni dopo essere a Napoli vorrà essere a Roma, poi a Venezia.... altrimenti lascerà campo ai mazziniani di fare a Napoli una Repubblica di lazzaroni.
Eccomi ricaduto nella politica.
Mi duole d'annoiarti ma forse non è male che tu sappia in segreto da me quali sono i pericoli che ci minacciano. Ti ripeto che il Conte ascolta i tuoi consigli, sapendo non solo che la tua illimitata devozione verso di lui non fa velo al tuo retto giudizio, ma inoltre che tu da Parigi vedi forse meglio che noi da Torino qual'è la situazione politica e decidi se convenga, colle tue lettere particolari, incoraggiare o frenare quella tendenza ai partiti arrischiati che è dovuta ora alla influenza di Farini.
La mia ammirazione per il Conte va crescendo quanto più lo conosco e lo tratto da vicino. La mia selvaggia timidezza mi impedisce talvolta di dirgli francamente tutto quello che penso ma a poco a poco je m'abitude au grand homme (mi abituo al grand'uomo ndr), e fo quanto so e posso per rendermi degno della sua fiducia.
Il modo con cui sopporta il peso delle più gravi preoccupazioni politiche, la sua gaiezza in apparenza spensierata, mi paiono meravigliose.
L'Italia non ha certo alcuno che lo superi in coraggio, in avvedutezza, ed in serenità d'animo. Disgraziatamente mentre Garibaldi attrae ora a se tutti gli applausi popolari il Conte ha nemici che lo combattono in altissime sfere. Voglia il cielo che un bel giorno, disgustato da queste lotte Egli non si decida a ritirarsi improvvisamente a Leri!
Lignana è assai contento di essere stato eletto deputato. Il Conte vi contribuì spingendo la corruzione elettorale sino al punto di invitare il sindaco di Crescentino. L'avvocato Tonso che vedo qualche volta mi chiede sempre tue notizie e m'incarica di salutarti.
Di letterario non vi è nulla di nuovo. D'Ancona mi lasciò per te un volume di Canti Popolari del Tigri che ti manderò alla prima occasione. Stefani fa Il Mondo Illustrato
che finora è un brutto mondo.
Addio perdonami la lunghezza di questa lettera e scrivimi se puoi qualche volta di più. Tuo Artom
PS: 31 luglio
Ti accorgerai facilmente che quanto ti scrissi ieri l'altro è anteriore alla venuta di Ricasoli ed al piano concertato con Nisco. Se con ciò si riesce a precedere Garibaldi a Napoli, gran parte dei miei timori svaniscono. Tuttavia rimane sempre somma la probabilità di una guerra assai prossima coll'Austria assistita forse dalla Prussia.
Aggiungo questa poscritta per pregarti di un favore. Nel brevetto di Cavaliere della Legion d'Onore fu scritto per sbaglio Artoni invece di Artom. Per non espormi ad un processo analogo a quello di Messieur Migeon, nel caso in cui mi recassi in Francia, Io ti mando quel brevetto e ti prego di far rettificare il nome sia al Ministero Esteri che alla Cancelleria della Legion d'Onore. Ti sarò assai riconoscente se vorrai poi rimandarmi il brevetto corretto mediante il quale vorrei fare una lieta sorpresa a mia madre. Addio di nuovo
Torino, 2 agosto l860
II Ministro m'incarica di mandarti l'articolo della Nazione sulla situazione. Esso è redatto od almeno fu ispirato dall'Uomo forte di cui conosci la rapida gita a Torino. E' bene che tu lo legga per conoscere qual'è la condizione del paese.
Ebbi dal Conte di Cavour una prova di bontà che mi commosse assai. Egli si degnò di prendere le mie difese contro un villano articolo dell'Armonia[16].
Non aggiungo altro perché credo tu legga l'Opinione.
Torino, 14 Agosto 1860
Dina, il Direttore dell1Opinione, mi prega di scriverti per domandarti di procurargli un corrispondente politico da Parigi. Egli ha congedato quello ch'ebbe finora, M. Edmond de Guerles, perché troppo antibonapartista: ne desidera uno che per le sue relazioni sia informato degli affari, si limiti ai fatti senza dare il sunto degli articoli politici, che arrivano contemporaneamente coi giornali. Dina è disposto a spendere 250 franchi il mese. Se questa somma non fosse sufficiente, si potrebbe ridurre le corrispondenze a 4 o 5 ogni settimana.
D'un altro favore vorrei pure pregarti in tutta confidenza. Qualche tempo fa il Senatore Commendator Castelli si lagnò meco perché Talleyrand fosse andato da Farini a domandare informazioni su di lui. Farini, che le diede naturalmente buonissime e che ne informò Castelli, suppose che si trattasse di dargli la Legion d'Onore. Per quanto poco furbo Io sia, m'avvidi che se Castelli si lagnava era perché la decorazione non veniva. Malgrado quindi che Castelli mi avesse raccomandato di non parlarne al Ministro, Io gli raccontai la cosa. Questi, dapprima promise che in occasione dello scambio delle decorazioni colla Marina avrebbe parlato a Talleyrand per Castelli, poi mi rispose ridendo che egli non voleva soddisfare la piccola e segretissima ambizione del Commendator Michelangelo. Intanto venne, senza che Io la chiedessi né la sperassi, la decorazione per me e ciò accresce il mio imbarazzo verso il povero Castelli. Se tu credessi di potere, senza che lui ne sapesse nulla, domandare ufficiosamente, a Thouvenel od a Benedetti, conto della Decorazione che si aveva in animo di dare al Direttore Generale degli Archivi, mi faresti un vero favore.
II Barone Cravosio mi disse infatti che, già da due o tre anni, la Francia pareva disposta ad accordare a qualche Impiegato degli Archivi la Legion d'Onore; allora la proposta veniva dal Ministero dell'Istruzione Pubblica di Francia, in occasione di decorazioni conferite dal nostro Governo ad Impiegati degli Archivi francesi. Ora poi si presenterebbe un'occasione favorevole nella separazione delle carte appartenenti alla Savoia ed a Nizza. Se Tu credi di potere, senza alcun inconveniente, rendere questo piccolo servigio al celebre Commendatore, Io te ne sarò gratissimo. Altrimenti mi rassegnerò a lasciargli credere che fui abbastanza stupido per non intendere il fine delle lunghe sue interlocuzioni. Artom
Torino,16 Agosto 1860
Ecco il numero del Mondo Illustrato, ed il decreto che mi chiedi.
Lignana è in campagna. Non credo però che pensi alle lingue Celtiche.
Eletto deputato Egli si prepara con grande zelo alle sue future lotte politiche.
Addio voglimi bene e credimi tuo Artom
Torino,20 Agosto 1860
Ti mando un piego per la Legazione Sarda a Londra. Ti prego di farlo recapitare al più presto e nel modo più sicuro possibile senza però spedire apposta un Corriere.
Esso contiene due lettere di Massari: l'una a Gladstone (allora Cancelliere dello Scacchiere ndr), l'altra a Lacaita e tendono a far sì che Lord Russel (John Russel Primo Ministro inglese ndr), accompagnando la Regina Vittoria a Berlino, non si lasci persuadere da Schlainitz che sia interesse Inglese-Germanico-Europeo che la Venezia rimanga in mano all'Austria.
Io non credo molto all'efficacia di questi mezzi indiretti; tuttavia giova tentare.
Il Ministro ha in testa di mandare Lignana a Gotha, dopo averlo fatto passare per Parigi per parlare con Te e con Szarvadi. L'idea mi pare ottima. Tuo Artom
Torino, 31 dicembre 1860 ore 16
S.E. (il Conte di Cavour ndr) temendo di non poterti parlare né stasera né domattina m'incarica di farti sapere che il Principe Eugenio non acconsente a recarsi a Napoli che a patto che tu vada con lui. Fu quindi stabilito che il Principe vi andrà come Luogotenente e tu lo accompagnerai nella qualità di Segretario di Stato addetto alla Luogotenenza delle Provincie Napoletane.
In realtà governerai tu ma la responsabilità ricadrà in gran parte sul Principe.
Il Conte si propone di mettere a tua disposizione alcuni abili amministratori, fra i quali Cler di cui si fanno grandi elogi. Il Ministro Cassinis, che ti aspetta domani alle due, è da lui incaricato di formulare, d'accordo con Vegezzi, il Decreto della tua nomina e quello del Luogotenente.
Addio, fatti animo. Le missioni che hai adempiuto a Parigi furono più difficili assai di quella attuale. Io non ho alcun dubbio sulla buona riuscita di questo incarico che inizierà per te la vera vita politica.
Torino 13 gennaio l861
II Ministro m'incarica di tenerti ragguagliato delle cose politiche. Per ora non v'é nulla di nuovo, fuorché i negoziati relativi a Gaeta, di cui sarai informato direttamente da Cialdini. Credo che conoscerai pure la vera causa della caduta di La Farina. Esso volle fare uno sforzo energico e troncare coll'arresto di Crispi, Raffaele, Ferro ecc. le mene del partito separatista e mordiniano[17]. Non ci riuscì perché mancava di truppe nostre e la guardia nazionale gli rifiutò l'aiuto: dovette dimettersi ed ora le cose sono in mano di Enrico Amari che subisce il giogo di Ferrara e di d'Ondes[18] e che quindi è separatista, e di Torrearsa uomo integro ma poco energico e di non grande levatura. Dio sa in qual modo essi faranno le elezioni. Per rinforzare il Ministero il Conte pensa d'introdurre nel Gabinetto, oltre a Poerio di cui ti scrive, Michele Amari, lo storico dei Vespri, da non confondersi col Conte Michele che vedesti a Torino due sere prima della tua partenza per Napoli. Michele Amari fu Ministro dei Lavori Pubblici sotto la prodittatura Depretis, ha moltissimo ingegno e grandissima fama in Europa pei suoi studi sull'arabo; diverrebbe Ministro della Pubblica Istruzione se Mamiani non regge all'urto del Parlamento; intanto sarebbe Ministro senza Portafoglio come Poerio. La cosa è ancor segreta e finora non gli furono fatte proposte; s'ignora in qual modo Egli le accoglierebbe.
Il Ministro ti prega di cercare se v'ha, fra i giovani aristocratici napoletani, alcuno che possa essere mandato a Londra come Attaché o segretario di Legazione.
Nel momento in cui ti scrivo riceviamo una notizia della più alta importanza.
II Papa ed Antonelli(!!) (Cardinale Antonelli Segretario dello Stato vaticano ndr) acconsentono a negoziare con noi sulle basi della completa rinuncia al potere temporale. Affinché tu sia bene informato di questa nuova fase (nella quale Dio ci guardi dai guet-à pens (trappole ndr)) ti mando, per ordine del Ministro e pregandoti a suo nome di dirci tosto il tuo parere, la copia del dispaccio ricevuto da Pantaleoni e di quello in conseguenza a Vimercati.
Addio, caro Costantino, ti auguro flemma e coraggio pari alla grandezza della tua missione.
Torino 21 gennaio l861
Due parole in fretta per adempiere al mio obbligo di tenerti informato di Roma e di Parigi.
Abbiamo fatto comunicare all'Imperatore, per mezzo di Vimercati[19], un estratto della lettera di Pantaleoni, con cui riferisce, con pochi altri dettagli, il colloquio di Cantucci col Papa e con Antonelli, già riferito nel dispaccio di cui ti ho mandato copia. Se si deve credere a Vimercati, l'Imperatore,Thouvenel e Persigny sono ansiosi d'aver un pretesto qualsiasi di richiamar le truppe da Roma.
Per controllare in qualche modo le asserzioni di Pantaleoni, il Conte mandò a Roma un rosminiano, di cui ignoro il nome, e che, ad insaputa del Dottore, vedrà se sia veramente il caso di mandare un negoziatore serio e munito delle facoltà necessarie.
Saprai forse già che Cialdini mandò Menabrea ad offrire al Re di Gaeta proposte larghissime ed onorevolissime per la resa. Esse furono sdegnosamente respinte.
Le feci comunicare da Blanc a Danjou che mi scrisse già più volte e che ho ringraziato Io pure.
Torino 4 marzo l861
Ho avuto scrupolo d'annoiarti colle mie lettere sapendo che quando si è, come tu sei, occupatissimo, anche la lettura di lunghe epistole riesce fastidiosa. Ora me ne duole, benché possa dire in tutta coscienza di non averti lasciato ignorar nulla di quanto accade d'importante, ben inteso di ciò che sfugge ai giornalisti. Le due maggiori preoccupazioni del Conte sono ora gli affari di Roma e quelli d'Ungheria. Quanto ai primi, dopo la gita del Padre Passaglia di cui ti parlai in una lettera sottoscritta dal Conte e l'invio delle istruzioni che hai nelle mani e che puoi leggere, non v'ha altro incidente. Quanto all'Ungheria, Kossuth venne a Torino, ebbe lunghe conferenze col Conte e si accorda pienamente con lui nella necessità di trattenere l'impeto degli Ungheresi e di esaurire tutti i mezzi legali di opposizione prima di appigliarsi all'insurrezione. Kossuth é più convinto di noi della impossibilità materiale in cui siamo di fare la guerra; egli mi disse: vous etes maintenant plus faibles que jamais (siete al momento più deboli che mai ndr), ed anzi non mi parve pienamente tranquillo sui pericoli d'una improvvisa aggressione austriaca. Tuttavia nella impossibilità in cui presto l'Ungheria può trovarsi di rimaner nel terreno legale, tanto più dopo gli apparecchiamenti militari dell'Austria e la Costituzione generale emanata testé, Kossuth pregò il Conte di far interpellare direttamente Luigi Napoleone sul da farsi nell'ipotesi di inevitabili emergenze. Una lettera scritta da Kossuth al Conte fu quindi comunicata in originale da Vimercati a Thiers ed al suo padrone; ma finora non si riuscì a strappare dalla sfinge una risposta decisiva. Intanto Kossuth partirà per Parigi per mettersi egli stesso in comune con l'Italia a dimenticare la consueta platitudine verso il Governo. Bixio, che fu qui la scorsa settimana, e che mi pregò di farti i suoi saluti, mi disse che, tranne le masse popolari, tutte le classi della borghesia e dell'aristocrazia sono infuriate contro di noi. Il più deplorabile si è che anche l'esercito è ora contro l'Italia. Ripeto sempre le parole di Bixio. I discorsi di Laroche, Jaquelein, Heckeren, Gabriac etc. (che tu non avrai tempo di leggere) sono scandalosamente violenti.
I discorsi di Pietri e del Principe, recisamente contrari al potere temporale e favorevoli all'unità italiana, sono perciò vieppiù significanti. Leggi questi discorsi e, se ne hai il tempo, anche l'ultima Chronique della Revue des deux Mondes.
Buloz scrive a Blanc che Thiers, in un lungo colloquio con lui, gli disse apertamente
di non veder l'ora di poter toglier le truppe da Roma. Il che non impedisce però che, interpellato da Lord John se intenda riconoscere il Regno d'Italia, Thiers non abbia risposto evasivamente limitandosi a far osservare non esistere ora rapporti diplomatici fra il Piemonte e la Francia. Ciò ti indica che continua la solita altalena, la doppia corrente che rende così difficili le nostre manovre. Per finirla con Parigi ti dirò che la Principessa Clotilde (desolata di non poter venir a Torino) fu entusiasta del discorso di suo marito, e che l'Imperatore scrisse al Principe una lettera di congratulazioni. Forse sarà bene che tu pure, dopo aver letto il discorso, scriva al Principe per ringraziarlo e congratularsi del suo trionfo oratorio.
Nulla è deciso ancora quanto al modo con cui si notificherà diplomaticamente il nuovo titolo di Regno d'Italia. Se potessimo ottenere il riconoscimento per parte dell'Inghilterra, cui farebbero corteggio ben presto la Svezia, la Svizzera, i Paesi Bassi ecc. ciò basterebbe per ora e la Francia non potrebbe indugiare a lungo e fare lo stesso.
Posso darti ottime notizie di tuo suocero e della tua famiglia con cui mi trovo spesso in rapporto. Addio caro Costantino; non ti chiedo di rispondermi ma fammi solo sapere se ricevi le mie lettere poiché altrimenti non avrei il coraggio di vuotare il sacco come faccio con Te.
Torino,24 aprile 1861
Ti mando una nuova lettera del Marchese D'Andrea e copia della risposta fattagli.
Spero che, malgrado le enormi tue occupazioni e preoccupazioni, avrai potuto leggere i resoconti delle discussioni avvenute sulle interpellanze Ricasoli. Questi era, come Tu avrai certo indovinato, d'accordo col Conte, e fu più di tutti contento della lettera di Cialdini che a quest'ora avrai letta del pari. Non potrei descriverti l'impressione prodotta da questo coup de massue (pugnalata ndr). I Garibaldini ne furono storditi, e Bixio stesso ebbe a confessare che il loro capo aveva d'uopo d'una lezione che lo mettesse al suo posto.
Per ora egli pare rassegnato ma Io temo ch'egli non se ne raccatti con qualche nuova imprudenza, o gettandosi affatto alla disperata con Mazzini.
Vimercati fu a Torino. Egli spera di trovar, fra breve, il modo di far richiamare i francesi da Roma ed assicura che non è lontana l'ora in cui Tu potrai andare come Ambasciatore a Parigi.
Ma gli intrighi del partito clericale, l'agitazione prodotta dalla lettera del Duca Daumal, l'opposizione dell'Imperatore fanno nascere a danno prima o poi nuovi ritardi. Pantaleoni è a Torino. Egli non ha più troppe speranze di conciliazione.
Non così Passaglia il quale si oppone alla pubblicazione completa dei documenti e trova miglior partito quello di lasciar sempre una via alla conciliazione. Il progetto di Minghetti trovò poca accoglienza negli uffici della Camera. Il concetto delle regioni non fu sostenuto che da Crispi, Ugdulena, Amari ed alcuni altri siciliani.
Audinot e parecchi membri della maggioranza propongono una transazione, mercé cui sarebbe fatta facoltà al Governo di sperimentare il sistema regionale (ridotto a mera delegazione del potere centrale) in quelle parti d'Italia ove esso potrebbe parere più opportuno, p.es. in Sicilia, nelle provincie napoletane dividendole in 3 o 4 regioni ecc. Cosa notevolissima, Ricasoli è anch'esso avverso al sistema delle regioni. I Lombardi lo ammettono come sistema governativo. Non so se quella transazione sarà accettata; forse per quest'anno la Camera, dovendosi ingolfar nel bilancio, non potrà far nulla. Addio salutami Veglio e Perrone e ricordati qualche volta del Tuo Artom
Napoli 29 aprile 1861
II padre Tosti[20] mi scrive che il Santucci[21] gli rispose con un fine de non recevoir (rifiuto di accogliere la richiesta ndr). Evidentemente non ne faremo nulla per ora in via di trattative. Dà questa notizia a Pantaleoni e digli che il Tosti mi prega che non si faccia uso delle sue lettere. Rammenta al Conte l'affare degli ufficiali d'ordinanza napoletani. E' così più importante di quel che possa credersi. Dobbiamo compromettere quel po' d'aristocrazia che è con noi. Votate presto, per carità, la legge sull'ordinamento amministrativo del Regno. Nigra
Torino 16 ottobre l861
Perdonami il lungo silenzio. Esso è dovuto a due ragioni. In primo luogo mi mancarono le occasioni sicure. Il Barone (Ricasoli ndr) manda quasi sempre le sue lettere per la posta; ma Io non condivido la sua fiducia in questo mezzo di trasporto. In secondo luogo mi mancavano le notizie sicure, ed Io non volevo fuorviarti riferendoti dei vaghi rumori raccolti sotto i Portici di via Po. Io sono materialmente al Gabinetto. Il Barone, che vedo forse due o 3 volte la settimana, è gentilissimo con me, ma Io non credo nulla della politica confidenziale la quale continua ad esser fatta da una consorteria etrusca, in modo assai più geloso ed esclusivo che non avvenisse ai nostri tempi. Talora Io mi sento umiliato per il modo che sto per dare alla mia dimissione o per chiedere d'andare con Blanc in Biblioteca. Mi consola il pensiero che o tu o Farini dovrete presto venire al Ministero. Ed a questo proposito alcune parole di Vimercati mi fanno supporre che il Re desideri farti Ministro degli Esteri, con quale compagnia non so. Certo si è che qui tutti quelli che non partecipano al sonnambulismo ministeriale danno una grande importanza al viaggio di Rattazzi a Parigi. Gatti nel Cittadino d'Asti non esitò a stampare che, i risultati della gita di Rattazzi a Compiegne, saranno presso a poco analoghi a quelli del famoso convegno di Plombières. Tu a quest'ora saprai meglio di me che v'abbia di vero in ciò. Qui la maggioranza vorrebbe poter continuare a far centro intorno al Barone, ma s'avvede che così le cose non possono durare lungamente. Il più piccolo uragano parlamentare può abbattere questo Ministero, in cui il Barone non ha nulla per indovinare la soluzione. Certo che il paese è inquieto perche s'accorge d'andar indietro anziché avanti, che la politica di Cialdini a Napoli finì per gettare lo scompiglio nel seno della maggioranza. Se non sorga presto un uomo che riprenda di nuovo senza iattanza le redini lasciate dal Conte di Cavour Io temo che l'Italia diventi come nel 1849 una vera Babilonia.
Benedetti (diplomatico francese ndr) dev'esser giunto ieri sera. Egli reca, a quanto si spera, al Barone una risposta favorevole di Parigi. A me però ciò pare impossibile perché la morte di Santucci ha reso più che mai un anacronismo ogni progetto di conciliazione. Ma forse basta al Barone di poter pubblicare la sua nota, colle proposte. Magro compenso alle magnifiche speranze svanite!
Carutti andrà presto a Parigi. Cerca se puoi di renderlo alquanto più favorevole a me. Io non seppi mai indovinare la ragione della sua ostilità.
Credi tu che Rattazzi possa divenire Ministro degli Affari Esteri? In questo caso che farei Io al Gabinetto? Gropello mi disse che desidererebbe d'esser nominato Incaricato d'Affari. A questa condizione rinuncerebbe ad andare a Parigi.
Tommasi, che vidi ieri sera da Arese, mi prega di salutarti tanto a suo nome.
Occupo gli ozi forzati scrivendo un piccolo lavoro sul Conte. Te lo manderò appena sia finito. Blanc è andato in congedo. Se vedi il buon Bixio salutalo tanto a mio nome. Digli che alla Questura non vi è alcuna nota sul Pinto. Credo che Castelli gli abbia già scritto a questo proposito. Tuo Artom
Torino 19 novembre l861
Approfitto della partenza di Sormani per rimandarti il lavoro di cui ti parlai qualche tempo fa. Non Spaventarti del volume, esso non ti costerà più di mezz'ora di lettura e Blanc trova che l'introduzione ha proporzioni troppo meschine. Come Tu sai non ho alcuna pretesa letteraria, la sola impressione che volli produrre è quella di sincerità; un ritratto perfetto del Conte è opera da altre mani che le mie e forse quando tu ti decidessi fra qualche anno a ritirarti dalla vita pubblica, tu solo potrai pagare degnamente il debito di gratitudine degli Italiani al solo loro grande uomo di Stato.
Fammi il favore di leggere in fretta questo piccolo lavoro se la cosa è possibile senza perdere troppo tempo, di farlo leggere da parte mia all'ottimo Sig. Bixio.
Non ho d'uopo dirvi che sono e sarò sempre riconoscente ad entrambi delle osservazioni che mi farete e delle modificazioni che vi piacerà introdurre nella mia prosa. Ricasoli e Carutti mi accordarono il permesso della stampa. Castelli e Borromeo, che lessero il lavoro, non ne furono malcontenti. Voi soli potete darmi un giudizio sul quale Io possa fare assegnamento.
Blanc manda a Michel Lévy[22] la parte già tradotta dei discorsi. Siccome preme d'incominciare la stampa prima che altri faccendieri (fra i quali Fleury) ci piglino il passo, Blanc scrive a Michel Levy di passare da Te fra qualche giorno a pigliarvi l'introduzione. Essa sarà del resto corta ancora e modificata assai sulle prove di stampa. Perciò appunto invoco i tuoi consigli.
Temo che non ti sia pervenuta una precedente mia lettera consegnata al Senatore Martinengo. Gropello chiese ed ottenne d'esser posto in aspettativa.
I1 Barone cerca un Ministro dell'Interno. Lanza rifiutò: oggi si parla di San Martino, di Audinot o di Spaventa. Dicono che Rattazzi serbi la Presidenza della Camera per tutto lo scorcio della sessione 1861, ma abbia dichiarato di non voler essere rieletto Presidente nella sessione del 1862. E' probabile quindi che le cose tirino innanzi così sino all'anno venturo.
Addio, perdonami la noia che ti reco col mio poulet, e abbi misericordia del tuo amico che prova per la prima volta i dolori dell'enfantement (nascita ndr). Scrivimi ed ama il tuo affezionatissimo
PS: Blanc vorrebbe la Legion d'Onore. Non potresti parlarne al Principe Napoleone?
Parigi 29 novembre l861
Ho rimesso a Lévy la tua introduzione la quale mi ha commosso fino alle lacrime. Io penso che queste brevi pagine ti fanno molto onore. A me parvero rimarchevoli e così a Bixio, il quale mi scrisse la lettera che ti spedisco. E' per me evidente che dal tuo breve cenno esce più netta e più completa la conoscenza del povero nostro Conte e del suo straordinario carattere che non da molti volumi. Hai messo benissimo in luce quel suo amore costante, ardente, non mai smentito, della libertà, che era uno dei caratteri più spiccati del suo Spirito. La sua stessa poca cultura letteraria e scientifica gli giovò in questo, che la sua mente non fu mai preoccupata da teorie che legassero il suo giudizio o la sua azione, e fu così meglio disposto a compenetrarsi successivamente e progressivamente dei sentimenti non dirò della sola propria Nazione, ma dell'Europa intera. Non voleva prevedere molto tempo prima degli eventi; ma nessun fatto lo coglieva alla sprovvista; diceva spesso: penso all'oggi, anche un po' al domani: quanto al posdomani ci penserò domani.
Ti mando qui unita la copia d'una lettera scrittami, dopo Villafranca, da Ginevra. Leggila tu solo; è notevole il passo su Villafranca. Credo faresti bene a far leggere ad Ajnardo le prove di stampa. Nella posizione d'animo in cui si trova dopo la morte di suo zio, avrebbe forse a male che si pubblichi qualche cosa di lui e sopra di lui, senza la sua partecipazione.
Scrivimi, ti prego, qualche volta. Fa i miei saluti a Blanc a cui mando la Corrispondenza della Signora Juvet pubblicata da Falloux; e digli che il vostro libro su Cavour è destinato ad un successo straordinario. La Contessa di Circourt vorrebbe averne la primizia. Essa desidera pure avere l'ultima edizione della piccola biografia tascabile del Conte di Cavour. Fammi il favore di mandarmela. Bixio non ama il paragone dell'Hamlet politique; ma Zsarvadi pensa che farà furore in Allemagna. Nigra
Torino 8 dicembre l861
Caro Costantino, Finalmente oggi ho un'occasione per Parigi, e posso scriverti a lungo per darti alcune notizie di qua. Prima di tutto però devo ringraziarti del giudizio estremamente amichevole dato da te sul mio povero lavoro. Ho già ringraziato Bixio e scritto a Szarvady che non avevo difficoltà a concedergli di comunicare la mia introduzione ai giornali con cui è in rapporto, purché vi acconsentisse Michel Levy. Se non che questi scrisse a Blanc che non poteva incaricarsi della pubblicazione, e ne addusse per motivo che i discorsi avrebbero potuto essere ristampati da qualunque altro editore, cosicché egli non avrebbe goduto della proprietà letteraria che rispetto all'introduzione. Però trattandosi non della semplice ristampa letterale dei discorsi, ma della traduzione della miglior parte di essi, atta con cura, la ragione da Levy non vale. Blanc per consiglio mio scrisse a Bixio pregandolo di volersi adoperare a nostro favore presso Levy od alcun altro editore: ti sarò gratissimo se tu pure potrai aiutarci in qualche modo.
Per dare maggior interesse al mio lavoro, di cui non m'esagero punto 1'importanza, avrei desiderato di poter pubblicare alcune lettere dell'ottimo nostro Conte. Potrebbe infatti sembrare strano che mentre il Divet, un inglese, ne pubblica, a quanto mi disse, una quarantina (egli mi affermò che la Contessa di Circourt gliene aveva date moltissime) non riuscisse a Blanc ed a me di fare almeno lo stesso. Ne parlai ad Aynardo, il quale lesse ed approvò il mio lavoro: ma egli si è fitto in capo di pubblicare egli stesso un libro sul suo zio, e per quanto abbia cercato di indurlo a comunicarmi qualche lettera non riuscii che ad ottenere la semplice lettura di una decina di esse che risalgono al 1833. L'ottimo Castelli mise invece mise a mia disposizione la sua corrispondenza, gran parte della quale non é però pubblicabile.
Tuttavia se Bixio e Tu e Madame de Circourt voleste aiutarmi, Io potrei, ricorrendo anche a Minghetti, Arese e Farini, raccogliere un discreto numero di lettere contenenti particolari relativi più all'indole morale ed all'ingegno del Conte che agli avvenimenti politici odierni.
Ciò non mi impedirebbe che più tardi e quando sia venuto il tempo opportuno tu assolva il compito dato a Te, con la lettera di cui mi mandasti la copia, e che mi duole assai di non poter pubblicare. A me basterà di aver pagato col mio povero scritto, il mio debito di riconoscenza. Tu erigerai all'uomo di Stato ed all'Italia un monumento storico degno della grandezza degli avvenimenti di cui potrai dire: quorum fars fui (in cui giocai una parte importante ndr).
Ora dopo questa disgressione che mi vorrai perdonare, eccoti le impressioni che ha
prodotte in me la discussione attuale alla Camera dei Deputati. Non ti parlo dei discorsi dell'opposizione o di quelli dei deputati ministeriali. Due soli fra i primi hanno un valore oratorio e letterario più che politico, e sono quelli di Ferrara e di Petruccelli. I discorsi di Massari, Carutti, Buoncompagni ecc. sai quello che valgono. Le parole di Pisanelli, il quale voterà colla maggioranza in favore del Ministero, diedero a quest'ultimo una gravissima scossa. Ormai tu avrai letto per intero il discorso di Rattazzi. Il giudizio universale qui si fu che esso fu un abile discorso di
opposizione, ma un debolissimo programma per un futuro Presidente del Consiglio. Fece pessima impressione sulla maggioranza il vedere di nuovo accarezzata da Rattazzi l'estrema sinistra: queste sue parole perfidamente raccolte e magnificate da Brofferio, da Riccardi, da Petruccelli, da Musolino, contribuirono quanto le insopportabili smargiassate del Pays ad accrescere la diffidenza della maggioranza. Parte della quale avrebbe desiderato essa pure di veder Rattazzi entrar nel Ministero con Ricasoli: ma, messa nel bivio di scegliere fra l'uno e l'altro, darà il voto contro Rattazzi per non votare colla sinistra. Il Ministero dunque è sicuro della maggioranza: il che non vuol dire altro però se non che egli continuerà a vegetare per alcuni mesi della sua languida e pallida vita. In realtà, come mi diceva ........................................
.............................................................................................................di parlar di nuovo appoggiando francamente il Ministero, e dichiarando che non si separava dalla maggioranza; in questo modo si sperava di formare un Ministero Ricasoli-Rattazzi.
Ma Castelli stesso mi disse che oramai era troppo tardi; che questa conciliazione, fatta apparentemente sotto l'estera pressione, avrebbe pessime conseguenze. Non è impossibile perciò che il Barone induca Peruzzi ad assumere il portafogli dell'interno, nel qual caso le cose rimarranno nello statu-quo per alcuni mesi.
Io fui lietissimo di non aver avuto parte alcuna nella redazione dei famosi documenti sulla questione romana. Lo stesso Barone non ebbe coraggio d'insistere nel suo discorso per difenderli, ed Io temo assai che questo infausto tentativo di concretare il grande principio di libera chiesa in libero stato non abbia compromesso l'adozione stessa del principio nel futuro. Evidentemente il potere civile non può spogliarsi preventivamente delle più preziose sue prerogative, né si doveva provocar dalla Camera un voto su questo argomento se non quando il grande corrispettivo, cioè la tacita rinuncia al potere temporale, fosse stato acquisito dall'Italia. Per buona fortuna il Senato non discuterà i documenti che gli furono presentati. Altrimenti le obbiezioni di quei giureconsulti ed amministratori avrebbero un'eco terribile nel paese.
Al Ministero le cose continuano nello stesso modo. Io rimango, pro forma, al Gabinetto e ricevo di quando in quando da Carutti l'ordine di redigere qualche dispaccio. L'Avv. Negri andrà a Barcellona, ed allora Donato piglierà il suo posto al Gabinetto. Addio, salutami Bixio, Fé, Sormani e tutti gli altri e scrivimi qualche riga se lo puoi. Tuo aff.mo Artom
PS: Oggi essendo festa non posso procurarmi il libro del Bonghi chiesto da Madame de Circourt. Te lo manderò con altra occasione.
Parigi, 19 dicembre 1861
Caro amico, il sig. Buloz, direttore della Revue des deux Mondes, è venuto da me a lagnarsi acerbamente di Blanc (funzionario del Ministero degli Esteri ndr), il quale l'avrebbe, a quanto mi disse, fatto minacciare dell'invio d'un usciere , ove non gli restituisse una lettera del Conte di Cavour. Il sig. Buloz non trovò tra le sue carte questa lettera, che probabilmente avrà avuto la sorte di tutti i documenti che entrano in questi uffici per non sortirne più. Il fatto è che se la lettera non si trova, non la si potrà avere neanche per mezzo d'usciere. Fammi il favore di far capire a Blanc che questa cosa spiacque qui a tutti quelli che lo conoscono e che sanno che il sig. Buloz gli fu cortese, quando fu in Parigi, di consigli, di direzione e di aiuto. Buloz voleva farne scrivere d'ufficio a benedetti da Thouvenel, ed ha anche insistito presso di me perché ne scrivessi a Ricasoli. Lo calmai e gli dissi che avrei provveduto senza ricorrere al Ministro. Io conto sopra di te per ottenere da Blanc che non si parli più di questo spiacevole fatto.
Credo che se Blanc domanda alla contessa di Circourt (nobildonna francese nota per uno dei salotti più importanti di Parigi e amica del conte di Cavour ndr) lettere di Cavour, le otterrà senza difficoltà. Quanto alle poche che rimangono nelle mie mani, io vorrei ben dartele tutte quante, ma le più, come sai, non possono pubblicarsi ora, e le altre potrebbero parere un reclamo e mi susciterebbero nuova invidia. Sai che E. De La Rive pubblica moltissime lettere del Conte? Ti ringrazio del tuo foglio ultimo. Scrivimi, se puoi, più spesso, che mi farai un vero regalo. Saluta per me il conte Arese e credi alla sincera amicizia del Tuo affettuosissimo Costantino
Torino, 21 dicembre 1861
caro Amico, appena ricevuta la tua lettera del 19 feci a Blanc la commissione di cui mi avevi incaricato. Egli mi spiegò lungamente a voce l'affare e mi disse avere dal canto suo motivo a dolersi di Buloz e sulla mia domanda scrisse in fretta il pro-memoria che ti mando per tuo uso esclusivo, e soltanto perché tu non abbia a fare sinistro giudizio di lui. L'importante si è però che la cosa non avrà alcun seguito. Blanc si rassegna a non reclamare ulteriormente la lettera benché essa possa, a quanto Egli mi disse, essere molto importante per lui.
Dal suo canto Buloz vorrà non insistere a reclamale una brochure che Blanc non trova più fra le sue carte. Trattandosi non di un manoscritto, ma d'uno stampato di cui furono ritirate le copie, credo non vi possa essere alcuna difficoltà.
Ieri assicuravano che S. Martino accettava il portafoglio dell'Interno, oggi affermano il contrario. Dalla morte del nostro Conte in poi si può dire che si fu in crisi ministeriale permanente. Ieri soltanto fu presentata la legge per la riscossione provvisoria delle imposte, ed Io non mi stupirei se la Camera esigesse, prima di dare un nuovo voto di fiducia, che il Ministero fosse completato. Bastogi fa oggi alla Camera l'esposizione finanziaria. Riuscirà egli a far cessare il panico che regna alla borsa sui nostri fondi? La nomina di S. Martino, se questi accetta, rigetterà Ricasoli nelle braccia dell'opposizione. La quale ha ormai per suo programma le elezioni generali. E' difficile prevedere come queste riuscirebbero. Secondo tutti i calcoli, nelle provincie napoletane la vittoria rimarrebbe ai borbonici ed ai garibaldini. Probabilmente lo stesso Rattazzi sarebbe debordé (fuori tema ndr), e il risultato di tutto ciò sarebbe un nuovo proclama di Moncalieri.
Come vedi l'avvenire non mi pare di rose. Ma poiché lo vuoi, ti dico le cose come le vedo. Addio carissimo, scrivimi qualche volta.
Minghetti ebbe colla nomina a Vice Presidente una prova di fiducia preziosissima dopo l'incidente Bertani.
Torino, 10 gennaio 1862
Non voglio lasciar partire Incontri senza scriverti due righe. La maggioranza posta nella necessità o di disdire il suo ordine del giorno o di rinnovarlo, e non volendo fare né una cosa né l'altra, si appiglia al partito che per buona sorte è il migliore. Essa vota cioè le imposte al galoppo e rimanda ogni discussione politica all'epoca in cui sarà votata la legge che modifica l'ordinamento provinciale. Vi ha quindi, nella commedia politica che si giudica da circa un mese, un entracte (siparietto ndr) che certo è più utile al paese delle scene che lo precedettero o lo seguiranno.
Pulszki mi disse ieri che a Parigi si desidera la guerra per la primavera, nello scopo d'impedire un accordo ormai facilissimo degli Ungheresi coll'Austria. Tu saprai meglio di me se v'abbia qualche cosa di vero in ciò.
Seguendo il consiglio di Bixio (che saluterai a mio nome) cerco di preparare una breve notizia su ciascuno dei discorsi principali del Conte. Limitandomi a stampare i soli discorsi più importanti, cioè 24 o 25 in tutto, facendoli precedere dall'introduzione e da quei brevi saggi, mi pare si possa formare un volume in 8° assai interessante, che stamperò, ove d'uopo, a mie spese. Fammi il favore di domandare su ciò il parere di Bixio e di dirmi anche il tuo.
Aynard è partito pel Cairo ove rimarrà tre mesi circa. Al suo ritorno stamperà un suo lavoro intorno al Conte, colle lettere scritte da lui all'età di 20 a 25 anni.
Addio, scrivimi tu pure qualche volta. Io non ti narro gli infiniti commérages (pettegolezzi ndr) dei portici di Po ove i Ministeri nascono e muoiono come i funghi. I corrispondenti dei giornali francesi conoscono assai meglio di me codesti intrighi ch'essi alimentano ad arte. I Toscani fanno correr voce che presto il Governo possa occupare il Patrimonio all'infuori di Roma!!! Artom
Torino, 15 gennaio 1862
Caro Costantino, II Ministro mi incarica di scriverti circa l'affare di Baden. Ecco in poche parole di che si tratta. Sai che fu ammesso con patente del Re d'Italia un Console nostro a Mannhein e fin d'allora s'era sparso voce nei giornali del riconoscimento dell'Italia far parte del Granduca, In seguito a ciò Melegari fece stanziare nell'appendice del bilancio una somma per una Legazione presso una Corte germanica. Più tardi Oldoini, probabilmente nell'intento di farsi un piccolo nido, parlò del riconoscimento coll'erede presuntivo del Granducato, sposo della figlia della Duchessa di Leuctemberg. Trovò, a quanto disse, ottime disposizioni. Ora il Ministro desidera che tu cerchi di appurar quanto v'ha di vero in ciò, parlandone in modo affatto riservato a M. Schveizer, Ministro di Baden a Parigi, e dicendogli che ove la proposta fosse ben accolta, il Governo Italiano stabilirebbe colà un Incaricato d’Affari od un Ministro residente, ed accoglierebbe l'erezione d'una Legazione badese a Torino.
La cosa vorrebbe essere colorita colla necessità di stabilire buoni rapporti commerciali fra l'Italia e la Germania meridionale, ferrovie, Luckmanier ecc.
Dal nostro lato la cosa avrebbe un certo interesse per due ragioni. In primo luogo sarebbe una piccola soddisfazione data all'opinione pubblica. Da più mesi la nostra causa non si fa alcun progresso visibile: questo ne sarebbe uno, piccolo invero, ma
che è pur qualche cosa. Inoltre la mancanza di corrispondenze da Vienna e da Monaco si fa sentire assai, e la Legazione di Baden vi potrebbe supplire. Infine l'esempio del Baden potrebbe trascinar seco più tardi il Furtemberg o la Sassonia: e ciò sarebbe importante. E per ultimo si avrebbe modo a soddisfare alle esigenze dei Diplomatici di carriera, i quali s'arrabbiano vedendosi portar via dagli uomini politici le principali Legazioni.
Pare al Ministro ed a me che giovi assai più far questo tentativo a Parigi per mezzo tuo che a Francoforte per mezzo di Barral; perché il Ministro del Baden a Francoforte esigerà certo di tirarsi addosso il corruccio dei suoi colleghi d'Austria e Baviera. Però, se tu credi il contrario, o se i tuoi rapporti collo Schweizer non te lo permettono, si tenterà l'altra via, o si smetterà affatto il pensiero. Artom
Torino, 25 gennaio 1862
Ti ringrazio delle due tue lettere che ho comunicate al Ministro. Io avevo avuto già un colloquio col T. e m'ero accorto, dal tono assai dimesso dei suoi discorsi, che aveva avuto accoglienza poco lusinghiera.
Il Comm. Peruzzi mi prega di chiederti come debba regolarsi col Dumas. Il Ministero passato gli aveva concesso 3/m franchi il mese, più l'uso del palazzo di Chiatamone, divenuto il ritrovo di tutti i francesi murattisti, rossi, talora persino borbonici.
Peruzzi, sospese il sussidio mensile, ed è quasi deciso a togliere anche il palazzo, ma teme che gli piova addosso qualche grande bufera di raccomandazioni del P.N. (Principe Napoleone ndr) o della P.M. (Principessa Matilde ndr) ed interrogò me sul valore politico del Dumas. Io risposi che avrei rimandata a Te la domanda come a giudice infinitamente più competente. Fammi il favore di dirmi quale risposta debbo fare.
Credo far cosa gradevole a Te riassumendo qui alcune notizie sicure e segretissime che mi vengono da Roma.
L'emigrazione napoletana è scissa in due partiti: l'uno di essi cospirate apertamente contro Francesco II a favore del Principe D. Luigi di Trani.
In Roma si è tentato di ricostituire un comitato garibaldino, dichiarando di nuovo che Garibaldi è d'accordo col Governo ecc. Queste arti non giovano però; il nostro Comitato continua ad esistere, e mi si assicura ch'esso può contare su 10 o 12 mila aderenti.
La salute del Papa non è buona: ha frequenti deliqui, seguiti da febbre.
La nomina di Mons. Darboy non è piaciuta, ma non ha sgomentato perché anche il Morlot non era amato a Roma.
Si fu ivi poco contenti del discorso dell'Imperatore, perché tace del temporale e non fa motto di restituzioni.
Si è molto soddisfatti di Mons. Chigi il quale, di cono, ha conquistato l'animo dell'Imperatrice. Gli hanno dato incarico di persuadere il Prefetto di Piombino a fare atto di sottomissione e ritornare a Roma. Se ciò avvenisse, lo scandalo sarebbe enorme. Si conta sopra di te per impedirlo.
Qui, mi son data molta pena anch'io per strappare la grazia del Christen, ma é impossibile. Non ti fai idea del movimento di reazione che c'é ora contro Parigi.
Alcuni deputati, ministeriali, muovono i più grandi rimproveri al Gabinetto, per avere firmato l'accordo con la Francia. Se di colà non ci aiutate alquanto Io credo che il paese spingerebbe ad una bouderie(scontento ndr) se non ad una brouille (scontro ndr). Puoi giudicarne dalla Gazzetta del Popolo.
Non potresti scriver Tu al Govean od al Bottero d'esser più ragionevoli? Io non conosco niuno di loro e non so come giungere ad essi. Si fa il possibile per dare un migliore indirizzo all'opinione pubblica ma non sempre ci si riesce. Artom
Ministero Affari Esteri, Torino 20 febbraio 1862
Carissimo Costantino, approfitto della partenza di Barbolani per spedirti la vita del conte di Bonghi, che tu mi hai chiesto a nome della contessa di Circourt.
Non ti scrissi prima d'ora per darti notizie di cose politiche. So che Minghetti, esortato da me, l'ha fatto e che tu gli hai risposto. Tu sei quindi meglio informato di me. La situazione continua del resto ad essere molto difficile.
La maggioranza irrisoluta teme una discussione troppo tempestosa anche in occasione della legge sull'ordinamento provinciale cosicché è probabile che la Commissione ed il Ministero si mettano d'accordo sulle modificazioni da introdurre nel progetto di legge, e che si eviti la crisi. Si nota da qualche tempo una specie di riavvicinamento di alcuni membri della Sinistra al Ministero. Temesi che ne sia il risultato il richiamo di Mazzini. Spero però che il Barone (Bettino Ricasoli detto il Barone di Ferro, succeduto a Cavour nel 1861 e costretto alle dimissioni il 3 marzo 1862 ndr) come Presidente del Consiglio non farà questo passo senza essersi consultato circa l'effetto che ciò potrebbe produrre in Francia. Ebbi lettere da Lignana, il quale è assai contento d'esser a Napoli, ove le cose vanno decisamente meglio.
Egli promette di mandarmi una lunga lettera politica, che io ti comunicherò, se pure Lignana mantiene la promessa. Blanc spedirà da Chambery a Bixio il nostro manoscritto affinché lo trasmetta ad Hetzel.
Io ti sarò grato oltremodo se potrai adoperarti tu pure affinché la cosa riesca.
Mi pare d'averti detto che sono disposto anche, ove occorra, a fare l'edizione a mie spese.
Addio carissimo, scrivimi se puoi qualche volta. salutami Incontra, Sormani, Boyl, Fè e Ferrod ed abbimi sempre tuo aff.mo Artom
PS: Facini deve averti scritto per domandarti qualche ragguaglio circa l'organizzazione del Ministero degli Esteri in Francia. Egli non è il solo fra i deputati che vogliono mettere le cose nostre sopra un assetto migliore.
Il Barone ha le stesse intenzioni, ma l'opposizione inconcepibile di Ctti le renderà sterili, se la Camera stessa non lo spinge ad ordinare il nostro Ministero su basi più ragionevoli. Addio.
Ti invierò la lettera di Castelli per Vimercati[23].Artom
Torino, 10 marzo 1862
caro Costantino, L'ultima volta che ci vedemmo tu avesti la cortesia di dirmi Fa di venire con me a Parigi! Questo tuo e mio desiderio sta ora per avverarsi. Sai che Io ero fuori di pianta al Ministero: Ricasoli mi fece Segretario di Legazione di 1a ed ora il nuovo Ministro è disposto a mandarmi a Parigi in luogo di Fé, il quale andrebbe al Brasile. Non ho d'uopo dirti con quanta gioia Io verrei a passar teco qualche mese e con quanta buona volontà Io mi metterò a tua disposizione per servirti come più vorrai di segretario particolare o generale e potendo anzi farei l'uno e l'altro. La vita burocratica del Gabinetto mi stancava assai e Castelli stesso mi consigliò a chiedere d'andarmene. Però avvezzo come sono al lavoro del Ministero spero di potere senza fatica disimpegnare le funzioni di cui tu vorrai incaricarmi a Parigi. Benché Vimercati mi accerti che la nomina di Fé è sicura, mi pare opportuno che tu non gliene parli ancora, fìnchè la cosa non sia ufficiale. Carutti va all'Aja come sai e Migliorati a Copenhagen, Taliacarne a Stockolm.
Melegari farà le funzioni di Segretario Generale degli Esteri. Donato servirà di segretario al Ministro Rattazzi per le sue lettere particolari eco. Non so chi verrà a Capo del Gabinetto; Io desidererei moltissimo che fosse designato Blanc, ottimo giovane e pieno d'ingegno. Ma temo che esistano prevenzioni contro di lui. Se tu potessi giovargli faresti opera santa.
Vimercati mi prega di dirti che egli non può scriverti oggi e t'incarica di farti sapere 1. Che Rattazzi propone a Pasolini d'esser Ministro dell'Interno (dubito che egli accetti ed ho ragione per credere di no)
2. Che Benedetti scrisse un lungo dispaccio a Thiers per dimostrargli la necessità del richiamo immediato di Goyon. Tu riceverai pure presto un dispaccio ufficiale in questo senso. Il figlio di Lavalette, che arriva da Roma, va a Parigi per incarico di suo padre a domandare per quest'ultimo il permesso di venire in congedo per alcuni giorni per poter parlare coll'Imperatore e con Thiers. II Marchese di Lavalette sarebbe deciso a dar la sua dimissione se Goyon non è richiamato: esso afferma ch'è urgente la conclusione del noto Trattato ed il ritiro delle truppe. Secondo Vimercati, il Papa partirebbe immediatamente da Roma. Ma questa è una circostanza che giova non prevedere e tacerla. Qui il Re crede di potere indurre Garibaldi a venire alla Camera ed a votare il Trattato. Il Ministero è ancora in formazione e si spera che potrà rassodarsi. Ma perciò è necessario che a Parigi si faccia immediatamente qualche concessione. In questo senso il richiamo di Goyon consoliderebbe il Ministero.
Farini è furioso, a quanto afferma Vimercati, ma questi e Castelli sperano di calmarlo e di indurlo ad avere una conferenza con Rattazzi.
Mi pare d'averti detto tutto. Spero che potrai darmi un cantuccio nel Palazzo della Legazione, cosicché potremo far vita insieme e non sarò costretto a cercare alloggio altrove. Vimercati e Donato ti salutano. Lo stesso fa Espana, che esce ora da me.
P.S.: Vimercati mi prega di dirti che Farini è venuto a Torino e che egli ha promesso di esercitare la sua influenza per calmare i deputati e dar tempo al Ministero di provare coi fatti la sua politica. Arese è a Firenze, Salutami Bixio e Szarvady.
Parigi, 10 marzo 1862
Caro Amico, Ti ringrazio della tua buona lettera del 10 corrente e più della buona notizia, che in essa mi dai, della tua venuta a Parigi. Metto a tua disposizione la Legazione italiana.
Non troverai un bell'appartamento, perché questa povera Legazione si trova in uno stato deplorabile a questo riguardo; ma troverai due stanzine vicino alla mia camera da letto, in cui guarderai d'accomodarti al meglio. Io penserò al servizio, alla tavola, al bucato; cosicché non avrai che a giungere qui coi tuoi bagagli e ti troverai subito sistemato. Spero che ci faremo qui, come a Torino, buona compagnia; e credo che qualche tempo di soggiorno a Parigi sarà utile alla tua carriera e alla tua salute. Per cui poi sarà utilissimo sotto tutti gli aspetti e ne sono proprio contento. Non ti scrivo altro, avendo incaricato Braio (?) di dirti molte cose.
Tuo affezionatissimo Costantino
Torino, 10 marzo 1862
Come ti scrisse il Ministro, il Conte Arese è incaricato di dire all'Imperatore che vogliamo metterci con lui nelle combinazioni che si preparano. Egli è inoltre incaricato di cercare di stabilire qualche accordo pel caso della morte del Papa.
Le notizie di Roma fanno credere prossima questa eventualità. Niun Ministero potrebbe assumersi la grave responsabilità di lasciare ch'essa avvenisse senza avere, per lo meno, tentato di prenderne occasione per far fare un passo alla questione romana. Gli impegni della Francia sono più verso la persona del Papa che verso la istituzione: se ciò non fosse avrebbe a disperarsi di riuscir mai a risolvere la questione romana. Ogni potere elettivo subisce una crisi all'epoca del cambiamento del Sovrano: bisogna approfittarne ad ogni costo, tanto più che a Roma tutto è pronto perché morto il Papa si gridi Viva il Papa. Dopo averci pensato lungamente si venne nel pensiero di proporre di riconoscere il potere temporale limitato al territorio circoscritto alla riva destra del Tevere, il Mediterraneo tra Fiumicino e Porto Clementino, ed i fiumi Vico e Marta. Come vedrai dalla carte che abbiamo dato al Conte Arese questo territorio abbastanza vasto comprende la città Leonina, tutta la provincia di Civitavecchia e gran parte di quella di Corneto. Il paese però è quasi spopolato, cosicché non vi sarebbe che il Trastevere e Civitavecchia che rimarrebbero
soggetti alla dominazione papale. Questo accordo dovrebbe rimaner segretissimo ed in forza di esso le truppe francesi, appena avvenuta la morte del Papa dovrebbero sgombrare tutta la riva sinistra del Tevere, e lasciar le popolazioni libere di esercitare, se lo credono, il suffragio universale. Il nuovo Papa nascerebbe cosi, di fatto, sovrano della Città Leonina e non di tutta Roma.
Mi spiace che non si abbia avuto il tempo di concertare con Te questo progetto. Dubito assai che esso sia accettato. In caso di rifiuto Arese dirà all'Imperatore che saremmo pronti anche ad accettare il progetto Cavour. Se anche questo sarà rifiutato, sarà constatata almeno l'impossibilità dell'accordo, e tutta la responsabilità di quanto potrà accadere all'epoca delle vacanze della Santa sede cadrà su altri che su noi.
Il Conte Pasolini ha espressamente raccomandato ad Arese di accordarsi in tutto con Te. Ma è a desiderarsi che questa missione rimanga segretissima, e perciò sarà bene che tu sia informato di tutto ma finga di credere che Arese non faccia che una corsa di piacere, o d'affari od anche tutt'al più una visita di complimento all'Imperatore.
Arese desidera soprattutto che Vimercati non sappia nulla di nulla. Il Conte Pasolini lo desidera pure. Il solo Conneau conosce il viaggio d'Arese senza sapere però lo scopo.
Ieri anche al Senato fu rimproverato al Ministero di non aver politica estera, d'incrociarsi le braccia. Montanari chiese se si pensa di fare, all'epoca della morte del Papa, e Siotto Pintor annunciò un'interpellanza sulla questione romana. E' d'uopo te lo ripeto, di fare almeno un tentativo. Rattazzi pure ha fatto dire che prepara un discorso su Roma per l'epoca della discussione del Bilancio degli Esteri.
Per tua norma ti dirò che spiacque molto al Ministro che Villa si sia andato a lasciare una carta da visita a Sartiges. Questi, che è tuttora malato, mandò a chiamare Pasolini e gli chiese, con un ingenuità senza pari, che cosa gli avesse portato il Corriere di Gabinetto di cui gli mostrò la carta. Il Conte Pasolini si cavò d'imbarazzo con delle generalità ma fu assai malcontento di ciò.
Nulla di nuovo del resto. Io ho dovuto fare una gita ad Asti per vedere mio fratello malato. Di più sono tormentato dall'emicrania. Dimmi se approvi il doppio tentativo fatto per mezzo di Arese.
P.S.: Per tua norma ti dirò che si é scritto a Pepoli un dispaccio per dirgli che il Governo spera che prima ancora del suo arrivo a Pietroburgo lo Czar avrà fatto ai Polacchi le concessioni chieste dall'opinione pubblica. In caso diverso lo si autorizza a manifestare al Presidente Gorchakoff il desiderio che un atto di generosità dello Czar ponga fine all'insurrezione.
II Prefetto di Nizza minaccia di espellere parecchi nizzardi che hanno conservata la nazionalità italiana e fra gli altri il Deputato Robandi. Sarebbe un vero scandalo.
Ti unisco una sua lettera a me diretta perché Tu veda se puoi impedirlo parlandone a Drouyn de Lhouis ed a Persigny.
Torino, marzo 1862 (martedì)
Carissimo Costantino, non so come esprimerti la mia gratitudine per l'affettuosa Tua lettera. Io desidero assai di venire a Parigi perché in questo tempo di crisi frequenti e tempestose la vita del capo Gabinetto è divenuta molto dura. Inoltre la mia posizione rispetto al Ministro è imbarazzante. L'Opinione e la Perseveranza gli fanno una guerra accanita e non manca chi crede o finge di credere che Io scriva in quei due giornali.
Arese, Borromeo e quasi tutti i miei amici appartengono all'opposizione; Io non posso rimanere loro amico ed essere Capo del Gabinetto.
Ho dunque deciso di ritirarmi ad Asti finché Io possa venire a Parigi. Ma temo che se l'influenza di Carutti gli sopravvive, il povero Fé dovrà sospirare ancora per lungo tempo gli amplessi della moglie. Carutti infatti pare deciso ad impedire l'invio di Fé al Brasile. Nota che Galateri non farebbe difficoltà giacché Egli é già destinato al Perù. Ad ogni modo Io aspetterò che la cosa sia decisa e lascerò il mio posto a chi gode di tutta la fiducia del Ministro.
Un’altra cosa di cui mi duole assai é il rifiuto dato a Sormani di dargli lo stipendio che gli compete. Se Io avessi influenza la eserciterei in favore di lui. Ma non conosco Melegari ed assai poco il Ministro. Fra qualche giorno, quando Carutti se ne sia andato ti potrai forse richiamare l'attenzione del Ministro sull'equità di questo provvedimento.
Il voto di ieri dà al Ministero qualche mese di vita. Esso implica adesione al programma, ma non significa ancora confidenza nelle persone. Nel fatto tutti erano furiosi contro Gallenga, le cui interpellanze inopportune sotto ogni aspetto, furono poi sconvenevolmente acerbe. Perciò moltissimi votarono per l'ordine del giorno senza essere perciò fautori del Ministero.
Pasolini diede la sua dimissione dal posto di Prefetto di Milano. Pare che gli sia stato offerto, o si abbia intenzione dei offrirgli il Ministero dell'Interno. In caso di rifiuto si offrirebbe a Torrearsa il Ministero degli Esteri.
Ho veduto ieri Gropello il quale ritornerebbe a Parigi sotto due condizioni: cioè di essere fatto Consigliere di Legazione ed Ufficiale di San Maurizio. Non vi sarebbe difficoltà per la seconda; ma non so se la prima sia possibile.
Addio Tuo affezionatissimo amico Artom Salutami Fé, Sormani, Incontri, Boyl etc.
Torino, 4 aprile 1862
Ho ricevuto soltanto ieri l'altro la lettera ufficiale con cui mi si annuncia la mia destinazione a Parigi, e venni tosto a chiedere al Generale Durando ed al Comm. Melegari se desideravano che Io partissi tosto per Parigi. Ambedue mi dissero gentilmente che mi lasciavano in libertà di mettermi ai tuoi ordini e di considerarti sin d'ora come il mio superiore diretto. Io ti prego quindi di dirmi se tu credi necessario che Io parta fra pochi giorni, oppure se posso senza inconvenienti passare qualche tempo in Asti con mia madre. Se Fé non partisse subito, o se Incontri fosse disposto a fare per qualche settimana le funzioni di Primo Segretario, Io ti pregherei di concedermi d'indugiare la mia partenza sin verso la fine del mese. Te ne dirò le ragioni. Vorrei condurre mia madre a Pavia, a consultare il Dottore Quaglino per un mal d'occhi di cui ella soffre da qualche mese; inoltre vorrei correggere con Blanc e sottoporre al Ministro od al Segretario Generale le prove di stampa della raccolta dei discorsi del Conte che noi stampiamo a Parigi. Lo scandalo prodotto dalla pubblicazione di Berti mi aveva quasi indotto a rinunciare al nostro disegno.
Ma Bixio, Minghetti, Castelli insistettero tanto che firmai, prima che fosse decisa ufficialmente la mia destinazione a Parigi, il contratto con Hetzel. Ora Io desidero naturalmente di prendere tutte le precauzioni necessarie per non mettermi in una falsa posizione così a Parigi come a Torino. Per l'introduzione generale, avendola già fatta leggere a Te, a Carutti, a Ricasoli, ecc. posso sperare che non vi sia nulla di sconvenevole. Ma oltre a ciò, per consiglio di Bixio, abbiamo fatto precedere ciascuno dei più importanti discorsi da un riassunto storico della questione. E' d'uopo che io riveda anche questi e che mi assicuri ch'essi non contengono nulla di meno adatto alle presenti circostanze. A questo proposito rammenterai che Szarvady m'aveva pregato di comunicargli qualche giorno prima che il libro sia messo in vendita, l'Introduzione da me fatta. Se tu credi che non ci sia ostacolo potresti dirgli di rivolgersi ad Hetzel, di cui suppongo sia amico come lo è Bixio. Altrimenti potresti far ritirare tu stesso da Hetzel e dare a Szarvady la prova di stampa. Nel caso poi che Tu credessi meno opportuna la stampa dell'introduzione nell'Independance, cerca Tu di svincolarmi dalla promessa che ho data a Szarvady, assai tempo prima che Io potessi sperare di venire teco a Parigi.
Come vedi abuso anticipatamente della tua gentilezza ed aggiungo ai doveri ufficiali che m'incombono d'ora innanzi, altri, non meno cari e più sacri, dell'amicizia. Abbi la bontà di rammentarmi a Sormani, Incontri, Boyl, Alberti, Perrod, etc.
Parigi, 16 settembre 1862
Caro amico, Ti son debitore di molte lettere. Ma sapendoti fuori da Torino, ho tardato a scriverti, per lasciarti godere in pace del tuo congedo. Benché Visconti (Emilio Visconti Venosta Ministro Esteri ndr) mi abbia cortesemente permesso di approfittare del mio (congedo ndr), ne ho ben pensato, seguo il tuo consiglio, e non verrò in Italia. Fammi il favore di dirglielo. Non voglio che la mia assenza serva di pretesto ai giornali dell'opposizione per criticare il Ministero e me. Andrò a passare qualche giorno ad Aix (Aix Les Bains ndr), per rimettermi in salute, e più tardi, se sarà possibile, andrò in Italia. Io desidero vivamente che tu possa ritornare presso di me, almeno per l'inverno. Scrissi in questo senso a Visconti che te ne avrà parlato. Guarda di farlo.
Ora ti prego d'un favore. Mandami due esemplari della pubblicazione fatta non so se a Firenze o a Milano o a Torino del processo della Monaca di Monza.
Ti sarei grato se potrai mandarmelo, con qualche sollecitudine, anche per la posta, quella pubblicazione. Voglimi bene. Tuo aff.mo Costantino
Artom è Capo di Gabinetto del Ministro degli Esteri Visconti Venosta
Asti, dicembre 1862
Ho impiegato i due giorni di venerdì e di sabato a parlar lungamente con Farini, Minghetti, Pasolini, Borromeo e Castelli, ed ora ti scrivo da Asti ove venni per abbracciare mia madre e passar la domenica.
Eccoti qual è la mia impressione generale. Il Gabinetto precedente era caduto in tal discredito, che, per ora almeno, i nuovi Ministri non troveranno alcuna opposizione. Temo anzi che debba accadere un vero baiser Lamourette (tentativo di riconciliazione ndr) fra tutti i partiti, e che un'effimera ed insipida unanimità impedisca la pronta riorganizzazione d'una vera maggioranza. Boggio, La Farina, e Bottero, i tre più caldi difensori del Gabinetto Rattazzi hanno già fatto i primi passi per un dietrofront, e lo stesso Diritto dice che la sua opposizione cesserà finché i Ministri resteranno sul terreno della legalità costituzionale. Prima ancora che Io avessi parlato con Pasolini e gli avessi consegnato il tuo dispaccio egli aveva fortemente insistito presso i Ministri affinché il programma ministeriale fosse eccessivamente riservato sulla politica estera. Infatti, benché un po' ampolloso nella forma, il discorso di Farini è assai riservato nella sostanza. Il paese non solo tollera ora ma approva apertamente questa riserva, e questo è un gran progresso. Possiamo sperare che per alcuni mesi almeno si cesserà dall'incalzare il Governo sulla questione romana, e questo è appunto quello che tu ed Io abbiamo desiderato.
Pasolini è pienamente d'accordo con noi nel non far nulla per ora rispetto a Roma. Egli non crede possibile nemmeno di intavolare negoziati colla S. Sede ed in ciò Io sono perfettamente del suo avviso. Per quanto spetta la politica Tu puoi dunque essere perfettamente tranquillo. Gli dissi che Tu mettevi a sua disposizione il posto di Parigi: egli mi rispose che contava sulla tua cooperazione e che ti avrebbe pregato di rimanere. Allora Io gli suggerii di scriverti due righe di suo pugno; ed Egli promise che lo avrebbe fatto. Aggiunsi che tu eri pronto a venire a conferire con lui se lo credeva necessario. Egli osservò che v'era tale accordo fra le sue idee e quelle da te esposte nel tuo rapporto che una tua gita a Torino sarebbe ora perfettamente superflua. Dissi ad Arese che tu avresti veduto con piacere ch'Egli venisse a Parigi per esaminare la situazione, ecc. Egli mi rispose che ti ringraziava, ma che non sarebbe andato a Parigi, sia con missione sia senza incarico, che nel caso in cui l'Imperatore gliene avesse dimostrato il desiderio. Finalmente per finire di dirti tutto quello che vi può essere di roseo nello stato attuale delle cose, aggiungerò che Minghetti è pieno di coraggio, ch'egli spera di protrarre il prestito sino al Marzo od all'Aprile, e ch'egli è disposto a fare cessare, quando Tu lo desideri, le difficoltà che si opponevano da Sella alla conclusione definitiva del Trattato di Commercio colla Francia.
Ora vengo alle tinte oscure all'orizzonte. In primo luogo S.M. ha ingoiato alcuni degli attuali Ministri, non li ha digeriti; questa espressione energica appartiene a Cialdini, e dipinge assai bene come stanno le cose. E' vero però che Rattazzi, negli ultimi giorni, perdette il cervello, rimproverò acerbamente S.M. di non volere acconsentire allo scioglimento della Camera, e finì per scrivergli una lettera impertinente. Ma questo dispetto amoroso durerà a lungo? Sapranno i nuovi Ministri approfittarne? Certo che faranno il possibile per tentarlo, ma non so se ci riusciranno giacché bisognerebbe perciò cambiare interamente l'entourage di S.M. Ad ogni modo Io ho posto in avvertenza Pasolini e Minghetti su questo punto e non cesserò di fare lo stesso anche cogli altri.
Un'altra difficoltà assai grave consiste nella condizione fisica e morale di Farini. Egli non è guarito, ma crede d'esserlo e s'offende quando qualcuno gli raccomanda di badare alla sua salute. Egli s'impadronì delle sale di ricevimento degli Esteri, vuole impiantarvi un ufficio della Presidenza, con segretario generale, particolare, ecc. e costrinse Pasolini a stabilirsi nelle sale del Ministero dell'Interno. La Presidenza diventa così non più un ufficio meramente onorifico, ma un grave intoppo agli altri Ministeri soprattutto a quello degli Esteri. Io temo che, presto, o Farini ricadrà gravemente malato o Pasolini sarà in una condizione affatto intollerabile. Ciò può recare una crisi, e fa nascere sin d'ora dei gravi imbarazzi. Io credo bene di avvertirtene in confidenza affinché tu sappia sin d'ora con esattezza ciò che può costituire il germe di complicazioni ulteriori.
Quanto a me ho dovuto cedere alle gentili preghiere di Pasolini ed acconsentire a rimanere provvisoriamente a Torino, per prestare a lui ed a Visconti Venosta il mio concorso. Però dichiarai che desideravo conservare il posto di Primo Segretario a Parigi, e che vi sarei ritornato appena il Ministro ed il Segretario generale avessero acquistato pratica sufficiente dei diversi rami di servizio. Se tu lo credi necessario, ti farò scrivere da Cravosio per interpellarti sulla necessità di mandare un altro in mia vece, ed Io ti sarò oltremodo riconoscente se Tu vorrai scrivere al Ministero che per qualche tempo tu puoi far senza un altro Primo Segretario. Ho detto a Pasolini che credevo inutile di mandare una Circolare diplomatica e che la semplice trasmissione del programma mi pareva sufficiente. Egli vorrebbe che si aggiungesse qualche frase: io ti mando qui un brouillon (bozza ndr) che contiene un periodo o due di più. Se credi che le frasi che Io propongo siano convenienti, mandami martedì un dispaccio diretto a me a Torino, con queste parole: Notre ami va bien. Se sei di parere di limitarsi ad una trasmissione pura e semplice, scrivimi: Notre ami va mal.
Naturalmente né Pasolini né altri saprà che Io ho chiesto i tuoi consigli.
Dovendo servirmi della posta, mando questa lettera a Sormani affinché la dia a te. Spero di non commettere un'imprudenza facendo in tal modo. Il bollo della posta d'Asti mi pare una sufficiente garanzia. Se dal canto tuo vuoi scrivere a me per la posta, puoi mettere la lettera suggellata sotto involto all'indirizzo di Blanc, oppure di Peirolleri il cui nome è certamente ignoto a Parigi. Artom
Nigra è Ministro Plenipotenziario a Parigi
Parigi, 17 dicembre 1862
Pasolini mi ha scritto una lettera molto graziosa a cui risponderò domani dopo che avrò visto Drouyn de Lhuys. Sono molto lieto che il programma e le intenzioni del nuovo Gabinetto concordino con quanto ho scritto e con quanto hai detto per parte mia. È per noi della più grande importanza che lasciate per ora sospese le negoziazioni sulle questioni estere, otteniamo un successo nelle questioni interne che sono principalmente due, le finanze, e l'estirpazione del brigantaggio.
La persuasione che noi non possiamo pacificare Napoli acquista terreno in Francia. Oggi ancora dobbiamo segnalare una defezione importante nella persona di Saint Mare Girardin. Se Peruzzi ottiene presto risultati della sua attività l'estirpazione del brigantaggio, avrà fatto progredire le nostre questioni estere più che tutte le Circolari, e tutte le Note.
Ti ringrazio della tua buona lettera e del progetto di Circolare mandatomi: approvo il linguaggio proposto e nel fondo e nella forma. È buon segno che il Paese approvi la riserva del programma di Francia nelle questioni estere. Esso pure fa buon effetto.
La Camera renderà un immenso benefizio al paese occupandosi esclusivamente delle questioni interne.
Non credi che il tempo sia venuto di mettere a carico dei comuni, complici del brigantaggio, delle colonne mobili?
Questa misura è la sola che sia riuscita sotto Murat e più recentemente in Algeria. Non bisogna indietreggiare dinnanzi ai partiti severi; giacché è proprio il caso di dire che si tratta per noi d'una questione di vita o di morte.
Fammi pure scrivere da Cravosio nel senso da Te indicato pel posto di primo Segretario a Parigi. Risponderò che per ora posso fare senza primo Segretario. Salutami Visconti Venosta. Nigra
PS: pel Trattato di Commercio farò un rapporto al Ministero
Torino, 18 dicembre 1862
Carissimo Costantino, Ti mando per mezzo di Noja una corrispondenza fatta da Blanc sulla condizione del paese. Se lo credi consegnala a Szarvady facendogli i miei saluti. Essa contiene troppe frasi, ed é più un articolo che una corrispondenza; tuttavia mi sembra che, modificata come parrà a Te, possa servire di commento al programma del Ministero. Quando sia più netta la situazione ne farò fare un'altra pei Debats.
Come sai Lamarmora rimane a Napoli. Esso è amicissimo di Pasolini ed era già da molto tempo poco favorevole al Ministero Rattazzi. Questi aveva perduto affatto la testa e si é messo in brouille (litigio ndr) persino col povero Castelli !! Ma di ciò non far molto col tuo Consigliere Onorario!
Erano preoccupati dell'affare dei fucili spediti dalla Russia in Serbia. Kossuth pretende che c'é sotto la mano dell'Imperatore. Dimmi, se lo puoi, se ne sai qualche cosa. Salutami Sormani ed Incontri e credimi Tuo affezionatissimo Artom
PS: Sartiges (ambasciatore di Francia a Torino ndr) ne ha fatta una grossa. Ieri invitò a pranzo Melegari, Rattazzi e Brassier !! Il poverino non sa che Brassier è tutt'altro che Rattazziano. Niuno dei Ministri fu invitato.
Torino, 27 dicembre 1862
Ho tardato a rispondere all'ultima tua per poterti dare l'annunzio dell'invio del buvard (carta assorbente ndr), raccomandato dalla Contessa Vimercati. Ma finora nessun buvard fu spedito al Ministero degli Esteri, ed Io te ne avverto perché non si dia colpa a me dell'indugio.
Le voci di crisi ministeriale circolarono infatti ed hanno origine dalla malferma condizione di salute di Farini. È noto inoltre che Farini non accettò che temporaneamente: ed il terzo partito mette innanzi questi due motivi per far credere ad una prossima crisi. Senza volerti dare delle assicurazioni troppo positive, ti dirò che per ora almeno Io non credo che ci sia da temere una nuova crisi.
La voce dell'invio di Lamarmora a Parigi è nata da ciò che si suppone che Egli non voglia più rimanere a Napoli, e che il Ministero per tenerselo amico, sia disposto ad acconsentire a qualunque sua domanda. Avrai veduto che l'Opinione smentisce quella notizia. Ora ti dirò che Io metto innanzi l'idea di mandar Lamarmora a Pietroburgo: temo però ch'egli non accetti.
Quanto a Parigi Io spero che le cose potranno rimanere come sono.
Ho dato a Spaventa la tua lettera circa i due Sindaci.
Fammi il favore di dire a Sormani che il Ministero non ha fatto ancora alcuna nomina di personale. Però è certo che si dovrà mandare a Pietroburgo un Ministro, e che perciò è impossibile che Oldoini rimanga lungamente colà.
Perdonami se ti rammento la commissione che ti ho lasciata per Conneau rispetto al mio libro.
So che il Ministro ti scrive rispetto all'affare Willisen. Quando avrò qualche occasione, ti scriverò più a lungo sulla situazione. Artom
P. S. - Sono false tutte le voci corse di dissensi fra i Ministri circa la questione romana. Peruzzi, Minghetti, Pasolini, Farini sono tutti d'accordo nel non far nulla per ora su questo argomento.
Torino, 29 dicembre 1862
Spero avrai ricevuto le poche righe che ti scrissi in fretta ieri l'altro. La situazione non è cambiata: ma Pasolini si è finalmente deciso a spedire la Circolare di cui ti avevo mandato il primo abbozzo che subì molte variazioni.
Minghetti, Peruzzi e Pasolini stesso vollero che fosse meno incolore: vi si inserirono quindi alcune frasi ronflantes (altisonanti ndr), le quali non impediscono ch'essa non contenga altro che insignificanti generalità. Pasolini volle che la Circolare portasse la data del 20 dicembre e desidera ch'essa sia pubblicata subito nei Débats o nell'Indépendance Belge. Inoltre egli la farà comunicare domani a Gallenga, cosicché se vuoi fartene un merito con Bertin o con Szarvady non hai a perder tempo.
Conseguenza logica dell'invio della Circolare è che Pasolini almeno per ora non pensi ad abbandonare il Ministero.
Farini pare stia meglio ora, e Lamarmora, a quanto mi disse Peruzzi, rimarrebbe a Napoli ancorché l'amministrazione civile gli fosse tolta ed affidata ad altri, forse a Ricasoli. Nulla v'è dunque da temere rispetto a Parigi.
Buoncompagni venne alcuni giorni fa a dirmi che essendo Egli incaricato dal Governo di fare l'edizione completa delle opere di Rossi, vorrebbe, per evitare di recarsi a Parigi, che tu cercassi di mettere d'accordo coll'Editore Guillaumin il figlio del conte Rossi che sta a Parigi ed il sig. Porée. Buoncompagni chiese a Pasolini che tu fossi ufficialmente incaricato di fare il contratto col Guillaumin.
Finora non credo che Pasolini abbia preso alcuna determinazione in proposito, ma Io te ne avverto affinché, ove tu non voglia avere questa noia, mi dica in qual modo possa evitartela. Finora nessun buvard (carta assorbente ndr) per la Principessa Matilde fu presentato al Ministero degli Esteri. Ti mando quattro copie del fascicolo V delle tue canzoni popolari, di cui tuo suocero mi raccomandò l'invio a Parigi. Artom
Asti, dicembre 1862
Ho impiegato i due giorni di Venerdì e di sabato a parlar lungamente con Farini, Minghetti, Pasolini, Borromeo e Castelli, ed ora ti scrivo da Asti ove venni per abbracciare mia madre e passar la Domenica.
Eccoti qual'é la mia impressione generale. Il Gabinetto precedente era caduto in tal discredito, che, per ora almeno, i nuovi Ministri non troveranno alcuna opposizione. Temo anzi che debba accadere un vero baiser Lamourette (tentativo di riconciliazione ndr) fra tutti i partiti, e che un'effimera ed insipida unanimità impedisca la pronta riorganizzazione d'una vera maggioranza.
Boggio, La Farina e Bottero, i tre più caldi difensori del Gabinetto Rattazzi hanno già fatto i primi passi per un retrofronte, e lo stesso Diritto dice che la sua opposizione cesserà finché i Ministri resteranno sul terreno della legalità costituzionale.
Prima ancora che Io avessi parlato con Pasolini e gli avessi consegnato il tuo dispaccio Egli aveva fortemente insistito presso i Ministri affinché il programma ministeriale fosse eccessivamente riservato sulla politica estera. Infatti, benché un po' ampolloso nella forma, il discorso di Farini è assai riservato nella sostanza. Il paese non solo tollera ora ma approva apertamente questa riserva, e questo è un gran progresso. Possiamo sperare che per alcuni mesi almeno si cesserà dall'incalzare il Governo nella questione romana, e questo è appunto quello che tu ed io abbiamo desiderato.
Pasolini è pienamente d'accordo con noi nel non far nulla per ora rispetto a Roma. Egli non crede possibile nemmeno di intavolare negoziati colla Santa Sede ed in ciò Io sono perfettamente del suo avviso. Per quanto spetta la politica Tu puoi dunque essere perfettamente tranquillo. Gli dissi che tu mettevi a sua disposizione il posto di Parigi; Egli mi rispose che contava sulla tua cooperazione e che ti avrebbe pregato di rimanere. Allora Io gli suggerii di scriverti due righe di suo pugno ed Egli promise che lo avrebbe fatto. Aggiunsi che tu eri pronto a venire a conferire con lui se lo credeva necessario. Egli osservò che v'era tale accordo fra le sue idee e quelle da Te esposte nel tuo rapporto che una tua gita a Torino sarebbe ora perfettamente superflua. Dissi ad Arese che Tu avresti veduto con piacere ch'egli venisse a Parigi per esaminare la situazione, etc. Egli mi rispose che ti ringraziava, ma che non sarebbe andato a Parigi, sia con missione, sia senza incarico, che nel caso in cui l'Imperatore gliene avesse dimostrato il desiderio. Finalmente, per finire di dirti tutto quello che ci può essere di roseo nello stato attuale delle cose, aggiungerò che Minghetti è pieno di coraggio, ch'egli spera di protrarre il prestito sino al Marzo od all'Aprile, e ch'Egli è disposto a fare cessare, quando tu lo desideri, le difficoltà che si opponevano da parte di Sella alla conclusione definitiva del Trattato di Commercio colla Francia.
Ora vengo alle tinte oscure dell'orizzonte. In primo luogo Sua Maestà ha ingoiato alcuni degli attuali Ministri, non li ha digeriti; questa espressione energica appartiene a Cialdini e dipinge assai bene come stanno le cose. Gli è vero però che Rattazzi, negli ultimi giorni, perdette il cervello rimproverando acerbamente S.M. di non volere acconsentire allo scioglimento della Camera, e finì per scrivergli una lettera impertinente. Ma questo dispetto amoroso durerà a lungo? Sapranno i nuovi Ministri approfittarne? Certo che faranno il possibile per tentarlo, ma non so se ci riusciranno giacché bisognerebbe perciò cambiare interamente l'entourage di S.M.
Ad ogni modo io ho posto in avvertenza Pasolini e Minghetti su questo punto e non cesserò di fare lo stesso anche cogli altri.
Un'altra difficoltà assai grave consiste nella condizione fisica e morale di Farini. Egli non è guarito, ma crede d'esserlo e s'offende quando alcuno gli raccomanda di badare alla sua salute. Egli s'impadronì delle sale di ricevimento degli esteri, vuole impiantarvi un ufficio della Presidenza, con segretario generale, particolare, etc. e costrinse Pasolini a stabilirsi nelle sale del Ministero dell'Interno. La presidenza diventa così non più un ufficio meramente onorifico, ma un grave intoppo agli altri
Ministeri soprattutto a quello degli Esteri. Io temo che presto o Farini ricadrà gravemente malato o Pasolini sarà in una condizione affatto intollerabile. Ciò può recare una crisi, e fa nascere sin d'ora dei gravi imbarazzi. Io credo bene di avvertirtene in confidenza affinché tu sappia sin d'ora con esattezza ciò che può costituire il germe di complicazioni ulteriori.
Quanto a me ho dovuto cedere alle gentili preghiere di Pasolini ed acconsentire a rimanere provvisoriamente a Torino per prestare a lui ed a Visconti Venosta il mio concorso. Però dichiarai che desideravo conservare il posto di Primo Segretario a Parigi e che vi sarei ritornato appena il Ministro ed il Segretario generale avessero acquistato pratica sufficiente dei diversi rami di servizio. Se Tu lo credi necessario, ti farò scrivere da Cravosio per interpellarti sulla necessità di mandare un altro in mia vece, ed Io ti sarò oltremodo riconoscente se tu vorrai scrivere al Ministero che, per qualche tempo, Tu puoi far senza d'un altro Primo Segretario.
Ho detto a Pasolini che credevo inutile di mandare una circolare diplomatica e che la semplice trasmissione del programma mi pareva sufficiente. Egli vorrebbe che si aggiungesse qualche frase: Io ti mando qui un brouillon (bozza ndr) che contiene un periodo o due di più. Se credi che le frasi che io propongo siano convenienti, mandami martedì un dispaccio, diretto a me a Torino, con queste parole: Notre ami va bien (il nostro amico sta bene ndr). Se sei di parere di limitarsi ad una trasmissione pura e semplice, scrivimi Notre ami va mal (il nostro amico sta male ndr). Naturalmente né Pasolini né altri saprà che Io ho chiesto i tuoi consigli.
Dovendo servirmi della posta, mando questa lettera a Sormani affinché la dia a Te. Spero di non commettere un'imprudenza facendo in tal modo. Il bollo della posta d'Asti mi pare una sufficiente garanzia. Se dal canto tuo vuoi scrivere a me per la posta, puoi mettere la lettera suggellata sotto involto all'indirizzo di Blanc, oppure di Peirolleri il cui nome è certamente ignoto a Parigi.
Spero che vorrai conservarmi quella fiducia di cui mi desti prova a Parigi ed Io credo che i nostri rapporti confidenziali gioveranno meglio d'ogni altra cosa al buon andamento del servizio. Mi lusingo di potere in un mese o due liberarmi dal Gabinetto e ritornare a godere della tua amichevole ospitalità.
Parigi,11 gennaio 1863
La Circolare fu approvata qui non solo dai nostri amici, ma dal Governo. È ferma e temperata. Io non posso fare a meno d'impegnarvi vivamente a proseguire in questa condotta e in questo linguaggio.
Per Pietroburgo mi pronunzio senza esitare in favore di Pepoli: oltre alle ragioni che tu non mi dici ve n'è una grave: non è Piemontese. Però prima di pigliare una determinazione ricordatevi di domandare il gradimento dello Czar. È un riguardo consacrato dalla convenienza e dalla consuetudine.
Ho avuto in questi giorni una conferenza con Morny. L'ho pregato di esporre all'Imperatore i pericoli della situazione attuale, e la necessità di non scoraggiare il partito liberale. Gli dissi che il Governo del Re era deciso a seguire la politica di raccoglimento e di ordinamento interno contenuta nel suo programma, ma che per poterlo fare aveva bisogno di sapere se poteva confidare, sì o no, nel sentimento intimo dell'Imperatore.
Morny mi scrive ora un biglietto qui unito che ti prego di rimandarmi. Come conciliare queste assicurazioni col discorso di apertura di domani? Veramente sarebbe cosa difficile per chi non conoscesse il fare dell'Imperatore.
Per me rimane che l'Imperatore ritornerà a noi, se sapremo ordinare discretamente le cose nostre. È un adoratore del successo. Ora l'opinione ci è contraria, almeno in Francia, e quindi ci lascia nell'imbarazzo.
Tentiamo di modificare da noi stessi questa posizione, e l'avremo di nuovo favorevole.
Spero che riusciremo a far togliere dal discorso la frase austriaca; ma non ne son sicuro; perché Drouyn de Lhuys vorrebbe assicurarsi l'azione dell'Austria per indurre il Papa alla riforma, e più tardi ad un accomodamento. Nigra
Torino, gennaio 1863
Il Ministro m'incarica di scriverti circa l'affare di Baden. Ecco in poche parole di che si tratta. Sai che fu ammesso, con patente del Re d'Italia, un Console nostro a Mannheim, e fin d'allora s'era sparsa voce nei giornali del riconoscimento dell'Italia da parte del Granduca. In seguito a ciò Melegari fece stanziare nell'Appendice del Bilancio una somma per una Legazione presso una Corte Germanica. Più tardi Oldoini, probabilmente nell'intento di farsi un piccolo nido, parlò del riconoscimento coll'erede presunto del Granducato, sposo della figlia della Duchessa di Leuchtemberg. Trovò, a quanto disse, ottime disposizioni. Ora il Ministro desidera che tu cerchi d'appurare quanto v'è di vero in ciò, parlandone in modo affatto riservato a M. Schweizer, Ministro di Baden a Parigi, e dicendogli che ove la proposta fosse bene accolta, il Governo italiano stabilirebbe colà un Incaricato d'Affari od un Ministro residente ad accogliere l'erezione d'una Legazione badese a Torino. La cosa vorrebbe essere colorita colla necessità di stabilire buoni rapporti commerciali fra l'Italia e la Germania meridionale, ferrovie Luckmaner ecc. ecc.
Dal nostro lato la cosa avrebbe un certo interesse per più ragioni. In primo luogo sarebbe una piccola soddisfazione data all'opinione pubblica. Da più mesi la nostra causa non fa alcun progresso visibile: questo ne sarebbe uno, piccolo invero, ma pur qualche cosa. Inoltre la mancanza di corrispondenza da Vienna e da Monaco si fa sentire assai e la Legazione di Baden vi supplirebbe. Infine l'esempio del Baden potrebbe forse trascinar seco più tardi il Wurstemberg o la Sassonia e ciò sarebbe importante.
E per ultimo si avrebbe modo di soddisfare le esigenze dei diplomatici di carriera i quali s'arrabbiano vedendosi portar via da uomini politici le principali Legazioni.
Pare al Ministro ed a me che giovi assai più far questo tentativo a Parigi per mezzo tuo che a Francoforte per mezzo di Barral: perché il Ministro del Baden a Francoforte esiterà certo a tirarsi addosso il corruccio dei suoi colleghi d'Austria e Baviera. Però, se tu credi il contrario o se i tuoi rapporti collo Schweizer non te lo permettono, si tenterà l'altra via o si smetterà affatto il pensiero.
Addio: manda subito a Szawady una corrispondenza che ti spedisco sullo splendido risultato della sottoscrizione pel brigantaggio. Artom
P. S. - Se lo Schweizer obbietta che il Baden non ha fondi per stabilire la Legazione a Torino, potresti proporgli di farsi accreditare egli stesso a Torino come il Kalergi.
Torino, 8 gennaio 1863
Caro Costantino, Pasolini non ha tempo di scriverti egli stesso e m'incarica di rispondere per lui alla lettera che gli hai indirizzata circa l'affare dei buoni del Tesoro. Eccoti letteralmente in qual modo Minghetti risponde alla tua lettera di cui gli fu data comunicazione.
"D'ora in poi le tratte saranno dirette al Console Cerruti e non all'Ambasciatore. Dunque non occorre impiegato."
Del resto questa stessa misura non é che temporanea perché esauriti i contratti vigenti non si farà più nessun contratto sotto questa forma.
II Ministro trattiene qui Villa ancora alcuni giorni perché vuol rispondere a lungo Egli stesso alle tue lettere e non ne ha mai tempo. Io ho rimesso in campo il tuo progetto sui Corrieri. Visconti e P.ini paiono propensi a proporlo alla Camera. Ma non so se riusciremo. Già saprai della nomina di Usedom in luogo di Willisen a Torino.
Ti scriverò anch'io a lungo per mezzo di Villa. Aspettiamo con ansietà il dispaccio che annunci la firma del noto documento. Avemmo a sormontare un'acerba opposizione per parte del M. o di Marina.
Come hai trovata la circolare? Come si parla di noi? Fra Cugia e Pepoli chi preferiresti per Pietroburgo? Io propendo pel secondo, benché forse meno abile del primo; ma ci sono altre ragioni. Scrivimi ti prego il più presto possibile su tutto ciò ed ama il tuo Artom
Torino, 13 gennaio 1863
Carissimo Costantino, Ti ringrazio della tua lettera e ti restituisco il biglietto di Minghetti. Caicedo fu fatto ufficiale. Cercherò che anche Delessert sia Cavaliere.
Pasolini ti scriverà lungamente domani e posdomani per mezzo di Villa.
In generale siamo di malumore. Tu ne sai le ragioni. Ricci si ritira perché non fu rieletto nel primo scrutinio. In realtà é, come tutti i genovesi, avversassimo alla nota stipulazione.
Rimasi meravigliato sentendo circolare la voce della cessione di Malta. E' una frottola messa in circolazione da Ganesco, e, per ora almeno, non ha alcuna probabilità.
Spero d'emporter l'affare dei Corrieri. Ma tu non hai idea della grettezza che prevale nei Membri della Commissione del Bilancio. Fanno colpa al Ministero degli Esteri ed alla Diplomazia di non avere sciolte le due grandi questioni di V. e di R. ! E perciò vorrebbero togliere gli assegni di rappresentanza alle Legazioni, diminuire i Consolati ecc.!
Il Ministro di Portogallo è disperato perché non riceve una cassetta contenente due G.C.ni pei principi Umberto ed Amedeo. Egli afferma che questa cassetta deve esserti stata consegnata da Paiva, e ti prega, se ciò è vero, di fargliela spedire immediatamente a grande velocità.
Addio mio caro. Vivevo molto più lieto e tranquillo presso di te e desidero di ritornare il più presto possibile a godere della tua ospitalità. Puoi dire al Console che ho ottenuta la croce pel Galletti.
Salutami Sormani, Incontri, Boyl e gli altri e credimi Tuo Artom.
Parigi, 17 gennaio 1863
Ti mando, in via riservatissima, perché nella stessa via riservata tu ne faccia partecipe il conte Pasolini, quanto ho saputo intorno al viaggio del Generale Turr[24] a Parigi. L'Imperatore non lo ha ricevuto. Ma il generale, per mezzo di Conneau, fece domandare all'Imperatore, da parte del Re, se era disposto a ripigliare il progetto Cavour su Roma. L'Imperatore gli fece rispondere, consigliando che per ora non si sollevasse la questione, che si continuasse nella calma relativa in cui pare che trovasi ora l'Italia, che intanto il Governo francese farebbe tentativi per ottenere la riforma del Papa, che, ciò ottenuto, le truppe francesi comincerebbero ad evacuare Roma e ritirarsi nei dintorni e a Civitavecchia, e poi si vedrebbe se si potrebbe ripigliare il progetto Cavour; che, quanto a Francesco II, l'Imperatore non poteva cacciarlo con i suoi gendarmi; che avrebbe continuato a consigliare all'ex Re di abbandonare l'Italia; che, ove la Corte di Roma non rispondesse a questi ultimi tentativi di conciliazione, l'Imperatore si dirigerebbe al Governo italiano per trattare con lui. Queste cose mi furono dette dallo stesso Generale Turr. Le assicurazioni dell'Imperatore, anche quando non siano state esagerate, non mutano, come ben vedi, la posizione.
La quale perciò rimane con tutta la sua gravità.
Io ho detto al Generale Turr che dicesse al Re, che non si faccia illusione sul vero stato delle cose. È possibile che la presente tendenza clericale produca tra non molto un mutamento nell'animo dell'Imperatore. Ma finora non ne vedo i sintomi. L'Imperatore non lascerà Roma, se non quando il Papa vi possa rimanere tranquillo, e abbia dato il suo consenso, ovvero quando tutti gli sforzi di conciliazione saranno stati esauriti. L'uno e l'altro caso suppongono un lasso di tempo considerevole, durante il quale si deve vivere e governare. Ho detto poi al Generale che dicesse anche al Re che il miglior modo di fare sì che l'Imperatore torni a noi, è di badare a migliorare la condizione interna, e di astenersi dal venire a domandargli ad ogni momento, e con ogni mezzo, che lasci Roma.
Una condotta indipendente e dignitosa da parte del Re e del suo Governo verso l'Imperatore è il solo modo utile di procedere.
Fammi il favore di dire a Pasolini che tenga per sé queste cose, la cui notizia è utile per norma della sua condotta. Assicuralo poi, che ogni sintomo di mutazione che per avventura si manifestasse nell'Imperatore, gli sarà da me notificato. Ma per ora, ti ripeto, la posizione non è cambiata. Nigra
Paris, 23 gennaio 1863
Caro amico, mandami un dispaccio, ch'Io possa mostrare, contenente la proposta da inserire nel Trattato, le clausole di diritto internazionale di cui mi parli nella tua del 20 corrente. Vedremo se è possibile d'ottenere l'intento.
Quanto all'abolizione dei passaporti abbiamo trovato sinora, nel Prefetto di Polizia, un ostacolo insormontabile. Ma rinnoverò l'istanza.
Ricevi i cordiali saluti che ti manda in fretta il Tuo affettuosissimo C. Nigra
Torino, 28 gennaio 1863
Blanc (Alberto Blanc segretario particolare del Ministro degli Esteri Emilio Visconti Venosta ndr) desidera che Io ti rammenti il suo nome pel caso fosse possibile di procurargli la Legion d'Onore in occasione del Trattato. Egli dispera d'ottenerla per mezzo del Principe, e ci tiene molto. Io gli feci osservare quante esigenze ci sono, com'è difficile che tu possa tener conto della sua domanda ecc. ecc.- Ma per scarico di coscienza debbo eseguire la commissione.
Ho perduta la noticina che mi hai dato pel Delessert. Fatami perciò il favore di darmene di nuovo il nome esatto.
Il Ministro é alla Camera e non ha tempo di scriverti. L'affare Christen ci ha dato delle noie fin sopra i capelli.
Abbi la bontà di far mandare l'unito piego a quel noiosissimo Pagliari.
P.S. Il Generale Ricci, Direttore dell'Ufficio dello Stato Maggiore, mi chiese conto d'un Album della Guerra d'Italia che il Generale Blondel afferma avergli mandato per mezzo della Legazione nel dicembre scorso. Ne sai tu qualche cosa?
La Commissione della Camera vuol cassare le 12m. dell'Addetto Militare. Tuo Artom
Torino, 8 febbraio 1863
Ho parlato ieri a lungo con Vimercati e siccome il Ministro non può scriverti oggi, ti scrivo Io due righe non in di lui nome, ma per comunicarti le mie impressioni.
Vimercati parla in modo assai scoraggiante. Egli crede di vedere in Luigi Napoleone i sintomi d'un affaissement (affaticamento ndr) fisico e morale, che non lascia sperare una reazione prossima contro le influenze che predominano attualmente. Egli dice che i nostri nemici traggono dalla pace e dal silenzio serbati in Italia un argomento di trionfo. Bastò destituire Thouvenel, Benedetti e Lavalette, dicono essi, perché fosse palese quanto la rivoluzione sia fittizia in Italia, quanto poco vivo sia in realtà il desiderio d'aver Roma, ecc. Vimercati consiglia perciò: 1° di far proporre dalla Commissione del brigantaggio delle misure energiche contro i rifugiati borbonici, sequestri confische ecc. ecc.; 2° di lasciar libero corso a dimostrazioni in Roma. La prima è, se non accettabile, possibile nella misura d'una proposta della Commissione del brigantaggio: questa non ha bisogno d'essere eccitata a far ciò, ed anzi il Ministero avrà d'uopo grande energia per impedire che s'adottino mezzi troppo rivoluzionari. La 2a cosa non è senza gravi pericoli. È impossibile non dico suscitare ma solo anche tollerare dimostrazioni a Roma ed impedire ogni discussione in Parlamento sulla questione romana. Di più le dimostrazioni, se consistono in fuochi del bengala ecc., sono politicamente insignificanti; se in indirizzi furono già esaurite in ogni maniera; se debbono andar più in là possono facilmente degenerare in collisioni le cui conseguenze potrebbero essere funeste.
Io temo perciò che se Vimercati ripete in più alto luogo le cose dette a me, Egli riesca a far smettere la via battuta sin qua dietro i tuoi consigli, senza che se ne apra un'altra praticamente possibile od evidentemente migliore. Io temo inoltre che se ripete quello che disse di Polonia, riesca a fomentare intrighi che paiono a me e parranno probabilmente a te oltremodo pericolosi. Ed è perciò che Io ti prego di dirmi se tu consenti nelle sue idee, o se credi ancora che questo sonno apparente sia il miglior mezzo di far digerire certe idee non ben cucinate finora.
Certo che questa è piuttosto l'assenza d'una politica che un sistema politico.
Io credo quindi che la prolungazione di questa tregua sia impossibile al di là d'un certo tempo che tu sei forse più di tutti in grado di determinare.
La Camera andrà forse sino alla votazione silenziosa di tutti i bilanci: ma poi? Ed anche per ottener ciò converrebbe che ci si risparmiassero certi colpi di spillo, di cui Tu sei il primo a sentire le trafitture. Non dubito che l'avrai fatto sentire per mezzo di Conneau o di Mocquard, e temo che non ci sia riuscito.
Tuttavia, abbi pazienza e rimani al tuo posto. Qui, se l'ombra d'un tuo cameriere si proietta sul lastrico dei portici di Po, tutti sognano una tua corsa tanto più importante quanto più misteriosa e rapida; ed Io stesso non riuscii a persuadere il Direttore dell'Italie che tu eri rimasto a Parigi, e sentii dirmi che eri andato ad alloggiare a Moncalieri.
Seppi da tuo suocero che Sartiges mandò dal suo portinaio a chiedere misteriosamente i motivi del tuo tenebroso viaggio: figurati se in questo momento, ove tu ti muovessi, non sognerebbero rotture di rapporti, o trattati segreti!
Piglia dunque il miglior pretesto che potrai per scansarti dai balli, e rimani a Parigi.
Qui la camera è decisa ad appoggiare il Ministero, ed un avvenimento impensato venne a sgominare gl'intrighi rinascenti del terzo Partito.
Ti mando, pel caso non avessero avuta la cortesia di mandarle anche a te, le lettres de faire part del celebre matrimonio. Che se ne dice a Parigi, e com'è guardata la cosa alle Tuileries? Immaginati il parlare che se n'è fatto qui. Finora è unanime il giudizio.
Sella, Melegari, Pepoli lo chiamano un suicidio. Lo sarà esso infatti?
Ciò non è nelle idee della sposa la quale fa pompa del nuovo marito e lo conduce a passeggio dinnanzi a Fiorio, e forse è superba che i monelli le corrano dietro e i passeggeri s'arrestino stupiti di tanto coraggio.
Ad ogni modo Io credo che l'impudenza la vincerà e non mi stupirei che fra un anno o poco più Madame R. (Maria Cristina Bonaparte alias Maria De Solms nipote di Napoleone I, vedova Wyse che ha sposato Rattazzi ndr) facesse gli onori del ballo al Ministero degli Esteri. Ma gradirei di sapere se fu chiesto ed ottenuto il consenso imperiale per le nozze, e se continua ad essere accordato a Madame R. il sussidio mensile di 2/m franchi ch'era segretamente concesso a Madame S. ( De Solms ndr ??).
Credo che non ti sarà difficile saper ciò e ti sarò molto grato se vorrai soddisfare la mia curiosità, che non è tutta mia, ma è divisa da altri.
Ho ottenuto dal Ministro il permesso di far preparare il decreto per la croce del Delessert, e spero ch'esso sarà firmato nella prossima relazione.
Che pensi del discorso di Serrano? Qui indispettì molto, ma si attende per giudicarlo d'averne il testo. Ebbi dal tuo suocero ottime notizie del tuo Lello (il figlio del Nigra di allora 8 anni ndr). Se vedi M. de Circourt digli che mi metto a disposizione del Visconte di Grouchy. Artom
Parigi, 11 febbraio 1863
Ho scritto a Peruzzi per Dumas. A lui e a Pasolini ho scritto anche per le misure sul brigantaggio e per le dimostrazioni a Roma. Non posso ammettere né sequestri, né confische, né condanne politiche. Abbiamo sempre e severamente condannato tali misure quando erano prese da Governi assoluti. Non possiamo ora impiegarle noi. Si agisca severamente quanto si vuole contro i ladri e i briganti colti sul luogo; si agisca con eguale severità sulle Comuni e sui Capitani delle guardie nazionali, e dirò anche sulla Magistratura, che non fanno il loro dovere. Ma non confischiamo, non sequestriamo, e non facciamo giudizi politici. Quanto alle dimostrazioni a Roma, approvo le dimostrazioni pacifiche e legali per domandar riforme; non le altre, sterili o dannose.
Non v'è dubbio che l'influenza a noi ostile in Francia cerca di combatterci, e che l'Imperatore subisce fino ad un certo punto questa influenza. Ma Io sono convinto che se noi continuiamo ad occuparci seriamente delle questioni interne, ed a lasciar il Governo francese alle prese col Papa, l'opinione pubblica si muterà a nostro favore, e con essa muteranno anche le disposizioni dell'Imperatore. Né ciò si può chiamare mancanza di politica. Quando non si può andare né a Roma, né a Venezia, né colle armi né colle pratiche, che rimane da fare? Far conoscere alla Francia che siamo disposti a pigliare gl'impegni che Cavour era disposto a prendere per far cessare l'occupazione francese; domandare che nell'interesse dell'umanità la Francia ottenga l'allontanamento di Francesco II da Roma; preparare, organizzare ed unificare il paese, perché si trovi pronto agli eventi futuri. Parmi che questa politica sia migliore di quella che meno preoccupandosi delle questioni interne, riempie di cerimonie inutili e poco dignitose, o di minacce più inutili ancora, i giornali e le aule del Parlamento. La via seguita dall'attuale Ministero è buona. Non bisogna lasciarla; bisogna resistere ai clamori e alle accuse. Se si segue un'altra via, arrischiamo una freddura colla Francia e facciamo sorgere una questione, che finora non ha il carattere d'una vera questione, voglio dire la questione napoletana.
Domanderò le informazioni che mi chiedi intorno alla Signora De Solms, e te le manderò. Intanto fate presentare, al più presto, il Trattato di Commercio alla Camera. Ti ringrazio della decorazione pel Delessert.
Farò la commissione alla buona contessa di Circourt che mi domanda spesso le tue nuove. Voglimi bene e credi alla vecchia amicizia del tuo affezionatissimo Costantino.
Torino, 13 febbraio 1863
Ti ringrazio della tua lettera che ho mostrato al Ministro. Sono perfettamente d'accordo con Te nelle idee svolte in essa, e se ti avevo interpellato a questo proposito si fu perché la venuta di Vimercati poteva mettere confusione nei nostri cervelli.
Vimercati m'incarica di dirti che S.M. non crede a proposito il viaggio del Principe a Parigi, perché teme ch'esso non sia ben ricevuto. Se Tu puoi togliere su questo punto ogni apprensione e se per altri motivi credi utile questo viaggio, scrivine tu stesso al Re od al Ministro.
Qui le cose vanno discretamente. Si riuscì a soffocare le interpellanze sulla Polonia: si continua la discussione dei bilanci, e pare che sino a tutto il mese prossimo ogni discussione irritante sarà evitata. Il Ministero è d'accordo col Parlamento ed avrebbe un'immensa maggioranza se le gelosie e gli asti dei toscani e dei lombardi contro La Farina non fossero riusciti a mantenere compatto il partito dei 74 rattazziani che non chiedevano di meglio che di fondersi col resto della maggioranza. Pasolini però ripete che vuoi ritirarsi. A succedergli sarebbe chiamato secondo alcuni, Buoncompagni, secondo altri Peruzzi. Sono convinto però che le cose rimarranno come sono, almeno finché sia esaurita la discussione dei bilanci. È arrivato Usedom e pare animato da buone disposizioni. Artom
P. S. - Il Trattato di Commercio fu presentato ieri da Pasolini alla Camera dei Deputati. Cerruti (Marcello) prepara la relazione, desumendola da un lungo lavoro di Scialoja. Essa sarà mandata alla stamperia della Camera domenica o lunedì al più tardi. Ma la discussione del Trattato pare debba essere rinviata sino al mese d'aprile, perché non si vuole interrompere a nessun costo i bilanci. D'altronde una discussione politica sarà inevitabile a proposito del Trattato: i rattazziani accusano il Ministero di servilità, e vi saranno circa l'alleanza francese, circa Roma ecc. delle declamazioni tanto più violente quanto più furono represse.
Addio. - Riapro di nuovo la lettera per dirti che il conte di Parigi ed il duca di Chartres, venuti testé a Milano, sono invitati a tutti i balli, ed anche, a quanto mi affermò Vimercati, a quello del Principe. Non vorrei che se ne facesse un cancan a Parigi e che volessero vederci una rappresaglia per l'affare delle presentazioni borboniche. Il Conte Nigra affermò a Pasolini che questa volta non s'è fatto pei Principi d'Orleans nulla più del solito: cioè che furono ricevuti come forestieri di distinzione, in modo privato e nulla più. Cerca Tu di riparare nel modo che ti parrà più conveniente al chiasso che potranno forse farne i nostri nemici a Parigi.
Torino, 17 febbraio 1863
Caro Costantino, Minghetti mi prega di mandarti sotto fascia la sua relazione sullo stato finanziario e di pregarti a suo nome di cercare che qualche giornale riputato ne parli in modo serio. Ha segnato egli stesso alcuni brani ai quali crede dover richiamare specialmente la tua attenzione e mi pare che siano: 1° la distinzione del bilancio in ordinario e straordinario; 2° La proposta fatta d'abolire i crediti supplementari, sostituendo ad essi il sistema inglese che consiste nel far assegnare dal Parlamento una modica somma annua per le spese non previste; 3° La discrezione da lui adoperata nelle sue previsioni e la franchezza con cui scoprì tutta la vastità delle nostre piaghe finanziarie.
Qui vi fu un pò di sbalordimento per la cifra enorme, ma il discorso fu molto applaudito. Gli uffici hanno già nominato i Commissari i quali concluderanno tutti, a quanto dicesi, per l'autorizzazione del prestito. Vi sarà una discussione che sperasi non lunga, e più finanziaria che politica.
Pasolini è malato di febbri intermittenti. Non è difficile che per guarir meglio vada per qualche giorno ad Imola. Ma credo che si eviterà di dar la firma ad un altro.
Addio, salutami Sormani, Bojl, Noja Incontri ed Alberti e credimi Tuo affettuosissimo Artom
Parigi, 18 febbraio 1863
Gianetti m'ha rimesso la lettera del Ministro e la tua del 13. Risponderò domani al Ministro o dopodomani al più tardi, sperando d'avere un'occasione sicura. Intanto ti dirò che ho avuto occasione di sapere dall'Imperatore stesso, mentre si cacciava insieme, a Rambouillet, quanto Tu mi chiedesti intorno alla Solms. Ella scrisse difatti all'Imperatore domandandogli il permesso di maritarsi. Ma l'Imperatore rispose che non l'aveva mai considerata come appartenente alla sua famiglia e che per conseguenza non aveva nessun permesso da dare o da rifiutare. Quanto alla pensione finora fu regolarmente pagata, e continuerà ad essere, a meno di rinuncia, la quale dieci giorni fa non era ancora venuta.
Ora una parola sulla questione polacca. Qui si lotta tra le simpatie vivacissime per la Polonia, e i riguardi verso la Russia. Credo che la Francia si deciderà a fare rimostranze alla Prussia, d'accordo coll'Inghilterra. L'Austria ha lasciato passare armi per gli insorti. Per poco che l'insurrezione si mantenga, non vedo impossibile che la Francia si decida ad un'attitudine più risoluta in favore della Polonia. Dì quindi al Ministro che usi la massima riserva; che non si comprometta, né pro, né contro, finché si veda più chiaro nelle intenzioni della Francia, dell'Inghilterra e dell'Austria. L'Imperatore è personalmente favorevole ai Polacchi. Ma finora è esitante. Alcuni indizi mi fanno però presumere che pensi seriamente a tirar partito di questa eventualità.
Spero di poter dire al Ministro, nella mia prima lettera, qualche cosa di più esplicito. Nigra
Torino, 10 marzo 1863
Come ti scrisse il Ministro, il conte Arese è incaricato di dire all'Imperatore che vogliamo metterci con lui nelle combinazioni che si preparano. Egli è inoltre incaricato di cercare di stabilire qualche accordo pel caso della morte del Papa.
Le notizie di Roma fanno credere prossima questa eventualità. Nessun Ministero potrebbe assumersi la grave responsabilità di lasciare ch'essa avvenisse senza avere, per lo meno, tentato di prenderne occasione per far fare un passo alla questione romana. Gl'impegni della Francia sono più verso la persona del Papa che verso l'istituzione: se ciò non fosse avrebbe da disperarsi di riuscir mai a risolvere la questione romana. Ogni potere elettivo subisce una crisi all'epoca del cambiamento del Sovrano: bisogna approfittarne ad ogni costo, tanto più che a Roma tutto è pronto perché morto il Papa, si gridi Viva il Papa. Dopo averci pensato lungamente si venne nel pensiero di proporre di riconoscere il potere temporale limitato al territorio circoscritto alla riva destra del Tevere, il Mediterraneo tra Fiumicino e Porto Clementina, ed i fiumi Vico e Marta. Come vedrai dalla carta che abbiamo dato al conte Arese questo territorio abbastanza vasto comprende la città Leonina, tutta la provincia di Civitavecchia e gran parte di quella di Corneto. Il paese però è quasi spopolato, cosicché non vi sarebbe che il Trastevere e Civitavecchia che rimarrebbero soggetti alla dominazione papale. Questo accordo dovrebbe essere segretissimo, ed in forza di esso le truppe francesi appena avvenuta la morte del Papa dovrebbero sgombrare tutta la riva sinistra del Tevere, e lasciar le popolazioni libere di esercitare, se lo credono il suffragio universale. Il nuovo Papa nascerebbe così, di fatto, sovrano della Città Leonina e non di tutta Roma.
Mi spiace che non si abbia avuto il tempo di concertare con te questo progetto. Dubito assai che esso sia accettato. In caso di rifiuto Arese dirà all'Imperatore che saremmo pronti anche ad accettare il progetto di Cavour. Se anche questo sarà rifiutato, sarà constatata almeno l'impossibilità dell'accordo, e tutta la responsabilità di quanto potrà accadere all'epoca delle vacanze della Santa Sede cadrà su altri che su noi.
Il Conte Pasolini ha espressamente raccomandato ad Arese di accordarsi in tutto con te. Ma è a desiderarsi che questa missione rimanga segretissima, e perciò sarà bene che tu sia informato di tutto ma finga di credere che Arese non faccia che una corsa di piacere, o d'affari od anche tutt'al più una visita di complimento all'Imperatore.
Arese desidera soprattutto che Vimercati non sappia nulla di nulla. Il Conte Pasolini lo desidera pure. Il solo Conneau conosce il viaggio d'Arese senza saperne però lo scopo.
Ieri anche al Senato fu rimproverato al Ministero di non avere una politica estera, d'incrociarsi le braccia ecc. Montanari chiese che si pensa di fare all'epoca della morte del Papa, e Siotto Pintor annunciò un'interpellanza sulla questione romana.
È d'uopo, te lo ripeto, fare almeno un tentativo. Rattazzi pure ha fatto dire che prepara un discorso su Roma per l'epoca della discussione del bilancio degli Esteri.
Per tua norma Ti dirò che spiacque molto al Ministro che Villa sia andato a lasciare una carta da visita da Sartiges. Questi che è tuttora malato, mandò a chiamare Pasolini, e gli chiese con un'ingenuità senza pari che cosa gli avesse portato il Corriere di Gabinetto di cui gli mostrò la carta. Il conte Pasolini si cavò d'imbarazzo con delle generalità, ma fu assai malcontento di ciò.
Nulla di nuovo del resto. Io ho dovuto fare una gita ad Asti per vedere mio fratello malato. Di più sono tormentato dall'emicrania. Dimmi se approvi il doppio tentativo fatto per mezzo di Arese. Artom
P. S. - Per tua norma ti dirò che si è scritto a Pepoli un dispaccio per dirgli che il Governo spera che prima ancora del suo arrivo a Pietroburgo lo Czar avrà fatto ai Polacchi le concessioni chieste dall'opinione pubblica: in caso diverso lo si autorizza a manifestare al Principe Gorchakov il desiderio che un atto di generosità dello Czar ponga fine all'insurrezione.
Il Prefetto di Nizza minaccia di espellere parecchi nizzardi che hanno conservato la nazionalità italiana, e fra gli altri il Deputato Laurenti Robaudi. Sarebbe un vero scandalo. Ti unisco una sua lettera a me diretta perché tu veda se puoi impedirlo parlandone a Drouyn de Lhuys od a Persigny.
Torino, 21 marzo 1863
Caro Costantino, ti ringrazio delle tue poche righe e ti mando i numeri del mediatore richiesti da Thouvenel (Ministro degli Esteri francese ndr). Ti prego pure di mandare al Conte di Circourt l'unita lettera di condoglianze (per la morte della moglie Contessa di Circourt ndr).
Farini è finito e Pasolini se ne va. Ignoro quale sarà il successore. Ma molto probabilmente Io verrò di nuovo a chiederti ospitalità.
Addio in fretta. Tuo affezionatissimo Artom
Torino, 25 marzo 1863 (confidenziale)
Mi credo in debito di renderti conto della crisi, di cui tu conosci già il risultato. Da più settimane la salute di Farini peggiorava visibilmente. Finché la sua malattia non si manifestava che con taciturnità, marasma, tremito, ecc. si poteva tirare innanzi, e lo si fece per evitare di fare una crisi al momento della conclusione del prestito o della sottoscrizione. Ma il dispaccio Stefani che recava il sunto del discorso del Principe Napoleone sulla Polonia mise il povero Farini in uno stato straordinario di sovreccitazione nervosa e mentale.
Andò dal Re gli mise le braccia al collo, lo esortò a partir subito con lui per andar a far la guerra alla Russia ecc. Disse lo stesso a Hudson che incontrò per strada. Fu allora riconosciuta l'assoluta impossibilità ch'Egli ritenesse la Presidenza del Consiglio. Dopo sforzi penosissimi che durarono più giorni si riuscì coll'aiuto della famiglia ad ottenere che delegasse a Minghetti la Presidenza del Consiglio.
Il Re aveva già incaricato lui di assumere questa carica.
Farini partì per Susa coi suoi figli: si cerca di condurlo in una specie di Casa di Salute, le notizie giunte stamani per mezzo di Tommaso che fu chiamato per dare il suo parere non sono buone. Sfortunatamente Pasolini che ad ogni piè sospinto chiedeva le dimissioni s'impuntò a voler uscire ad ogni costo in questo momento. Non valsero suppliche, preghiere, genuflessioni: tutto fu inutile.
Il Re desiderava che nessun elemento nuovo fosse introdotto nel Gabinetto. Buoncompagni non gli piaceva; Cugia incontrava in alcuni Ministri gravi difficoltà: si pensò di chiamar Te, ma non si poté trovare alcuno per rimpiazzarti a Parigi e tutti convennero che la politica la fai più Tu colà, che noi a Torino. Non potendo Minghetti abbandonar le Finanze s'era pensato di metter Peruzzi agli Esteri, che avrebbe lasciato a Spaventa il portafoglio dell'Interno: senonché il Re non ama Spaventa che gode di un'impopolarità inesauribile nel Napoletano.
De guerre lasse (per farla finita ndr), volendo evitare l'interim, fu scelto Visconti. Egli non accettò che con grandissima ripugnanza. La sua nomina non fu approvata, vedrai nell'Opinione d'oggi un articolo terribile contro di lui. È un errore facilmente riparabile se domani sera nella discussione sulla Polonia Egli riesce a fare un bel discorso. Minghetti spera di sì, ma Io temo che anche questo non sia che un interim e che ben presto abbiano ad accadere altre mutazioni. Prima d'accettare, Visconti si fece promettere da me che non l'avrei abbandonato. Promisi di sì, ed eccomi di nuovo provvisoriamente inchiodato a Torino.
Le dimissioni di Pasolini sono un fatto per ogni verso deplorabile. La fase politica attuale era fatta per lui. L'Italia non chiedeva da lui grandi cose: gli bastava quella reputazione di lealtà e quel buon senso che niuno gli nega. In faccia alla diplomazia ed al paese la sua posizione era ottima. Io credo che la ragione della sua condotta debba cercarsi in certi scrupoli personali derivanti dalle sue antiche relazioni col Papa. Egli non fece motto di ciò e teme che se ne parli: ma Io e tutti noi dopo esserci scervellati a cercare un motivo ragionevole del suo modo d'agire, non ne abbiamo trovato alcun altro. M'immagino che il conte Arese sarà stato furioso. Egli prevedeva quanto sarebbe accaduto e non voleva partire. Senza l'incidente di Farini si sarebbe ritardata la crisi: fu una vera disgrazia che essa scoppiasse in questo momento. Il Ministero ne soffrì molto. Aggiungerò che in seguito alla proposta della Commissione del Bilancio di fare un'inchiesta parlamentare sulla Marina, Di Negro volle ritirarsi.
Si propose a Sella di assumere il portafoglio della Marina. Questi avrebbe accettato, ma i suoi amici politici (La Farina, Monticelli ecc.) non glielo permisero.
Di Negro rimane dunque ma provvisoriamente. Posdomani sarà discusso il bilancio degli Esteri. Visconti è pieno di buona volontà e farà il possibile per strappare alla Camera le poche migliaia di lire necessarie pei Corrieri e per gli aumenti d'assegno alle Legazioni. Un episodio doloroso sarà la discussione dell'affare Benzi, su cui Gallenga annunciò un'interpellanza che si riuscì con grande stento a rimandare finora. Come tu vedi le difficoltà si accumulano. Dio ce la mandi buona!
Ti unisco copia della nota che abbiamo scritta a D'Azeglio in risposta alle ouvertures inglesi sulla Polonia. Nel redigerla cercai di attenermi ai Tuoi dispacci ed ai consigli di Drouyn de Lhuys, evitando però di dare a questa risposta una forma che fosse stereotipata su quella della Francia, e fosse perciò offensiva per l'Inghilterra. Ma, se debbo rimaner qui con grave sacrificio mio, ho d'uopo sapere di quando in quando se continuo ad essere d'accordo con te. Addio, scrivimi e credi all'amicizia del tuo affezionatissimo Artom
Torino, 29 marzo 1863
Caro Amico, Approfitto della partenza di Corti per scriverti in fretta due righe e mandarti una lettera d'Arese. Questi fu oltremodo soddisfatto della gentilezza con cui l'hai accolto e disse a me ed a Minghetti che la tua posizione a Parigi è ottima.
Qui le cose vanno un pò meglio. II discorso di Venosta sulla Polonia fu assai bene accolto e ieri, nella discussione del bilancio, la Camera gli si mostrò decisamente favorevole. Infatti si riuscì ad ottenere il piccolo aumento necessario pei Corrieri e qualche altra cosa di minore importanza. Domani vi sarà la discussione sui maggiori assegnamenti alle Legazioni! Su ciò la Commissione sembra irremovibile nel rifiuto.
Farò ben volentieri il breve cenno necrologico sulla Contessa di Circourt ma avrei bisogno che tu mi dessi qualche ragguaglio sopra di Lei. Sai che l'ho conosciuta assai poco, avendola veduta mi pare soltanto tre o quattro volte.
Visconti m'aveva offerto d'essere Segretario Generale: io rifiutai e suggerii Marcello Cerruti. Gli ho letta la tua lettera, alla quale risponderà egli stesso. Dissi anche a Minghetti quello che tu m'avevi incaricato di dire a Visconti. Tutti sono persuasi che la tua presenza a Parigi è indispensabile.
Addio, caro Costantino, saluta Sormani ed Incontri ed ama il Tuo affettuosissimo Artom
Parigi, 2 aprile 1863
Ti ringrazio delle tue lettere del 29 e 31 Marzo. La votazione degli aumenti proposti al bilancio degli Esteri mi fa doppiamente piacere, e per la cosa in sé, e per la nuova prova di fiducia che la Camera ha dato al Ministro. Ciò deve dargli coraggio e impegnarlo a rimanere. Non rinnovi per carità l'errore di Pasolini col dire che si tiene per un Ministro provvisorio. Ciò diminuisce la sua autorità e nuoce agli affari. Tu mi parli del progetto portato dal nostro amico per Roma. Figurati se l'approvo.
Ma fortunatamente delle due parti interessate, noi siamo i soli ad approvarlo.
Non so se il nostro amico abbia detto tutto quello che seppe qui.
Mi faresti un servizio scrivendomene. Ma puoi tenere per fermo che prima e dopo le elezioni, prima e dopo la morte del Papa, la Guarnigione francese continuerà, a meno di eventi straordinari imprevedibili, ovvero a meno che il Papa consenta ad una conclusione. Ricordati del telegramma dell'Imperatore al Re:
« J'ai toujours désiré de quitter Rome avec le consentement du Pape; Garibaldi m'y fixé».(Ho sempre desiderato di lasciare Roma con il consenso del Papa; Garibaldi me lo impedisce ndr)
Ricordati della lettera dell'Imperatore a Pepoli, di cui mandai copia a Pasolini; rileggi la lettera dell'Imperatore a Thouvenel; fatti ripetere dal nostro amico quel che gli fu detto qui, e poi rifletti se è possibile il farci delle illusioni. L'Imperatore non se ne andrà da Roma se non quando il Papa vi acconsenta; il Papa non acconsentirà se non quando sia sicuro che l'Italia rinuncia a Roma. Ora quando mai il Papa potrà avere questa certezza? L'Imperatore pensa che se si lascia addormentare la questione, serbando il più profondo silenzio, il Papa potrà essere più facilmente rassicurato e quindi sarà più facile il ritiro delle truppe. Ma io son convinto che né il presente né il futuro Papa si terranno sicuri finché la capitale rimane a Torino, e ciò malgrado ogni dichiarazione, malgrado ogni guarentigia.
La necessità che l'Imperatore sente di dare al Papa quella certezza assoluta del mantenimento nei limiti attuali del potere temporale, la convinzione ch'Egli ha che noi non possiamo governare da Torino, le stesse nostre dichiarazioni che senza Roma non possiamo consolidare l'attuale ordine di cose, ben più che il timore d'avere alle porte della Francia uno Stato potente, fecero nascere nell'Imperatore il concetto della divisione dell'Italia in due Stati: uno al nord colla Venezia; l'antico regno di Napoli al sud, e il Papa in mezzo. Premetto che l'Imperatore non manderà un esercito a far ciò; egli farà inoltre osservare il non intervento, che è per noi uno dei più grandi benefici che possa farci. Premetto ancora che non sogna restaurazioni borboniche o murattiane. Ma vedrebbe con piacere un figlio del Re a Napoli, alla testa d'un Regno indipendente del Sud, alleato e confederato col Nord. Quindi il suo desiderio di darci la Venezia, o almeno d'aiutarci ad averla, è il programma della France.
Vero è che l'Imperatore non dice queste cose che accademicamente, e non le dice che a persone di confidenza. Quando me lo disse, aggiunse: «è ben inteso che Io non parlo qui col Ministro d'Italia, ma in tutta confidenza e privatamente». Al nostro amico ha ripetuto le stesse cose. Tuttavia l'esistenza di questo concetto nello spirito dell'Imperatore è cosa grave.
Non v'è dubbio che questo stesso concetto ha radice nella sua ferma volontà di conservare il patrimonio al Papa e nel desiderio di rassicurare in modo assoluto la Santa Sede per guisa che il ritiro delle truppe col consenso del Papa diventi possibile.
Ammesso che non si può aver Roma per capitale; ammesso che non si possa governare da Torino; ammessa la necessità assoluta di ordinare e amministrare bene le provincie napoletane; come si può rendere non solo impossibile, ma anche non pensabile il concetto dell'Imperatore? Io non ci vedo che un modo: il trasporto della capitale a Firenze. Ma questo lo dico a Te, ben sapendo come la pubblica opinione in Italia non ammetta ancora questa soluzione. Perché l'Italia si rassegni a questa soluzione, bisogna che la necessità ne sia dimostrata con tanta evidenza da penetrare nella convinzione delle masse. Ora mi pare che né le dichiarazioni dell'Imperatore, né le discussioni del Parlamento francese, né Aspromonte, né le dimissioni di Thouvenel, Lavallette e Benedetti, né le difficoltà napoletane, abbiano ancora prodotto questo risultato. Dunque si governi finché si può da Torino, e finché o questa necessità si senta, o sopravvenga uno di quegli eventi provvidenziali che mutano i termini della questione. Intanto se dopo le elezioni si crederà di dover riparlare di Roma all'Imperatore, credo che non si possa altrimenti fare con utilità che non pigliando per base i termini stessi della lettera dell'Imperatore a Thouvenel. Non vedo inconvenienti che si parli a Thouvenel d'ogni nostro progetto su Roma, ma parmi che sarebbe utile il farlo quando Thouvenel andrà in Italia nell'estate.
So che ti dico cose non liete. Ma non vorrei essere accusato d'avervi mantenuti nelle illusioni. Io non vedo la possibilità d'un accomodamento finché dall'un lato il Papa domanda la restituzione di tutto, comprese le Romagne, dall'altro lato l'Imperatore andrebbe fino alla restituzione nominale dell'Umbria e delle Marche, e dall'altro lato l'Italia domanda la metà di Roma.
Ti mando qui unita una lettera da Roma, e ti segnalo l'affare de' novendiali che farò conoscere all'Imperatore. Ti prego di rimandarmela. Scrivendo a Te, intendo scrivere a Visconti e a Minghetti, a cui puoi leggere la mia lettera, ma in via riservata, beninteso. Non potendo far nulla per Roma, converrà non perdere di vista la Venezia.
Ma questa seconda questione dipende dalla piega che piglierà la questione polacca, la quale in questo momento si trova nella fase diplomatica che ho esposto scrivendo d'ufficio. Nigra
P. S. - Ti mando alcuni cenni necrologici sulla contessa di Circourt, che mi furono forniti dall'afflitto suo marito. Tolsi qualche cosa e qualche cosa ritoccai. Fa tu il resto. Bada che non voglio menzionato il mio nome. Ma ti prego di aggiungere qualche riga d'elogio pel conte di Circourt. Per giustificare quella pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale mi pare che sarebbe conveniente d'accennare in linea di principio, in forma di cappello, che l'Italia perde in quella donna l'amica più devota e più operosa che avesse in Parigi. Sarei lieto che l'articolo fosse riportato nella Rivista contemporanea e in altri giornali. Per la rivista ti prego di parlarne a mio suocero.
Impegna Arese ad andare a Vichy, se l'Imperatore ci va. Le elezioni avranno avuto luogo, e allora si saprà se convenga il far di nuovo parola sulla questione romana. Intanto badate alle questioni interne - finanze e Napoli. L'aggiustamento di queste due questioni può solo condurci all'aggiustamento delle questioni estere in modo soddisfacente.
Torino, 3 aprile 1863
Boggio annunciò a Visconti Venosta che, appena sia riaperta la Camera, farà delle interpellanze sul visto borbonico che le Autorità pontificie esigono pei passaporti.
E' probabile che sorga nel tempo stesso la questione della bandiera. Visconti Venosta bramerebbe d'essere in grado di dare qualche risposta soddisfacente su questi due argomenti, od almeno di poter comunicare alla Camera i due dispacci che ti abbiamo scritto in proposito.
Fammi il favore di dirmi il tuo parere su ciò.
Il Principe Carlo Napoleone si è lagnato con alcuno che gli scrisse qua da Roma dì non aver ricevuto risposta a due lettere ch'Egli ti mandò. Io te ne avverto per tua norma.
Affermano che Antonelli insista veramente per la sua dimissione e che il Deluca, Nunzio a Vienna, sia designato a succedergli.
Ti prego di dire a Sormani che lo ringrazio d'avermi fatto conoscere il capitano Bossi; Ho spedito le sue lettere ed ho dato all'Avv. Negri, il quale mi disse avere un'occasione prossima e sicura, i pacchi e la cassetta per Bologna e per Reggio. Artom
Torino, 7 aprile 1863
Ti restituisco la lettera di Roma ch'era annessa all'ultima tua. I ragguagli contenuti in quella coincidono perfettamente con quelli datici dai nostri amici.
Ho fatto leggere a Minghetti ed a Visconti la tua lettera. Entrambi ti scrivono a lungo sull'argomento assai grave da Te trattato. La soluzione che tu proponi, cioè il trasporto della capitale a Firenze non è possibile. Io preferirei dichiarare che, finché Roma non è riunita all'Italia, il Parlamento si riunirà alternativamente in alcune città principali cioè Torino, Milano, Genova, Firenze, Napoli ecc. Così si guadagnerebbe tempo, e si lascerebbe l'adito a qualche avvenimento straordinario che potrebbe risolvere la questione in modo definitivo.
Ma riconosco Io stesso che vi sono difficoltà pratiche grandissime all'attuazione di questo disegno. Gli uffici non potrebbero evidentemente seguire i Ministri ed il Parlamento nel loro pellegrinaggio attraverso la Penisola. Vi sarebbero dunque due Capitali egualmente provvisorie, l'una politica, l'altra amministrativa: doppia sorgente d'imbarazzi e di complicazioni. D'altra parte per addormentare il Papa, per sopire la questione romana, bisognerebbe almeno che il brigantaggio fosse cessato, che Francesco II fosse partito; infine che per mille piccoli fatti non fosse universale in Italia la persuasione che il Governo Francese vede senza dispiacere, seppure non le favorisce, tutte le cospirazioni tendenti a spezzar di nuovo l'Italia. Non v'è giorno in cui Peruzzi e Spaventa non mi chiamino per fornirmi nuove prove di questa complicità degli Agenti Francesi. Ieri, p. es., mi dissero che Francesco II e tutta la Corte borbonica assistettero in uniforme al ricevimento ufficiale del Principe Latour d' Auvergne e che tutte le corrispondenze borboniche e murattiane passano per mezzo dei Consoli Francesi ecc. ecc.
Aggiungerò che ho saputo d'altra parte che il Duca di Gramont a Vienna affretta di portare il Gran Cordone di S. Gennaro a preferenza di quello di S. Maurizio e così via, via.
Per quanto Sartiges sia ignaro del paese in cui vive egli non cessa d'avvedersi della crescente impopolarità della Francia, ed informa minutamente Drouyn de Lhuys il quale dal canto suo si trova vieppiù spinto a lasciar fare e dire contro di noi.
L'imminente discussione del rapporto della Commissione del brigantaggio offrirà un campo troppo comodo alle recriminazioni contro la Francia perché destra e sinistra non se ne valgano per farsene un'arma contro il Ministero.
A questo proposito ti dirò che Hudson da una parte, Crispi dall'altra, affermano esplicitamente che il viaggio di Rattazzi ha per scopo di mettersi d'accordo con l'Imperatore per spezzare l'Italia in tre pezzi. I Rattazziani affermano che il loro capo trovò alla stazione Conneau che lo aspettava e che lo condusse dall'Imperatore ecc.
Io non credo una jota di ciò, ma questi rumori dimostrano:
1° Che l'Imperatore non ha detto a Te solo le parole assai gravi che tu mi riferisci.
2° Che è assolutamente indispensabile un atto qualsiasi del Governo Francese che dia una smentita a queste voci, che generano grande inquietudine in Italia.
Ieri nel Consiglio dei Ministri, essendosi trattato l'affare De Christen, La Rovere dichiarò che la grazia fatta a lui sarebbe motivo per lo scioglimento del Ministero: Pisanelli, Menabrea, Peruzzi insistettero perché si scrivesse una nota energica alla Francia circa le trame murattiane e borboniche. Ecco qual'è la situazione.
Non so se Visconti t'abbia scritto che la Società delle Ferrovie Meridionali lo pregò di raccomandare a Te di far mettere i bolli della Legazione e spedire al Ministero una cassa contenente non so quali oggetti che da Parigi devono essere spediti alla Direzione della società.
Farò pubblicare con qualche modifica i cenni sulla Contessa di Circourt. Artom
P.S. - Finalmente il Baden si è deciso a riconoscerci. Barral sarà probabilmente incaricato della notificazione; poi si nominerà un Incaricato d'Affari od un Ministro residente. Non dir nulla ancora perché Oldoini non s'affretti a domandare il posto.
Arese è a Firenze donde non ritornerà che la settimana ventura. Egli attribuì all'Imperatrice il progetto di cui Tu mi parli.
Quanto alla Spagna non mi pare che si possa far nulla col Gabinetto Miraflores. Tale almeno è l'opinione di Espana.
Prego Bixio di mandare dentro una sua lettera privata l'unita di Minghetti per Pepoli.
Torino, 10 aprile 1863
Il giornale ufficiale d'oggi pubblica la notizia sulla contessa di Circourt. L'articolo è anonimo come desideri, soltanto la Direzione volle indicare che quei cenni le venivano da Parigi. Pregherò Dina di riprodurre nell'Opinione di posdomani questa pubblicazione, e te ne manderò sotto fascia parecchi numeri.
Ho ricevuto il tuo bigliettino per mezzo di B. e l'ho letto a Visconti.
Abbiamo subito telegrafato a Minghetti a Firenze la parte che concerne il viaggio del Principe Napoleone. Pare anche a me impossibile che l'Imperatore rinunci a fare qualche cosa per la Polonia. Ma temo che si decida troppo tardi, e non sappia come appigliarvisi.
Attendiamo con ansietà una risposta all'ultime lettere che t'abbiamo scritte Visconti ed Io. Il mezzo proposto è il solo che possa impedire che la discussione del rapporto della Commissione del brigantaggio degeneri in un vero atto d'accusa contro la Francia. Ieri sera uno dei membri della Commissione col quale pranzai mi diceva che era impossibile alla Francia di fare all'Italia maggior male di quello che fa colla sua permanenza a Roma. Concludeva dicendomi che fa d'uopo richiamar Ricasoli al potere ecc. ecc.
Fammi il piacere di rammentarmi al vecchio Rothschild se lo vedi ed al dottor Conneau. Salutami Sormani al quale dirai che ho spedito a Firenze, ove si trova ora, la lettera pel Conte Pasolini.
Minghetti ritornerà qua martedì, e Visconti gli succederà a Firenze per pochi giorni. Poi andrà Peruzzi che cercherà di decidere il Re a fare un giro nell'Umbria e rimarrà con lui sino al ritorno.
Farò il possibile perché Visconti rimanga Ministro almeno per qualche mese. Ma molti bramano che Peruzzi venga agli Esteri e lasci il portafoglio dell'Interno a Spaventa. Vimercati cerca il modo di diventare Deputato conservando i 12/m franchi. Artom
P. S. - Per mezzo di Gonella incomincio a mandarti quattro numeri del giornale ufficiale d'oggi. Olozaga ha interrogato Miraflores circa il riconoscimento del Regno d'Italia e si è convinto che non v'è da sperar nulla. Espana mi raccomandò di tenere il segreto su ciò.
Torino, 18 aprile 1863
Ebbi stamani da Sormani tue buone nuove. Avendo Egli detto a Visconti che non recava altri messaggi politici che quelli che aveva fatti verbalmente, Visconti non aprì subito il piego, e così si mandò il dispaccio in cifra di stamani prima d'aver letto l'ultimo tuo rapporto confidenziale che afferma Drouyn de Lhuys ha intenzione di comunicarci l'ultima Nota.
Noi siamo tanto più lieti di questa notizia, in quanto che essa ci toglie da un grande imbarazzo. Avendo già avuto un invito analogo dall'Inghilterra per la nota del 2 Marzo, ci era di tutta necessità avere una comunicazione ufficiale anche da parte della Francia; così potremo dimostrare al paese che siamo d'accordo con ambedue le potenze occidentali: il che è universale desiderio dell'Italia.
Probabilmente la formula adottata dalla Francia sarà pure quella che è meglio adatta alle nostre presenti necessità: e forse essa ci permetterà di accostarci alquanto alle generalità declamatorie suggerite da Pepoli nel rapporto di cui t'abbiamo mandato copia. Però non so ancora se ci convenga redigere una Nota ufficiale di cui si debba dar copia, o limitarsi a prescrivere a Pepoli di fare uffici orali analoghi a quelli scritti della Francia. Quest'ultimo partito ci permetterebbe di conservare con la Russia migliori rapporti. Anche su ciò ti prego di dirci il tuo avviso.
Parlai a lungo con Sormani dell'affare Christen. Tu ne conosci già tutte le difficoltà. Se venisse una riposta veramente amichevole alla nota sul brigantaggio che si sta preparando, queste difficoltà potrebbero scemare e forse cessare affatto. Ma un'occasione di fare la grazia non si presenterà così presto, e Peruzzi, La Rovere ecc. sono ben decisi a non farla se prima qualche avvenimento non modifica l'attuale situazione.
Per mezzo del conte Castellani-Fantoni avevo mandato all'indirizzo di Sormani una lettera d'Oldoini per la contessa di Castiglione ed una decorazione da mandare ad Erlanger. D'accordo con Sormani ti prego d'aprir quella lettera, di cui riconoscerai l'indirizzo scritto da me, e far recapitare la lettera e la croce.
Addio, scrivi se puoi e credimi Tuo Artom
Torino, 22 aprile 1863
Ti scrivo una sola riga per salutarti. La nota che ho redatta fu approvata in Consiglio dei Ministri. Tuttavia non sono tranquillo sul mio lavoro finché tu non m'abbia detto il tuo parere. Ho pregato Visconti di lasciarti intera facoltà di sospendere la comunicazione se tu hai qualche osservazione da fare. Artom
Torino, 24 aprile 1863
Ti mando per mezzo di Sormani copia della Nota che abbiamo spedita ieri a Pepoli per mezzo del corriere Armillet. Parve a Minghetti, a Visconti ed a me, che vi fosse vera urgenza di farla, perché se fosse venuta prima la risposta dalla Russia alla démarche (istanza diplomatica ndr) simultanea delle tre Potenze, la nostra situazione sarebbe divenuta imbarazzante: non ci saremmo più trovati sulla stessa linea della Francia e dell'Inghilterra; avremmo dovuto rimanere indietro o spingerci più avanti noi soli con grave pericolo. Però, siccome il Corriere impiega almeno sei giorni per giungere a Pietroburgo, noi saremo in tempo a sospendere la comunicazione della Nota per mezzo del telegrafo se ciò fosse necessario. Perciò sarà bene che Tu non ne dia comunicazione a Drouyn de Lhuys finché Visconti o Minghetti non te ne diano il permesso ufficiale. Tanto più che mi pare necessario d'indirizzarti una Nota per ringraziare il Signor Drouyn de Lhuys della comunicazione dataci del dispaccio francese.
Pasolini, Arese, Hudson, Minghetti ecc. trovarono la Nota qui annessa redatta in modo conveniente. Riuscii ad impedire che si facesse in essa menzione del nostro accordo colla Francia e coll'Inghilterra: primo perché rispetto alla Russia almeno, è più consentaneo alla nostra dignità d'aver l'apparenza d'esprimere un'idea nostra, e d'avere una politica propria; in secondo luogo perché è matematicamente impossibile d'esser nel tempo stesso d'accordo con due Potenze che in realtà non sono punto d'accordo fra loro: in terzo luogo perché non potremmo dichiarare d'agire d'accordo colla Francia e coll'Inghilterra senza aver l'apparenza d'esser pure d'accordo coll'Austria, il cui concorso fu, e doveva esserlo, preferito al nostro. Di ciò qui si mena grande scalpore: si sarebbe voluto che anche noi avessimo rimessa simultaneamente una Nota ecc. Invece a me pare che non ci recherà nessun danno l'aver ritardato qualche giorno, e nemmeno l'aver presa, rispetto alla Russia un'intonazione decisamente più favorevole anche di quella della Nota francese.
La quale è parsa a me molto secca, ma messa a fronte della inglese sarà certo un capo d'opera.
Pepoli scrisse da Pietroburgo in data 17 Aprile che la consegna delle Note produsse grande agitazione a Pietroburgo. La nobiltà e la borghesia spingono l'Imperatore alla guerra anziché alle concessioni: l'odio contro la Polonia, il dispetto contro la Francia vanno crescendo: è cresciuto pure il rancore contro l'Austria.
Tutto questo sarà forse un temporale d'aria; ma la presenza di Bismarck al Ministero a Berlino può produrre la guerra. Usedom dice chiaramente che da Bismarck possono aspettarsi le più grandi sciocchezze: il solo sospetto di un'alleanza fra la Prussia e la Russia può rendere la guerra inevitabile.
Sono ansioso di conoscere il tuo giudizio sulla nota del brigantaggio e su questa che ti spedisco.
Ho incaricato Sormani di parlarti dei libri che desideri.
Visconti è andato a Firenze ma ritornerà lunedì. Minghetti parte domani sera per ritornare col Re mercoledì. Addio credimi sempre Tuo affezionatissimo Artom
PS: Vimercati è andato a Firenze ma tornerà lunedì. Minghetti parte domani sera per ritornare col Re mercoledì.
Torino, 3 maggio 1863
Scriviamo oggi a Pepoli per mezzo di Tornielli un lungo dispaccio per spiegargli i motivi che ci hanno guidati nella questione polacca. Non suggelliamo questo dispaccio affinché Tu e De Launay possiate leggerlo.
Ti scriviamo pure oggi un dispaccio ufficiale per autorizzarti a dar comunicazione della Nota alla Russia di cui Tu hai già la copia. In questo dispaccio, di cui si desidera che Tu dia lettura ma non copia, abbiamo fatto una lieve allusione alla differenza che separa l'Inghilterra dalla Francia nella questione polacca.
Visconti e Minghetti credettero che ciò fosse utile per potere comunicare più tardi il dispaccio alla Camera, prepararci un argomento di difesa contro coloro che ci accusano d'aver lasciato all'Austria il primo posto nella questione polacca, e di non venire che in seconda linea cogli Stati di 2° e 3° ordine.
Sai che il conte Arese è precisamente fra quelli che biasimano la nostra condotta; eppure Egli dovrebbe pure sapere che la colpa è di Drouyn de Lhuys e non nostra.
Oggi si ricomincia a mandare una specie di circolare periodica a tutte le Legazioni.
È bene che anche di questa non si dia copia.
Avevo fatto preparare da Blanc un lungo dispaccio riassuntivo delle notizie del brigantaggio, di cui siamo soffocati dal Ministero dell'Interno.
Ma rileggendolo ci siamo avveduti che le notizie erano confuse e contraddittorie. Veglio prepara ora un rapporto in cui coordinerà tutti questi ragguagli, e che ti manderemo.
Quest'affare del brigantaggio diventa ogni giorno più noioso e grave. Per carità trova modo che Drouyn accetti la proposta d'una nuova Convenzione perché almeno si possa con questa promessa turar la bocca alle declamazioni che ci aspettano e che fanno rizzar i capelli sul capo al povero Visconti.
Credo inutile dirti che non si tratta punto del ritorno di Ricasoli al Ministero.
Il colloquio di Brolio ebbe per scopo e per risultato di smentire indirettamente tutte le voci che ti ho fatte conoscere relative ad intrighi per smembrare l'Italia ecc. ecc. Addio credimi e scrivimi Tuo affezionatissimo Artom
Torino, 13 maggio 1863 (confidenzialissima)
Approfitto della partenza del Principe Lubomirski per scriverti due righe in tutta fretta ed in tutta confidenza.
Il Ministro ha ricevuto ieri la tua lettera confidenziale e ti ringrazia di quella comunicazione. Essa accresce i nostri timori d'essere esclusi dai negoziati confidenziali e da un Congresso possibile. Il Conte Arese ha scritto a Mocquard a questo proposito, e noi abbiamo telegrafato a Londra. Azeglio rispose non credere probabile un Congresso, in ogni caso sarebbe composto delle otto Potenze segnatarie dei trattati del 15 vale a dire che noi ne saremmo esclusi. Per evitare ciò converrebbe forse prender noi l'iniziativa e fare un progetto per la Polonia. La cosa è oltremodo difficile, ed anche non è senza pericoli.
Non si può chiedere l'indipendenza assoluta, e noi siamo certamente quelli cui meno conviene di proporre un semplice remplasage (rimpiazzo ndr) diplomatico. Poi chi sa se con ciò non ci porremmo in contrasto col Giove Olimpico?
Malgrado queste obbiezioni ho fatto un abbozzo che Minghetti e Visconti Venosta si riservano di prendere in considerazione. Te ne mando copia, e ti prego anche a nome loro di dirci venerdì per telegrafo in cifra la tua opinione sul medesimo: vorremmo sapere inoltre se lo credi accettabile dalla Francia.
Se lo fosse noi lo spediremmo in cifra a Pietroburgo ed a Londra, colla proposta formale di tenere un Congresso che dovesse studiare su quelle basi la soluzione della questione. Questo sarebbe un modo di prendere qualche iniziativa e ricollocarci al posto che finora ci è negato. Per vincere poi le difficoltà inglesi ed austriache circa la nostra partecipazione al Congresso, vi sarebbe un modo, che Io ti accenno al volo e su cui ci dirai pure il tuo parere.
Capisco benissimo che non si vogliano far intervenire al Congresso tutte le Potenze che accedettero ai Trattati del 1815. Fra queste noi siamo la sola che abbia diritto ad essere considerata come uno Stato di primo ordine. Siamo i soli che potrebbero far pesare sulla bilancia la propria influenza dal lato della Francia. Ecco in qual modo si potrebbe limitare a noi l'invito, oltre alle 8 che firmarono i Trattati del '15.
Sta per riunirsi una Conferenza per le Isole Ionie: a questa abbiamo diritto d'intervenire perché il Re di Napoli fu invitato ad accedere alla Convenzione del 5 novembre 1815 che costituì il protettorato inglese sulle isole Ionie. Questa Conferenza o Congresso potrebbe occuparsi della questione polacca. Si offenderebbe meno così l'orgoglio russo, il quale certo si ribella all'idea di subire un Congresso per la sola questione polacca. Se la Francia ammettesse quest'idea la si potrebbe senza difficoltà far accettare dall'Inghilterra, la quale esigerebbe tutt'al più che fosse chiamata anche la Turchia.
Il mio progetto sarebbe forse accettato dalla Russia: ma incontrerebbe ostacoli insuperabili dal lato della Prussia. Questo dovrebbe renderlo accettabile a Parigi.
Stiamo preparando un Libro Verde: hai tu obbiezioni a che si pubblichino i dispacci di Pasolini sul brigantaggio del 19 febbraio, quelli del 21 febbraio, 18 aprile ed 8 maggio sulla bandiera, l'ultima nota sulla Convenzione Militare e la risposta se la mandi e se è favorevole? Per far meglio e più presto ti mando la copia dell'indice dei dispacci di Gabinetto di cui propongo la pubblicazione. Si aggiungeranno altri sul Commercio, l'America e l'Oriente. Dimmi il tuo parere subito anche su ciò perché si vogliono far stampare per l'aprirsi della nuova sessione che avrà luogo probabilmente il 21 con discorso della Corona. Artom
ALLEGATO.
l. Cracovia è ricostituita in città libera ed indipendente giusto all'articolo dell'atto finale di Vienna.
Però al Protettorato esclusivo dell'Austria, della Prussia e della Russia è sostituito quello di tutte le Potenze intervenenti al Congresso.
2. L'Imperatore d'Austria, quello di Russia ed il Re di Prussia possederanno d'ora innanzi, nei territori che costituivano rispettivamente il Regno di Galizia, il Regno di Polonia ed il Granducato di Posen, i diritti che competono al Re di Svezia sopra la Norvegia.
3. La Galizia, la Posnania ed il Regno di Polonia godranno perciò d'una Costituzione politica e d'un'amministrazione separata e distinta da quella della Russia, dell'Austria e della Prussia.
4. La città libera di Cracovia, la Posnania ed il Regno di Polonia costituiranno una Confederazione Polacca. Questa sarà rappresentata da una Dieta che si riunirà a Cracovia, ed i membri della quale saranno nominati dalle Diete elettive di ciascuna delle provincie anzidette.
5. La Confederazione Polacca costituirà uno Stato neutrale a perpetuità. Esso potrà tenere milizie nazionali per garantire la propria sicurezza ed il buon ordine interno.
6. In compenso dell'obbligo che spetterebbe alla Galizia, alla Posnania ed al Regno di Polonia di fornire un contingente militare ai loro Sovrani rispettivi, quelle provincie si obbligano:
A) ad assumere una parte proporzionale del debito pubblico degli Stati Austriaci, Russi e Prussiani;
B) al pagamento d'un tributo annuo la cui somma sarà determinata dal Congresso.
7. Gli Imperatori d'Austria e di Russia ed il Re di Prussia si obbligano ad accordare ai loro sudditi di origine polacca non dimoranti nel territorio della Confederazione Polacca, il libero uso della loro lingua e religione. Codesti sudditi saranno inoltre parificati nei diritti civili e politici agli altri cittadini russi, austriaci e prussiani.
Torino, 16 maggio 1863
Caro Costantino, Permettimi di presentarti il Signor Fell, che mi fu vivamente raccomandato dal Corrispondente del Morning Post. Egli è grande amico di Mr. Brown, e si reca a Parigi per vincere le difficoltà che si oppongono all'attuazione del suo disegno, di fare una strada ferrata provvisoria per attraversare il Cenisio colla locomotiva senza bisogno di tunnel. Sai che il nostro Governo ha già aderito dal suo canto, non opponendo altra condizione che quella d'ottenere il consenso del Governo Francese.
Ma questa impresa, che si collega all'altro disegno di far passare per Ancona ed il Cenisio la valigia delle Indie, ha incontrato viva opposizione nell'amministrazione francese. Il sig. Fell, si lusinga che anche in questa cosa l'Imperatore si mostri d'animo più liberale di quelli che l'attorniano. E perciò se tu puoi fare qualche cosa per lui, credo che sarà utilissimo pel paese. Ad ogni modo non ti spiacerà d'avere dalla sua bocca spiegazioni precise sul suo ingegnoso sistema, cosicché mi perdonerai il piccolo disturbo che ciò ti può forse recare.
Addio, mio caro, credimi sempre tuo affezionatissimo Artom
Parigi, 18 maggio 1863
Ho esaminato i dispacci di cui mi hai mandato la lista. Sulla questione del brigantaggio o bisogna limitarsi, a mio avviso, a pubblicare la nota del 21 Aprile colla risposta quando verrà, il che mi pare infinitamente meglio, ovvero bisognerebbe pubblicare tutti i dispacci con tutte le risposte le quali si rassomigliano tutte, giacché tutte negano i fatti. La pubblicazione dei soli dispacci senza le risposte della Francia riveste il carattere d'una vera requisitoria contro il Governo Francese, o d'una umiliante giustificazione verso la Camera.
Quindi se mi credete, limiterete la pubblicazione alla Nota contenente la proposta di Convenzione accompagnata delle risposte, escludendo il dispaccio del 19 Febbraio. Così se pubblicate il dispaccio sui passaporti del 12 Marzo, parmi conveniente pubblicare la risposta contenuta nel mio dispaccio del 9 Aprile.
Desidererei pure, e ti prego di dirlo a Minghetti e a Visconti Venosta, che si potesse pubblicare il mio dispaccio del 10 Dicembre 1862 il quale contiene un breve sunto delle negoziazioni sulla questione romana e serve di giustificazione alla Circolare del 20 Dicembre. Certamente non si può pubblicare in tutta la sua crudezza. Ma mitigato alquanto, e tolti alcuni periodi che potrebbero parere indiscreti, parmi possa essere utilmente pubblicato. Io proporrei di pubblicarlo modificato nel modo indicato nella copia che ti unisco.
Ti prego di dire a Minghetti e a Visconti che Io credo utilissimo che Arese si trovi a Vichy quando ci sarà l'Imperatore. A quell'epoca si saprà un po' meglio se v'è probabilità di guerra o no. La presenza di Arese manterrà l'Imperatore in buone disposizioni e sarà utilissima. Attacco una grande importanza a ciò. Impegnate vivamente Arese a renderci questo servizio. La nostra posizione verso i Gabinetti di Parigi e di Londra (non parlo di Vienna) nella questione polacca è talmente debole che non si deve risparmiar nulla onde renderla migliore. Nigra
Torino, 20 maggio 1863
Rispondo immediatamente per mezzo di Sonnaz alla tua lettera che ho ricevuta stamane.
La pubblicazione del tuo dispaccio del 10 Dicembre avrebbe il vantaggio di collocare francamente la questione romana nei suoi veri termini, e di troncare ogni speranza esagerata, far cessare ogni ambiguità. Ma vi sono degli inconvenienti i quali superano a mio credere questo vantaggio. Primo di essi è quello di provocare una discussione tempestosa la quale si vorrebbe evitare. Vi è qui un partito forte, numeroso, i cui aderenti non siedono tutti alla sinistra, e che ha rappresentanti anche nel Senato, il quale crede che l'Italia non debba acconciarsi ai voleri dell'Imperatore rispetto a Roma, ma debba anche, a costo d'una interruzione dei rapporti diplomatici, parlare alto e forte alla Francia. Ricasoli è di quest'avviso, Della Rovere, e parecchi altri Ministri si esprimono egualmente.
Il tuo dispaccio, che sarebbe il primo del Libro Verde, getterebbe una luce infausta sulla politica del Ministero, il quale, non avrebbe scelto, per mere ragioni di convenienza, la via che ha battuto finora, ma avrebbe fatto atto di servilità, addormentando o cercando d'addormentare la questione romana. Minghetti, Visconti ed Io siamo dunque d'avviso che del tuo dispaccio si possano, occorrendo, leggere dei brani alla Camera, nel caso possibile d'interpellanza sulla questione romana: ma che non convenga pubblicarlo per intero, senza una pressione parlamentare assai evidente.
Quanto al resto seguiamo il tuo avviso. Circa il brigantaggio non si pubblica che l'ultima Nota: ma sarebbe sommamente desiderabile che fosse immediatamente seguita da una risposta affermativa. Se il Governo Francese respinge la nostra proposta circa la Convenzione Militare, noi saremo costretti a togliere dal rapporto segreto sul brigantaggio gli elementi d'un memorandum contro la Corte Romana, e per riverbero contro la Francia. Io ho resistito finora a questa che mi pare una solenne minchioneria, ma se tu non riesci a trarci d'impaccio la cosa è inevitabile.
Spero che Arese si decida ad andare a Vichy. Qui tutti ci accusano di non essere al posto che ci compete nella questione polacca. Certo che se la Francia dopo aver combinata la sua seconda Nota coll'Austria viene di nuovo a chiedere il nostro amen, noi saremo costretti a rispondere che non vogliamo attirarci altre risposte sgradevoli da Gortchakoff. È bene non dirlo anticipatamente perché non si prenda questo pretesto per lasciarci affatto in disparte: ma è bene che tu lo sappia.
Addio. Puoi dire a Gambarotta che è probabile la sua nomina a Tunisi.
Ho veduto tuo suocero, ed il tuo Lello, che sta benissimo, e s'è fatto assai grandicello (il figlio di Nigra ha 8 anni ndr). Artom
P. S. Ricevi le mie felicitazioni per la nomina a Gran Croce dell'Ordine del Merito di Venezuela. È il nostro Console colà che ci ha data questa curiosa notizia
Torino, 1° giugno 1863
Eccoti una lettera di Minghetti sulla situazione. Anche Visconti scriverà, se ne trova il tempo. Egli è ora alla Camera.
Ho dato Io stesso a Peruzzi la copia confidenziale contenente informazioni su quanto accade a Lugano. Egli mi mostrò una lettera, contenente le stesse cose colle stesse parole, il che fa supporre che la stessa persona scriva a Torino ed a Parigi. Non te ne mando copia perché è inutile. Ma ti trascrivo il brano seguente che forse fu omesso nell'estratto che ti fu consegnato a Parigi.
«A Lugano si è sulle furie contro Turr che è andato a Costantinopoli e quindi nei Principati Danubiani. Lo si ritiene un emissario napoleonico spedito colà per imbrogliare la matassa e scomporre il lavoro del Comitato Europeo di Londra, soprattutto nell'emigrazione ungherese. Si vuole controminare tale missione mandandovi qualche altra persona influente».
Aggiungerò che partì infatti da Lugano per Costantinopoli certo Guerzoni che è seguito da uno dei nostri.
Una lettera da Vienna, che mi fu comunicata, reca che l'Austria è convinta che la guerra per la Polonia scoppierà l'anno venturo, e che per unirsi alla Francia, chiede che in Italia le cose siano riposte allo stato in cui erano all'epoca del trattato di Zurigo, con questa differenza che a Napoli Francesco II sia sostituito da Murat. Gramont parla in tal senso. Naturalmente ti do la cosa per quello che vale, e senza garantirla. Avrò presto altre notizie, che ti comunicherò.
Insistiamo a Londra per l'ammissione al Congresso, ma con poca speranza.
Non puoi Tu farti strada presso l'Imperatore? Tutte le missioni, e specialmente quella del Vimercati ci fanno più danno che vantaggio. Esse indispettiscono Drouyn de Lhuys e Sartiges non lo nasconde. D'altro canto è indubitabile che per ogni cosa un po' importante bisogna risalire sino a Giove. Ma sarebbe infinitamente meglio che Tu trovassi il modo diretto od indiretto di giungere sino a lui. Si eviterebbe il chiasso e si otterrebbero migliori risultati.
Non dispero d'ottenere dal Conte Arese che vada a Vichy.
Sartiges è venuto ora da me a chieder notizia delle elezioni. Benché non lo dica egli è inquieto. Speriamo d'avere un tuo telegramma stasera.
Addio. Fammi il favore di dare a Sormani i programmi che egli mi chiese per l'ammissione alle Scuole militari. Non ho tempo di scrivergli. Donato gli manda direttamente il denaro che doveva consegnare a me per lui.
Saluta gli amici Tuo affezionatissimo Artom
Torino, 2 giugno 1863
Carissimo Costantino, ti rimando il bigliettino di Drohuin de Lhouis che era annesso all'ultimo tuo rapporto su Tunisi. Fui molto lieto di sapere che Tu abbia approvato la nota su Roma.
Ero assai imbarazzato nel farla temendo di scrivere una seconda edizione della Circolare Durando.
Ti ringrazio dell'invito gentile che mi hai mandato per mezzo di Villa. Ressman ti avrà spiegato che non ho rinunciato alla speranza, e meno che mai al desiderio di riprendere le mie funzioni di Consigliere a Parigi.
Ho fatto venire il mio baule, perché dopo due anni é indispensabile ritornare a Parigi con des nippes plus freches (stracci più aggiornati ndr) e meno passati di moda.
Del resto m'annoio a Torino oltre ogni dire e rimpiango la tua affettuosa e gentile ospitalità. Pare che non ci sarà più discussione seria sulle Finanze. Il Ministero vegeterà sino all'autunno. Allora si dovrebbero fare le elezioni generali, ma su quale questione farle e con quale autorità?
L'inchiesta sull'affare delle ferrovie meridionali ha finito per togliere nel pubblico ogni prestigio alla Camera attuale. Ma non credo che le elezioni generali possano fornire al Parlamento nuovi e più sani elementi.
Addio caro Costantino, saluta gli amici, conservami il tuo affetto e credimi tuo Artom
Torino, 11 giugno 1863
caro amico, ti scrivo due righe in fretta per chiederti, a nome di Arese, se l'Imperatore va quest'anno a Vichy, ed in quale epoca.
Arese non è ancora deciso ad andarci ma bramerebbe sapere il più presto possibile cosa ha deciso l'Imperatore a questo proposito.
Oggi abbiamo le interpellanze. Spero che si eviterà di discutere a fondo la questione romana. Addio credi all'amicizia del tuo Artom
Parigi,18 giugno 1863
Caro Amico, ti scrivo da Fontainebleau per dirti l'epoca probabile della partenza dell'Imperatore per Vichy. La Corte sta a Fontainebleau fino al 5 luglio. Tempo fa s'era detto che l'Imperatore sarebbe andato a Vichy l'11. Non so se si sia fatta in seguito qualche modificazione a questo progetto. Tu mi consigli, in una delle tue ultime lettere, a veder l'Imperatore e mi fai osservazioni, che mi paiono molto sensate, sulle migliori azioni ufficiali. Io posso vedere l'Imperatore quando voglio. Non solo non mi ha mai rifiutato un'udienza sempre che l'abbia chiesta, ma anche senza domanda m'ha sempre ricevuto ogni volta che mi sono presentato all'anticamera del suo gabinetto. Non vorrei però abusare di questa posizione eccezionale, e desidero riservarmi per i casi importanti e quando c'è speranza di risposta. D'altra parte non è male che il re si convinca che bussando ogni dì alla porta si riesca meno che tenere un contegno più riservato. Nulla mi sarebbe più facile che il fare la forbice (dire le cose parzialmente ndr) all'Imperatore quando mi invita a cena con lui, o a pranzo o alle serate o quando vivo otto o quindici giorni sotto lo stesso tetto in continuo contatto con esso, discorrendo di antichità romane o di Giulio Cesare. Ma dall'un lato l'Imperatore non ama dir cose spiacevoli; dall'altro lato, perché le mie parole abbiano peso, bisogna che vengano opportune. L'altro giorno gli ho presentato Negri a Fontainebleau. Ci tenne per un'ora e mezza a discutere della Cina. Scese a mostrarci il Museo Cinese, ordinato dall'Imperatore, a cui Negri, colto da estro poetico, improvvisò dei versi, che l'Imperatore tradusse esso stesso. All'Imperatore quando sarò a Fontainebleau, se Minghetti o Visconti mi mandano una lettera esponibile, approfitterò della circostanza per trattare a fondo le due questioni: brigantaggio e Polonia. Quanto al brigantaggio mi prometterai, ne son certo, di dare istruzioni per un efficace accordo. Tu sai benissimo che il male consiste nella presenza di Francesco II e nell'occupazione. Per Francesco II so che ha ordinato nuove istanze per consigliarlo a partire, ma se quegli s'incoccia non lo manderà via colla forza. Rispetto all'occupazione dirà, o meglio ripeterà che non può farla cessare per le ragioni tante volte dette. Quanto alla Polonia se la Russia commette la bestialità di accettare un Congresso speciale (ho ragione di credere che non lo farà), saremo sacrificati all'Austria, cioè saremo esclusi. L'Inghilterra ci abbandonerà, e la Francia ci sosterrà un po' per la forma, ma cederà alle esigenze austriache; non c'è forza umana che valga a mutare questa posizione. Ma se, come è più che probabile, la Russia propone un Congresso Generale, allora noi dobbiamo, capiti quel che può, mettere sul tappeto le nostre questioni, e non possono escluderci. Vero è che appunto per questo l'Austria non accetterà il Congresso Generale. La questione sta dunque sulla risposta russa e nella fermezza di Gortchakoff. Ma di cui scrivo a Visconti. Voglimi bene e credimi sempre Tuo affezionatissimo Costantino
PS. Impegna Arese ad andare a Vichy. Fra un mese la posizione si disegnerà meglio; e siccome non posso andarci Io è bene che ci sia Lui vicino all'Imperatore. La sua presenza (purché non abbia missione ufficiale) non inalbera Dr lath...
Reuss fu invitato a Fontainebleau. Goltz che non ebbe invito perché in congedo, un po' indispettito, e non voglia a trattenerlo l'invito tardivo che gli fu mandato. Ti scongiuro a mandarmi sempre la traduzione francese degli annessi ai dispacci del brigantaggio, perché possano essere utilmente comunicati. Boyl è sopraccarico di lavoro e queste traduzioni a cui debbo provvedere io stesso mi consumano un tempo prezioso.
Ho trovato finalmente una casa per la Legazione, elegante e discretamente conveniente. Ma non vi è posto pel consolato. Ne scrivo d'ufficio. E' indispensabile che il Consolato si trovi un ufficio separato, coma a Londra, Pietroburgo e dappertutto. Ma per ciò bisogna aumentare l'assegnamento al Console. Spero che questo aumento non si diffalcherà dal mio assegnamento. La casa costerà 30.000 franchi all'anno, coi mobili 40.000, cioè il doppio di Londra e Pietroburgo.
Ti aggiungo gli ultimi bollettini di Cobianchi per metterti al corrente dei rumori che circolano nel mondo ch'egli frequenta.
Torino, 25 giugno 1863
Ti mando per ordine del Ministro una lettera particolare di La Rovere ed un quadro che contiene le notizie confidenzialissime da Te chieste circa l'esercito.
Mi rallegro teco per aver trovato la casa. Dimmi se vi è pure l'alloggio pel primo segretario, o se nel caso, assai desiderato da me, del mio ritorno a Parigi, Io dovrei provvedermi un altro appartamento. Insisterò presso il Ministro e presso Cerruti perché aumentino l'assegno pel Consolato. L'ostacolo grave è che occorre l'intervento della Camera. Attendo la risposta da dare ad Arese circa Vichy. Temo però che non ci riuscirà di indurlo ad andarci quest'anno.
Peruzzi mi disse che converrebbe indirizzarti un dispaccio ufficiale in cui la questione romana venisse formulata nei termini in cui fu posta alla Camera da Buoncompagni e da Minghetti. Gli dissi che ci avrei pensato, ed intanto ti prego di scrivermi il tuo avviso.
Attendiamo con ansietà il tuo Corriere d 'oggi. La situazione interna è buona, ma Io dubito che la Camera abbia la pazienza necessaria per discutere nel mese di luglio cinque o sei leggi amministrative e finanziarie.
Torino , 27 giugno 1863
Ti rimando Villa (Corriere ndr) secondo il tuo desiderio. Minghetti mi disse che avendone il tempo ti avrebbe scritto due righe dal Senato, ma Egli non potrà risponder subito alla tua importantissima lettera. Egli la farà leggere domattina al Re.
Ci fu di gran conforto il sapere che l'Imperatore continua ad esser favorevole alla causa italiana, e che a nessun patto garantirà la Venezia all'Austria.
Forse sarebbe saviezza ascoltare i suoi consigli, occuparsi unicamente ancora per lungo tempo e quasi esclusivamente di politica interna.
Ma tu conosci la suscettività direi quasi morbosa dell'opinione pubblica in Italia circa la politica estera. Si attribuisce a pochezza d'animo, ad imbecillità nostra quello ch'è il risultato necessario della situazione.
Il solo conte Cavour avrebbe potuto fare una politica d'attesa e di riserva indefinita all'estero, senza vedersi scemare ogni autorità all'interno. Il voto di fiducia significa apertamente: sinora avete forse fatto bene, ma d'ora in poi bisogna far meglio.
La gita di Pepoli fu funesta in questo senso. Egli non cessò i rapporti con Rattazzi. Parla come un rivoluzionario. È d'uopo cessare d'esser pedissequi della Francia, l'Italia è e deve agire come una grande Potenza, non lasciarsi escludere da niuna grande questione, dichiarar altamente i propri principi, far assegnamento sulle forze rivoluzionarie ed usarle a spauracchio dei Governi ecc. ecc.
Tutte chiacchiere roboanti che mascherano la più assoluta vacuità di mente, una completa mancanza di senso pratico. Eppure questa sola è la politica intesa dai più.
La tua lettera apre però una via. Cercare di sostituire all'alleanza fra l'Austria e la Francia, quella anglo-francese troncata in Crimea. Perciò togliere possibilmente le cagioni di diffidenza reciproca fra l'Inghilterra e la Francia. Non è impossibile che Pasolini faccia tra breve una gita segreta a Londra per lavorare in questo senso. Non commetto indiscrezione parlandone a te, ma è un segreto per tutti.
Arese non andrà a Vichy ma a Montecatini. Egli s'avvede, troppo tardi che non ha completamente avuto successo in alcuna cosa. Non vuole esporsi a nuovi insuccessi, ed Io non posso disapprovarlo.
Minghetti è malcontento del modo con cui la stampa francese ha trattato le ultime discussioni della Camera. I migliori giornali non si occuparono del suo discorso o ne travisarono il senso. Eppure esso è veramente un bel discorso.
Minghetti fu battezzato in quest'occasione come vero successore del nostro povero Conte. Egli mostrò tutto, presenza di spirito, verve, temperamento e coraggio politico. Anche nel duello si condusse da gentiluomo.
Avrai veduto che Sella votò ad alta voce per lui, e gli diede quindi ragione sul fondo dell'incidente.
Minghetti ha ora un grande avvenire se la fortuna gli apre il destro a fare non solo un bel discorso, ma qualche cosa d'importante in politica estera.
Seguiremo il tuo parere circa la Polonia. Appoggeremo cioè la proposta del Congresso se la Russia ne piglia l'iniziativa. Ma se essa non lo fa, dobbiamo pigliarla noi, come vuole Pepoli? Dimmi il tuo avviso. Artom
Torino, 1° luglio 1863
Sul momento di spedirti il Corriere riceviamo un dispaccio da Pepoli. Te lo mando. Gli avevamo scritto che Palmerston credeva che la Russia ci tendesse un piège ( una trappola ndr) nel far proporre da noi un Congresso, collo scopo di liberarsi dalle strette delle tre Potenze. Addio, scrivimi, o fammi dare le tue notizie da Sormani. Artom
Torino, 9 luglio 1863
Caro Costantino, Ti ringrazio moltissimo d'aver pensato anche a me nella scelta della nuova casa.
Io non so quando potrò ritornare a Parigi; ma questo è pur sempre il mio più vivo desiderio, e ciò che mi vi spinge di più è il pensiero che potrei di nuovo godere della tua ospitalità.
Ti mandiamo quest'oggi la Nota di cui ti parlai alcuni giorni fa sulla questione romana. Fu Peruzzi che spinse a farla. Gli pare necessario di porre nettamente la questione sul terreno diplomatico e di non lasciarla nei termini in cui fu posta dalle Note di Durando e da quella di Drouyn de Lhuys. Ma tu rimani pienamente giudice di comunicarla o non, ed anche di non parlarne affatto. Puoi anche modificarla se lo credi come facesti per quella del brigantaggio.
Quello che importa a noi è di stabilire una data per dimostrare che un tentativo s'è fatto, d'avere, dopo il 20 Giugno, un dispaccio da pubblicarsi sulla questione romana. Se l'Imperatore e Drouyn de Lhuys credono di poter, su quella nuova base, intavolare dei negoziati, che dovrebbero essere a un dipresso, quelli già convenuti fra il principe Napoleone ed il conte di Cavour benissimo, altrimenti qui guadagna terreno l'opinione che si debba spingere innanzi la questione romana con dei mezzi indiretti ma energici.
Peruzzi non è alieno dal lasciar organizzare presso i confini romani una specie di contro-brigantaggio; dal sottoporre a sequestro i beni dei Cardinali e dei Funzionari pontifici esistenti nel territorio italiano, e le annualità che loro si pagano; del fare lo stesso per gli emigrati borbonici ecc. Io non entro, che con somma ripugnanza, in quest'ordine d'idee, ma ne capisco la necessità, perché vedo l'assoluta impossibilità di non far nulla, nulla, indefinitamente nulla. Però tutti questi provvedimenti non sarebbero nella mente di Peruzzi che una specie di pegno preso per ottenere dall'Imperatore qualche altra cosa gli si direbbe: - queste misure le pigliamo a malincuore; riesci Tu a far cessare le ostilità della Corte di Roma contro di noi, e noi rinunceremo a questa specie di rappresaglia; se non ci riesci Tu, e non volete ritirarvi da Roma, lasciateci padroni di prendere a casa nostra i provvedimenti che crediamo opportuni -.
Non ti spaventare anzitempo di ciò: non se ne parlerà sul serio che verso ottobre.
Ma Io credo doverti informare per tempo delle tendenze.
Veglio mi prega di chiederti se sai chi siano un certo Pozzo di Borgo ed un certo Zello che stettero quattro giorni a Caprera, poi partirono per Parigi.
E Minghetti brama di sapere se sia vero che Rattazzi ha comprato, per mezzo di Duhamel o di Leonce Dupont, antico corrispondente della Monarchia Nazionale, la Nation. Artom
P.S. -Mi si afferma di nuovo che la Principessa Matilde non sia più con Vimercati nei termini di intimità in cui era. Potresti dirmi se ciò è vero? Dall'altro canto Vimercati continua ad offrire la sua influenza su Rouher con cui dice d'essere in stretta confidenza. Io te ne avverto per tua norma.
Non è improbabile che Pasolini faccia presto una gita a Londra, in questo caso verrà a Parigi e ti comunicherà lo scopo del viaggio. Non gli dirai però che Io te ne ho avvertito. La sua gita deve rimaner segreta.
Il Decreto pei Corrieri è firmato: va in vigore il 15. Preparati a far senza di "Villa".
Ti prego di fare i miei saluti a Sormani, Noja, Boyl, Incontri ecc. Dì a quest'ultimo che non s'è ricevuto il fascicolo di Marzo degli Annales du Commerce Extérieur e che Maestri insiste molto per averne una nuova copia.
Torino, 19 luglio 1863
Mi spiace assai di sentire che tu sia malato colla febbre, e verrei immediatamente a Parigi se potessi lusingarmi che la mia presenza ti permettesse di assentarti dal tuo posto. Ma finché dura questo disgraziato incidente di Genova, piovutoci addosso come una tegola sul capo, né Io mi posso muovere da Torino né Tu da Parigi. Aggiungi che Io sto così poco bene di salute che avevo già supplicato Visconti di darmi un mese di congedo, cosa che non ho da più anni e che pagherei anche a costo delle mie dimissioni. Quasi quasi desidero che il Ministero cada, com'è probabile, su questa questione per domandare l'aspettativa senza stipendio e rimanere un po' di tempo a casa con mia madre, malaticcia anch'essa, e che da gran tempo non mi ha presso di lei due giorni di seguito. Però se tu puoi fare con Incontri ancora pel mese d'agosto, Io, se non accadono avvenimenti straordinari, pregherò Visconti di lasciarmi ritornare a Parigi nell'autunno o nell'inverno.
Infatti la mia vita qui è molto triste. Non v'è né occasione né speranza di fare alcun po' di bene. A poco a poco vedo il Ministero perdere ogni autorità nelle questioni estere, ed Io non so più quale espediente suggerire, né quale missione mandare per uscire dall'isolamento e dall'inerzia che ci è imposta.
Quest'ultimo incidente è veramente e puramente una disgrazia. Esso è dovuto alla circostanza che ora ti dirò.
La notte stessa in cui Gualterio telegrafò in cifra a Peruzzi circa l'arrivo dell'Aunis[25]
Peruzzi fu chiamato per telegrafo a Pisa perché suo suocero era stato colpito da apoplessia. Il dispaccio di Gualterio rimase qualche ora a casa Peruzzi senza essere decifrato; non fu che la mattina alle 10 che Spaventa ne ebbe conoscenza e telegrafò immediatamente a Genova per impedire l'arresto. Intanto questo era avvenuto e Gualterio replicò trionfante che il Console aveva aderito, che la popolazione era entusiasta ecc.
L'assenza di Peruzzi e quella del Re fece si che il Consiglio non si occupasse della cosa che tardi, ed altro tempo fu perduto nella speranza che il mezzo termine concertato fra te e Drouyn de Lhuys e di cui questi sconfessa la paternità fosse accettato. Intanto qui vi è uno scatenamento generale contro la Francia ed io esito assai a credere che il Ministero resista alla burrasca, o non vi perda almeno ogni autorità morale. Se si ottenesse che l'estradizione seguisse a brevissimo intervallo la restituzione dei briganti, pazienza: ma se corrono molti giorni fra l'una e l'altra o se per qualsiasi pretesto l'estradizione è rifiutata Io vedo la rottura inevitabile. In questo caso Io bramerei che altri uomini facessero la nuova politica. Vimercati, che fu chiamato qui dal Re, il quale voleva mandarlo a Vichy, ma che ritorna stasera a Pegli, ti consiglia a rivolgerti a M. Noel, segretario del Contenzioso per raccomandargli la pronta concessione dell'estradizione. Egli fu nominato testé commendatore dei soliti santi. Peruzzi mi raccomanda di dirti di far valere tutta l'importanza della concessione che noi facciamo alla Francia; di far sentire che se essa non cambia modo d'agire su di un incidente od un altro si dovrà rompere finalmente; che insomma per ripetere una frase celebre, la position n'est plus tenable. Addio, caro Costantino. Non sono di buon umore quest'oggi e vedo una lunga e magra figura avvicinarsi alla tavola della Presidenza del Consiglio come dopo Novara e Villafranca. Artom
P. S. -La Nota che ti mando era redatta in modo più dignitoso, ma fu modificata ed addolcita in Consiglio dietro l'ultimo tuo dispaccio d'oggi. Mandami il nome dell'individuo raccomandato dalla Marchesa di Bethisy per la croce.
Torino, 25 agosto 1863
Ti mando una lettera di Piria il quale ti prega di far ritirare e mandargli a Torino per mezzo del Corriere un esemplare delle opere di Lavoisier destinatogli dal Ministro della Pubblica Istruzione.
Io fui alcuni giorni a Pegli, e speravo rimaner là tutto il mese per compirvi la mia cura di bagni di mare. Ma fui richiamato a Torino dalla necessità di rispondere a parecchi dispacci di Pietroburgo e di Berlino, tanto più che Blanc è malato ed ha dovuto partire per Chambéry per curarsi in seno alla sua famiglia.
Non puoi credere quanto dispiacere m'abbiano fatto le chiacchiere dei giornali sul tuo preteso richiamo. Esse furono cagionate dalla notizia del tuo congedo, ed i tuoi nemici ne approfittarono per far credere e far dire su tutti i tuoni che si era deciso di mandar altri a Parigi in vece tua. Non ho d'uopo di dirti che non v'è nulla di vero in ciò, ed ho pregato Visconti di scrivertelo pure. Ma forse, se la tua salute non ti impone assolutamente di venire in Piemonte, faresti bene a non pigliare per ora il tuo congedo. Qui si strepita assai contro l'inerte politica del Ministero, contro il nostro isolamento ecc. Il Congresso di Francoforte, l'affare del Messico, hanno allarmato tutti, e si crede sul serio che la Francia ci sacrifichi all'Austria. Il congedo dei nostri principali diplomatici, l'assenza tua da Parigi rendono più evidente questa inazione, questo isolamento che ci sono rimproverati. Tu non ci guadagni ed al Ministero ne va a discapito. Dico questo nel tuo esclusivo interesse. Io verrò a Parigi se tu hai bisogno di me e non ho che da preparar di nuovo mia madre alla mia assenza. Ella si era abituata a vedermi di tanto in tanto, ed ora le duole che Io mi allontani. Ma se potessi passar con lei alcuni giorni, riuscirei a persuaderla.
Addio, salutami Sormani, Noja, Incontri, e tutti gli altri. Spero che sarai guarito dalle febbri. Ma ti sarò grato se vorrai darmi notizia di te ... Artom
P. S. - Non ti parlo di politica perché Minghetti scrive una lettera a Pasolini che questi ti farà leggere.
Torino, 28 agosto 1863
Caro Costantino, Ti mando: 1° per incarico di Peruzzi la traduzione d'un rapporto del Prefetto della Terra di Lavoro sui nuovi fatti di brigantaggio avvenuti presso la frontiera romana.
Il Mayr, che lo scrisse, è uomo serio, ed il suo rapporto merita di essere preso in considerazione. Esso dimostra che il brigantaggio infierisce particolarmente lungo la frontiera romana, contro quanto scrisse il Montebello a Lamarmora, e potrebbe servire a dimostrare la necessità di addivenire alla Convenzione Militare.
2° due pieghi per Berlino e Francoforte. Essi contengono la copia della Nota che si scrisse a Te sul Congresso di Francoforte.
Non mi pare conveniente mandarli per la posta attraverso la Germania. Forse Tu potrai avere qualche occasione per Francoforte, per mezzo di Rothschild per esempio.
Altrimenti, se lo credi opportuno, puoi spedire Alberti e Noja sino a Francoforte.
Di là penserà Barral a mandare a De Launey il piego a lui diretto. Addio credimi Tuo Artom
Parigi, 2 settembre 1863
Il corriere Villa è di ritorno da Francoforte con dispacci urgenti del conte di Barral. Lo spedisco quindi senz'altro a Torino.
Ieri ho visto il conte Goltz, il quale era stato ricevuto domenica scorsa dall'Imperatore. Mi disse che l'Imperatore non era in buona disposizione verso l'Austria in seguito al Congresso di Francoforte. Il conte Goltz disse all'Imperatore che a suo avviso il miglior modo di trovar un esito alla questione polacca era forse quello d'ottenere dalla Russia direttamente la franca accettazione dei sei punti, la qual cosa la Russia aveva già dichiarato esser pronta a fare, e la promulgazione di una Costituzione di cui già si parla da qualche giorno. Se queste misure fossero dallo Czar annunciate all'Imperatore Napoleone con una lettera autografa, destinata ad esser pubblicata, pare all'Ambasciatore di Prussia che la Francia dovrebbe ritenersi per soddisfatta.
So che tale proposta venne fatta dalla Prussia alla Russia in via confidenziale.
Si teme però che l'irritazione delle popolazioni russe possa essere un ostacolo all'attuazione di questo pensiero. Ad ogni modo l'Imperatore Napoleone non l'escluse, benché si sia astenuto dal pronunciarsi chiaramente. È evidente per me che il solo impedimento ad un riavvicinamento della Francia alla Russia ed alla Prussia sia l'impegno morale preso dall'Imperatore Napoleone di ottenere qualche cosa per la Polonia.
Per poco che la Russia si presti, essa può provocare uno spostamento radicale nelle alleanze europee. Un'altra concessione a cui pare tenga molto l'Imperatore Napoleone, è il richiamo di Murawieff. Ella vedrà se non sia il caso di far giungere a Pietroburgo qualche buon consiglio in questo senso sia per mezzo di Pepoli sia per mezzo di Stackelberg. Intanto ritenga per certo che l'Imperatore Napoleone capisce benissimo le vere tendenze del congresso di Francoforte.
La conseguenza naturale dovrebbe essere l'abbandono dell'alleanza austriaca, ma è da temersi che l'Austria, prevedendo il caso e volendo evitarlo, pigli una posizione più netta e più avanzata nella questione polacca. Non bisognerebbe lasciargliene il tempo. La Russia dovrebbe accelerare le concessioni, e mettersi d'accordo colla Prussia e con noi per provocare un mutamento nella politica della Francia e suscitare imbarazzi all'Austria. Ma dal suo lato la Prussia dovrebbe modificare l'indirizzo della sua politica interna, il che, finché dura Bismarck, pare in verità non molto probabile.
Ho visto oggi il Guardasigilli. Mi ha dato finalmente la conferma che la questione dell'estradizione sarà risolta prima che l'Imperatore parta, cioè a dire entro otto giorni. La qualità di crimine comune non è più posta in dubbio. La questione che chiama l'attenzione del Guardasigilli è quella concernente il modo e le circostanze dell'imbarco giacché pare che i cinque malandrini siano stati imbarcati per ordine. Ho dimostrato al Guardasigilli che ciò non mutava punto la questione, dal momento che erano imbarcati, non importa come, su nave francese, erano su territorio francese, quindi soggetti all'estradizione.
Naturalmente il Signor Baroche non volle pronunciarsi meco sul risultato del suo esame. Ho sempre la stessa ragione di credere che sarà favorevole.
Ma intanto impegno Pasolini a parlarne all'Imperatore, e forse scriverò Io stesso al medesimo. Quel che però è positivo è che la cosa sarà risolta prima che l'Imperatore parta. Nigra
Torino, 22 settembre 1863
Caro Costantino, Ti ringrazio del bigliettino che mi hai scritto. Non avendo potuto trovar qui il "processo della monaca di Monza" ho pregato Visconti di scrivere a Tullio Dandolo, che è l'editore di quei documenti, di mandarmene una o due copie. Te le spedirò ad Aix o a Parigi come Tu vorrai.
Il Ministro (Visconti Venosta ndr) parte stasera per Milano e vi rimarrà col Presidente del Consiglio (Minghetti ndr) sino a venerdì. Entrambi desiderano assai di vederti e forse Io li accompagnerò per stringerti la mano. Però vorrebbero che questo convegno rimanesse segreto e desiderano di rimanere assenti da Torino il meno che sia possibile. Perciò preferirebbero di andare un giorno a colazione teco sull'altipiano del Cenisio od al più a Lanslebourg (Comune della Savoia nei pressi del Moncenisio ndr).
Scrivimi in qual giorno od ora Tu potrai trovarti in uno di questi due luoghi ed Io venerdì sera, cioè dopo aver parlato con Minghetti e con Visconti, al loro arrivo da Milano, ti risponderò per concertare definitivamente il colloquio. Addio credi alla vecchia amicizia del Tuo Artom
Torino, 28 settembre 1863
Carissimo Costantino, ho ricevuto ieri il tuo bigliettino al quale non potei rispondere subito, non avendo potuto parlare subito col Presidente del Consiglio e con Visconti Venosta. Entrambi verrebbero con piacere sino a Modane ma Minghetti obbietta che gli è impossibile di consacrare più di un giorno a questa gita. Perciò se Tu credi che ci possiamo trovare sull'altipiano del Cenisio, malgrado la neve e la stagione un po' inoltrata verremo fino là; altrimenti vieni Tu stesso a Susa od anche a Torino. Forse quest'ultimo partito è il migliore. Sai che il giovedì e la domenica v'é la relazione dal Re. Tu potresti finir la Tua cura e riaccompagnare Tu stesso a Torino il Tuo Lello. Se Tu mi avverti del giorno del tuo arrivo Io verrò ad aspettarti alla stazione.
Potresti arrivare mercoledì sera, per esempio, oppure se vuoi vedere il Re domenica, venerdì. Rimanere a Torino sabato e domenica e ripartire poscia direttamente per Parigi. Spedirò a Parigi direttamente mercoledì sera le due copie del Processo alla Monaca di Monza. Fammi sapere quello che decidi e credimi Tuo affezionatissimo Artom
PS: Sai in qual giorno preciso arriva a Parigi 11070? (cifrato non comprensibile ndr)
Se preferisci che noi veniamo al Cenisio scegli un giorno che non sia né domenica né giovedì. Addio
Torino, 15 ottobre 1863
Caro Nigra, come avrai veduto dal dispaccio che ti abbiamo spedito qualche giorno fa, P.ni (il Ministro degli Esteri Giuseppe Pasolini ndr) prima di riscrivere a Londra fece un'obbiezione alla quale niuno di noi seppe rispondere in modo soddisfacente. Che si fa se l'Austria respinge il progetto? Per misurare le probabilità d'un rifiuto e d'un'accettazione per parte dell'Austria, mi venne in mente di ricorrere a quell'operazione ch'ebbe si gran parte nei lavori del Congresso di Vienna, cercai cioè quale sarebbe il numero delle anime che l'Austria avrebbe perduto e quale quello che avrebbe acquistato. Trovai allora che, cedendo la Galizia e la Venezia, l'Austria avrebbe rinunciato a quasi 7 milioni d'abitanti, e ne avrebbe acquistato quattro soli occupando i Principati Danubiani. Un rifiuto è dunque più probabile d'una accettazione. ma poiché la Galizia non dà segno di voler fare causa comune coi Polacchi, né questi vogliono spingere la rivoluzione nella Polonia Austriaca, perché andremo noi a chiedere all'Austria di fare questa rinuncia?
Ma l'Imperatore può trovare che questo modo di sciogliere la questione polacca non gli conviene. In questo caso invece d'agire colla sola flotta, mandi un corpo di truppe da sbarco e noi allargheremo quanto vorrà il campo della guerra. Ma se egli vuole, com'è probabile, far qualche cosa, senza esporsi ai rischi d'una nuova spedizione di Mosca, né a quelli di una guerra generale, il disegno quale ora gli si presenta d'innanzi colle sue modeste proporzioni potrebbe parergli accettabile. Ad ogni modo i Ministri Minghetti e Visconti lo approvano: esse scrivono oggi a Pasolini che ritornò ad Imola per sentire il suo avviso. Intanto ti pregano di dirci telegraficamente il tuo parere avendo l'avvertenza d'incominciare il dispaccio colle parole -Dechiffrez-vous seul- (decifrate voi direttamente ndr). Se Pasolini non ha difficoltà lo si manderà a Londra a Lord P.ton (Palmerston Primo Ministro del Regno Unito ndr) e tu potrai parlarne all'Imperatore alla prima occasione. Addio, credimi sempre Tuo affezionatissimo Artom
PS. intanto manda pure Ballesio a Londra. Spediremo con altra occasione le lettere
Torino, 22 ottobre 1863
Caro Nigra, la signora Peruzzi (moglie del Ministro dell'Interno Ubaldino Peruzzi ndr) m'incarica di pregarti di mandare a Torino col ritorno di Villa un pacco che sarà recato alla Legazione coll'indirizzo di suo marito Ubaldino. Spero che sarai perfettamente guarito e ti prego di credermi Tuo affezionatissimo Artom
PS: Minghetti parte per Bologna ma non vi si fermerà che due o tre giorni. Nulla di nuovo del resto. Addio
Torino, 31 ottobre 1863
il Ministro Peruzzi mi pregò ieri di scriverti per chiedere il tuo parere circa la convenienza di nominar senatore il principe di san Severo. Egli vive a Parigi, come sai, e finora non credo siasi occupato d'altro che delle ballerine. Ma nelle vaste sue tenute di Napoli, mercé ordini dati ai suoi castaldi, il brigantaggio non ha pigliato radice e si vorrebbe ricompensarlo di ciò. Noja ed Incontri (funzionari della Legazione d'Italia a Parigi ndr) lo conoscono; essi potranno dirci: 1° se ha l'età richiesta di 40 anni; 2° se sarebbe disposto a pigliar la cosa seriamente ed a venire a d occupare il suo seggio al Senato, rimanendo a Torino almeno per buona parte della sessione. Tu poi obbligherai Peruzzi se vorrai fargli sapere per mio mezzo se la cosa ti pare conveniente.
Incontri fu fatto 1° Segretario ed Io Consigliere in luogo di Corti che è nominato Incaricato d'Affari. Ma quanto a me Cerruti desidera che la cosa rimanga segreta finché si possa nominare Consigliere anche Puliga. La confido quindi a Te solo.
Finora non ho ottenuto il placito di Minghetti e Visconti Venosta per il mio ritorno a Parigi. Come va l'affare del Palazzo della Legazione? Hai fatto il contratto? Si incominceranno presto i lavori?
Addio credi alla vecchia amicizia del tuo affezionatissimo Artom.
PS: Pasolini arriva stasera
Parigi, 18 novembre 1863
Caro Amico, Pepoli ti renderà conto del suo colloquio coll'Imperatore. Questo colloquio mi pare molto importante e noi abbiamo ragione di rallegrarci delle disposizioni dell'Imperatore. In sostanza non solo non si escluderà la questione veneta, non solo l'Italia sarà ammessa al Congresso sul piede di perfetta eguaglianza colle grandi potenze, ma l'Imperatore si dichiara pronto a ritirare le truppe da Roma in seguito ad un accordo colle Potenze sulla base della sua lettera a Thouvenel (Ministro Esteri francese ndr). Le disposizioni sono dunque favorevoli per quanto era possibile lo sperare. Tuttavia, siccome l'Imperatore alla domanda che gli verrà fatta di spiegazioni intorno al programma del Congresso, risponderà col dire che il programma sarà determinato in seno allo stesso Congresso, bisogna prevedere il caso in cui il Congresso non abbia luogo. Noi non possiamo evidentemente continuare ancora per un caso o due ad armare e a non far nulla. Adunque se il Congresso non avesse luogo e se nuove combinazioni non sorgessero, conviene avvisare fin d'ora il da farsi. Ora non vi sono che due vie da seguire; o il disarmo, o la guerra all'Austria. Chiamo l'attenzione del Governo fin d'ora su quest'alternativa, perché non vorrei che le trattative pel Congresso avessero per rifiutare di mantenerci in un'illusione inattiva. Intanto noi dobbiamo senza nessun dubbio fare il possibile affinché il Congresso abbia luogo, o almeno perché dalle presenti condizioni nasca una nuova combinazione che abbia per risultato o di darci Venezia, o di far partire la guarnigione francese da Roma. La combinazione Russa e la combinazione inglese mi paiono le sole possibilità. Entrambe sono egualmente difficili. Ma noi dobbiamo tentarle entrambe e possiamo farlo, purché si agisca con prudenza. Pepoli che stà per la combinazione russa può meglio di ogni altro tentarla a Pietroburgo. Pasolini può ritentare la combinazione inglese. Ho scritto a Pasolini prima che io conoscessi il risultato del colloquio di Pepoli con l'Imperatore. Dopo questo colloquio, non muto opinione, e sono d'avviso che la riflessione di Pasolini sarà molto utile che esso venga adunque a Parigi e parli coll'Imperatore, il quale ha domandato al Principe (Girolamo Napoleone cugino dell'Imperatore ndr) e fatto domandare a me ripetutamente se veniva a Parigi. Quando Pepoli sarà qui e dopo che avrà visto l'Imperatore si combinerà quel che deve dire e come agire a Londra.
Vogliatemi bene e credetemi come sono di cuore Vostro affezionatissimo Nigra
Torino 20 dicembre 1863
Caro Nigra
Pregherò di nuovo Dina di parlare del libro di Reymond. Egli m'aveva promesso di farlo e forse se n'é dimenticato.
Ti mando altre due copie dell'Opuscolo sul processo Fausti . L 'una di esse é pel Principe Carlo Bonaparte, l'altra pel Principe Gabrielli.
Siamo ansiosi di sapere l'esito della proposta del Congresso. Pepoli é raggiante di gioia: egli crede sul serio d'aver determinato l'Imperatore a prender questo partito, e riconosce nel discorso e nella lettera imperiale le frasi stesse del suo Memorandum.
Ti prego di dire a Vimercati che giusto desiderio espressomi dalla Contessa sua moglie ho fatto apporre i sigilli alla cassetta di sigari, e che gliela manderò per mezzo di Pepoli o per altra occasione.
Pasolini é malato con le febbri intermittenti. Ragione di più per cambiar aria e far un viaggio se ne é il caso.
Addio, credi alla vecchia amicizia del tuo Affezionatissimo Artom
Parigi, 22 dicembre 1863
(calligrafia non del Nigra quindi lettera scritta da un funzionario sotto dettatura ndr)
Caro Artom
come mi indichi nella Tua del 13 corrente, ho interpellato il Principe Gabrielli circa la somma che il sig. Sampieri crede necessaria a pubblicare la traduzione dei documenti del processo Fausti[26]. Ti invio qua unita la risposta del Principe Gabrielli affinché Tu possa informarne Minghetti e Peruzzi. In attesa di un Tuo cenno che mi annunzi la decisione che sarà presa in proposito ti confermo qual ti sono sempre di cuore
Tuo affezionatissimo amico Costantino
24 dicembre 1863
Caro Nigra,
ti mandiamo oggi la nota sul Congresso. Abbiamo seguito i tuoi consigli, e mettiamo francamente le nostre questioni sul tappeto. Essa mi costò gran fatica soprattutto perché né V.ti (Visconti Venosta Ministro Esteri ndr) né M.ti (Minghetti Presidente Consiglio ndr) non m'avevano dato, al solito, alcuna traccia. Tuttavia il Consiglio l'approvò, ed il Visconti disse al Minghetti che gli piaceva assai. Però sono incaricato espressamente da Minghetti e da Visconti di dirti che ti lasciamo facoltà di fare quelle correzioni che crederai a proposito. Soltanto converrà che tu ce ne avverta per telegrafo cominciando col -Dechiffrez vous même-. A tal fine puoi far aspettare il Corriere e mandare a Londra la copia che farai fare lo stesso secondo la redazione definitiva. M.ti e V.ti partono stasera l'uno per Bologna e l'altro per Milano. Visconti ritornerà domenica, in tempo dunque a cifrare domenica. Gli è soprattutto sopra la parola Campoformio, che cadono i nostri dubbi. Parve a M.ti ch'essa calzasse a pennello, e fosse un'allusione diretta al trattato di Villafranca. Ma se tu credi che possa essere considerata come un sarcasmo e ferire la dinastia napoleonica, sopprimila pure, sostituendo quell'altra frase che ti parrà più opportuna. P.es. -la domination autrichienne en Venetie peut elle leur survivre?- (la dominazione austriaca nelle Venezie può sopravvivere ndr) (aux tratè de 1815) (al Trattato del 1815 ndr). Chiamo pure la tua attenzione sulla parte relativa a Roma. Essa fu l'oggetto di lunghe discussioni con Peruzzi, ecc. Non si voleva dir troppo, nè troppo poco. Non fu senza stenti che si convenne in quella redazione.
La nota fu redatta collo scopo d'essere pubblicata. Però anche di ciò rimani giudice tu solo. Non so s e Visconti l'abbia detto che mi sia sempre opposto a tutte le pubblicazioni di dispacci. Ma che vuoi? I deputati esigono i blue book in modo ch'è difficile resister loro. Del resto non dubitare che non si farà alcuna pubblicazione senza il tuo avviso. Il cenno favorevole alla Germania nella questione danese, era indispensabile parlando della Venezia. Ciò ci sarà rimproverato in Inghilterra, che per altro è stata menagée quanto si è potuto. Minghetti voleva trattare a fondo le sei questioni tutte nel senso della nazionalità: ma che dire dei Principati? E come fare una larga professione di principii per la Polonia, ora che si sa che la Russia non vuol transigere e che né la Francia né l'Inghilterra non ne faranno nulla ? Quanto alla questione danese ne saremmo senza profitto e meno brouillés (in disaccordo ndr) coll'Inghilterra. La nota sarà dunque meno bella, ma è più utile. Ti mando pure un'altra nota italiana da non comunicarsi circa un fatto avvenuto a Nizza. S'era deciso di non far nulla, ma ieri il Senatore Pareto interrogò Minghetti e questi colto all'improvviso dichiarò che s'era fatta la nota. ecco perchè essa porta la data del 15 dicembre, Visconti s'era invece limitato a far qualche osservazione di voto a Malaret. Farai lo stesso tu pure a Drouyn de Lhuis quando e come lo crederai opportuno. L'essenziale è che la nota esista nell'archivio della Legazione. Troverai egualmente una copia di un rapporto di Pepoli relativo alla condanna del maggiore Tyathi. Potrai mostrarlo al Principe Napoleone, provandogli così che Pepoli aveva tentato inutilmente di prevenire il suo desiderio. Credo che Peruzzi non avrà difficoltà di accordare i 700 od 800 fucili richiesti dal Sampieri. Puoi dirlo sin d'ora al Principe Gabrielli. Tuttavia te ne scriverò di nuovo. Fammi il favore di dire a Sormani (conte Sormani Moretti segretario di legazione ndr) che ho dato subito a Visconti la lettera ch'egli mi ha scritto circa le decorazioni della Legion d'Onore. Quanto a me non posso far nulla. Addio caro Costantino, fai buone feste e ricevi sin d'ora i miei auguri pel nuovo anno. Spero di incominciarlo con Te ma chi sa quando potrò partire. Credi alla vecchia amicizia del tuo Artom
Torino, 28 dicembre 1863
caro Costantino
due righe in fretta per dirti che il Ministro Peruzzi non ha difficoltà a mettere a disposizione del sig. Sampieri i 700 od 800 franchi che credo necessari per la ristampa in francese dei documenti Venanzi-Fausti (vedi lettera del 22 dicembre 1863 ndr).
E' vero che il Principe Napoleone Bonaparte va nel Messico come Capitano della Legione Straniera? Che significa tutto ciò? Se non sapessi da persona bene informata, che giunge da Vienna, che l'arciduca Massimiliano non vede l'ora di essere lontano dal suo imperiale fratello, supporrei che si tentasse di sostituire alla combinazione austriaca una combinazione napoleonica.
La stessa persona che mi dà queste notizie da Vienna, desidera avere da Parigi o da Londra informazioni di una certa M.me de Bury che tiene a Vienna un Salone politico ove si fanno molti intrighi. Questa M.me de Bury deve essere la moglie dello scrittore Henri Blaze, che ha fatto una pessima traduzione francese del Faust di Goethe. Credo sia scrittrice ella pure. Ti prego di sapermi dire chi è, quali sono i suoi antecedenti, se e come lo si suppone, serve alla politica segreta di qualche Governo.
Nel Circolo di Bixio devono poterti dare codeste informazioni. Aggiungerò che questa signora visse pure lungo tempo a Londra e si vantava di avere alla sua mercé Lord Palmerston quando essa voleva.
Addio saluta Sormani, Incontri, Noja, Boyl e Ressman e credimi tuo affezionatissimo Artom
Torino, 29 dicembre 1863
Ho ricevuto da Festa e consegnato subito a Minghetti le 1041.65 della Signora Contessa Tattini. S'Ella è costì falle, te ne prego, i miei rispettosi saluti. Ti mando una memoria consegnata da Peruzzi a Visconti circa una pretesa alleanza segreta fra la Francia e l'Austria. Non so che valore abbia, ad ogni modo non è male che tu conosca queste indicazioni.
Troverai pure qui annessa una lettera di Minghetti per Vimercati. Artom
ALLEGATO
Persona che il sottoscritto sa trovarsi in grado di essere perfettamente informata, ha riferito quanto un Agente della Casa Sina ed Esheless di Vienna scrisse in questi giorni ad uno dei principali Banchieri ed Industriali di Milano, per animarlo ad andare guardingo nelle sue operazioni commerciali: «Ad onta di contrarie apparenze, pure non si ritiene inverosimile che i Governi d'Austria e di Francia siano segretamente d'accordo sulle questioni provocate dal Discorso Imperiale del 5 Novembre p. p. Tali segreti accordi che rimarrebbero per ora sotto il segreto personale del Principe di Metternich consisterebbero in ciò:
1° Abbandono per parte della Francia d'ogni materiale intervento a favore della Polonia, la quale sarebbe abbandonata alla sua sorte.
2° Intervento morale ed occorrendo materiale della Francia a favore della Danimarca quante volte venisse riconosciuto il Duca di Augustenburg quale Sovrano dello Shleswig-Holstein in onta al trattato di Londra del 1852. Nel caso d'intervento materiale per parte della Francia, non sarebbe impossibile che le truppe Austro-Sassoni-Bavaresi lasciassero i Prussiani soli esposti contro la Francia oltre il Reno nelle Provincie di Vestphalen, Cleves, Berg e Basso-Reno, provincie che la Francia ambisce aggregare come la Lorena, l' Alsazia, la Savoia e Nizza all'Impero onde avere una frontiera naturale al Reno.
3° La Francia rinuncerebbe ad ogni materiale appoggio all'occupazione della Venezia per parte dell'Italia contro l'Austria, la quale non s'opporrebbe ad una indefinita occupazione di Roma per parte delle Truppe Francesi a favore del Sacro Collegio.
Il sottoscritto non può prestar fede a simili combinazioni che reputa di non così facile esecuzione allo stato attuale delle cose; ma vi scorge una correlazione colle notizie date in questi giorni dal Courrier de Dimanche, che si pubblica in Francoforte e che attinge informazioni a Parigi a fonti ben note al sottoscritto e con quelle riprodotte dal giornale francese La Nation e dal Vaterland di Vienna, e fino ad un certo punto colle nomine fatte ultimamente dal Papa di tutti i Vescovi della Provincia di Bologna, dell'Umbria, e delle Marche; e però lo scrivente le trasmette come una prova non dubbia che l'Austria ed i nemici d'Italia in questo momento lavorano colla massima attività nel campo della Diplomazia per nuocerei all'interno ed all'esterno».
Torino, 1 gennaio 1864
Carissimo Costantino, Permettimi di raccomandarti particolarmente il sig. Leone Weil-Schott. Questo bravo ufficiale del nostro esercito, dopo aver fatta la guerra del 1859, s'innamorò degli studi filologici ed approfittò d'un congedo di tre mesi, accordatogli dal Ministro della Guerra, per passare qualche tempo a Parigi e studiarvi il persiano ed il cinese. Non ti sarà discaro d'aver in lui alcuno con cui parlare dei tuoi studi di sanscrito e di quei famosi ruga dei quali a quest'ora devi conoscere per filo e per segno la genealogia, i costumi, la lingua o la letteratura.
Il Deputato Correnti che mi ha fatto conoscere il sig. Weil-Schott, ed il Ministro che lo conosce egli pure ti saranno grati con me di tutto quanto farai per rendere a questo coltissimo giovane utile e gradevole il soggiorno di Parigi.
Avrei ricevuto e riceverai con questo corriere i due altri esemplari della raccolta dei discorsi del Conte di Cavour, stampata dalla Camera. Essi non sono in vendita.
Finora le mie indagini circa i libri che Hetzel ti ha chiesto mi hanno dato un risultato assai scarso. Qualche toscano mi parlò dei racconti del Thonar. Sono cose affatto da bambino, ma in ogni caso assai superiori alle novelle del Soave. Credi alla vecchia amicizia del tuo affezionatissimo Artom
Torino, 28 gennaio 1864
Caro Nigra, Ti mando, per mezzo di Perraud, copia d'un parere del Contenzioso finanziario sul progetto di contratto pel Palazzo della Legazione. Vedrai da esso quali sono le principali obbiezioni che si fanno al contratto, il quale non ha incontrato accoglienza molto lusinghiera nella Commissione del bilancio della Camera dei Deputati. Tuttavia Minghetti e Vimercati tenteranno di superare le difficoltà e sono anche disposti a proporre un apposito progetto di legge al Parlamento, dopo aver chiesto, come si fa per tutti i contratti, l'avviso del Consiglio di Stato. Minghetti o Vimercati ti scriveranno più a lungo fra breve su questo argomento. Intanto ti dirò quello che a me pare. Perché il contratto sia più presentabile alle Camere e non abbia l'aspetto d'un contratto fatto da un fils de famille, converrebbe separare dalla somma totale le spese d'acquisto, d'iscrizione, d'ipoteca, trascrizione ecc. non ché quella per le mobilie. Queste somme, che in tutto non ascenderanno a 200.000 franchi, dovrebbero, a mio avviso, essere pagate dallo Stato e l'ammortizzazione dovrebbe essere ridotta al prezzo del suolo, ed a quello dell'edificio da costruire.
Dimmi se questa idea ti pare accettabile ed Io parlerò in questo senso a Minghetti.
Addio, spero che domenica possa essere firmato il decreto pel Gran Cordone.
Saluta i colleghi e credimi in fretta Tuo affezionatissimo Artom
Torino, 19 febbraio 1864
Ho pregato Bocca di mandare direttamente ad Hetzel i libri di cui troverai qui unita la nota. Ti mando pure due copie di dispacci assai interessanti di Oldoini e di Delaunay.
Fammi il favore di dire a Sormani che il rotolo contenente i valori rimessomi dal Principe di San Severo fu portato a Milano da Visconti, e per sua cura consegnato alla Casa Varchese, Garavaglia ecc.
II Ministero sostiene una chiara battaglia a proposito della legge Bulla di perequazione, tuttavia Minghetti non dubita di riuscir vincitore. Oggi parla Rattazzi, contro. Minghetti parlerà lunedì.
Azeglio: Nicolo de Lapi - Ettore Fieramosca
Grossi: Marco Visconti
Guerrazzi: Assedio di Firenze - Battaglia di Benevento
Bazzoni: Falco della rupe
Carcano: Kagiola Maria
Novelle di Pietro Thonar
Novelle di Francesco Soave
Torino, 24 febbraio 1864
Ti ho mandato sotto fascia, anche per incarico di Pasolini, due numeri dell'Italie nouvelle contenente un articolo che (fa) di Villamarini un grande panegirico. Ti mando il terzo che troverai non meno curioso. Ti mando inoltre per incarico di Espana una poesia di Prati, con cui celebra l'anniversario del matrimonio di Rattazzi. Espana, che assisteva alla cerimonia di commemorazione, ne fu toccato ed ammirato. Ma qui se ne son fatte grasse risate.
Veniamo a cose più serie. Ho parlato di nuovo a Minghetti ed a Visconti della casa della Legazione. Mi dissero entrambi che il solo modo di presentar la cosa presto alla Camera si è di proporla all'epoca in cui verrà in discussione il bilancio straordinario degli Esteri. Ma la legge attuale durerà ancor più di 15 giorni; non so se prima del bilancio non vi saranno altre leggi portate all'ordine del giorno. Intanto Visconti desidera che Tu gli scriva un rapporto ufficiale in cui spifferi in modo da poterla presentare alla Camera tutte le ragion che danno urgente ed indispensabile cosa il provvederà la Legazione di un nuovo palazzo, e quelle inoltre che rendono preferibile il partito di edificarne uno o quello di comprarne o pigliar a pigione un altro palazzo. Desidera inoltre che con altro rapporto Tu dia gli schiarimenti chiesti dal Direttore del Contenzioso finanziario, nel parere di cui ti ho mandato copia sul progetto di contratto. Qui i Ministri sono d'accordo per spingere innanzi l'esecuzione di questo progetto. Ma non devi dimenticare che ogni contratto deve passare al Consiglio di Stato, poi essere approvato dal Parlamento ecc.
Fammi il favore di dire a Sormani che tutti i dispacci della Legazione di Parigi della Serie politica, sono, quanto i confidenziali, conservati al Gabinetto. E' qui indifferente per noi che scriviate in una serie piuttosto che nell'altra.
Poche cose ho da dirti della situazione politica. La discussione sulla perequazione mette il Ministero, e forse più ancora il paese, in gravi difficoltà. Malgrado i più verbosi appelli al patriottismo i deputati si trovano scissi tra loro geograficamente; i partiti sono scomposti, non sono più i principi ma gli interessi che parlano.
Minghetti spera di uscirne bene, ma io temo che, quand'anche la legge sia approvata e non lo sarà senza gravi modificazioni, Parlamento e Ministero escano entrambi da questa discussione, con la loro autorità scemata in faccia al paese. Se complicazioni estere, favorevoli a noi, non ci vengono in aiuto, una crisi ministeriale od uno scioglimento della Camera sarà fra breve inevitabile. Parlando di crisi esagero forse un pò; in questo senso che l'impossibilità di fare un altro Ministero prolungherà la durata dell'attuale, il quale potrebbe forse modificarsi solo in qualche parte. Ma certo sarà una posizione disagiata e non durevole. Colle migliori intenzioni del mondo, questo Ministero non potè che aumentare le imposte in tutti i rami. Fece con grande abnegazione una parte sommamente impopolare. Se si fossero potute scemare le spese per la guerra e la marina, od almeno non accrescerle, l'utilità finanziaria sarebbe stata evidente, e si sarebbe dato lode a Minghetti almeno delle economie fatte. Ma colla situazione attuale d'Europa, con tanti torbidi, senza poterci pescar nulla, anche le economie sono illusorie. Del resto, se una buona occasione sorgesse, l'autorità né la fiducia del paese non mancherebbero al Ministero attuale. Artom
Torino, 19 marzo 1864
Caro Nigra, Credo farti cosa grata comunicandoti le seguenti notizie sulla salute del Papa. Sono in data del 16 e confermate da lettera ricevuta stamane dal Silvestrelli.
"Varie e contraddittorie sono le notizie che circolano sulla salute del Papa, a causa dei partiti e soprattutto del Governo che cerca di nascondere la verità. Ecco ciò che vi sia di positivo avendolo attinto a fonte sicura. Egli è sempre a letto! Gli umori che continuano a sortire dalle sue gambe sono di natura pestilenziale al punto che la sua stanza sente l'odore della sepoltura: urine continue e copiose sintomi d'una discrasia del sangue secondo l'opinione di persona bene informata e competente in materia medica; la sua vita potrebbe cessare da un giorno all'altro, ma assai probabilmente non prolungarsi al di là di due mesi.
Mi si aggiunge che ieri sera in Roma correva voce che la malattia del Papa si era aggravata, essendosi manifestata la diarrea, che se si verificasse porrebbe la sua vita in pericolo. Questa notizia però non è positiva e merita conferma."
Ti sarò grato se vorrai dirmi se credi ancora opportuna la nostra nota su Roma, o se non ti pare preferibile aspettare sin dopo la crisi ministeriale di Parigi.
Il discorso di Vimercati fece ottimo effetto anche nei diplomatici, ed ha consolidato la sua posizione e quella del Ministero. Però senza qualche passo nelle questioni di politica estera, Egli non potrà a mio avviso durare oltre il mese di novembre.
Se almeno il progetto Pepoli fosse adottato!
Tagliacarne sarà nominato Ministro a Lisbona, e Minerva partirà presto per Atene. Null'altro di nuovo sul resto. Quanto a Costantinopoli continua la stessa incertezza.
Ti prego di dire a Sormani che ho vivamente raccomandato a Borromeo l'affare della Contessa d'Horrer. Sgraziatamente esso dipende non direttamente dal Ministero delle Finanze, ma dalla inflessibile Corte dei Conti.
Addio credi alla vecchia amicizia del Tuo Artom
Torino, 23 marzo 1864
Caro Costantino, Vimercati mi prega di dirti ch'egli si fermerà qui sino a Lunedì venturo. Intanto vorrebbe combinare ogni cosa circa il viaggio del Principe e desidera che tu scriva subito a lui od a me quali sono le tue idee in proposito.
Il Senatore Piria fece pregare me di pregarti di far ritirare dal Ministero dell'Istruzione Pubblica il secondo volume delle Opere di Lavoisier, di cui gli hai già mandato il primo.
Un dispaccio del corrispondente Heuter a Malta che ti mandiamo in questo momento col telegrafo annuncia che Garibaldi s'imbarcò in quel porto per Londra. Qui si temeva assai che sbarcasse nel territorio pontificio per avvicinarsi a Roma in caso di morte del Papa. Azeglio scrisse che Palmerston cercò di dissuadere gli amici di Garibaldi dal farlo venire a Londra, ma inutilmente. Il risultato probabile sarà un accordo più stretto con Mazzini.
Dopo la votazione della Legge s'è ristabilita la calma nel mondo politico. Si spera che molti fra coloro che votarono contro l'ultima volta, piglieranno la prima occasione per riavvicinarsi al Ministero. Tuttavia la situazione non è buona, e, se non v'é diversione dal lato della politica estera, il Ministero si troverà assai indebolito.
Addio, salutami Incontri, Sormani, Hoja, Boyl e Ressman e credimi
Tuo affezionatissimo Artom
Torino, 23 aprile 1864
Per incarico di Visconti ti comunico copia confidenziale d'una lettera di Lamarmora sopra certi disegni relativi alla repressione del brigantaggio cui Tu facevi allusione in una delle tue lettere.
Ebbi da Ressman i tuoi saluti ed i particolari dell'incidente malaugurato della vettura. Sentii con piacere che, mercé il tuo sangue freddo, sei rimasto illeso, ma mi duole del povero Antoine.
Qui l'opposizione prepara un fiero assalto contro il Ministero. Il solo pericolo è che non tutti i deputati della maggioranza si trovino presenti a difenderlo, come lo furono a dare il voto nella legge 31 di perequazione. Fra le arti adoperate per scalzare il Ministero, si adopera specialmente quella di far credere che esistano gravi dissensi fra Peruzzi e Minghetti ed i Rattazziani, convinti che il loro capo non è possibile ancora, mettono innanzi invece una combinazione Ricasoli-Peruzzi. Le corrispondenze della Nation, in questo senso, sono attribuite a Madame Solms.
Ho mandato al Weill-Schott il libro che mi hai spedito per lui, ed ho fatto pagare gli altri cento franchi pei documenti della Diotallevi. Artom
Parigi, 28 aprile 1864
Ho letto la lettera di Lamarmora. Parmi che quanto Esso propone sia savio.
Un'irruzione repentina nel territorio pontificio da parte delle nostre truppe ci creerebbe qui imbarazzi seri. Ciò non può farsi che all'ultimissima estremità, e in ogni caso si dovrebbe lealmente prevenirne il Governo francese. Non posso quindi che approvare senza restrizione quanto Lamarmora propone, cioè di iniziare esso stesso una pratica diretta con Montebello nel senso indicato nella sua lettera.
Fammi il favore di mandarmi una copia del 1° e 2° volume dei discorsi di Cavour. Ti prego poi di dire a Visconti che mi farà cosa grata se mi rimanderà Ressmann il più presto che potrà. Nigra
P. S. - Fammi il favore di dire confidenzialmente a Pasolini, che Fleury ha ricevuto con sorpresa una sua lettera politica per la via della posta. Teme che sia stata letta. Così almeno mi disse Vimercati a cui Fleury stesso ne parlò. Fleury è ambizioso e astuto. Non ama compromettersi; né lo credo uomo di convinzione. Non credo sia cosa prudente l'aprirsi troppo con lui. È un utile strumento ma vuol essere maneggiato con abilità e con riserva.
Ti dico queste cose, perché giungano a notizia di Pasolini, e perché servano a lui solo. È bene anche che sappia che il personaggio non è di una discrezione a tutta prova, e ne ha un esempio nella confidenza fatta a Vimercati, il quale non pare nemmeno esso di prudenza soverchia. Nigra
Torino, 16 giugno 1864
Per incarico di Peruzzi Visconti e Spaventa ti mando il dossier rubato al barone Cosenza a Roma, per incarico del Questore di Napoli. Questo dossier contiene le più curiose rivelazioni sull'organizzazione dei Comitati borbonici per favorire il brigantaggio; esso fornisce la prova della complicità in queste trame della Corte di Roma da un lato, dall'altro di alcuni mazziniani, fra cui due o tre deputati. Tu comprenderai che è necessario che queste cose rimangano segretissime finché coll'appoggio d'altre prove legali si possa chieder l'autorizzazione alla Camera, e fare il processo. Ma poiché Tu sei a Fontainebleau parve a me ed anzi a noi che Tu potresti mettere direttamente sotto gli occhi dell'Imperatore codeste carte, per dimostrargli a quali pericoli siamo finché le cose stanno a Roma come ora si trovano. S'era pensato dapprima di farne un sunto, ma Io fui d'avviso che sarebbe stato assai più interessante per l'Imperatore vedere il dossier stesso, coi nomi, le lacune, la convenzione col partito d'azione ecc. Però è necessario che Tu alla prima occasione mi rimandi queste carte di cui non esiste altra copia a Torino. Ripeto poi che sarebbe bene che la comunicazione di esse fosse fatta all'Imperatore stesso non ad altri. Se potessimo ottenere almeno che Francesco II uscisse da Roma sarebbe già un vantaggio. Addio, ti scriverò presto a lungo d'altre cose ... Artom
Torino, 28 agosto 1864
Caro Nigra, Rammenterai che sin dall'anno scorso, ad istanza della Commissione per la pubblicazione delle Opere di Pellegrino Bossi, il Ministero ti pregò di ottenere il manoscritto di uno degli allievi del Rossi che ne raccolse le lezioni. Ora il Buoncompagni ch'é Presidente della Commissione ritorna alla carica presso il Ministro, il Segretario Generale ecc., con tanta insistenza che non mi posso esimere dallo scriverti in fretta due righe per richiamare di nuovo su ciò la tua attenzione.
Qui siamo in grande ansietà di conoscere l'esito delle note pratiche. Io stetti alcune settimane a Saint Didier ed a Courmayeur, poi passai il Gran Sam Bernardo col Deputato Mantino e discesi a Losanna coll'intenzione di vedere l'Oberland Bernese e ritornare pel Gottardo o lo Spluga. Ma giunto a Berna trovai un dispaccio del Ministro che mi richiamava immediatamente a Torino, ove venni difilato. E' convenuto fra Minghetti Vimercati e me che in caso di crisi Io tornerei immediatamente a Parigi e spero che tu mi vorrai accogliere ed ospitare colla stessa amorevolezza di prima. Addio, in fretta, credi alla vecchia amicizia del Tuo Artom
Torino, 12 settembre 1864
Ho copiato Io stesso il dispaccio confidenziale che ti mandiamo stasera per non mettere alcuno all'oscuro dei negoziati, e specialmente nell'affare delicatissimo della Capitale. Prevedo che ciò susciterà qui una vera tempesta perché si vorrà collegare quest'atto colla perequazione, colla vendita delle ferrovie ecc. e considerar tutto ciò come una sistematica ostilità contro i Piemontesi. Il buon senso finirà però per prevalere. Intanto qui si cerca di rinforzare il Ministero: e Vimercati partirà domani per Baden per parlare a Rattazzi a nome di Minghetti ed indurlo ad appoggiare il Trattato. Spaventa è partito ieri per Broglio collo stesso incarico. Non so quali rimpasti ministeriali si faranno, ma siccome il buon Visconti è sempre disposto a cedere il posto agli altri, è probabile che il Ministero degli Esteri sia presto occupato da un nuovo titolare.
In questo caso, Io spero di poter rifugiarmi di nuovo sotto le grandi ali della Legazione di Parigi. Dimmi se verrai in congedo e quando. Se potrò ti terrò a giorno delle fasi della crisi ministeriale. Ma vi sono cose delicatissime che non si osano scrivere, e che d'altronde non sono ben sicuro di conoscere appieno. Ciò mi impedì spesso di scriverti. Artom
Parigi, 19 novembre 1865 (copia di lettera al Ministro francese degli Esteri, lettera in francese ndr)
Mio caro Ministro, mi sono preoccupato di comunicare a S.E. il generale Lamarmora la proposta contenuta nella vostra lettera particolare del 16 ottobre. Il Presidente del Consiglio del Re pensa che non si debbano avviare utilmente negoziati commerciali con le Villes Hantéatique senza essere contemporaneamente assicurati sulla buona probabilità del risultato dei negoziati della medesima natura con la Prussia a nome dello Zolverein (Governo prussiano ndr). Quanto al modo di negoziare, il mio Governo per non suscitare le note suscettibilità del suo Console Generale ad Amburgo, preferirebbe negoziare direttamente a Firenze, allorché il momento sia giunto. Sarei grato se Voi potrete trovare in questa missione un'occasione per visitare l'Italia e di conoscere da vicino un paese che gode, a buon diritto, delle vostre simpatie. Ricevete, mio caro Ministro, l'assicurazione dei miei sentimenti più affettuosi e ben devoti. Nigra
Ferrara,15 luglio 1866
Carissimo Nigra, Spero che avrai ricevuta la mia lettera che mandai da Firenze sotto piego a Ressmann. Ora approfitto d'un Corriere che si manda a Barral per dirti come stanno le cose qua, anche a nome di Visconti il quale ha ricevuto stamane il tuo dispaccio confidenziale N. 352, ma non ha tempo di scriverti. Giunto qui al Quartier Generale fui dolorosamente stupito di sentir fare a molti generali, specialmente del seguito del Re, gli stessi biasimi sulla condotta dell'esercito ch'erano sulle bocche di tutti a Firenze.
Il solo Generale Lamarmora, dopo essere stato atterrito per alcuni giorni dal disastro di Custoza, recrimina contro la Prussia, dice che in una campagna di 3 settimane non si poteva far più di quel che s'è fatto ecc. Per tagliar corto ti dirò che dopo lunghe esitazioni e tiraillements (tiramolla ndr) si è deciso di dare di fatto a Cialdini pieni poteri per inseguire, col suo corpo d'armata notevolmente accresciuto, gli Austriaci che hanno abbandonato Rovigo, Padova e Vicenza e forse non faranno resistenza che a Conegliano. Cialdini spera con mosse rapide d'impedire o tagliar loro la ritirata su Vienna, seguendoli anche colà se ne ha modo e tempo. Fu pure deciso di fare da Vicenza un colpo di mano su Trento, aiutando così Garibaldi che coi suoi 40mila volontari non può fare gran cosa. Disgraziatamente la flotta anche ora non è pronta e malgrado tutte le diligenze di Depretis, che corre da Firenze ad Ancona e viceversa, passeranno forse ancor molti giorni innanzi che Persano sia armato di tutto punto. Ora però la volontà di fare c'è; a Cialdini non mancano attività e la fortuna e se non s'andrà a Vienna coi Prussiani, avremo almeno od occupato il Tirolo, od avuto sui confini del Trentino un nuovo fatto d'armi che faccia dimenticar Custoza e l'inazione successiva. Ma perciò occorre tempo e si telegrafò a Bismark per mezzo di Barral perché la Prussia tenga duro e non accetti l'armistizio. Lo stesso si telegrafò a te affinché tu lo dica al Principe (Gerolamo Napoleone ndr) ed a Goltz. Sarà bene che questi lo telegrafi pure al Re di Prussia, giacché le comunicazioni telegrafiche fra l'Italia ed il Quartier Generale prussiano sono divenute difficilissime. Io avevo messo innanzi l'idea di mandar in fretta Govone al quartier Generale prussiano per distruggere i sospetti concepiti in Prussia per la nostra condotta, e per metterci d'accordo così intorno ai negoziati tuttora pendenti per l'armistizio come per quelli oramai prossimi per la pace, ma Govone non può abbandonare il comando della sua divisione, ed a me pare che dopo lui, Barral è il solo che possa eseguir bene questo incarico. Gli si manda perciò oggi un corriere con una lettera del Ministro che troverai aperta insieme a questa e che restituirai suggellata al corriere. Importa che la pace non si concluda a nostra insaputa fra l'Austria e la Prussia, sia per mezzo della Francia, sia per mezzo della Russia, che ha una grande smania di mettersi innanzi. Importa che la Prussia non segua il mal esempio dell'Austria e non decida delle nostre sorti all'infuori di noi trattando coll'Imperatore. Già l'opinione pubblica fu dolorosamente ferita dalla notizia, che credo inesatta, d'una Conferenza per la pace tenutasi fra Drouyn de Lhouis, Metternich, Goltz e Heuss, alla quale tu non avresti assistito, ed a ragione si teme che a questo modo noi rimaniamo isolati a discutere al tu per tu coll'Imperatore le condizioni ch'egli apporrà alla retrocessione della Venezia. Visconti è quindi risoluto a non accettare l'armistizio se anche la questione della forma dell'acquisto del Veneto, o delle condizioni con cui l'otterremo non è ben risolta, almeno in via preliminare. Su ciò il Ministero non è ben d'accordo. Ricasoli persiste a pretendere la cessione fatta direttamente dall'Austria all'Italia e non ammette il temperamento del plebiscito al quale l'Imperatore è procline e che noi potremmo quindi proporre con quasi certezza d'accettazione. Visconti non rifiuterebbe questo temperamento ed anzi egli non sarebbe alieno dall'accettare una mia proposta che consisterebbe nel provocare in ogni centro di popolazione del Veneto, sgombrato dagli austriaci, un plebiscito spontaneo d'annessione fatto dalle autorità municipali e confermato dalle firme dei cittadini. Esso dovrebbe essere accompagnato da .....
Noi non possiamo lagnarci di troppe lentezze: il trattato nelle sue formule generali è quasi redatto, ma rimangono le due sole questioni importanti, quella delle finanze e delle frontiere. Quanto alla prima scrissi a Ressmann e ripeto a Te che l'Austria domanda 350 milioni di franchi: cioè 1.° il Debito del Monte L.V. che dal 1859 in poi s'accrebbe di oltre 26 mila fiorini ed ora ascende a circa 65 mila fiorini; 2.° una quota del prestito del 1854 che nella nota austriaca è valutata a 39 mila fiorini da pagarsi in contanti, ma che, giusta la proporzione di 2 a 3 che corre, secondo il trattato di Zurigo, fra la Venezia e la Lombardia, dovrebbe essere ridotta a soli 26 mila fiorini; 3.° una somma di 36,750 mila fiorini che rappresenta, a pro-rata della popolazione, la partecipazione del Veneto a tutte le operazioni finanziarie austriache fatte dopo il 1859. In altri termini la ripartizione a pro-rata della popolazione, che fu espressamente esclusa dalla Francia e dalla Prussia nei precedenti negoziati, ricompare ora, non per tutto il debito austriaco, ma solo per quella parte di esso che è posteriore al 1859.
A queste proposte formulate in una nota verbale che ci fu consegnata l'8 settembre il Generale rispose con altra nota verbale che abbiamo consegnata nella Conferenza di ieri. In questa Nota, di cui non ho tempo di darti copia, ma che certo il Duca di Gramont trasmetterà a Parigi, abbiamo con fermezza e moderazione escluso ogni riparto del Debito Generale e dichiarato che la sola base ammissibile di discussione e l'articolo del trattato franco-austriaco e quello corrispondente del trattato austro-prussiano in cui si richiama il precedente di Zurigo. Il Conte Wympffen trovò amara la pillola, chiese se era questa la nostra controproposta. Il Generale rispose che si riservava di fare la sua controproposta quando avesse ricevuto le sue istruzioni, ma che intanto voleva por nettamente in chiaro il punto di partenza. A Firenze intanto trovarono esorbitanti le domande austriache, ed impazientì come sono sempre d'entrare a Venezia, telegrafano al Generale di cercar d'evitare la discussione lenta e penosa delle Finanze col far inserire nel Trattato nostro la pura e semplice riproduzione dell'articolo del Trattato austro-francese, rimandando cioè ad una commissione da nominarsi, non solo la .... ma il capitolo del Belgio.
Mercé queste concessioni l'Imperatore dovrebbe acconsentire all'esclusione dell'Austria dalla Confederazione germanica; la qual cosa renderebbe immensamente più facile a noi una buona soluzione delle questioni del Tirolo e di Trieste. Se l'Austria cessa d'essere una grande potenza germanica, la Prussia aderirà a che le si tolgano il Tirolo e Trieste; quello per darlo all'Italia sua alleata, questa per farne una città libera, un porto franco, aperto egualmente alla influenza ed alla bandiera d'Italia e di Germania. E forse 1'Austria, ora ch'è ben battuta, accetterebbe i principati che ha rifiutati ........ ma non insisto su ciò e preferirei altresì che niun altro aumento di potenza fosse concesso agli Asburgo.
Getto là queste idee come mi vengono giacché il far dei progetti non costa nulla ed ho pigliato il mal vezzo di pensare ad alta voce quando parlo o scrivo a Te o a Visconti. Del resto i progetti non mancheranno, ma la Prussia ha vinto troppo per ammettere certe combinazioni troppo artificiose. La guerra attuale è il trionfo del vecchio partito di Gotha; il risultato della guerra, dev'essere un passo sulla via dell'unità della Germania, non una sua maggiore frantumazione. L'Imperatore lo capirà e sarà pentito di non aver fatto i patti prima, aspetterà l'occasione per rifarsi, ma per ora non potrà impedirlo.
Finisco col farti i saluti di Visconti e quelli di Sormani, che arrivò ieri sera a Ferrara, grasso e fresco ed intatto com'era a Parigi. Egli m'incarica di chiederti se gli hai scritto per mezzo di Ferri-Pisani, il quale ha lettere per lui, ma non le ha consegnate e ritornò a Parigi. Govone non è a Ferrara e non l'ho veduto. Si condusse assai bene a Custoza, ed afferma che se il Generale La Rocca gli avesse mandato il piccolo soccorso di cui aveva d'uopo avrebbe potuto mantenersi a Custoza e la battaglia sarebbe stata vinta.
Salutami tanto Resmann. Dì a Vimercati che ho fatta la sua commissione a Visconti. Spero che questi mi permetterà d'andar a visitar la mia madre in Asti. Poi sarà di me quello che voi due vorrete. Addio Tuo affezionatissimo Artom
P.S. Visconti m'incarica di raccomandarti soprattutto di cercare il modo per cui la questione di Roma non sia già pregiudicata nella conclusione dell'armistizio; é evidente che l'armistizio si deve concludere fra le potenze belligeranti e che perciò non è necessario che un Generale francese venga in Italia a far concludere la tregua. Bastano i Comandanti dei due eserciti nemici e colle suscettibilità così vive dell'Italia, sarebbe un triste augurio per la pace questo intervento non necessario della Francia.
Vienna, 3 settembre 1866
caro Artom, Seppi con dispiacere da Ressmann che fosti inchiodato a letto per alcuni giorni. Spero che ormai avrai riacquistata la libertà di muoverti e che potrai mettere a profitto l'ultima rivoluzione del palazzo del Quai d'Orsay. Io aspettai alcuni giorni a scriverti le mie impressioni, per poter giudicare un po' meglio della situazione.
Le prime nostre impressioni furono assai favorevoli. Il Generale fu accolto benissimo anche grazie all'Imperatore che gli parve molto irritato contro la Prussia e quindi non mal disposto per noi. Il Conte Vimercati è molto scaltro, ma assai gentile ed amabile. Cademmo subito d'accordo di esaminare gli articoli del trattato ai Zurigo che avrebbero potuto applicarsi al caso attuale. Egli propose alcune modificazioni, che il Generale accettò, ed oggi probabilmente, alla prima conferenza officiale, si paraferanno i sei o sette articoli relativi alle pensioni, dagli impiegati ai prigionieri di guerra ecc. ecc.
Le questioni fondamentali furono finora appena accennate. Il Generale pensò saviamente di studiar prima il terreno e di aspettare che le ratifiche dei due trattati Austro-prussiano e franco-austriaco fossero scambiate. Intanto le difficoltà di forma che parevano affatto eliminate, risorgono e ci converrà ricorrere di nuovo a Te per rimuovere questi ostacoli. Nel trattato franco-austriaco è detto che un accordo avrà luogo fra i due Commissari, francese ed austriaco, per 1'evacuazione e pel materiale non trasportabile. Noi non possiamo evidentemente (né l'Austria lo vorrebbe) lasciare nel silenzio un punto così importante e noi non possiamo neppure riferirci ad un accordo futuro da concludersi fuori della nostra partecipazione. Conviene dunque od ottenere che un Commissario italiano intervenga, collo stesso titolo e le stesse facoltà, negli accordi che il Generale Leboeuf sta per prendere col Generale Moring, o ritardar la firma del trattato finché quest'accordo sia stato concluso tra l'Austria e la Francia ed accettato da noi. Quest'ultimo partito ci farebbe forse perdere un mese; noi abbiamo dunque chiesto l'intervento d'un Commissario italiano, prima ancora d'averne avuto espressamente l'incarico da Visconti che telegrafò ieri sera in quel senso. Da qui comincia il gioco d'altalena, che Io prevedevo da Parigi. Il Conte W. rispose essere perciò necessario il consenso della Francia, la quale parve finora volere espressamente che tutti gli accordi relativi all'evacuazione del Veneto seguissero soltanto tra l'Austria e lei. Il Generale si recherà oggi dal Duca di G. e lo pregherà di dare il suo consenso a questa combinazione, la quale è la sola che possa permetterci di continuare i nostri lavori. La stessa questione si riprodurrà per la Commissione incaricata della liquidazione del debito. E' assurdo che ci riferiamo nel trattato agli accordi che verranno presi fra i Commissari austriaci e francesi; converrà o aspettare la conclusione di questi accordi, pei quali ci vorranno mesi e mesi, od ottenere l'intervento di un Commissario italiano.
Il Generale ed Io ti preghiamo caldamente di adoperarti perché il Marchese di La Valette ponga a profitto il suo interim per toglier di mezzo tutti questi ostacoli. Qui dicono chiaramente che avrebbero preferito per tutto ciò intendersi con noi soli; ma che 4298 (codice del personaggio nel cifrato che non è stato tradotto ndr) fece di tutto per impedirlo.
Io non stò mallevadore di ciò: ad ogni modo ora che si sta per entrare in una nuova fase, è d'uopo finir rapidamente questi laboriosi e lunghi negoziati. Le pretese finanziarie qui sono immense; la formula secondo i precedenti di Zurigo non basterà ad impedire enormi domande. Io sto studiando la questione. Intanto stiamo aspettando le domande, e rimaniamo muti come pesci. Sulle frontiere ammettono in genere il principio d'una rettificazione futura, ma per ora nulla si potrà ottenere. Insistono molto per ottener un buon trattato di commercio, ed intanto vogliono evitare ogni frase che implichi l'assenso dell'Austria alla riunione del Veneto. Ammettono però che il riconoscimento dell'Italia sia la prima e naturale conseguenza della conclusione della pace. Chiedono un articolo che garantisca la proprietà dei beni dei Principi di casa austriaca in Italia e fanno difficoltà per la Corona di ferro. Ecco in breve quanto abbiamo potuto conoscere finora. Il Generale non vide ancora il Conte Maurizio Esterhazy. Addio, salutami e ringrazia Ressmann delle sue lettere. Tuo Artom
Chiedono pure un articolo sui conventi analogo a quello di Zurigo.
F.S. Parlando con questi uomini politici ci accorgiamo che ignorano affatto le condizioni dell'Italia: la credono in balia del partito d'azione, semibarbara, senza leggi ecc. Sarebbe d'uopo illuminare un po' l'opinione pubblica sulle condizioni nostre.
Ma noi non possiamo senza pericolo metterci in rapporto coi giornalisti di qua. Prega Szarvady di far pubblicare qui p.es. degli articoli sui nostri Codici Civile e Penale, sulla nostra industria, etc.
Copenhagen, 9 settembre 1867
Carissimo Nigra, arrivai a Berlino lunedì sera e chiesi subito di De Launay[27] che partiva il giorno dopo pel congedo e gli parlai la mattina del martedì per tempo. Egli disperava che Io potessi vedere Escobedo Bismarck[28], e mi consigliava quasi a non presentargli la tua 1ettera. Rimanemmo tuttavia d'accordo che Tosi[29] sarebbe andato a portarla con una mia carta al segretario particolare, aggiungendo che sarei partito mercoledì sera per Hambourg. Dopo pranzo ebbi la buona di ritornare all'albergo e vi trovai una carta da visita di Bismarck con sopra scritto di suo pugno : « pour venir a 81/2 ». Era appunto l'ora e v'andai. Attraversai parecchie sale addobbate molto modestamente e fui introdotto nel gabinetto di lavoro. Rimasi con lui fino alle 10, e fui oltremodo contento della sua accoglienza. Disse parole amabili per te, e ne aggiunse alcune gentili anche per me. Intavolai la conversazione politica dicendogli che mi premeva d'assicurargli che nelle modeste funzioni che mi erano assegnate Io avevo istruzione di contribuire a mantener la pace ed a far cessare ogni irritazione. Mi disse che sarebbe assai desiderabile che anche da parte della Francia si facesse lo stesso, ed entrò francamente nella questione dei rapporti fra Francia e Prussia. Parlò con grande franchezza del Sig. Canali [Imperatore Napoleone]. Lo crede favorevole alla pace, ma in uno stato d'animo nervoso che gli impedisce di mantenersi tranquillo, come sarebbe interesse suo e della Francia. Egli non è spaventato del recente colloquio fra Napoleone III e Beust. Crede che gli intrighi di quest'ultimo non possano avere seri risultati perché né l'Ungheria né le popolazioni tedesche seguirebbero l'Austria nella alleanza con la Francia contro la Prussia. Ma crede che Salzbourg[30] sia stato un nuovo errore: «M. Thiers s'est trompé lorsqu'il a dit qu'il n'y avait plus une seule faute a fare[31] : on a trouvé le moyen d'en faire plusieurs encore, etc.».
"Il sig Thiers si è sbagliato quando ha detto che non aveva più un solo errore da fare: ha trovato il mezzo di farne ancora molti altri, etc" (ndr)
Disse che, se avesse creduto alla probabilità d'una guerra colla Francia, non avrebbe ceduto nella questione di Luxembourg[32]. Del resto non crede suo interesse di spingere all'annessione della Germania del Sud: -nous ne voulons pas deplacer notre centre de gravite politique : mais les coquetteries entre France e Vimercati peuvent nous créer une situation dangereuse, et nous mettre dans l'impossibilité de resister au parti unitaire allemand-.
"Noi non vogliamo spostare il nostro centro di gravità politica: ma le chiacchierate tra Francia e Vimercati possono crearci una situazione pericolosa, e metterci nell'impossibilità di resistere al partito unitario tedesco" (ndr).
Disse che la diplomazia francese è in gran decadenza: ch'essa non ha più nemmeno l'amabilità esterna delle forme. Fece eccezione solo pel Principe de Latour d'Auvergne e per Benedetti[33], aggiungendo per quest'ultimo che la sua origine italiana tempera l'asprezza dei modi che è ora inerente al carattere francese.
Durante tutto il colloquio che fu assai lungo fui meravigliato della lentezza con cui parlava e della ricercatezza delle sue frasi francesi. Riassunse il suo giudizio sulla situazione generale dicendo: «Napoleone ha perduto la bussola » ed aggiungendo in tedesco : «contro la mancanza d'accortezza non v'ha rimedio possibile». Esaminò le probabilità d'una guerra ch'egli non crede prossima e parve non spaventarsene affatto. Disse ch'egli era stufo e ristufo della questione dello Schleswig, che da quella parte aveva vinto più del bisogno, ma che non v'era modo d'indurre Cormon [il Re di Prussia] a rinunciare a Duppel e ad Alsen. Si espresse sempre nel modo più lusinghiero parlando dell'Italia e manifestò la più viva ammirazione per Cavour.
L'ora che ho passata con lui mi compensa delle molte noie e stanchezze del viaggio. Devo a Te questa buona ventura, e ti sono riconoscente di questa e di molte altre prove della tua antica amicizia. Passai poche ore ad Hambourg ove non trovai Galateri[34], il quale è posseduto dalla mania d'entrare nei ruoli del Corpo Diplomatico e prolunga il suo congedo per riuscire nell'intento. Partii giovedì sera per Kiel. La traversata del Belt mi fu abbastanza favorevole. Arrivai qui venerdì 6, ed andai subito al Ministero degli Esteri a presentar la copia delle credenziali. Ma un contrattempo ritardò l'udienza del Re. Il Landgravio d'Assia, padre della regina, mori il giorno prima del mio arrivo. Spero che malgrado il lutto il Re mi riceverà: ma intanto perderò qui forse una settimana.
Che dirti di Copenhagen? Arrivai qua in condizioni d'animo non troppo liete, e quello che vidi non fece che confermarmi in esse. Sono al primo albergo della città, l'hotel d'Angleterre, e mi mancano tutti gli elementi del comfort. Tuttavia rimarrò qua e mi aggiusterò alla meglio. Wachtmeister su cui contavo moltissimo è assente per due mesi: il diplomatico più influente qui è M. Dotézac, Ministro di Francia. È una specie di Cobianchi, meno vecchio e meno noioso però. Da 25 anni non s'è mosso di qua, nemmeno per andare in congedo. Dicono che sia stato trattenuto qua da una inclinazione più o meno platonica. È un originale che fa il misterioso, vive modestissimamente, benché ricco e ben pagato, ed ha preso il suo partito d'annoiarsi prodigiosamente. Non ha vettura né cavalli, quasi neanche livrea. Il Ministro di Russia è matto e trovasi in congedo. Quello di Prussia, che non conosco ancora, è il più gran giocatore di scacchi dell'Europa. Il Murray, Ministro d'Inghilterra, è ancora ai bagni e non tornerà che più tardi.
Vi è un Tivoli, specie di Mabille decentissimo però, di cui il Corpo diplomatico ed in specie Dotézac sono la colonna. Vi è una Società di lettura, detta Atheneum, ove si va a leggere i giornali. Uno o due teatri danesi. Nel cuor dell'inverno, qualche volta, una compagnia di canto italiana. Ecco tutto. Dimenticavo o per dir meglio mi riservo di parlarti del Museo Thorwaldsen. È una meraviglia. Ieri quando ci andai uno splendido sole mi ci accompagnò. Ho potuto credermi per un istante a Firenze od a Roma. A pranzo poi, soprattutto, m'accorsi che non ero a Parigi.
Ti sarei grato se mi potessi dire se veramente, come pare indicarlo l'atteggiamento misterioso di Dotézac, la Francia vorrebbe lasciare insoluta la questione dello Schlesvig per servirsene in primavera. Se ciò fosse farei la figura del minchione dicendo pace, pace, pace e predicherei al deserto. Dammi ti prego qualche notizia di Parigi, che mi pare un secolo d'avere abbandonato. Ti scrivo in carta non intestata e pour cause. Addio credimi il tuo Artom
Salutami il Principe Napoleone di cui ho ricevuta una lettera gentile. Dimmi se è vero che Melegari[35] parta a giorni per Berna e se la combinazione da Te immaginata ha qualche probabilità di successo. Dimmi pure se il Principe napoleone romane ancora a Parigi qualche tempo. Salutami Espana e Szarvady.
20 luglio 1866
Caro Artom, ho ricevuto le tue due lettere e te ne ringrazio. Sono afflittissimo della piaga che han preso le cose, colpa in massima parte dell'inerzia nostra per terra e per mare prima e dopo l'articolo del Moniteur (rivista francese di politica ndr). Ora la Prussia dichiara d'accettare l'armistizio. L'Italia evidentemente non si può rifiutare a fare altrettanto. Se per avventura l'Austria accetta anch'essa, non c'è più rimedio. La posizione sarà cattiva per noi e per la Francia. Sarà pessima all'interno. Io per me non so spiegarmi le operazioni militari nostre. Più ci penso, meno ci capisco. Ne ho l'animo amareggiato, angosciato. Sento una profonda umiliazione d'essere italiano. Ora dobbiamo aspettarci che si attribuisca alla nostra diplomazia le colpe dei Generali, degli Ammiragli e di tutti quanti.
Ho scambiato ieri le notifiche della Convenzione Monetaria. Ho scritto d'ufficio proponendo il Gran Cordone per Parieu, contro la commanda della L.d'O. (Legion d'Onore ndr) per te e la decorazione ufficiale per Pratolongo. La cosa è intesa con Drouyn de Lhuis. Spero che non sorgeranno ostacoli costì, tanto più che ho fatto scrivere anche a Malaret perché dal canto suo faccia la domanda per Parieu.
Quando tornerai? Fammi il piacere di dirmi quando io potrò richiamarti qui con un telegramma. Se l'armistizio si conclude, i negoziati per la pace avranno luogo a Parigi e spero quindi che avremo Visconti qui. Goltz (Ambasciatore di Prussia a Parigi ndr) ha detto all'Imperatore che la Prussia desiderava che i negoziati avessero difatti luogo a Parigi. Sarà una povera pena per noi, ma in verità la guerra fu più miserabile ancora. Le tendenze più generali qui sono per una guerra contro la Prussia. Io prevedo che ci si verrà forse tra uno o due anni. Sarebbe scoppiata prima se non vi fosse stato l'affare degli schioppi. Saluta caramente Visconti.
Addio di cuore. Tuo affezionatissimo Nigra
PS. Ricordati di portarmi un Manzoni, un Parini, un Giusti, un Carrer, un Aleardi, un Leopardi etc.
Firenze, 29 luglio 1866
Caro Amico, La tua lettera del 20 mi giunse a Ferrara molto in ritardo ed Io non ti scrissi di là perché mi sarebbe stato impossibile di renderti conto di tutte le tergiversazioni con cui si volle guadagnar tempo e non si riuscì in realtà che a perderlo senza frutto. Riservo quindi a miglior tempo il racconto non lieto di quei giorni amarissimi e tediosissimi. Il Principe Napoleone, che vedrai probabilmente prima del mio ritorno a Parigi ti dirà in quali sterili discussioni si siano consumati quei giorni, con una temperatura da Senegal ed in una città in cui non v'é alcun conforto di vita.
Dopo mille fatiche e mille strazi, di cui il povero Visconti fu la vittima principale, si riuscì ad ottenere il consenso del Consiglio dei Ministri all'armistizio. Alcuni fra i Ministri avrebbero preferito la guerra da soli per togliere il paese dallo stato di profonda umiliazione in cui si trova.
Il partito sarebbe stato eroico ma i rimedi troppo efficaci uccidono il malato. Se si riesce ad evitare una crisi ministeriale le difficoltà interne, che sono enormi, si potranno forse vincere; ma perciò è d'uopo che le penne (dei bersaglieri, di cui Artom e Nigra furono parte durante la guerra del 1848 ndr) facciano quello che non poterono o seppero fare i cannoni e le fregate corazzate; è il caso di dire come il tuo compaesano: L'è la piuma ca venta can gava (E' la penna che bisogna che mi tolga ndr).
Il paese accetterà la pace e non la troverà umiliante se l'Italia stipula direttamente coll'Austria allo stesso titolo della Prussia e se, oltre il Veneto, che non abbiamo saputo meritarci, avremo anche il Trentino. Visconti spera che tu riuscirai ad ottenere l'appoggio dell'Imperatore a queste due condizioni, che qui si reputano indispensabili.
Ti ringrazio di quanto mi dici per la commenda della Legion d'Onore. L'averla per tuo mezzo le dà ai miei occhi maggior pregio.
Ho ottenuto da Visconti il permesso di partire questa sera per Asti e di passar qualche giorno colla mia madre. Egli mi scriverà e mi dirà se debbo ritornare a Firenze o ripartir direttamente per Parigi.
Forse vorrà aspettar di conoscere dove ed in quali condizioni si stipulerà il Trattato di Pace. Egli proporrebbe di incaricar Minghetti di questa missione; Io non ho obbiezioni da fare su questa proposta e mi pare che il modo più spedito sarebbe di incaricare di questi negoziati Barral e Govone, se, com'è probabile, i negoziati hanno luogo a Praga. Addio, scrivimi in Asti. Farò anch'io lo stesso se avrò qualche cosa d'importante da dirti. Visconti ti scrive a lungo delle cose politiche. Il Decreto di Commendatore per Buloz è firmato e forse mi riuscirà di farti spedire questa sera la Decorazione: non il brevetto, ch'é ancora alla Gran Cancelleria.
I decreti per Dupré e Leroy de Loulé sono pronti ma non firmati.
Peirolleri promise di rispondere quanto alla separazione del Consolato dalla Legazione, che ciò sarà fatto appena la Camera abbia acconsentito all'aumento dell'assegno consolare.
Addio, credi alla sincera amicizia del tuo Artom.
Un bacio per me al buon Lello (il figlio del Nigra ndr).
Vichy, 6 agosto 1866.
Caro Artom, Ti ringrazio d’avermi avvertito del tuo arrivo a Parigi e più ancora di esservi venuto. Ora che ti so costì, vivo qui più tranquillo.
Ho ricevuto stanotte un telegramma di Visconti che mi annunzia che Bariola (Pompeo Bariola luogotenente dell'esercito e membro dello Stato maggiore nella guerra del 1859, politico e senatore del Regno d'Italia ndr) s’è recato alla conferenza con un generale austriaco per firmar l’armistizio. Bariola era stato inviato in seguito all’invito fattomi da Drouyn de Lhuys. La conferenza ebbe luogo ieri. Eccone il risultato. L’Austria rifiuta l’armistizio sulla base dell’ “uti possidetis “, dà tempo fino al 10 corrente “per l’evacuazione del Trentino e del territorio occupato sulla destra dell’Isonzo inferiore“. Attende la risposta a Legnago fino all’8 a mezzanotte. Feci conoscere ciò all’Imperatore il quale nella notte aveva avuto un telegramma dal Re. L’Imperatore crede ad un malinteso. Io sono d’un altro avviso.
L’Imperatore telegrafò al principe Napoleone che è a Parigi da ieri di conferire con Drouyn de Lhuys per levare la difficoltà. Drouyn de Lhuys è anch’esso a Parigi da ieri e tornerà qui dopodomani.
L’Austria si mette nel suo torto. E’ una ventura per noi. Ma siamo noi in grado di ripigliare le ostilità ?
Ho telegrafato a Visconti che oramai tocca all’Austria il dirci che è pronta a firmare l’armistizio alle condizioni convenute colla Francia. Vo a vedere il Principe (Gerolamo Napoleone ndr). In fretta ma di cuore mi dico Tuo affez. Nigra
Vienna, 11 settembre 1866
Caro Amico, Ignoro se tu abbia ricevuta una mia lettera mandata coll'indirizzo concertato fra noi; dopo scrissi parecchie volte a Ressmann ed in una di due giorni fa, se non sbaglio, gli parlai, perché ne riferisca a te, della questione finanziaria. Ad ogni modo ora lo farò in modo più chiaro, valendomi del Corriere di Francia.
Saprai già che il Generale Menabrea fu assai cortesemente accolto dall'Imperatore e dal Conte Mensdorf; alcuni giorni fa andò pure dall'Arciduca Alberto, che lo ricevette benissimo, gli fece molti elogi dei Principi e dell'esercito, ma non toccò altri argomenti. Il Generale chiese più volte del Conte Esterhazy: questi gli restituì la carta di visita, ma partì per l'Ungheria e quindi non lo si poté vedere. Sul significato di questa partenza corrono voci molto contradditorie. Alcuni dicono ch'Egli non sia più in favore e che ora Egli, ungherese, si opponga alla formazione d'un Ministero ungherese, che del resto è sempre in fieri. Checché sia di ciò la popolarità del Conte Maurizio, che non fu mai grande, è ora cessata affatto, ed anche il favore di cui godeva a corte pare assai diminuito. Non oso, come puoi immaginarti, avventurare giudizi su questo paese così singolare, in cui abbiamo pochissime relazioni. Ma l'assenza della vita politica, la mancanza d'un uomo politico all'infuori dell'Imperatore, si fa sentire talmente che diventa un vero impedimento anche nel trattare gli affari più minuti. Il Conte Mensdorf che gode di grandissima stima, dichiara che rimane al Ministero suo malgrado e che non fa che eseguire la volontà dell'Imperatore. Il Conte di Wimpffen, che è abile e destro negoziatore, riserva ad ogni cambiamento di redazione, l'assenso imperiale, cosicché egli stesso ebbe a confessare che il trattare a Vienna, se può avere per le questioni importanti qualche vantaggio, non è senza inconvenienti, per tutte quelle minute particolarità che si lasciano ordinariamente all'arbitrio del Plenipotenziario.
Tuttavia non possiamo lagnarci di troppe lentezze; il trattato nelle sue formule generali è quasi redatto, ma rimangono le due sole questioni importanti, quella delle finanze e delle frontiere. Quanto alla prima scrissi a Ressmann e ripeto a Te che l'Austria domanda 350milioni di franchi, cioè:
1°. il Debito del Monte L.V. che dal 1859 in poi s'accrebbe di oltre 26 milioni di fiorini ed ora ascende a circa 65 milioni di fiorini;
2°. una quota del prestito del 1854 che nella nota austriaca é valutata a 3 milioni di fiorini da pagarsi in contanti, ma che, giusta la proporzione di 1 a 3 che corre, secondo il Trattato di Zurigo, fra la Venezia e la Lombardia, dovrebbe essere ridotta a soli 26 milioni di fiorini;
3°. una somma di 36,750,00 milioni di fiorini che rappresenta, a pro-rata della popolazione, la partecipazione del Veneto a tutte le operazioni finanziarie austriache fatte dopo il 1859. In altri termini la ripartizione a pro-rata della popolazione, che fu espressamente esclusa dalla Francia e dalla Prussia nei precedenti negoziati, ricompare ora, non per tutto il debito austriaco, ma solo per quella parte di esso che é posteriore al 1859.
A queste proposte, formulate in una nota verbale che ci fu consegnata 1'8 settembre, il Generale rispose con altra nota verbale, che abbiamo consegnata nella Conferenza di ieri. In questa Nota, di cui non ho tempo di darti copia, ma che certo il Duca di Gramont trasmetterà a Parigi, abbiamo con fermezza e moderazione escluso ogni riparto del Debito Generale e dichiarato che la sola base ammissibile di discussione é l'art. del trattato franco-austriaco e quello corrispondente del trattato austro-prussiano
in cui si richiama il precedente di Zurigo. Il Conte Wympffen trovò amara la pillola e chiese se era questa la nostra controproposta.
Il Generale rispose che si riservava di fare la sua controproposta quando avesse ricevuto le sue istruzioni, ma che intanto voleva porre nettamente in chiaro il punto di partenza. A Firenze intanto trovarono esorbitanti le domande austriache, ed impazienti come sono sempre à entrare a Venezia, telegrafarono al Generale di cercar d'evitare la discussione lenta e penosa delle Finanze col far inserire nel trattato nostro la pura e semplice riproduzione dell'art. del trattato austro-francese, rimandando cioé ad una commissione da nominarsi, non solo la liquidazione, ma la determinazione delle basi stesse dell'accordo finanziario. Ma é sperabile che l'Austria accolga questa proposta e ci abbandoni le fortezze nel momento stesso in cui si fa evidente la difficoltà dell'accordo sulle finanze? Certo si é che una tale proposta verrà respinta se la facciamo noi. Dall'altro canto la discussione é appena intavolata: e noi siamo in obbligo di formulare dal canto nostro le nostre offerte, non potendo limitarci ad una semplice risposta evasiva. Il Generale scrisse dunque oggi a Firenze per telegrafo che secondo lui è d'uopo formulare una contro proposta sulle basi seguenti:
1°. Assumere il Monte quale risultò per la Venezia in seguito alla Convenzione del 1660.
2°. Le somme che vi furono posteriormente aggiunte, e che a ragione od a torto, ormai vi si trovano inscritte, esse scendono dai 26 ai 30 milioni di fiorini.
3°. Una parte dell'imprestito del 1854, corrispondente ai 2/3 della parte pagata nel 1859, vale a dire 26,600 milioni di fiorini.
Il complesso di queste somme costituisce un totale di 90 milioni di fiorini, che é già un peso enorme per le finanze e che eguaglia quasi i pesi che ci siamo assunti pel trattato di Zurigo, benché, come ti dissi, il Veneto sta alla Lombardia come 2 sta a 3. L'equi tà di questa proposta dovrebbe essere riconosciuta dalla Francia e dalla Prussia che dovrebbero darci il loro appoggio. L'Austria tuttavia la respingerà, ed allora sarà il caso di far proporre dalla Francia di troncar gl'indugi e di rimandare, se l ' accordo é impossibile prima, la soluzione della questione od alla Commissione da nominarsi in
appresso, oppure al giudizio d'un arbitro. Ma io credo che l'Austria, messa al muro, cederà. Il bisogno di finir presto è sentito qui come da noi; ma qui non si rinuncerà mai ai cavilli aulici e, non v ' ha dubbio che ci hanno attirati qua per spillar danari il più che sia possibile.
Ti prego di dirci per telegrafo in cifra se hai ricevuto questa lettera e se approvi questo metodo di soluzione.
Rimane la questione delle frontiere, ed é in questa soprattutto che si fa più viva la mancanza di uomini politici. La cessione del Trentino non può essere trattata in modo ufficiale; ma chi può incaricarsi d'un negoziato confidenziale in un paese in cui nessuno osa esprimere il suo avviso senza saper prima come la pensa il padrone?
Per riuscire bisognerebbe trattar coll'Imperatore stesso, e ciò potrebbe forse comprometter persino la conclusione del trattato. D'altronde le domande finanziarie, che sono già così fuor di misura colle nostre forze, crescerebbero in quel caso per guisa da far credere che il Trentino sia il Perù, o la Golconda di Tamerlano.
Sarà dunque necessario di smettere per ora ogni discussione a questo proposito o per lo meno di non toccar questo tasto, se non dopo la firma del Trattato.
Riservo a miglior tempo ed a voce i miei giudizi su questo paese.
Vienna é ora quasi spopolata: niun personaggio importante né dell'alta banca,né dell'aristocrazia si trova qui in questa stagione. Per estendere alquanto i nostri rapporti privati, pregai il Generale di far venir qua Enea Barone; egli giunse infatti ieri l'altro e servirà d'intermediario con qualche persona non appartenente al mondo ufficiale. Il Barone Roths é assente esso pure. Il suo agente sig. Goldschmidt ci usa molte cortesie, ma non ha naturalmente grande influenza qua. Landau fu qua qualche giorno, poi se ne tornò via e credo l 'avrai visto a Parigi.
Se non ci aiuti credo che rimarremo qui un bel pezzo. Io non so veramente se potrai pigliar congedo quest'anno. Sono del resto assai contento del mio soggiorno qua. Vienna e l'Austria valgono la pena d'esser vedute e studiate da vicino. Ma per ciò occorrono mesi e danari e la libertà dell'incognito.
Addio, amami e credimi il tuo Artom
Il Generale vuole che ti faccia i suoi saluti.
P.S. Riceviamo in questo momento il telegramma seguente:
"M. Goedl Commissaire civil Autrichienne à annoncé qu'on allait procedér à la vente sans enchères de tous les palais de l'Etat. Il y a specialement des acheteurs français. Morpurgo de Trieste est en marché pour le palais de la Prefecture des Finances. Nous ne croyons pas que le Gouvernement autrichien puisse autoriser un pareil abus."
E' a Parigi non a Vienna che bisogna agire.
P.S. Il Corriere di Francia non é più partito e perciò mando questa a Ressmann.
Torino, 17 settembre 1864
Caro Costantino
II Marchese Boria Circe, fratello del nostro Ministro a Copenhagen, mi portò questa lettera diretta a M. Rouher dicendomi che una signora conoscente di quest'ultimo aveva pregato la Marchesa Doria di fargliela pervenire per mezzo sicuro cioè non per la posta. Io te la mando perché Tu la recapiti nel modo che ti parrà migliore.
Spero di stringerti presto la mano a Torino. Nulla di certo ancora circa le modificazioni ministeriali. Fu offerto a Lanza il portafoglio delle Finanze o quello dell'Interno. Lanza non rifiutò apertamente ma disse che desiderava consultarsi con Lamarmora.
Se non ché questi è assente e non verrà che fra 10 o 15 giorni. Si parla pure di Buoncompagni per l'Istruzione Pubblica e di Culti che verrebbero staccati a tal fine dal Ministero di Grazia e Giustizia. II portafoglio della Guerra sarebbe offerto a Cialdini, ma si dubita che accetti. In caso di rifiuto da Lanza si penserebbe a Sella per le Finanze. Ecco tutto per ora.
Mi rallegro teco della firma del Trattato. Mi duole solo che questo povero paese sia così mal preparato al trasporto della capitale. Cassinis, Castelli, Buoncompagni faranno di tutto per cambiare in atto di abnegazione questa crudele necessità. Temo l'influenza della Gazzetta del Popolo. Non potresti scrivere tu al Bottero od al Borella? Addio in fretta.
Tuo Artom
Vienna, 18 settembre 1866
Caro Amico
Giusto ai concerti presi con te e col Ministero abbiamo consegnato ieri al conte Weinstein il progetto d'articoli sul debito pubblico, che tu conoscerai già perché il Ministero deve averteli già trasmessi in cifra. Il Conte W.li prese ad referendum, ma disse subito che la sua impressione era delle più sgradevoli e che avrebbe sperato una proposta più equa da noi. Queste frasi non ci spaventano affatto, ed Io non credo ingannarmi dicendoti che se la Prussia e la Francia si mettono francamente dal lato nostro, l'Austria cederà. Ciò è tanto più necessario se si vuole ottenere qualche cosa per le frontiere. E' d'uopo che noi facciamo il minimo sacrificio possibile nella questione del riparto del debito per essere in grado di offrire all'Austria dei vantaggi rilevanti sia per le rettificazioni di frontiera, sia pel Trentino. Del resto Io sono convinto che il vero interesse dell'Italia sarebbe di riservar queste questioni ad un avvenire che non può essere remoto, e di cui potremmo trarre profitto senza bisogno di lampi di genio, e per la sola necessità delle cose. Ma per ciò occorre pacatezza di giudizio, e non pare che ve ne sia troppa a Firenze. Come sai, Io non m' ero fatto troppe illusioni sulla durata del nostro soggiorno qui,né sulle facilità che avremmo trovate nelle sole due questioni importanti che abbiamo a trattare. Ma a Firenze si immaginano che si debba firmare da un giorno all'altro e saranno stupiti quando sapranno che le Conferenze sono di fatto sospese, avendoci il Conte Weinstein dichiarato che, in seguito alla nostra proposta sul debito, si riservava di dirci quando avremmo potuto riunirci di nuovo. Furono paraphès dieci articoli ed il preambolo; siamo quasi d 'accordo circa le ferrovie e la restituzione dei beni dei principi ed arciduchi; rimane qualche difficoltà per gli archivi e per la promessa d'un trattato di commercio. Pare che per la restituzione della Corona di ferro acconsentano a fare un protocollo annesso al Trattato.
Il Generale, che ritorna adesso dal Duca di Gramont, mi prega di ringraziarti di quanto hai fatto nella questione del debito. Egli lesse le istruzioni trasmesse da Parigi al Duca, e ne fu assai contento. Il Duca deve recarsi in questo momento dal Conte Mensdorf, ed insisterà d'accordo con Werther nel nostro senso.
Corrono qui voci inquietanti sulla salute dell'Imperatore Napoleone. Dimmi s'é vero che non vada più a Biarritz e che sia ancor malato. Dimmi pure se é vero che Benedetti vada a Firenze.
Potresti, se vuoi, scrivermi all'indirizzo di M. Cavagnino, all'Hotel zum Romischen Kaiser. Doppio involto e scrittura poco corretta.
Spero che sarai perfettamente guarito dei tuoi piccoli incomodi.
Credimi sempre il tuo Artom
Vienna, 26 settembre 1866
Caro Amico
Spero che avrai ricevuta la lettera che ti mandai martedì scorso per mezzo del Corriere inglese. Ora, benché non abbia gran cosa a dirti di nuovo, colgo l'occasione del Sig. Boutout per scriverti due righe.
La questione finanziaria è finalmente decisa. La cifra è fissata a trentacinque milioni di fiorini, valuta austriaca, pagabili secondo il sistema di scadenze seguito a Zurigo: è compreso in esso il prezzo del materiale da guerra. Rimangono due questioni: l'epoca dell'evacuazione e consegna delle fortezze, e la garanzia chiesta dall'Austria pel pagamento della somma suddetta.
A Firenze non vedono l'ora di finirla. Ciò é naturale, e noi lo desideriamo forse più di tutti . Ma gli Austriaci non la pensano così: e, sia per lentezza naturale, sia per altre ragioni, cercano di tirare in lungo. Io non so né posso indovinare se vi sia un'arriere-pensée (pensiero nascosto ndr). Ad ogni modo, ora che Lebeuf, Moring e Revel non debbono più occuparsi dell'evacuazione del materiale da guerra, la consegna dovrebbe seguire immediatamente dopo la conclusione della pace. Il nostro Ministero vorrebbe anzi che seguisse dopo la firma e prima ancora dello scambio delle ratifiche. Questa cosa non può essere domandata da noi, ma la Francia potrebbe forse prevalersi delle espressioni letterali del trattato del 24 agosto per chiedere la consegna immediatamente dopo la firma del nostro trattato. Nell'intervallo di 8 o 10 giorni necessari per lo scambio delle ratifiche si potrebbe far la formalità del plebiscito cosicché il Re, ch'é sulle spine, possa prender possesso della Venezia subito dopo lo scambio suddetto. Ti comunico questa idea: tu giudicherai se é eseguibile o no.
La questione della guarentigia fu suscitata da M. de Becks, che volle (e me lo confessò egli stesso ieri l'altro dopo pranzo dal Conte Mensdorff) vendicarsi così del fiasco da lui fatto nella questione del riparto del debito generale. Sarebbe bene evitare di chiedere questo nuovo servizio a Fould. A Firenze hanno messo innanzi l'idea di far un deposito di titoli nelle mani della Prussia; forse si finirà per dare semplicemente dei titoli di credito, che qui possano scontare immediatamente.
Malgrado la lentezza austriaca spero che entro la prossima settimana si firmerà il trattato, ma rimarremo probabilmente quà sin dopo lo scambio delle ratifiche.
In quest'intervallo faremo forse qualche gita al Summering, ad Ischl, a Pest, per conoscere un po' il paese, che merita d ' essere visitato assai più di Vienna.
Del resto non fummo ancora nemmeno a Schonbrunn; si lavora tutto il giorno come tanti negri, e s'impiega la sera al teatro ove c'è buona musica.
Vorrei parlarti della questione delle frontiere, ma credo che potrò farlo negli stessi termini quando sarò a Parigi.
Addio, salutami il buon Ressmann, divertiti più di me e credimi il tuo Artom.
Il Generale ebbe comunicazione da Grammont del dispaccio di Lavalette in cui lo si incaricava d'insistere per la pronta conclusione. Egli ti ringrazia e ti saluta.
Bignami m'incarica pure di salutarti. Addio.
Firenze, 16 ottobre 1866
Caro Amico
Ti mando una piccola fotografia che rappresenta la Missione italiana a Vienna. Speravo di portartela Io stesso, ma temo che passeranno ancora due o tre settimane prima che Io possa ritornare a Parigi. Il Generale si era proposto dapprima di fare una gita a Berlino; Io l'avrei accompagnato e sarei ritornato con lui a Parigi. Ma poi mutò d'avviso e manifestò l'intenzione di portare egli stesso al Re la corona ferrea a Venezia. Visconti ebbe la bontà d'invitarmi per telegrafo a venire anch'Io a Venezia; partiremo dunque probabilmente sabato, rimarremo un giorno a Trieste ed assisteremo all'entrata del Re. Poi spero che Visconti mi permetterà d'andare ad abbracciar mia madre e di ritornare presso di Te. Ma in tutto questo giro dovrò impiegare un po' di tempo, sia per rimanere qualche giorno in Asti sia perché la Via di Savoia, essendo interrotta, dovrò probabilmente passare per Nizza, Tolone e Marsiglia. Ma di tutto questo ti parlerò più tardi.
Il Generale (Luigi Federico Menabrea ndr) mi incarica di farti i suoi saluti e di ringraziarti moltissimo del soccorso efficace che gli hai prestato. Egli è soddisfatto dell'accoglienza ricevuta e dei risultati ottenuti. Pare dai giornali, e da quanto Sella ci scrive, che anche in Italia si sia piuttosto contenti del Trattato, eccetto la questione delle frontiere, che non fu neanche discussa ufficialmente, tutte le altre questioni furono risolte abbastanza bene. Ho creduto superfluo di mandarti copia del Trattato, perché tu ne conoscevi già la sostanza.
Qui si desidera che il Generale rimanga Ministro a Vienna, ed io ho insistito moltissimo presso di lui perché accetti. Ma egli esita finora, e pare che non voglia decidersi ad accettare né a rifiutare, finché non abbia parlato col Re e coi Ministri. Intanto voleva lasciar qui me come Incaricato d'Affari e Visconti inclinava pure per questa soluzione. Io rifiutai quest'onore, sia perché reputo una vera sconvenienza di ritardare indefinitamente, nelle circostanze attuali, la nomina d'un titolare definitivo, sia perché non mi garbava affatto di rimaner qui col titolo di Ministro, né come semplice Incaricato d'Affari e senza essere accreditato. E' evidente che questo stato provvisorio avrebbe durato tutto 1'inverno ed Io intanto sarei rimasto qui senza alcuna autorità ed avrei perduto anche quel po' di considerazione personale che mi sono acquistata nei negoziati, durante i quali fui trattato assai gentilmente e quasi come un secondo plenipotenziario. Non essendo riuscito né a Vimercati né a me di vincere l'indecisione del Generale, si stabilì che il Conte Rati sarebbe venuto a Vienna come Consigliere di Legazione a fare l'interim. Me ne duole per Boyl il quale sperava di venir qua come primo segretario.
Il Barone di Kubeck, antico Presidente della Dieta di Francoforte, sarà probabilmente nominato Ministro austriaco a Firenze. Il Conte Wympffen andrà a Berlino. Sabato fummo a pranzo dall'Imperatore a Schonbrunn. S.M.I. riceverà domani il Generale in udienza di congedo. Partirà il giorno dopo per Brunn e Praga. Rimarrà assente tre settimane circa coll'Arciduca Alberto ed il Conte Belcredi.
Addio, mio caro. Ti scriverò da Venezia
"Là, sul suo letto d'alighe
Posa il Leone e aspetta"......
la Corona ferrea che noi gli portiamo.
Salutami Hessman, e da un bacio per me al tuo Lello. Tuo Artom
Pare che per ora il Conte Mensdorf rimanga Ministro degli Esteri. Abro mi prega di salutar Te e Hessman. Addio.
Tra le altre cose, col mezzo del marchese di Lavallette, ottenni una diminuzione di 6 milioni sulle ultime pretese austriache.
Parigi, 13 novembre 1866
Caro Amico,
non ho più nuove di te da un pezzo. Io t’aspetto sempre con molto desiderio. Ho passato una triste estate e un autunno anche più triste. Mentre tu eri a Vienna ho avuto a regolare la spinosa faccenda delle formalità della tradizione della Venezia per mezzo di Leboeuf (Generale francese ndr) e quelle sul plebiscito. Avrai saputo da Visconti tutte le peripezie di questo atto del dramma. Non te ne parlo dunque. Ora tornò sul tappeto la questione del debito pontificio, e non è ancora risolta. Con tutto questo mi fu impossibile l’avere un pò di congedo di cui avevo bisogno assoluto per poter andare ad abbracciare mia madre e per dare alla mente ed al corpo un riposo necessario. Pazienza. Domanderò il congedo più tardi; riservo di pigliarne uno lungo all’epoca dell’esposizione, se sarò ancora a questo posto, e se il Ministero non ci avrà dato i mezzi di ammobiliare la casa.
Mi congratulo vivamente con te della parte che hai preso ai negoziati di Vienna. So da molte parti che la tua collaborazione fu utilissima e che fu apprezzata anche a Vienna. Me ne consolo con te e fo voti perché tu possa presto pigliare una posizione degna del tuo ingegno o del tuo carattere a vantaggio del nostro povero paese che ha grandemente bisogno dell’opera d’uomini di merito.
Scrivimi ed amami Tuo affezionatissimo Nigra
Asti, 15 novembre 1866
Caro amico
non ti scrissi più dopo la mia partenza da Vienna, perché speravo di poterti abbracciare al più presto. Era mia intenzione, come sai, di venirmene a stare qualche giorno in Asti e di ripartire quindi direttamente per Parigi. Ma Vimercati mi scrisse e telegrafò a più riprese che desidera che Io rimanga a Firenze durante la missione del Generale Fleury, e che, in quest'intervallo, Io lo aiuti sia nella redazione del rapporto sulla politica estera, sia nel preparare il blue book. Sai quanto Io abborrisca i blue books d'ogni specie e puoi quindi immaginarti quanto mi sorrida questa idea. Ad ogni modo Vimercati è cosi buono con me, che Io non so né posso rifiutare d'andar di nuovo a passar qualche giorno con lui a Firenze. Spero che riuscirò a svincolarmi dal Ministero, ed intanto ti prego e scongiuro di rimandar subito a Firenze Blanc. Temo, a dirtela schietta, ch'egli voglia lasciar me negli impicci. Ma Io chiederò all'uopo il tuo soccorso, non reggendomi assolutamente l'animo di rifare l'ingrata ed inutile vita di Capo del Gabinetto. Del resto credo che una crisi ministeriale prossima mi libererà di tutti questi timori. Fu, a parer mio, un grave errore quello di non far le elezioni generali. Il Ministero non avendo voluto uccider la Camera sarà rovesciato da lei. Scrivimi, te ne prego, a Firenze, dimmi come stai, come sta Lello[36], al quale debbo consegnare una piccola cinghia datami da suo nonno. Dimmi pure se vai a Compiegne, chi ti accompagna colà (spero che sia l'ottimo Ressmann al quale farai mille saluti), finalmente se e come posso esserti utile a Firenze. Scrivimi al Ministero degli Esteri, ove passerò ogni giorno. Addio credi alla sincera amicizia del tuo Artom
Firenze, lunedì 26 novembre 1866
Carissimo Costantino
Ti sono molto riconoscente delle gentili espressioni di cui abbonda la tua letterina del 13 novembre. Ballesio la lasciò a Firenze, ed Io non l'ebbi che pochi giorni or sono, al mio arrivo qui da Asti. Intanto Io spero che tu abbia ricevuta quella che ti scrissi appunto da Asti, due o tre giorni prima ch'io ne partissi.
La situazione qui s'è chiarita per la circolare del Barone (Ricasoli ndr). Essa certamente non soddisfa compiutamente né me, né te, né Vimercati; tuttavia essa denota nel Barone la volontà sincera di adoperare per la questione un sistema d'anestesia di cui Vegezzi sarebbe l'agente principale. Il Generale Fleury è assai soddisfatto delle disposizioni moderate e concilianti in cui trovò il Barone; s'è convinto che da parte nostra si farà il possibile per non accrescere gli imbarazzi dell'Imperatore. Aggiungerò che qui l'opinione pubblica vede con soddisfazione che il Barone si metta su questa via e che, se si evitano nuovi errori, il Ministero potrà continuare com'é.
Senza che fosse d'uopo di alcuna comunicazione fra noi, ci trovammo Tu ed Io, come ci accadde spesso, perfettamente dello stesso parere, circa l'inopportunità di pubblicare i noti documenti. Io ho tentato di fare il breve racconto storico dei negoziati relativi all'armistizio che tu sostituiresti al blue book; ma confesso che m'è riuscita una cosa così povera e scolorata, che il silenzio completo mi pare ancora il partito migliore. Io credo fermamente che il Ministero non debba dare alla Camera, come materia di discussione, che il nudo e semplice trattato di Vienna. Certo che non si potrà chiuder la bocca agli avversari né rifiutar recisamente di dare delle spiegazioni verbali sulla politica che fu seguita dal Ministero. Ma il racconto dei fatti che ha sì trista cera da sé solo, può assumere aspetto diverso in bocca del Ministro degli Esteri, che ha un vasto campo da trattare, quello di dimostrare cioè che il fare una buona politica dopo Custoza e dopo Lissa era assolutamente impossibile. La linea seguita non fu ottima, ma il risultato ottenuto non è così cattivo che si possa dire fin d'ora che con un metodo diverso si sarebbero ottenuti vantaggi molto più rilevanti.
E probabilmente i Machiavelli dell'opposizione s'incaricheranno essi stessi di fare la dimostrazione ad absurdum[37] della linea politica ch'essi avrebbero proposto. Aiutato da loro, Vimercati riuscirà facilmente a dimostrare che si poteva fare peggio. Il paese del resto non ha alcun desiderio di queste recriminazioni. Esso ha un gran bisogno di riposo, d'ordine, di buona amministrazione.
Il ritiro dei francesi da Roma gli parrà già, com'é difatti, un passo enorme nella questione romana; non domanderà di più ed anzi vedrà volentieri che si rimandi ad epoca ulteriore ogni discussione sulle soluzioni definitive. Sarebbe quindi un grave errore per parte della Francia se si esigessero da noi dichiarazioni pubbliche anti-romane; esse provocherebbero ordini del giorno in senso opposto ed inasprirebbero la piaga in luogo di sedarla.
Menabrea non vuol risolversi ad andare a Vienna finché non abbia veduto l'esito delle prossime discussioni parlamentari. Ciò impedisce a Visconti di fare un movimento diplomatico ch'è urgente, pel gran numero di posti vuoti ed il dissesto del servizio. Nel progetto di nuovo bilancio si fa qualche lieve aumento anche per Parigi. Credo si proponga un aumento di 15 mila franchi.
Vimercati s'è mostrato dispostissimo a dar la decorazione a Marcol ed a Ressman. Cerruti fa qualche difficoltà d'ordine per quest'ultimo, ma Io spero di vincerla. Aspetto il ritorno di Blanc da Chambery per pregare Vimercati di decidere definitivamente sulla mia sorte.
Addio, carissimo, stringi per me la mano a Ressman. Credimi il tuo Artom
Ti prego di dire al Signor Conte Ceppi che farò la sua commissione.
Firenze, 8 dicembre 1866
Carissimo Costantino, Ti mando uria lettera del bravo Lionello[38], perché questa mi pare la migliore consolazione che Io possa mandarti nella sventura che ti affligge[39].
Mi duole assai che la mia assenza da Parigi ti abbia impedito di pigliare in quest'autunno un congedo che era pur troppo assai più necessario ch'Io non credessi. Ma Visconti ti dirà che Io lo pregai sempre caldamente di lasciarmi partire per Parigi e che pochi giorni an cora prima di sapere la perdita che hai fatto, Io gli dissi che mi pareva indispensabile che tu fossi chiamato a Firenze per cambiare aria, per così dire, ed imbeverti dell'atmosfera italiana.
Spero che avrai fatto o farai col tuo fratello una breve corsa a Venezia, e che tornerai a Parigi, se non più lieto, almeno più tranquillo e con la mente ingombra d'immagini serene.
Raccomanda tu pure caldamente a Visconti ed a Cerruti la decorazione pel bravo Ressman, che mai non fu più meritata, e porta con te quella pel ...... Artom
Parigi Palais Royal ,2 agosto 1867 (lettera del principe Napoleone ad Artom)
Mio caro signor Artom, arrivo adesso da un viaggio e apprendo che il Governo italiano intende sostituire il signor Nigra. Credo che questa sia una decisione gravissima che potrebbe avere conseguenze assai fastidiose. Scriverò per telegrafo al Re. Ma il cifrato con mio suocero è nella casa di campagna dove risiede mia moglie. Scriverò lungamente domani al signor Rattazzi; ma vi prego, vista l'urgenza, di scrivere immediatamente al Presidente del Consiglio per telegrafo per pregarlo di attendere la mia lettera prima di prendere qualunque decisione. Credo che i miei sentimenti e la mia condotta verso l'Italia, paese di mio suocero, e la mia amicizia verso il signor Nigra mi concedano il diritto di chiedere ciò al signor Rattazzi. Vostro affezionato Napoleone (Gerolamo).
Telegramma di Vittorio Emanuele II a Napoleone III in data 1 agosto 1867
"Al momento non esistono questioni legate al ritiro di Nigra; ma se, nelle circostanze attuali, il Ministero ritenesse che Io dovrei avanzarle, e quali che siano le determinazioni che dovrei assumere in funzione delle motivazioni espostemi, queste determinazioni non potrebbero che essere assunte con la mia ferma volontà, unitamente a quella del mio Governo, di mantenere le migliori relazioni tra i due paesi e con la vostra Maestà a cui mi legano tanti ricordi di amicizia e di riconoscenza".
Parigi, 6 agosto 1867
Eccellenza, S.A.I. il Principe Napoleone venne oggi a pregarmi di far sapere a V.E. per telegrafo che volendo far cosa gradevole al Re ed a V.E. aveva chiesto all'Imperatore di dare un congedo e più tardi un'altra destinazione al Barone di Malaret. L'Imperatore aderì, dicendo espressamente che era lieto di poter in ciò assecondare i desideri dell'E.V.
Il Principe Napoleone aggiunse che il congedo, dato improvvisamente a Malaret, ove coincidesse col congedo di Nigra, potrebbe assumere l'apparenza d'una specie d'interruzione dei rapporti diplomatici, che non può essere nelle intenzioni di alcuno dei due Governi. Il pronto ritorno del titolare di questa Legazione pare quindi, a S.A. I., assolutamente necessario.
Darò domani lettura al Marchese di Moustier della Nota del 2 agosto giuntami soltanto quest'oggi. Alcune frasi di quella Nota piaceranno poco e mi aspetto un diluvio di recriminazioni sui proclami di Garibaldi e sui progetti che si attribuiscono al partito avanzato. Qui si è assai suscettivi di queste punture di spillo e queste producono un'irritazione che può compromettere la soluzione dei grandi problemi,
II Principe Napoleone è convinto che, se una insurrezione avesse luogo a Roma, non preceduta né preparata da proclami, appelli, ecc. non sarebbe così facile all'Imperatore di rifare la spedizione di Roma. Egli va più in là e m'incaricò di dirlo; il Papa sarebbe lasciato in balia dei Romani. Ma finché si annuncerà all'Europa, a suono di tromba sei mesi prima che si fanno arruolamenti, che l'ora è venuta ecc. ecc. l'Imperatore dovrà ripetere che rifarà la spedizione di Roma e sarà fors'anche costretto in realtà ad eseguire queste minacce. Oggi corre voce che l'Imperatore non vada solo a Salzbourg, ma anche a Berlino. Altri vuole che l'Imperatore d'Austria accompagni l'Imperatore Napoleone nel suo ritorno sino a Chalons. Però l'Imperatore deve assistere alle feste di Lille il 26 agosto; cosicché queste notizie non mi paiono molto probabili.
Tre nomi saranno messi innanzi pel posto di Firenze. Benedetti, che non può andarci perché è Ambasciatore. Baudin che è ora all'Aja; passa per liberale ed alquanto Orleanista. Bertheray, che fu Capo del Gabinetto di Thouvenel, ed è ora Ministro a Washington. Sarebbe a quanto pare una scelta eccellente. Cadon di cui s'era parlato, è, dicono, clericale.
Malgrado lo strepito che i giornali faranno del viaggio di Salisburgo persisto a credere che questo sia bensì l'indizio di buone disposizioni reciproche fra l'Austria e la Francia, ma non significhi punto la conclusione d'un'alleanza offensiva e difensiva. Gradisca ecc.
Copenhagen, 9 settembre 1867
Carissimo Nigra, arrivai a Berlino lunedì sera e chiesi subito di De Launay. Seppi che partiva il giorno dopo pel congedo e gli parlai la mattina del martedì per tempo. Egli disperava che Io potessi vedere Escobedo (Bismark) e mi consigliava quasi a non presentargli la tua lettera. Rimanemmo tuttavia d'accordo che Tosi sarebbe andato a portarla con una sua carta al segretario particolare, aggiungendo che sarai partito mercoledì sera per Hambourg. Dopo pranzo ebbi la buona ispirazione di ritornare all'albergo e vi trovai una carta di visita di 200 (Bismark), con sopra scritto di suo pugno: pour venir a 8 1/2. Era appunto l'ora e v'andai. Attraversai parecchie sale addobbate molto modestamente e fui introdotto nel Gabinetto di lavoro. Rimasi con lui fino alle 10, e fui oltremodo contento della sua accoglienza. Disse parole amabili per te, e ne aggiunse alcune gentili anche per me. Intavolai la conversazione politica dicendogli che mi premeva d'assicurargli che nelle modeste funzioni che mi erano assegnate Io avevo istruzione di contribuire a mantener la pace ed a far cessare ogni irritazione. Mi disse che sarebbe assai desiderabile che anche da parte di 50 (Francia) si facesse lo stesso ed entrò francamente nella questione dei rapporti fra 50 e 190 (Francia e Prussia). Parlò con grande franchezza del Sig. Canali (Imp. Napoleone). Lo crede favorevole alla pace, ma in uno stato d'animo arso che gli impedisce di tenersi tranquillo come sarebbe interesse suo e di 50 (Francia), Egli non è spaventato del recente colloquio fra 290 e 230 (imp. Napoleone e Beust). Crede che gli intrighi di quest'ultimo non possano avere seri risultati perché né l'Ungheria né le popolazioni tedesche seguirebbero 220 (Austria) nell'alleanza con 50 (Francia) contro 190 (Prussia). Ma crede che Salzbourg sia stato un nuovo errore: "M. Thiers s'est trompé lorsqu'il a dit qu'il n'y avait plus une seule faute a faire; on a trouvé le moyen d'an faire plusieurs encore etc»". (Il signor Thiers si è sbagliato quando ha detto che vi era solo più un errore da fare; ha trovato modo di farne ancora altri etc ndr).
Disse che se avesse creduto alla probabilità d'una guerra colla 50 (Francia), non avrebbe ceduto nella questione del Luxembourg. Del resto non crede suo interesse dì spingere all'annessione della Germania del Sud: "Nous ne voulons pas deplacer notre centre de gravite polìtique mais les coquetteree entra 50 (France) et 70 (Vimercati) peuvent nous créer une situation dangereuse, et nous mettre dans l'impossibilité de resister au parti unitaire Allemand". (Noi non vogliamo spostare il nostro centro di gravità politica ma le chiacchiere tra Francia e Italia ci possono creare una situazione pericolosa, e metterci nell'impossibilità di resistere al partito unitario tedesco ndr).
Disse che la diplomazia francese è in gran decadenza, che essa non ha più nemmeno l'amabilità esterna delle forma, fatta eccezione solo pel Principe Latour d'Auvergne e per Benedetti, aggiungendo per quest'ultimo che la sua origine italiana tempera l'asprezza dei modi ch'é ora inerente al carattere francese.
Durante tutto il colloquio che fu assai lungo fui meravigliato della lentezza con cui parla e della ricercatezza delle frasi francesi. Riassunse il suo giudizio sulla situazione generale dicendo che 290 (Napoleone) ha perduto la "bussola" ed aggiungendo in tedesco "contro la mancanza d'accortezza non v'ha rimedio possibile". Esaminò le probabilità d'una guerra ch'egli non crede prossima a parve non spaventarsene affatto. Disse ch'Egli era stanco e ristufo della questione dello Schleswig che da quella parte aveva vinto più del bisogno. ma che non v'era modo di indurre Cormon (il Re di Prussia) a rinunciare a Duppel e ad Arsen. Si espresse sempre nel modo più lusinghiero parlando dell'Italia e manifestò la più viva ammirazione per Cavour.
L'ora che ho passata con lui mi compensa delle molte noie e stanchezze del viaggio. Devo a Te questa buona ventura, e ti sono riconoscente di questa e di molte altre prove della tua antica amicizia. Passai poche ore ad Hambourg ove non trovai Calateri il quale è posseduto dalla smania d'entrare nei ruoli del Corpo Diplomatico e prolunga il suo congedo per riuscire nell'intento. Partii giovedì l'altro per Kiel. La traversata del Belt mi fu abbastanza favorevole. Arrivai qui venerdì sera 6 ed andai subito al Ministero degli Esteri a presentar la copia delle credenziali. Un contrattempo ritardò l'udienza del Re. Il Landgravio d'Assia, padre della regina, morì il giorno prima del mio arrivo. Spero che malgrado il lutto il Re mi riceverà, ma intanto perderò qui forse una settimana,
Che dirti di Copenhagen? Arrivai qua In condizioni d'animo non troppo liete e quello che vidi non fece che confermarmi esse. Sono al primo albergo della città l'hotel d'Angleterre a cui mancano tutti gli elementi del comfort. Tuttavia rimarrò qua e mi aggiusterò alla meglio. Wachtmeister, su cui contavo moltissimo, è assente per due mesi. Il diplomatico più influente qui è M. Dotezac, Ministro di Francia, E' una specie di Cobianchi, meno vecchio e meno noioso però. Da 25 anni non s'è mosso di qua, nemmeno per andare in congedo. Dicono che sia stato trattenuto qua da una inclinazione più o meno platonica. E' un originale che fa il misterioso, vira modestissimamente, benché ricco e ben pagato, ed ha preso il suo partito d'annoiarsi prodigiosamente. Non ha vettura né cavalli, quasi neanche livrea. Il Ministro di Russia è matto e trovasi in congedo. Quello di Prussia, che non conosco ancora, è il più gran giocatore di scacchi dell'Europa. Il Murray, Ministro d'Inghilterra, è ancora ai bagni e non tornerà che più tardi.
V'é un Tivoli, specie di Mabille decentissimo però, di cui il Corpo Diplomatico ed in specie Dotezac sono la colonna. V'è una Società di lettura, detta Atheneum, ove si va a leggere i giornali. Uno o due teatri danesi. Nel cuor dell'inverno, qualche volta, una compagnia di canto italiana. Ecco tutto. Dimenticavo, o per dir meglio mi riservo di parlarti del Museo Thorvaldsen. E' una meraviglia. Ieri quando ci andai uno splendido sole mi ci accompagnò. Ho potuto credermi per un istante a Firenze od a Roma. A pranzo poi, soprattutto, m'accorsi che non ero a Parigi.
Ti sarei grato se mi potessi dire se veramente, come pare, secondo l'atteggiamento misterioso di Dotezac la Francia vorrebbe lasciare insoluta la questione dello Schleswig per servirsene alla primavera. Se ciò fosse farei la figura del minchione dicendo pace, pace, pace e predicherei al deserto. Dammi ti prego qualche notizia di Parigi che mi pare un secolo d'aver abbandonato. Ti scrivo in carta non intestata e pour cause. Addio credimi il Tuo Artom
PS: Salutami il Principe Napoleone di cui ho ricevuto una lettera gentile. Dimmi se è vero che Melegari parta a giorni per Berna e se la combinazione da Te immaginata abbia qualche probabilità di successo. Dimmi pure se il Principe Napoleone rimane ancora a Parigi qualche tempo. Salutami Esapana e Szarvady.
Parigi, 11 settembre 1867
Carissimo, ...... Temo che Rattazzi abbia a farmi pagare l'innocente appoggio che detti a Nigra, appoggio voluto dall'onestà e dal dovere. Ti ripeto che fra Nigra e lui non è buon sangue, e che la guerra si comincerà fra un paio di mesi. Questa divergenza poi serve a Rattazzi mirabilmente, perché coi signori della sinistra gli dà loro a intendere che è Nigra che va troppo nel senso francese.
Parigi, 19 dicembre 1867
Amico, ho comunicato a N. (dovrebbe trattarsi del Principe Gerolamo Napoleone ndr)) la carissima tua del 15. Egli ti ringrazia per le nuove prove di amicizia che gli dai. Dal modo con cui egli accolse le tue notizie m'accorsi, una volta di più, di non essere errato sull'interpretazione dei tuoi desideri. Dietro suo espresso incarico ti dico che l'incondizionata occupazione del territorio pontificio sarebbe ottenibile, qualora si potesse domandare a questi signori che noi non ci apprestiamo a stringere un trattato d'alleanza con la Prussia. A giusta parola di N. io da parte mia aggiungo il commento che tale paremi essere il fin mot de toute l'histoire (la fine della storia ndr). In nome mio proprio non posso discorrere che di supposizioni e di presentimenti: ma questi sono troppo vivi per permettermi di tacerti ch'io credo più che mai alla ferma intenzione dell'Imperatore di venire ad una prova coi vincitori di Sadowa (guerra vinta dalla Prussia sull' Austria il 3 luglio 1866 ndr). Credo che a quest'ora un trattato coll'Austria a tal fine esiste e che ci vogliano terzi nell'impresa. Ciò mi spiegherebbe meglio d'ogni altra ciarla l'atteggiamento pesante della Francia verso di noi, e ... chi vivrà verrà. sai ch'io prevedeva questo giro, giusto tiro se vuoi, da lungo tempo; è molto che i fatti corsi dal 1866 invece di rendere più improbabili le mie apprensioni non abbiamo potuto che avvalorarle. Visconti promise di parlare a Hetzel pel tuo affare e di scriverti direttamente. Tuo di cuore Costantino
Isacco Artom a Ministri e Ambasciatori
Firenze,25 dicembre 1867
Cari amici, ecco quanto so della crisi (di Governo ndr).
Cialdini è malato a Pisa colla febbre. Non volle e non può fare il Ministero.
Rattazzi interrogato di nascosto suggerì Durando. Invece Ricasoli e Lanza consigliarono di incaricar di nuovo Minghetti di rifare il Gabinetto. Questi non vuole rivolgersi al terzo partito e intende soltanto limitarsi a rimpiazzare Gualterio, divenuto impossibile, col Chianes a quanto dicesi. Forse piglierà un veneto, il Messedaglia, all'Agricoltura e Commercio. Senonché Mari, il solo dei Ministri che abbia fatta buona prova, non vuole.
Il nuovo gabinetto non durerà un pezzo colla Camera attuale. Ma probabilmente esso ha soltanto intenzione di far votare i bilanci e qualche legge di finanza e poi mandar la Camera a spasso e far le elezioni. Queste saranno al solito, un peu de la haine et du hazard. (un po' di odio e di rischio ndr)
Ringraziate ? della sua lettera. Gli ho fatto mandare la correspondence.
Attendo di sapere se posso sperare Baden poi verrò a Parigi.
Tenete per voi per ora le notizie che vi dò. Artom
Isacco Artom a Ministri e Ambasciatori
Firenze,26 dicembre 1867
Il Ministero non è ancora formato e pare che ora prevalgano combinazioni di cui M. (sta per Luigi Federico Menabrea o Minghetti ? ndr) sarebbe sempre il Centro.
Nulla v'é ancora di stabilito nè vi sarà fino al ritorno del Re.
Il quale è fortemente sdegnato per le parole di Rouher e molto di più perché non le si vuole attenuare se non ritirare. Da quanto ho potuto udire sarebbe inevitabile se una migliore soddisfazione non ci vien data di dare un congedo a N.
Riparlai subito di Londra ma ottenni le stesse risposte evasive e non si riparlò di Vienna o di Costantinopoli. Ma sono convinto che M. desidera conservar N. a Parigi se lo può; temo che più in alto non si pensi così. Temo soprattutto che la sua posizione non sia più la stessa costì. Io continuo a negarlo ma qui si porterebbe ad affermarlo.
Azeglio va via ma non me lo si vuol dire. So che Barbolani vi andrebbe molto volentieri; si lasciò scappare a dire, con altri che con me, que c'etait son reve, (era il suo sogno ndr); ma non credo di tratti di lui. Visconti Venosta mi pregò di scrivere a N. ch'Egli non ha mai pensato di andare a Parigi, che non l'accetterebbe, e non vorrebbe neanche Londra. A chi si pensa dunque? A me duole intanto di dirvi che non si pensa per Londra a N. Intanto per carità non dite di tutto ciò. Io non nascondo che vi scrivo ma non vorrei nascessero pettegolezzi inutili. Addio Artom
Si fanno demarche per stanare i permanenti della sinistra ed averne qualcuno nel Gabinetto. probabilmente fra breve Ratti e Puliga saranno promossi. A Parigi si manderà Della Croce al suo ritorno dall'Egitto.
Il SEGRETARIO DEL MINISTERO ARTOM A MINISTRI e AMBASCIATORI
Firenze, 8 gennaio 1868
Carissimi miei, m'ero proposto di tenervi a giorno di tutte le fasi della crisi ministeriale; ma queste furono così lunghe e numerose ed ebbero tutte, fuorché l'ultima, esito così infelice, che Io mi perdei d'animo. Due sole del resto avrebbero avuto interesse per voi; il tentativo d'accordo coi permanenti, e l'ultima combinazione per cui Visconti Venosta sarebbe venuto agli Esteri ed il Gen. M. all'Interno. Io avrei accolta con giubilo questa combinazione perché avrebbe finalmente rassodata la posizione di N. Ma Visconti Venosta ch'era venuto di mal animo, e non aveva voglia d'accettare, benché gli mancasse il coraggio di rifiutare, ebbe la fortuna che altri facesse osservare per lui che il passaggio del portafoglio dell'Interno nelle mani d'un Generale, avrebbe dato pretesti a nuove accuse di colpi di Stato ecc. Si trovò finalmente nel Cadorna uno che si gettò nella voragine del Portafoglio; Egli è uomo rispettato e rispettabile benché forse non molto energico e disavvezzo da lunghi anni alla vita politica. Dicono che parla abbastanza bene, potrà dunque forse mettere un pò d'olio nella lucerna ministeriale. Non so però se si riuscirà ad ottenere il bilancio. Se la Camera lo rifiuta, si pare decisi a scioglierla ed a procedere a nuove elezioni. Intanto si esigerebbero le imposte sulla base dell'antico bilancio salvo a chiedere un bill d'indennità. A me par cosa grave; dicono però che ve ne sia qualche esempio nella storia parlamentare inglese. Del resto chi sa poi se al momento di scioglier la Camera non si finirà per tentare un’altra combinazione. Benché non abbia più ora che un interesse retrospettivo vi dirò che il tentativo di conciliazione coi permanenti fu iniziato per opera del Marchese Alfieri; che S. Martino pareva ben disposto, ma che Bottero fece andare a vuoto ogni cosa. I permanenti hanno ancora, da un lato impegni colla sinistra, dall'altro antipatie insuperabili verso gli uomini della cosiddetta consorteria, fra i quali pongono il Gen. M., il Digny ecc. Essi vorrebbero svincolarsi dagli uomini del partito avanzato, ma intenderebbero contrapporre ad es. un Ministero, con a capo il Durando o il S. Martino p.es., il quale si appoggerebbe sul terzo partito ingrossandolo dei più moderati della sinistra e della destra e facendone così una nuova maggioranza che avrebbe a combattere soltanto i consorti all'estrema destra ed i repubblicani all'estrema sinistra. Non so se questa combinazione abbia come pretendesi l'appoggio superiore. Però a Pitti si desidera che il Gen. M. rimanga (i suoi avversari dicono per logorarlo). Forse è sperabile che alcuni dei permanenti e del terzo partito votino col Ministero nelle questioni amministrative; Io temo però senza affermarlo come Sormani, che la Camera non faccia buon viso ai nuovi Ministri e che una crisi sorga anche senza essere voluta, per l'indisciplina e la spensieratezza d'alcuno fra i 199.
Passiamo ad altro. Il Gen. M. fu assai contento del telegramma comunicatogli ieri mattina da Malaret sul noto spiacevole incidente. Ignoro se più in alto si sia contenti egualmente. Per questo lato la posizione di N. sarebbe dunque migliore. Se le cose si mettessero meglio fra i due paesi forse si finirebbe per tirare innanzi così, senza però trarsi mai da quell'incertezza che debba essere tanto angosciosa.
Tornai da capo a parlare di Londra con B.i; m'accorsi essere assolutamente impossibile d'ottener questo posto per N. Là si vuol mandare un uomo politico, probabilmente M.tti. Questi non vorrebbe allontanarsi dalla Camera ma la signora morrebbe di voglia d'essere in Inghilterra. Il Gen. M. sarebbe disposto a ciò. Si tenterebbe poi d'ottenere dalla Camera, la formazione di due Comandi attivi per Cialdini e Lamarmora : rimarrebbe libero così il posto di Vienna, che sarebbe offerto in quel caso a Nigra. Senza dire d'averne scritto a lui, Io dichiarai che non avrebbe accettato Costantinopoli. Pensi dunque se gli converrà d'accettar Vienna. Però, lo ripeto, tutto questo è in quell'avvenire che non appartiene ad alcun Ministro in Italia. Se non vi sono nuovi incidenti sgradevoli, si potrà forse tirare innanzi così. Di più è impossibile ottenere. Saprete ormai dei movimenti diplomatici e della mia traslocazione a Baden. Per agevolarla rinuncio ad ottomila lire di promo stabilimento che mi spettavano per Copenhagen. Spero che non mi si obbligherà ad andare a Copenhagen in questa stagione per presentare le lettere di richiamo. Attendo del resto di sapere quando Giannotti mi vorrà cedere il posto. Vedrò pure se mi converrà passare pel Brennero od andare a Parigi a farvi una visita prima di presentare le credenziali a Carlsruhe. Intanto prego il mio ottimo Ressman di volere informarsi di nuovo da M. Meurand se è fissata l'epoca della riapertura della Conferenza Monetaria.
Vogliate, ve ne prego, salutare per me Sz. e ringraziare lui ed Hetsel del consenso dato all'Edizione italiana dell'Oeuvre Parlamentaire di Cavour. Il Barbera conta farne un' edizione economica. Io tradussi 1'introduzione, ma gli dichiarai che non voglio né guadagnare né correr rischio di perder altro denaro; non mi pare che ne valga la pena.
Addio carissimi. Ringrazio Ressman dell'ultima sua. Lo prego di scrivermi qui, ove rimarrò probabilmente sino a martedì venturo, od in Asti ove mi recherò poi. Abbiate una stretta di mano del Vostro Artom. Le mie felicitazioni a Colobianino.
Firenze, 14 gennaio 1868
Carissimo Nigra, spero che avrai ricevuto l'ultimo mio scritto a Ressman (Costantino Ressman segretario della legazione d'Italia a Parigi ndr), per avere qualche maggior sicurezza nell'invio, ma indirizzata come tutte le altre mie a te. Ora ti scrivo direttamente per incarico di Barbolani (dovrebbe trattarsi del segretario generale del Ministero Esteri ndr). Il quale mi disse ieri sera che Cialdini (il Generale ha iniziato la carriera diplomatica che lo porterà prima in Spagna nel 1869, e poi a Parigi a sostituire Nigra nel 1876 ndr) è qua, che il Generale spera di riuscire ad ottener ch'egli rinunci al posto di Vienna, e vuole offrirlo a te. Barbolani mi pregò di chiederti se lo accetteresti. Io non ti posso dare alcun consiglio. Vienna è come città un posto molto gradevole come Legazione italiana assai importante. Ignoro i tuoi rapporti attuali con R. ed M. (iniziali non individuabili ndr) e benchè io sia certo che tu continui ad essere benissimo col padrone e colla padrona di casa, anche i Maitres d'Hotel non sono senza influenza. Vienna del resto darà a te molto miglior campo che Londra di dar nuove prove a chi ne avesse bisogno, della tua attività e del tuo merito. Il tuo successore a Parigi compirà certo la parte negativa della dimostrazione. Ad ogni modo fa che io conosca le tue determinazioni. Io ebbi cura di chiamar da più giorni la tua attenzione su questa possibilità. Se vuoi, fammi scrivere da Ressman per telegrafo la tua risposta. Se affermativa potrebbe dirmi, il n'y a pas de difficultées (non vi sono difficoltà ndr). Se negativa fammi telegrafare Attendez mes lettres (attendete mie lettere ndr).
Aspetterò qui infatti in questo caso la tua lettera per attenuare colle mie parole, così presso M. (Federico Menabrea Ministro Esteri ndr) quanto presso B. (Barbolani ndr) ciò che possa spiacer loro sul tuo rifiuto. Con me essi hanno l'aria di subire assai più che di volerla la tua traslocazione. Li credo desiderosi di far la cosa nel modo che potrà meno spiacerti. Io temo che tutto ciò si leghi d'altronde a certi concetti politici che tu forse non ameresti di concorrere a far adottare.
Ma queste non sono nulla più che congetture, e forse prive di fondamenti. Tu riceverai questa lettera giovedì, fa che nella sera, od al più tardi venerdì io abbia per mezzo di Ressman un modo con cui sapermi regolare. Vorrei infatti andarmene da Firenze e stare ancora un poco ad Asti (città natale di Artom ndr) prima di andare a Carlsruhe. Non tornerò probabilmente a Copenhagen (dove era stato l'anno prima come Segretario di Legazione ndr).
Rati presenterà colle sue credenziali le mie lettere di richiamo. Addio in fretta. Tuo Artom
Firenze, 16 gennaio 1868
Carissimo Nigra, Stamane andai a presentare i miei omaggi al Principe Umberto. Seppi da lui e dal Generale C.a che Cialdini va decisamente a Vienna, e che fu deciso stamane in Consiglio che Tu rimarrai a Parigi. Andai allora da Barboleri e lo pregai di spedirti in cifra un mio dispaccio per tranquillizzarti il più presto possibile. Ti felicito pel bene del paese che la cosa sia finita così. Quanto a Te forse avrebbe giovato lasciar dimostrare da altri quante siano le difficoltà in cui ti trovi, e che hai superate sempre e spesso al di là di quanto lo si potesse sperare. Ma, per quanto sia grande la cecità del paese, è pur necessario continuare a servirlo con abnegazione. T'auguro quindi di poter migliorare la situazione attuale rimanendo costì. Io non so ancora decidermi a lasciar Firenze, ove il freddo straordinario per questo paese, è niente tuttavia al confronto di Parigi, di Carlsruhe ed anche di Torino. Aspetto qui una vostra lettera che mi indichi quando s'aprirà la Conferenza Monetaria, Addio in fretta Tuo Artom
Parigi, 19 gennaio 1868
Carissimo amico, vorrei poterti esprimere in termini non volgari i miei ringraziamenti per quanto hai fatto costì per me. Non so dirti altro. Se non dire ti sono profondamente riconoscente di questa nuova prova d'amicizia che mi hai dato. Io vorrei decisamente di poter lasciare Parigi e d'andare a Londra. In questo ultimo posto, che a me sarebbe molto conveniente, avrei potuto, se non mi inganno, rendere qualche servizio al mio paese. Il posto non presenta grandi difficoltà. Con una condotta leale e colla partecipazione alla vita inglese che mi sarebbe stata cosa facile da abituarvici e dei gusti che io ho, e che tutti non possono avere, penso che avrei riuscito ad acquistare la stima e la confidenza dei principali uomini che sogliono trasmettersi di mano in mano le redini del Governo inglese. Benchè un po' a malincuore, mi sarei anche deciso ad accettare Vienna, se Cialdini vi rinunziava, come ti ho scritto per telegrafo. Oramai da quanto mi scrivi, devo rinunciare all'uno ed all'altro posto, e continuare qui finchè il primo Ministero che venga di sinistra e del terzo partito mi chiami a casa. Non è a dire che la mia posizione personale sia qui mutata. Ebbi dall'Imperatore e dall'Imperatrice prove nuove e recenti di grande benevolenza. Moustier (Leonel de Moustier Ministro Esteri ndr) mi tratta con molta gentilezza e con amicizia. Sono in ottime relazioni con Rouher (Eugéne Rouher già Ministro di Francia ndr), malgrado tutti gli incidenti. ma questa vita d'incertezza continua, e questa tremenda spada di Damocle che è la questione romana, la quale non sarà sciolta se non il giorno in cui vi sarà in Francia una rivoluzione radicale e violenta, mi rendono questa residenza molto dolorosa. Aggiungi le accuse e le ire della nostra Stampa e di molti fra i membri del parlamento. Aggiungi le antipatie del Re e l'irritazione di Rattazzi il quale non mi perdonerà d'averlo coi miei telegrammi forzato in malo modo di dare le sue dimissioni. E poi devo confessarti che le cose in Francia peggiorano, e che m'è doloroso l'aspettare alla rovina di questo grande edificio dell'Impero francese, col quale si collega tutta la politica da me fatta sin qui.
Io t'aspetto qui a Parigi presto. La tua camera è pronta. Ressman ti scriverà dopo che avrà interpellato Menabrea sulla conferenza monetaria. Avvertimi poi in ogni caso del giorno in cui verrai a Parigi, affinchè io possa mandarti una vettura alla Stazione.
Saluta per me Sormani ed Espanon e dì ad entrambi che ho ricevuto la loro lettera e che li ringrazio. La Contessa di Lourmel vuol essere ricordata a Sormani. L'Imperatrice mi domandò di lui all'ultimo ballo, e m'ha incaricato di fargli sapere che sull'opinione di Lei i terzi partiti non servono a nulla. Non so chi abbia detto all'Imperatrice che Sormani appartiene a quel partito. Ad ogni modo ricordai a S.M. che Sormani aveva votato col Ministero sulla famosa ultima lotta. Ti stringo caramente la mano e t'aspetto. Tuo affezionatissimo Nigra
Carlsruhe, 17 marzo 1868
Carissimo Amico, Ho scritto quindici o venti giorni or sono al bravo Ressman per pregare Te e lui di farmi sapere qui qualche cosa intorno al viaggio del Principe Napoleone. Ma avete avuto l'incidente Kervegnen, il trasporto delle ceneri di Manin ecc. Forse anche Ressman è andato a Venezia. Io mi rivolgo quindi direttamente a Te per pregarti d'un favore, cioè di far verificare di nuovo al Ministero degli Esteri per mezzo di Boyl o di Collobiano, o di Ressman se fu deciso qualche cosa circa la riunione della Conferenza Monetaria. Io sono qui sull'Albergo, e non posso pigliare appartamento che a Baden, cioè non prima del mese di maggio.
Amerei passare quest'intervallo a Parigi, con Te per chiacchierare lungamente di tutte le traversie passate. Se poi non potessi recarmi costì perché la Conferenza non si riunisse prima del maggio vorrei stare un pò di tempo ad Heidelberg, percorrere a mio agio la Germania meridionale e studiarla. Infine trovare un modo qualunque di allontanarmi da Carlsruhe.
Abbi dunque la bontà di farmi sapere come debbo regolarmi. Se fosse vivo M. Herbat, avrei scritto a lui, ma col Meurand o col Lagerschmid non ho nessuna intimità.
Io fui accolto con molta bontà e gentilezza qui dalla Corte e dal mondo politico badese.
Credo che mi ci troverò benino. Dimmi se posso esserti utile qui od a Heidelberg ove farò certo una corsa presto. Oldoini ti parlerà troppo di politica, perché Io osi neppure farne cenno. Il mio indirizzo è Carlsruhe, Hotel d'Angleterre. Una stretta di mano a Ressman e un bacio a Lello. Tuo affezionato Artom
lettera di Ressman a Artom
Parigi, 24 marzo 1868
Amico mio, sono ritornato ieri al Ministero ed ho pregato il sig. Fagerschmidt a dirmi quanto più sapeva sulla Conferenza Monetaria. Le notizie che n'ebbi sono desolanti. Fu ordinata un'inchiesta in tutti i dipartimenti sulla questione dell'étalon; le relazioni dei ricevitori generali non saranno tutte a Parigi prima della fine d'aprile. Lo spoglio delle medesime durerà almeno tutto maggio. Sarà quindi un prodigio se la nuova convocazione dei delegati potrà aver luogo in giugno, e sai che le risposte non giungono a spron battuto. Per altri tre mesi almeno mettiti quindi il cuore in pace e dispera di trovare sulla necessità del compimento d'un simile dovere il pretesto per la soddisfazione d'un desiderio che parmi abbastanza legittimo e attendibile in se stesso onde io ti ascolti anche senza l'appello dei sommi interessi della patria. Chiedi un breve congedo per affari e scrivi particolarmente a Menabrea che devi venir qui per raccogliere i tuoi mobili, acquistarne nuovi, provvedere ai tuoi bisogni per la casa che stai impiantando costà, consolare le tue vittime tra cui sono prima: spolvera in tutte queste ineluttabili ragioni un po' di notizie politiche ben rassicuranti, ben soporifere, ed avrai l'assoluzione plenaria col telegrafo. Ti facilito l'esecuzione della seconda parte di questo programma, informandoti confidenzialmente in nome di N. ch'egli vide l'Imp. Nap. dopo il suo ritorno ed ebbe di nuovo da lui stesso la conferma ch'era andato in Germania senza missione veruna. Ne riportò impressioni forti e favorevolissime. Dice che trovò quegli uomini di Stato unicamente intenti al riordinamento interno, disposti sul senso più pacifico, anche verso la Francia cui promettono il maggior spirito di conciliazione in ogni difficoltà che potesse insorgere in appresso, purché ne rispetti il Confine germanico e non pretenda ingerirsi nei loro affari di casa. Bismark stesso sarebbesi ripetuto molto spesso in tali termini, assicurando apertamente che non ha punto in animo di violentar le cose nell'Allemagna meridionale, che anzi ha ferma volontà di rallentarne il movimento unitario e di non cedergli se non a opasso a passo, allorquando minacciasse un pericolo e la situazione si facesse imperiosa. Noi discutiamo dietro le quinte, con continuo intervento di tanti presso il macrocefalo Auvergnat, una specie d'accordo colla Francia sul quale si ripristini la Convenzione di settembre, s'ottenga il richiamo delle truppe francesi, si stabilisca un modus vivendi colla Santa Sede, ed implicitamente si abbia una quasi guarentigia della Francia per l'integrità del Regno.
Capirai che quest'ultima clausola, della forma della quale fu molto perorato, costituirà una specie di impegno morale non soltanto pel donatore. La pentola cuoce già da molto tempo a lentissimo fuoco; ma credo che non debba far meravigliare tale lentezza attesocchè il Governo di Napoleone vorrebbe mantenere a Chassepot (i famosi fucili a retrocarica ndr) sul Pontificio fino ad elezioni compiute, e che il nostro s'accinge con moderato entusiasmo ad una nuova stipulazione sì poco radicale.
Carlsruhe, 7 aprile 1868
Carissimo Amico, Ti sono grato d'avere scritto a Parien e d'avermi mandata la sua lettera. Resisto alla tentazione di venire a Parigi subito, non volendo né starci pochi giorni soltanto, né chiedere un congedo. Verrò al principio di giugno per la Conferenza ristretta ed anche senza Conferenza.
La mia commissione ad Hetzel fu da lui già eseguita. Gli avevo chiesto qualche esemplare dell'Oeuvre Parlamentaire da dar qua al Granduca ad alla Principessa Guglielmo di Baden che mi manifestarono il desiderio d'aver quel volume. Se lo vedi, ringrazialo d'avermeli spediti.
Spero che Ressman avrà ricevuta la mia lettera di ieri l'altro, che ha dovuto incontrarsi per istrada coll'ultima sua della stessa data. Egli ti avrà ringraziato a mio nome delle notizie speditemi. Te ne chiedo altre di cui ti sarò sempre riconoscente. Vorrei dartene di qua ma voi fate bollir la pentola e noi non beviamo che dei brodi lunghi. Ma tuttavia in questo momento nella Germania del sud una reazione antiprussiana che merita d'essere osservata. La situazione è più complessa, più ricca d'elementi diversi che non la vedessero gli occhiali del buon Oldoini. Ma una guerra
semplificherebbe tutto e confonderebbe in un amplesso sassoni e svevi.
Ho udito con dolore la grave malattia di Forcade. Non vedo l'ora di venire a far teco per un altro mese almeno la vita dei tempi passati. Qui sono benissimo, mi trovo nel solo paese in cui le simpatie per l'Italia sono sincere e universali e la Corte è per noi aux petits soins ma Parigi! e la vita comune con te e le chiacchere interminabili di politica e di letteratura!
Dà un bacio per me al tuo Lello. Credimi sempre il tuo Artom.
PS: Riprenderò molto volentieri la mia cameretta, che tu metti con tanta bontà a mia disposizione. T'avvertirò certamente qualche giorno prima. Ti prego di rammentarmi al Principe Napoleone a M. de Parien ed ai Rothschild.
Asti, 11 gennaio 1869
Carissimo Costantino, ho fatto, prima del Natale, una brevissima gita a Firenze, chiamatovi da una lettera di Malvano (Giacomo Malvano, torinese, diplomatico ndr), il quale mi fece sentire che non dovevo trascurare questa visita di convenienza. Non ti scrissi di là, né subito dopo il mio ritorno quì, perché, malgrado ch'io abbia avuto molte conversazioni coi così detti personaggi politici, non ritrassi da essi nulla che tu non sappia quanto quelli e meglio di me. Raccomandai di nuovo e vivamente l'ottimo Ressman: ebbi come sempre molte buone parole. Cercai di scoprire quali cambiamenti si preparino dietro le scene nel personale diplomatico: ma o la destrezza o la fortuna mi vennero meno. A quanto pare M. fa la tourde oreille (il sordo ndr) al desiderio di B. di passare a Londra. L'ideale di Petrarca si contenderebbe ora di ispirare dei sonetti ai Champs Elysées poiché non potè riuscire a mettere ai piedi tuoi Temyson e Letton Bulmer; ma non pare probabile ch'ella riesca nemmeno in ciò. A me intanto fu raccomandato di non fare molte spese a Carlsruhe, perché è sempre possibile che la Camera, nella discussione dei bilanci sopprima la Legazione. E per vero colle difficoltà che incontra la tassa del macinato, coi permanenti che fanno fuoco su tutta la linea contro il Ministero, io non mi stupirei che il Governo dovesse fare qualche concessione apparente nel capitolo delle economie. Ma tu sai che non vi fu mai vittima più rassegnata di me a quel sacrifizio. Letta mi ha trovato un tappezziere che si incarica di ammobiliare di mese in mese le camere: ed io partirò il 17 corrente per Carlsruhe, colla intenzione di trasferirmi a Baden, appena sia venuta la primavera. Intanto ti prego di farmi incassare e mandare a piccola velocità a Carlsruhe la pendola, i quattro candelabri, e le appliques che ho comperate. Potrebbe altresì spedirmi quei possibili libri che ho a casa tua, e la cassetta in cui tenevo l'uniforme, la mia veste da camera ecc. Quanto ai mobili grossi cioè letto, armoire a glace etc., mi riservo di decidere quando sarò a Carlsruhe se dovrò pregarti di mandarmeli o di tenerli ancora a casa tua. Intanto fammi sapere a Carlsruhe, ove giungerò pel 20, quanto M. Asso avrà speso per conto mio e ti manderò tosto un cheque sopra Erlanger, presso cui ho qualche denaro. Suppongo che la Conferenza non ti terrà occupato lungamente. Scrivimi se puoi tu stesso notizie tue e di un ordine più vasto: e fammi scrivere da Ressman che mi saluterai caramente.
Addio mio caro, credi alla sincera amicizia del Tuo affezionatissimo Artom
PS. Passando per Stuttgrad chiederò a Greppi nuove di Lello e te le manderò. Fammi il favore di dire a Vczarvady che ho fatta la sua commissione a Thalaz. Pregalo di mandarmi a Carlsruhe la ricetta del ferro per madame Bamberies.
Asti, 11 dicembre 1868
Caro Amico, Giunto in Asti, in piena stagione di tartufi, non potei dispensarmi (non foss'altro per non morir Io d'indigestione) dal mandartene una piccola scatola che ti giungerà domani o posdomani per mezzo di Ballesio.
Ignoro se Ressman e la "bella Marchesa" amino il profumo alquanto brutale dei nostri tartufi; in ogni modo esso ti richiamerà alla memoria i colli del Monferrato e le classiche fondute delle gargotes di Torino.
Seppi da Ballesio che Festa è partito pel Pireo ove rimpiazza Capello nominato Console a Lione. Di là egli potrà vagheggiare a suo bell'agio (in ogni caso meglio che da Bombay) l'utopia di Brindisi.
Feci una lunga chiacchierata col bravo Michelangelo. Anch'egli è fra i frementi per la morte di Tognetti e di Monti e m'accorgo che quando si parla di Roma anche i migliori cervelli perdono d'equilibrio.
Egli mi disse che il Ministero è sicuro della maggioranza. Però Sella e Lanza continuano a fargli guerra e sono ormai rientrati nel novero dei Permanenti. Il capo dei quali é ora Ferraris, non più San Martino, stancatosi probabilmente di far una campagna di guerrillas mentre sognava le grandi campagne campali. Dietro a Ferraris, a Sella ed a Lanza, vengono in terza e quarta linea Rattazzi e Crispi.
La legge che accorda la naturalizzazione a tutti gli Italiani dell'Italia geografica sarà forse reietta, più probabilmente modificata dal Senato, in guisa da non sollevare richiami per parte dell'Austria e da renderla applicabile soltanto alla provincia romana.
Il Ministero, a quanto mi si disse, non ebbe il coraggio di opporsi apertamente innanzi alla Camera, temendo un voto contrario, ma spera nel Senato.
Ballesio mi disse che trattasi di riorganizzare il Ministero degli Esteri, non seppe dirmi su quali basi. Io scrissi a Malvano per chiedergli quando sarà discusso il bilancio e per sapere se v'è qualche cambiamento per la Legazione di Carlsruhe. Spero in tal modo di evitare di recarmi a Firenze.
Ho spedito di qui a grande velocità il pacco per la signora Laura e quello per la Marchesa Villamarina mandatomi dalla Principessa Clotilde.
Addio carissimo. Ti ringrazio nuovamente per la fraterna ospitalità accordatami. Salutami Ressman e credimi Tuo affezionatissimo Artom.
PS: Rimarrò in Asti sino al 1° dell'anno, tolto che Io debba recarmi a Firenze nel qual caso ti scriverò di là le notizie che mi verrà fatto di raccogliere.
Parigi, 15 dicembre 1868
ho ricevuto fin da ieri i tartufi che hai avuto la gentilezza di mandarmi. Giunsero in eccellente condizione ed hanno un profumo squisito. Questa sera li assaggeremo Ressman ed Io. Te ne ringrazio molto.
Aspetto le tue istruzioni per i tuoi mobili. Parmi però che faresti bene a ripassare per Parigi quando tornerai a Carlsruhe. Ressman ti saluta ed Io ti stringo caramente la mano. Tuo affezionatissimo Costantino.
Se vai a Firenze ti prego di scrivermi di là, ove ben inteso tu apprenda qualche cosa che a tuo giudizio possa interessarmi.
Firenze, 30 luglio 1869
Carissimo amico, il telegrafo ti avrà annunziato l'interpellanza di ieri alla Camera e la risposta del Presidente del Consiglio. Esse ti spiegano la ragione della mia chiamata a Firenze.
Le spiegazioni date dalla Francia sull'affare Dumons (non abbiamo informazioni al riguardo ndr) non sono qui giudicate interamente soddisfacenti. Al momento in cui scrivo fu risolto di mandare una nota a Parigi per domandare nuove ed esplicite dichiarazioni del Governo francese nel senso della stretta applicazione della Convenzione. Probabilmente questa nota partirà domani. Ben inteso tieni per te questa notizia finché non avrai ricevuto il dispaccio. Questo sciagurato affare Dumons ha preso ieri gravi proporzioni. Le assicurazioni da me date verbalmente non bastarono a calmare il malumore. La sinistra specialmente, con cui il Governo conviene oramai che consideri la cosa con una visione ben estrema. Io farò ufficio di moderatore finché potrò e quanto potrò. Ho visto Rattazzi con Campello e Melegari. Rattazzi fu meco cortese. Nessuno mi parlò finora d'un cambiamento di destinazione o d'un richiamo. Ma oramai tanto l'una quanto l'altra cosa sarebbero da me accettate con piacere. Sono stanco e disgustato.
Ti prego di salutare mio suocero, Sormani, Boyl, Ressman e Collobiano. Dì a mio suocero (Vegezzi Ruscalla ndr) che mi faccia poi sapere quando parte e quando e per qual via farà ritorno a Torino. Ti stringo caramente la mano. Tuo affezionatissimo Nigra
Firenze, 21 gennaio 1870
Carissimo Nigra, Sono a Firenze da alcuni giorni ed ho chiacchierato a lungo con Visconti. Da quanto egli mi disse, e da quanto mi disse Castelli a Torino, il Ministero può contare sopra una maggioranza alla Camera. Esso é poco amato in Toscana, in Lombardia ed anche in alcune altre parti d'Italia; ma non è mal veduto in Piemonte ed a Napoli.
La consorteria lo vede con diffidenza, ma Visconti può, colla sua presenza, offrire delle sufficienti guarentige alla destra. Probabilmente la nomina del Presidente cadrà sopra un personaggio neutro come il Piroli, di Parma, od il Biancheri. Lanza ch'era avverso al macinato, lo accetta ora e mise anche il suo nome con quello del Sella ad una circolare ai Prefetti. Giordano mi disse che v'ha una specie di contatori che può camminare e dar risultati pratici cosicché in quest'anno il macinato potrà forse dare 40 di milioni. Credesi che in pochi anni il macinato potrà stabilirsi compiutamente e definitivamente senza troppo gravame delle popolazioni. Occorre perciò una trasformazione dell'industria della macinazione che si farà per la necessità stessa delle cose. Intanto i grandi Mulini si sono già accordati col Sella; quelli di Collegno p.es. pagano 21/2 centesimi per ogni 100 giri del contatore. Si lavora in tutti i Ministeri per le economie e si spera di raggiungere la cifra di 32 milioni. Questa é pure ora la principale preoccupazione di Visconti e di Blanc. Dicono che Pianciani sia designato come relatore del bilancio degli esteri. Per fare la parte del fuoco, Blanc propone a Visconti di soprassedere all'invio di una Legazione in Cina, e di ridurre di due il numero dei Ministri di 2a classe, lasciando vacanti le Legazioni del Giappone (da cui Latour, malato, fu già richiamato) ed un’altra che sarà probabilmente quella del Brasile. Si aboliranno pure alcuni Consolati e così si spera di far 400 o 500 mila lire di economie. Entrambi mi dissero che per ora non volevano toccare né a Stuttgard né a Carlsruhe che Io ho posto a loro disposizione. La questione di Puliga è sempre riservata. Credo che si sarebbe lieti di vederlo partire per Ambourg, e di lasciare a Ressman l'assegno di Consigliere. Io ho già parlato in questo senso con Blanc e mi riservo di parlarne pure a Visconti.
Sella non ha ancora concretato le sue idee sulle proposte finanziarie e perciò fu deciso di prorogar la Camera sin dopo il Carnevalone di Milano.
Dicesi, ma non so nulla di positivo, che gli occorra denaro entro questo stesso semestre e che tratti perciò un prestito di 200 Milioni. Gli si attribuisce pure l'idea di rinunciare a proporre nuove imposte e di accrescere tutte le attuali con dei centesimi addizionali. Tuttavia sperano di ridurre il deficit dell'anno prossimo a solo 70 od 80 milioni, e che ciò possa accrescere la fiducia del nostro credito pubblico.
Visconti è assai preoccupato della questione romana; teme interpellanze sulla lettera di Boignes. Mi disse d'averti scritto in proposito e mi esortò ieri sera a passar per Parigi al mio ritorno per parlartene. Io ottenni una prolungazione di congedo fino al 15 febbraio. Non ho però intenzione di rimaner qui più a lungo. Forse andrò a fare una gita a Napoli in compagnia di Robbo. Se ciò non si combina ripasserò una quindicina di giorni in Asti e poi ripartirò non so ancora se pel Brennero o pel Cenisio.
Spero che sia arrivato il vino pel Principe Napoleone.
Addio, salutami Ressman, pregalo di scrivermi o scrivimi Tu stesso indirizzandomi le lettere o qui, al Ministero degli Esteri, od in Asti. Non ho per ora altre notizie da darvi. Credetemi in fretta con sincera amicizia Vostro Artom
Gagnola e Visconti mi pregano di salutarti. Barral è qui colla moglie, reclamò ma non ottenne un altro posto. Minghetti è a Palermo. Mando la lettera a Ressman perché la legga e te la dia.
Asti, 2 febbraio 1870
Carissimo Nigra, Visconti avendomi pregato di venire a Parigi a conferire con Te, Io mi proponevo di partire domani di qua per Genova, imbarcarmi per Nizza ed arrivare a Parigi probabilmente domenica col convoglio express di Marsiglia. Dico domenica e non sabato perché se il mare fosse cattivo dovrei venire per la via della Corniche. Inoltre Borromeo essendo a Nizza mi fermerò forse qualche ora con lui, e forse lo indurrò ad accompagnarmi sino a Marsiglia. Eccomi dunque di nuovo nella necessità di approfittare della tua gentile ospitalità. Ma fra te e me corrono ormai tali rapporti, che ogni timore di abusare della tua amicizia, sarebbe ormai fuor di proposito.
Fra pochi giorni dunque ripiglieremo le nostre lunghe chiacchiere. Salutami affettuosamente Costantino II e credimi come sempre II tuo devoto Artom
Carlsruhe, 6 marzo 1870
Carissimo amico, Direi una bugia troppo grossa affermando che non t'ho scritto finora per mancanza di tempo. A Carlsruhe v'é purtroppo tempo d'avanzo per annoiare se e gli altri. Bensì mi trattenne il pensiero di non aver nulla che potesse valer la pena di distrar la tua attenzione dal turbinio d'uomini, di idee e di fatti in cui vivi. Ed ora ho preso la penna in mano soltanto per dirti che il C.te Flemming mi ha finalmente fatto venire da Coblenz (come lo avevo pregato da un pezzo) del vino del Reno ch'egli afferma essere ottimo e che io te ne ho spedito ieri una piccola cassetta, s'intende a piccola velocità. Spero che ti giungerà sana e salva e non sarà confusa colle bombe Orsini e Plourens. Non vi sarà nemmeno un attentato alla tua sobrietà, perché Flemming fu si lento non solo ma cosi avaro nel suo invio, che potei mandartene solo una dozzina di bottiglie. Come vedi il Reno non inonderà Parigi e nemmeno il salotto da pranzo del N.9 dei Champs Elysées. Finalmente per scarico di coscienza ti dirò che non ho ancora gustato il vino che ti mando, cosicché, se non fosse buono ne incolperai il Flemming il quale ebbe la precauzione di toglier dalle bottiglie l'indirizzo del venditore, probabilmente perché è vietato, al Casino di Coblenza, di vendere il vino ai non soci.
Dacché Io sono qui non ebbi una sola riga da Firenze. Non so quindi quale impressione abbiano fatte le due lettere che ho impostate io stesso a Kehl. Ti sarei veramente grato se volessi farmi sapere qualche cosa intorno a ciò, perchè suppongo che Tu non sia stato tutto questo tempo senza ricever qualche lettera da Visconti Venosta. E' vero che le due tragedie di Maratona e di Buenos Ayres debbono averlo preoccupato non poco. E' poi la condizione delle cose cambiò tanto dopo la mia partenza da Parigi, che in verità mi pare un secolo d'esserne partito.
La dimissione di Daru, il plebiscito, il complotto..
...Che lanterna magica è quella in cui vivete ! Io invece non ebbi altra emozione che la traslocazione di Litta, Lugete o Veneres Cupidinesque (Piangete, o Veneri e Cupidi citazione dalle Nugae di Catullo ndr), egli ha lasciato Carlsruhe per Stuttgard. Auguro a lui che divida col suo Capo la sua forza virile. Ne ha per entrambi, e credo ne avanzerebbe ancora per altri.
La Dorotea è scomparsa. Dubito che l'abbia seguito a Stuttgard, ma questa potrebbe essere una calunnia.
Aspetto a giorni il Cantagalli che succederà a Litta. M'auguro che sia un buon camerata con cui si possa vivere in pace, come facevo del resto con Litta.
Addio, salutami Ressman affettuosamente e pregalo di scrivermi, e scrivimi anche Tu una riga se ne hai tempo. Dimmi se è vero che Gramont succeda a Daru, quali speranze o timori hai per Roma. Rispondi ai mille punti d'interrogazione con cui finisco questa lettera e di cui puoi indovinare il significato. Credi alla sincera amicizia del tuo Artom.
Hai veduto Circourt? Lo pregai di darti mie notizie e farti i miei saluti. Ti prego di presentare i miei omaggi al Principe Napoleone
Parigi, 24 maggio 1870
Carissimo amico, Ho tardato a rispondere alla cara tua lettera del 6 corrente perché desideravo, ringraziandoti del tuo regalo, darti nuove precise sul modo con cui sarebbe stato gustato dai convitati del Rond Point. Sappi ora è dunque che avant'ieri il tuo vino ebbe l'onore di toccare le più belle labbra di Parigi e d'essere apprezzato da palati non facili, come quelli del Principe H., dei Rotschild, di Ali Pascià e d'altri meno celebri. Fu trovato eccellente e Ressman che non è facile agli elogi ne fu entusiasmato. Abbiamo finalmente Gramont agli Esteri. Sarà bene per noi in ogni questione, credo, tranne quella del ritiro delle truppe, sulla quale non ho ancora nessuna fondata speranza di riuscita. Ho dichiarato ad Ollivier, che giunte le vacanze parlamentari noi sospenderemo il pagamento del debito pontificio. Fo conto di dir lo stesso a Gramont fin d'ora.
Ma ti ripeto finora non ho e non vedo nulla su cui si possa fondare una speranza seria di far richiamar le truppe nell'anno. E d'altra parte non vorrei che si ripresentasse una di quelle occasioni che tanto ci diede a pensare altra volta. Ti stringo caramente la mano. Tuo aff.mo Nigra
Firenze, 29 settembre 1870
Carissimo Nigra, Tu avrai chiesto probabilmente a te stesso ed a Ressman se Artom è morto perché non ha più dato segno di vita. Avrai saputo da Visconti la mia missione a Vienna. Dopo andai per due giorni a Carlsruhe, poi venni qui chiamato da Visconti come suo amico ad aiutarlo, per quanto so e posso, col consiglio e coll'opera. Gli avvenimenti spaventosi accaduti scusano almeno agli occhi amici il mio silenzio. Ma non credere che spesso io non abbia pensato a te ed alle terribili emozioni che hai dovuto soffrire! L'accordo che esiste in generale fra noi sulle questioni più importanti è tale che rendeva quasi superfluo uno scambio di frasi. Ed ora non avrei manco il coraggio di scriverti se si trattasse solo di fare delle postume considerazioni sulla condotta politica che avremmo potuto o dovuto seguire. Pepoli (Gioachino Napoleone Ministro dell'Agricoltura, Industria e Commercio ndr) non ha tempo di scriverti egli stesso. I Consigli dei Ministri e le udienze lo occupano il giorno intiero, ed egli mi prega di supplirlo in questa corrispondenza confidenziale specialmente con Minghetti e con Te. Prima di tutto due parole sui documenti che ti si spediscono. Mentre cercavamo il modo di ottenere dal Governo francese un documento scritto che rendesse più corretta la nostra posizione rispetto alla Convenzione di Settembre il bravo Senard (Antoine Senard primo Presidente della Assemblea costituente della 2a Repubblica francese ndr), commosso fino alle lacrime dall'accoglienza fattagli dal Re, gli scrisse in occasione dell'ingresso delle nostre truppe a Roma, la lettera qui unita. Cogliemmo l'occasione, nella risposta, per richiamare e constatare il tuo colloquio con J. Favre (Jules Favre allora Ministro degli Esteri francese ndr).
Così questi due documenti verranno a confermare dei tuoi due rapporti dell'8 e del 12 settembre (N. 1228 e 1238) e potranno in ogni caso dimostrare che non fu senza aver ottenuto l'assenso del Governo francese che noi abbiamo proceduto così arditamente nella soluzione della questione romana. Sarà bene che tu ci faccia sapere se credi che ciò basti legalmente o se si hanno a fare altri passi. Del resto vedrai dala copia della Nota a Minghetti quali sono le intenzioni di Visconti. Egli vorrebbe indurre le Potenze, e fra esse naturalmente la Francia, a prender atto delle guarentigie che offriamo alla santa sede per la continuazione dell'esercizio libero della sua autorità spirituale, persuaderle a negoziare esse a favore del Papa e nell'interesse delle popolazioni cristiane, eludere così il non possumus[40] del Papa, ed ottenere una soluzione definitiva e legale. Non so se riuscirà: abbiamo contro noi le impazienze e le improntitudini della sinistra e dei piemontesi, favorite indirettamente da alcuni colleghi del Visconti. Essi spingono al trasporto immediato della capitale per creare un fatto compiuto ed irrevocabile, contro il quale non valgano le proteste diplomatiche. Abbiamo pure a lottare coll'apatia delle potenze che preferivano forse lasciarsci soli a lottare coll'ostinazione del partito gesuitico, per non prendere alcuna parte di responsabilità in questioni così gravi. Ma per ora due fatti stanno per noi. Nessun Governo protestò in alcun modo contro la nostra condotta. Il Papa è rimasto a Roma, ed Antonelli (Giacomo Antonelli cardinale e Segretario dello Stato Vaticano ndr) riconosce che la condotta dei soldati nostri è ottima. L'ordine pubblico vi è perfetto: l'invio di Lamarmora finirà di rassicurare completamente e l'Europa ed il Papa. Domenica si farà il plebiscito e sarà accettato. Al Papa rimarrà la città leonina[41] colla altra guarentigia già proposta nel progetto Cavour del 1861.
Ora veniamo ad altro. Senard insiste dacché è qua perché l'Italia faccia qualche cosa a favore della Francia. Ai suoi occhi una nostra circolare avrebbe un'efficacia irresistibile per far cessare la guerra in essere (tra Prussia e Francia ndr). Il Re, Visconti, io stesso brameremmo che ciò fosse ma abbiamo la convinzione opposta. Le informazioni di Vienna, di Londra, di Pietroburgo non lasciano alcun dubbio su ciò. Se la lettera dello Czar non bastò ad arrestare il Re di Prussia a che gioverebbe una nostra ... Manco male se fosse solo inefficace, ma c'è il rischio di cader nel ridicolo. Una situazione qual'è l'attuale non chiede delle frasi, per quanto esse fossero scelte, sonanti, eloquenti come i discorsi dell'ottimo Senard. I Gabinetti furono sempre e sono più che mai crudelmente positivi. Ti ripeto: non è mancanza di buona volontà. Le crudeli sciagure francesi hanno commosso in Italia ogni partito e la memoria di Solferino e Magenta s'è fatta più viva dopo Sedan. Se qualche cosa di utile si potesse tentare, senza inimicarsi la Prussia, lo si farebbe volentieri. La Germania stessa sfiderebbe l'audacia in forza della nobiltà del sentimento che la ispirerebbe. Ma è d'uopo evitare che paia fatto per assumere noi una parte che le altre grandi potenze rifiutano d'assumere, in fine di darci dell'importanza, inoltre di cader nel ridicolo. Se tu potessi suggerirci qualche mezzo pratico, telegrafa in cifra. pare a me, che, cadute Toul e Strasburgo la Francia non possa più mantenere il principio dell'integrità territoriale. Ma forse il Governo attuale la cui fierezza ripugna ad accettare il principio d'una cessione di territorio, soprattutto nell'estensione chiesta dalla Prussia, potrebbe cedere innanzi alla proposta d'una potenza amica. Se si dicesse p.es. cedete l'Alsazia e parte della Lorena sino ai Vosgi? Questi lascerebbe alla Francia una frontiera difendibile invece la perdita di Metz le toglierebbe ogni mezzo di difesa ulteriore.
Ma Io non consiglierei mai di far simile proposta se non sappiamo che la Francia l'accetterebbe; in tal caso altre potenze si unirebbero forse a noi per pregar la Prussia di cedere ed accettare anch'essa.
Tornelli mi avverte che la posta parte. Non ho tempo quindi di svolger meglio il mio pensiero. Tu non ne hai d'uopo d'altronde. Addio in fretta. I miei saluti a Ressman. Tuo Artom
Tours, 20 novembre 1870
Visconti mi scrisse una lettera di cui gli sono veramente riconoscente. Egli m'annunzia la vacanza del posto di Vienna e prevedendo il caso in cui Io volessi lasciar Parigi o convenisse ch'Io lo lasciassi, si offre disposto a prendere in considerazione i miei desideri per quello o per altri posti alla cui vacanza può dar luogo la nomina di Vienna. Gli risposi ringraziandolo vivamente e dicendogli che per ora e finché la Francia non ha un Governo definitivo desidero rimaner qui, se non ci vede inconvenienti. Nelle circostanze gravi in cui si trova la Francia e in momenti che rendono il posto di Parigi meno gradevole e non meno difficile, mi parrebbe quasi una diserzione, se lo abbandonassi volontariamente per un altro posto. Se il futuro Governo definitivo della Francia sarà tale da rendere la mia presenza qui meno utile o meno conveniente (il che è fra le eventualità probabili), allora domanderò che si mandi un altro al mio posto, come l'avrei certamente domandato se l'Impero fosse durato e noi avessimo dovuto andare a Roma contro di esso.
Coi repubblicani che sono ora al potere, e massimamente con Favre e Cremieux ho buone relazioni e migliori che ognuno dei miei colleghi. Né mi trattiene il pensiero, che al momento in cui Io dovessi lasciar Parigi non vi sarebbe probabilmente, come ora, un posto importante che mi si potesse offrire.
In tale caso non mi rincrescerebbe di starmene per qualche tempo in congedo o in disponibilità, e a dire il vero un po' di riposo dopo 10 anni di missione mai interrotta come quella di Parigi non mi farebbe male. Tutte queste cose scrissi a Visconti, e le ripeto a Te perché so tutta l'amicizia e l'interesse che mi porti.
Ma ciò che ho dimenticato di dire a Visconti e che Ti prego di dirgli a mio nome è che ora e sempre, con lui non farò mai questione di posti, e che quando Egli creda che vi sia un interesse vero di servizio dello Stato o un'esigenza parlamentare in favore del grande partito a cui Egli, Tu ed Io abbiamo sempre appartenuto, non solo può liberamente disporre, com'è giusto, del posto che mi fu affidato, ma mi troverà pronto ad accettarne un altro quale che esso sia, e benché non potesse convenirmi personalmente, il che probabilmente non farei con un altro Ministro.
Ti ringrazio dell'ultima tua lettera diretta a Ressman. Mi congratulo con Visconti, non senza invidia, d'averti vicino a sè. Voglimi bene, ed accetta coi saluti di Ressman ecc. Nigra
P.S.- Da molto tempo non ho notizie di Cerruti; né della casa a Parigi, ove lasciai il maestro di casa, Paolo, il concierge, tutta la scuderia, uomini e cavalli, cuoco, donna di servizio. Ho lasciato però ordine a Rothschild di fornire, a nome del Governo, a Cerruti ogni somma di cui potesse abbisognare per sé o pei nostri concittadini. Nigra
Bordeaux, 6 gennaio 1871
Mando a Visconti ed a te i miei più vivi auguri per l'anno che comincia.
Possa esso recarvi ogni miglior successo. Intanto quello che finisce e che fu così fatale alla Francia può essere considerato come uno dei migliori per l'Italia.
La questione romana che ci fu cagione di tante angosce e di tanti pericoli è risolta nella sua parte principale ed è per me una grande soddisfazione che questo successo sia stato ottenuto dal nostro Visconti. Qui la sanguinosa tragedia sembra avvicinarsi al suo fine. Tuttavia è ormai certo che, caduta Parigi, una parte almeno del Governo, con Gambetta in testa, tenterà di prolungare la resistenza nel mezzodì della Francia. Ma è chiaro che la soluzione è Parigi. Nell'ipotesi di una capitolazione, la situazione dei rappresentanti delle grandi Potenze diventerà assai curiosa e senza esempio nella storia della diplomazia. Se un Governo si formerà a Parigi sembra che l'intenzione dei miei colleghi sia di ritornare al loro posto nella Capitale. Ma è inutile il ragionare su ipotesi di cui è impossibile il precisare ora le condizioni. Io sono afflittissimo dello spettacolo che ho sotto gli occhi, e ciò che aumenta ancora la mia afflizione è di trovarmi nell'impossibilità di contribuire efficacemente a qualche cosa di veramente utile nel senso della pacificazione. Io credo che la resistenza di Parigi e quella comunque inefficace della provincia hanno avuto un risultato morale utile per la Francia.
Non si vive soltanto di pane e di denaro si vive anche di sentimento e di considerazione.
La Francia può far la pace ora in condizioni morali migliori che non subito dopo Sedan, quantunque le condizioni materiali imposte dal vincitore al vinto possano essere molto più gravi ora dopo gli enormi sacrifici fatti.
Ora però, salvato l'onore del paese, e soprattutto quello di Parigi, la pace s'impone ad ogni spirito sano. Sembra difatti: che a Parigi nel seno stesso del Governo il partito della pace pigli piede.
Mandami, ti prego, di quando in quando notizie di costì. Quelle di Francia non hanno né possono avere che un soggetto solo, le operazioni militari, e di queste non si hanno a Bordeaux che quelle date dai bollettini ufficiali. Le notizie di guerra giungono prima a Firenze che qui. Ogni altra questione è qui relegata al secondo posto.
Il Ministero degli Esteri si riassume tutto intero in Chaudordy che non ha che le qualità di delegato e non è membro del Governo, e quindi manca dell'autorità che s'appoggia sulla responsabilità. Ad ogni modo, per quanto ci riguarda, se non possiamo contare sulle simpatie d'alcun partito in Francia, posso assicurarvi che non troveremo, specialmente per la questione romana, nessun'opposizione effettiva né ora né per qualche tempo. Approfittate di questo stato di cose e soprattutto evitate di provocare spiegazioni e riserve.
I lettori di libri verdi o gialli potranno provare qualche désappointement (delusione ndr) non trovandovi lunghi dispacci. Ma questo inconveniente sarà largamente compensato dal fatto della piena ed intera libertà d'azione conservata assolutamente al Governo del Re.
Ti mando qui unita una ricevuta di fr. 200 da me imprestati al Generale Gentilini perché potesse far ritorno da Bordeaux a Firenze. Il Generale mi promise di restituirli in tue mani appena giunto a Firenze. Ti prego di ritirare questa somma contro rimessa delle quietanze e di farla tenere al signor Vanetti mio procuratore. Nigra
P. S. - Ressman ti manda suoi migliori saluti.
Firenze, 22 febbraio 1871 (in francese)
Per dare immediatamente le disposizioni necessarie per prevenire disordini alla frontiera di Nizza in seguito al ritorno dei volontari garibaldini, il Ministro dell'Interno desidera sapere al più presto il numero dei volontari diretti in Italia. Cercate di procurarvi informazioni a questo riguardo. Artom
Firenze, 24 febbraio 1871
Carissimo Costantino, da lungo tempo ti volevo scrivere ma mi mancarono sempre l'occasione sicura ed il tempo. Ora si presenterebbe il mezzo di concertare un po' con te senza il timore che la lettera cada in altre mani. Visconti mi dice infatti che egli vuole spedirti un corriere domani o domani l'altro e lasciarlo a tua disposizione perché tu possa scrivere a lui ed a me con calma e piena libertà. ma anche ora io debbo lasciare a lui di spiegarti completamente il suo pensiero e sulle questioni di politica generale e su altre questioni che ti toccano più da vicino. Parto fra poco per Asti per fare una visita a mia madre che non ho veduta da gran tempo. Starò in Asti due giorni soli: piglio questo momento di lucido intervallo, in cui non ci sono le Camere, e Visconti può lasciarsi annoiare in vece mia dal Corpo Diplomatico. Ti scrivo dunque in gran fretta ed assai più per rammentarmi alla tua amicizia, e dirti che non sono mutato da quel ch'ero prima, che per altro scopo. Tu hai in Visconti un amico che vale infinitamente più di me: ma se, nella nuova condizione fatta a tutti noi dallo svolgersi degli avvenimenti, posso giovare in qualche modo a te ed a Ressman, disponi di me nel modo che più ti piace.
Nell'ultima tua lettera tu mi dicevi che per ora e per qualche tempo almeno noi non avremmo imbarazzi dalla Francia per la questione romana. Il nuovo Governo creato dalle elezioni non ha egli modificato il tuo giudizio su ciò? E se v'ha pericolo che si rimetta in campo la Convenzione di settembre, che il partito clericale abbia il sopravvento, quali sono i mezzi che tu consigli per prevenire questi pericoli? naturalmente è questo il più grave dei nostri pensieri. ma non mancano altre preoccupazioni. la neutralità ci lascia, com'era a prevedersi, in una specie di forzato isolamento. Siamo in buoni rapporti con tutti, ma da nessuno potremmo sperare appoggio efficace e sicuro. Non perciò io rammarico d'aver desiderato che l'Italia non prendesse parte alla guerra (tra Francia e Prussia ndr). La Francia rimarrà forte come una bella statua mutilata d'un braccio; all'Italia l'urto degli avvenimenti politici e militari dell'anno scorso avrebbe costato l'unità e la vita. Abbiamo con una non colpevole inerzia salvata la nostra esistenza: ma conviene pensare a rinvigorire con buoni ordinamenti militari e savie alleanze il filo di vita che ci è rimasto. La soluzione della questione romana ha scemato assai le interne difficoltà. La Camera è buona, sarebbe docilissima ad un Ministero energico ed autorevole. Il paese non è in cattive condizioni economiche. anche le prossime tasse cominceranno a fruttare, e forse basterà la buona amministrazione ad allontanare il pericolo di disastri finanziari. Se la pace dura alquanto, se potremo armarci, la nostra alleanza può valer qualche cosa, può esser non inutile la nostra influenza. ma la questione delle alleanze è decisa per noi dalla questione romana. Chi non ci vuole a Roma è oramai il peggior nemico della nostra unità. A noi è d'uopo saper subito quali sono gli amici ed i nemici nostri. Visconti ti dirà queste ed altre cose molto meglio di me. Io mi limito a darti una stretta di mano da trasmettere anche a Costantino II° (Ressman ndr). Tuo Artom
Bordeaux, 10 marzo 1871
Carissimo Amico, Scrivo oggi a Visconti sulle cose mie. La sola alternativa che mi convenga è la disponibilità o il posto di Madrid. Vorrei avere qualche informazione sulla situazione finanziaria di quel posto. Mi faresti un favore procurandomele. Ti confesso che preferirei lasciare addirittura la carriera. Ma in tal caso la mia posizione finanziaria rimarrà in uno stato vicino alla più grande strettezza. Il poco che mi ha lasciato mio padre basta all'educazione di mio figlio, ma non basta per farmi vivere. Converrà dunque ch'io pensi a far altro. I primi anni saranno duri a passare. Ma so contentarmi di poco. Nel caso in cui mi decida alla disponibilità e quindi all'abbandono della carriera, voi potreste aiutarmi a rendere meno dura la mia posizione per qualche anno nel modo che passo a descriverti. Sai che i mobili della Legazione mi appartengono. E' tutto ciò che mi resta della mia carriera. Se li vendo ora ne caverò poco o nulla. Il Ministero potrebbe affittarli per la Legazione per quattro o cinque anni. Siccome il palazzo non costa che 20,000 franchi all'anno, v'é un margine nel bilancio fino a 30,000, mi sembra che la cosa è possibile, e fino a un certo punto anche conveniente, perché se levassi i mobili, anche in cancelleria non vi rimarrebbe nulla. Ti confesso che questa combinazione mi renderebbe un vero servizio perché m'aiuterebbe a tirarmi d'impaccio nei primi quattro o 5 anni che saranno i più seri a passare. Ti raccomando molto questa combinazione e la raccomando anche all'amicizia di Visconti.
Scrivimi presto su ciò, ti prego, perché Visconti deve aver bisogno di essere fissato subito pel movimento diplomatico che si prepara.
Ti stringo caramente la mano. Tuo affezionatissimo C. Nigra
Carlsruhe, 17 marzo 1868
Carissimo Amico, Ho scritto quindici o venti giorni sono al bravo Ressman per pregare Te e lui di farmi sapere qui qualche cosa intorno al viaggio del Principe Napoleone.
Ma avete avuto l'incidente Kervegnen, il trasporto delle ceneri di Manin ecc. Forse anche Ressman è andato a Venezia. Io mi rivolgo quindi direttamente a Te per pregarti d'un favore, cioè di far verificare di nuovo al Ministero degli Esteri per mezzo di Boyl o di Colobiano o di Ressman se fu deciso qualche cosa circa la riunione della Conferenza Monetaria. Io sono qui sull'Albergo e non posso pigliare appartamento che a Baden, cioè non prima del mese di Maggio.
Amerei passare quest'intervallo a Parigi, con te per chiacchierare lungamente di tutte le traversie passate. Se poi non potessi recarmi costì perché la Conferenza non si riunisse prima del Maggio vorrei stare un po’ di tempo ad Heideleberg, percorrere a mio agio la Germania meridionale e studiarla.
Infine trovare un modo qualunque di allontanarla! Eh: Carlsruhe.
Abbi dunque la bontà di farmi sapere come debbo regolarmi. Se fosse vivo M. Herbat avrei scritto a lui, ma col Meurand o col Iagerschmid non ho intimità.
Io fui accolto con molta bontà e gentilezza qui dalla Corte e dal mondo politico badese.
Credo che mi ci troverò benino. "Dimmi se posso esserti utile qui od a Heidelberg ove farò certo una corsa presto. Oldoini ti parlerà troppo di politica, perché Io osi neppure farne cenno.
Il mio indirizzo è Carlsruhe, Hotel d'Angleterre.
Una stretta di mano a Ressman ed un bacio a Lello (Lionello figlio del Nigra ndr).
Tuo affezionatissimo Artom
Versaglia, 2 aprile 1871
Carissimo Amico, Scriverò a Visconti ed a Te col mezzo di Anielli che spedirò per un paio di giorni a Firenze. Ho ricevuto la vostra lettera e ve ne ringrazio entrambi. Risponderò colla stessa occasione. Ti ringrazio in modo speciale d'aver pensato a farci dare un indennità per questi penosissimi sei mesi di pellegrinazioni. Soltanto ti prego di mettere tu stesso le cifre secondo che crederai meglio e secondo che permetterà il bilancio. Ti raccomando specialmente Ressman di cui conosci le condizioni. Se vi è possibile d'assegnargli per parte sua duemila franchi, ve ne sarò riconoscente. Per gli altri due, che non si trovano in condizioni identiche, basterà qualunque somma che crederete. Io ho provvisto ad essi durante i sei mesi per l'abitazione, il vitto e il trasporto.
Ieri Thiers è venuto a vedermi. Si mostrò molto calmo e convinto che fra breve si renderà padrone del moto di Parigi. Nella questione romana, di cui anche mi parlò, Egli prende la medesima posizione che prese per la questione della forma di Governo in Francia. Non è repubblicano, ma avendo trovato la Repubblica stabilitasi di fatto, la rispetterà. Non é per l'abolizione del potere temporale in principio, ma avendo trovato questo potere abolito di fatto, non farà nulla per rialzarlo.
Ma di ciò scriverò più a lungo col Corriere. Thiers desidera al pari di noi, più di noi, che il Papa rimanga a Roma e ci raccomanda vivamente, insistentemente, di essere arrendevoli per quanto è possibile sulla questione dei Musei e delle Istituzioni religiose. Egli mi ha detto che finora il Papa non gli fece pervenire nessuna domanda, anzi nessuna entratura, per ottenere eventualmente l'ospitalità della Francia. Se ce lo domanda, qui disse Egli, non potremo in nessuna guisa rifiutare, ma sarebbe un grave imbarazzo per noi, per voi e pel Papa stesso. Costantino Nigra
PS: Il povero Villemot e Siesta morirono a Parigi nei primi tempi dell'assedio. Szarvady era a Parigi pochi giorni prima e credo che ora ne sia partito. Liebreich è a Londra ove tenta farsi una clientela, prevedendo che non potrà per lungo tempo tornare a Parigi. Lemoinne continua a Parigi l'ottima campagna che durante l'assedio aveva così ben cominciato e condotto nei Debats. Depret è in Russia. Maurizio Bixio è a Parigi. Victor Lefranc è qui a Versaglia, membro importante dell'Assemblea. Richard è gravemente ammalato di spina dorsale. Non ho notizia di Regnier, Dumas, Sardou, Meissonier, Doucet.
Già prima dell'assedio era morta la povera contessa di Lourmel, e dopo morì il Conte di Rayneval che tu hai conosciuto come Ciambellano del Principe Napoleone.
telegramma cifrato e tradotto riservato al Ministro degli Esteri Visconti Venosta
da Bordeaux senza data, in francese
L'Austria ci invita confidenzialmente ad una intesa con Essa e con l'Inghilterra sull'argomento dell'attitudine a tenersi, da parte del corpo Diplomatico a Bordeaux, nel caso in cui la Delegazione (francese ndr) continuasse a persistere nell'intenzione di continuare la guerra (tra Francia e Prussia ndr).
Il Sig. De Beust ci chiede se è interesse della Francia e dell'Europa di rafforzare il Partito della Resistenza con la presenza del Corpo Diplomatico presso la delegazione.
Ho risposto che l'Assemblea Costituente, dovendo riunirsi continuamente a Bordeaux, non ritiene saggio spostare le Legazioni per farle rientrare a Parigi, ma ho promesso al contempo che Voi manterrete rapporti frequenti e intimi con i vostri colleghi d'Austria e d'Inghilterra al fine di poterci consigliare, nel caso attuale, l'atteggiamento da adottare.
Vogliate darmi il vostro avviso sull'argomento. Nigra
Versaglia, 5 aprile 1871 (lettera al Ministro Esteri Visconti Venosta tramite Artom)
Signor Ministro, Rispondendo al dispaccio riservato (Direzione Generale Consolati) che l'Eccellenza Vostra mi fece l'onore di dirigermi in data 27 marzo scorso, mi pregio trasmetterle intorno al sedicente Marchese de la Farà le informazioni seguenti che attinsi a fonte degna di fede. L'individuo che s'intitola Marchese della Para, si chiama Aviet. Suo padre era d'origine francese. La madre è del Cile. Non è spagnolo. Non ha titolo né decorazioni spagnole. Non è grande di Spagna. Non è Marchese. Non è addetto a nessuna Legazione di Spagna. L'individuo che due anni or sono egli uccise in duello in Spagna non è il figlio, ma il nipote di D. Salustiano De Olezaga. Ignoro che la persona che fa oggetto di questo dispaccio siasi spacciato a Parigi per fratello della Regina Isabella, ma mi si afferma che ha reputazione di provocatore e rissoso.
Gradisca, La prego, l'espressione della mia profonda osservanza. Nigra
Firenze, 11 maggio 1871
....... Il Ministro andò ieri a Roma per cercare un Palazzo pel Ministero. Egli mi incaricò di scriverti anche a nome suo. La Camera votò a gran maggioranza la legge delle guarentigie quale fu emendata dal Senato d'accordo col Governo. Essa sarà tosto promulgata. Qual'é il metodo migliore per comunicarla ai Governi esteri? Dobbiamo limitarci ad una sobria circolare che non richieda risposte? Dobbiamo andare al di là? Il mio avviso sarebbe di non fare una comunicazione identica e pubblica a tutte le Potenze. Vorrei cominciare da quei Gabinetti che ci sonò più favorevoli, cercar di ottenere un'adesione più o meno esplicita, poi, procedendo dal noto all'ignoto, comunicarla alle altre, giovandosi delle risposte ottenute e facendosene un appoggio per chiedere le adesioni che più importano. Questo metodo sembra il migliore anche a Visconti ed a Minghetti. Anzi questi, benché rifiuti assolutamente di riprendere la Legazione di Vienna, non è alieno dal recarsi colà privatamente per pigliarvi la sua moglie, ed egli spera che i suoi buoni rapporti personali col B. lo metteranno in grado di ottenere da lui una risposta generica, ma non sfavorevole. Eguale risultato possiamo forse sperare da Londra, da Pietroburgo, da Madrid e da Lisbona. Se ciò si fosse ottenuto, sarebbe forse meno difficile che Thìers e Favre, invece di chiudersi in un silenzio enigmatico, imitassero l'esempio altrui. Ultima verrebbe la Prussia, non sfavorevole in fondo, benché non abbia voluto ancora pronunciarsi categoricamente.
Ma c'è una difficoltà. Tutto ciò richiede un tempo più o meno lungo. Ora è a temersi che v'abbia costì un mutamento di persone che non giovi al nostro intento. Ripresa Parigi, firmata la pace, Thiers e Favre saranno essi ancora al potere? Gli elementi monarchici, così preponderanti nell'assemblea, non verranno a galla, e non prenderanno verso di noi un atteggiamento ostile? Questa considerazione ci farebbe propendere a non ritardare la comunicazione. E' su ciò che Io chiedo il tuo consiglio. Rispondi per telegrafo appena tu abbia ricevuto questa lettera. Dimmi apertamente il tuo avviso. Sai quanto Io sento di averne d'uopo e quanto l'apprezzi anche Visconti. Io vorrei anzi, se ciò fosse possibile, che Tu stesso ti incaricassi di redigere la comunicazione da farsi al Governo francese. E' cosa sommamente delicata. Tu solo sai per quale verso si hanno a pigliare codesti signori. Se tu accetti questo partito, sarà certo il migliore. Se no, dimmi apertamente, per telegrafo o per lettera, come la pensi.
Forse è voler troppo il chiedere all'Europa una adesione alla legge. Importano assai meno le dichiarazioni teoriche in essa contenute che la applicazione di esse. Ma, per la pace di Europa, è d'uopo non promettere nulla che giovi a non lasciare più oltre aperta la questione. Tanto più che le altre Potenze non possono rinchiudersi in un'assoluta astensione. Il trasferimento della Capitale fa sì che le Legazioni debbano seguirci a Roma; il loro rimanere qui sarebbe un atto ostile e gravissimo. Finora tutti si prevalgono della stagione estiva per chiedere congedi, ecc. Il turco però ha fissato un appartamento a Roma e verrà; il russo e l'inglese pure. Non dubito della Spagna, della Grecia, del Portogallo. Il congedo dato al Trautmanusdorf pare indichi migliori disposizioni per parte dell'Austria. Kubeck, recatosi a Vienna, deve giungere oggi o domani. Da lui sapremo qualche cosa di più. Tutti intanto ci chiedono l'annuncio ufficiale del trasferimento nostro per avere una ragione materiale di chiedere istruzioni ai loro Governi. Il malvolere della Baviera non poté concretarsi in alcun modo positivo. La proposta della Conferenza si dileguò. Beust le sostituì il progetto di una riunione dei diplomatici accreditati presso il Papa per studiare la questione degli Istituti cattolici aventi rapporti coi Governi esteri. Ma anche a questa noi obiettammo l'incompetenza per l'ignoranza assoluta del diritto positivo italiano, che, del resto, non si vuole applicare tal quale, ma con importanti modificazioni, che un'apposita commissione indicherà.
Carlsruhe, 28 maggio 1868
Carissimo amico, Ti ringrazio della notizia che mi dai dell'arrivo del Principe. Il Conte Mosbourg ha ricevuto da Ferri-Pisani lo stesso avviso. Egli crede che il Principe non si fermerà che un solo giorno tra Baden e Carlsruhe. Io non mancherò di presentargli i miei omaggi e sarei ben felice se potessi parlare a lungo con lui. Da molto, molto tempo sono sevré di vere ed interessanti conversazioni politiche. Ressman t'avrà detto che sono stato alcuni giorni a Wiesbaden; ho percorso rapidamente le rive del Reno sino a Colonia e sono ritornato qua in fretta per presentare la lettera di notificazione del matrimonio del Principe Umberto ed anche per trovarmi qui per l'arrivo del Principe Napoleone. Una lettera da Firenze m'induce a credere che Minghetti andrà fra breve a Londra come Ministro. Non dubito che Tu possa ormai rimanere definitivamente a Parigi ed in questo caso - je fais peu de cas de la carrière - (non mi interessa della carriera ndr). Sono impaziente di venire a Parigi e di passar di nuovo qualche buona serata con Te. Se mi vien meno il pretesto della Conferenza Monetaria, di cui non ho più notizia, scriverò al Ministero che devo pigliar congedo dall'Imperatore e dall'Imperatrice, e verrò ad ogni costo anche per pochi giorni. Sono però minacciato, a quanto dicono i giornali, dell'arrivo qui od a Baden della Regina di Portogallo e forse degli sposi. Ne sai tu nulla?
Non ho alcuna notizia politica da darti di qui. Se puoi fammi scrivere due righe da Ressman che saluterai a mio nome. Spero siano finite le faccende di Tunisi, che saranno state come sempre molto sgradevoli. Da un bacio per me al tuo Lello e credimi II tuo affezionato Artom
Parigi, 25 giugno 1871
Caro Artom, Ho scritto a Visconti ieri ed ho consegnato la lettera a Robbo. Ma non avendo egli potuto partire ieri sera, e partendo soltanto oggi, approfitto dell'occasione per scriverti una riga. Prima di tutto ti ringrazio d'aver accolto la proposta d'indennità per Ressman, Franchetti e Gualtieri e ti ringrazio egualmente di quella che hai fatto fissare per me. Non voglio nessuna indennità per questi fatti alla Legazione. Per guasti di mura farò provvedere dalla città; e per gli altri mi basta l'indennità che hai fissata e colla quale posso anche provvedere alle spese di Versaglia e di Corriere tra Versaglia e Parigi. Ti prego anche di ringraziare per me il Ministro a cui scrivo d'ufficio e ringrazio Te della decorazione.
Non abbiate troppa inquietudine di quanto potrà dire qua Choiseul. Thiers è già stato da me avvertito e si terrà in guardia. Siate sicuri che la Francia è nell'impossibilità assoluta di tentar nulla contro di noi. Ma Thiers, che ha bisogno di tutti non vuol osteggiare apertamente i legittimisti dell'Assemblea e tiene perciò una specie di neutralità tra il Papa e noi. Il discorso di Beust favorevole all'Italia e la dichiarazione del Ministro Spagnolo alla Cortes, relativamente alla legge delle garanzie, sono fatti importanti che esercitano sull'animo di questi signori una certa impressione. Fate tutto il possibile perché la condotta dell'Austria e della Spagna continui in questo senso. Io penso che abbiamo dinnanzi a noi due o forse tre anni interi di sicurezza assoluta. In questo frattempo noi possiamo consolidarci a Roma e prendere le nostre precauzioni. A me pare evidente che la Prussia, anche dopo passati questi due o tre anni non si accomoderà facilmente a veder la Francia pigliar un'attitudine prepotente verso nessuno dei suoi vicini. Tuo affezionatissimo C. Nigra
Aspetterò il congedo in Settembre. Ma ti assicuro che non sono bene in salute e mi sento oltremodo stanco.
Parigi, 25 agosto 1871
Carissimo Amico, Coll'occasione del corriere Longo che spedisco oggi, vi scrivo d'ufficio sulla questione dell'assegno della Principessa Maria Clotilde, affinché possiate prendere gli ordini dal Re e mandarmi poi le vostre istruzioni. Vi scrivo pure d'ufficio sulle cose dettemi da Mr. de Remusat nella conversazione ch'ebbi ieri con lui. Ho pur visto il Sig. Thiers nella mattina di ieri. Ma egli era talmente preoccupato della discussione che doveva aver luogo nella giornata all'Assemblea sulla dissoluzione della Guardia Nazionale, che non mi parlò quasi d'altra cosa. Tuttavia mi disse ben positivamente che era sua intenzione che il Ministro di Francia si stabilisse a Roma quando l'avrebbe permesso la stagione e quando gli altri Ministri vi si recassero. Egli desidera però che pel momento e fino alle vacanze dell'Assemblea non se ne parli, perché così possa evitare inutili ed irritanti interpellanze.
Il Sig. Thiers si mostrò meco molto disgustato dell'Assemblea e mi lasciò intravedere la possibilità della sua dimissione. Quando riceverete questa lettera, riceverete pure il rendiconto ufficiale della seduta di ieri. Vedrete che la situazione, malgrado il voto sull'emendamento Chauzy-Ducrot, rimane oltremodo tesa fra il Sig. Thiers e l'Assemblea. Da un momento all'altro possiamo essere sorpresi da una mutazione nel Governo. L'Orleanismo progredisce sensibilmente. Se Thiers si ritira, diventa possibile un Governo presieduto dal Duca d'Aumale col titolo di Luogotenente di Francia o altro simile. La maggioranza dell'Assemblea è impaziente di costituire la Monarchia. Tutti sono stanchi del provvisorio. L'incertezza pesa sull'industria, sul commercio, sul credito. Domani o Lunedì vi sarà la discussione sulla proposta Rivet. Il Sig. Thiers mi disse che su questa proposta era intervenuto un accordo e mi sembrò che non avesse alcun dubbio sull'esito. Ma la seduta di ieri può aver modificato gli spiriti di molti membri dell'Assemblea. Vedremo.
Il Sig. de Remusat m'ha ripetuto che andrà all'inaugurazione del Tunnel (del Frejus ndr) e che sarà lietissimo di trovarsi con voi. A questo proposito devo informarvi che un telegramma di Roma spedito qua dall'Agenzia Stefani negli scorsi giorni lasciò credere che è il Governo Italiano che fa gli inviti. Quindi la Legazione comincia a ricever domande specialmente dai direttori e redattori di giornali. Sarebbe utile che faceste constatare in qualche modo pubblico che gli inviti sono fatti dalla Direzione Tecnica dei lavori.
Remusat m'ha confermato che aveva rinnovato la domanda perché i prigionieri di guerra garibaldini che ancor rimangono in Germania fossero liberati. Per ogni buon fine e perché abbiate in mano un documento che constati che voi avete a suo tempo fatto ufficiosamente i dovuti reclami vi mando qui unito un biglietto, già antico, di Giulio Favre, con cui questi, rispondendo ad una mia lettera, mi assicura che avrebbe fatto immediatamente il necessario per la liberazione dei prigionieri italiani. Vostro Nigra
P.S. Vogliate pregare Artom a mio nome di far invitare all'inaugurazione del Tunnel Szarvady, John Lemoinne, Buloz direttore della Revue des Deux Mondes e i Direttori dei principali giornali di Parigi.
Mi è impossibile il mandarvi colla spedizione di oggi le carte relative all'assegno della Principessa. Mi occorre ancora di consultare l'Ammiraglio De La Roncière. Spero di potervi fare questa spedizione domani o dopo domani.
Baden, 27 agosto 1868
Caro Amico, Ti mando per mezzo di Vimercati un saluto ed una preghiera. Ti raccomando cioè di farmi sapere alcuni giorni prima 1'epoca precisa del tuo arrivo qua. Speravo che tu venissi nell'agosto ed in questo caso avrei messo a tua disposizione tre o quattro camere. Ora disgraziatamente non sono più in grado di farlo. Eccone il perché.
Ho preso a pigione per ricevere i Principi un vasto appartamento che è abitualmente affittato ai membri del Jockey Club di Parigi per l'epoca delle corse. II mio proprietario acconsente ora a lasciarmi una o due camere per mio uso, ma ripiglia il resto e siccome la difficoltà di trovar camere in questo momento è enorme, ti prego, se vieni come spero nella prossima settimana, di avvertirmi in tempo perché possa trovarti un gite convenable (viaggio conveniente ndr). Ho pregato egualmente M. di farmi sapere per telegrafo quando viene. Appena lo sappia ti scriverò di nuovo. Non vedo l'ora di poterti abbracciare e di fare con Te le lunghe chiacchiere d'una volta. Salutami Ressman e fammi il favore di chiedergli se ha ricevuto da Erlanger i 135 fr. pei quali gli ho mandato un assegno. Addio anzi arrivederci fra breve. Tuo Artom
Berna, 29 settembre 1871
Carissimo Amico, Parto Domenica prossima 1° ottobre per San Gallo. Se per caso hai da scrivermi dirigimi colà le tue lettere all'Albergo del Leone (Lowe).
Visconti mi disse a Torino che desiderava avere del vino fino di Bordeaux ed Io gli feci la proposta di procurarglielo e di procurarglielo eccellente. Durante il nostro soggiorno a Bordeaux studiai coscienziosamente la materia, visitai i celebri Crus e feci conoscenza coi fortunati proprietari di essi. Se Visconti abbisogna subito di questo vino scrivimelo e dimmi la quantità di bottiglie. Il vino fino che si beve ora è quello del 1864 e 1865. il 1858 è raro, e gli anni intermedi non sono buoni. Non consiglio di prendere l'uno dei quattro grandi Crus (Margaux, Laffitte, Latour, Haut-Brion). Esso costa troppo. Il Margaux 1865 costa a Bordeaux nelle cantine di Aguado 12 franchi la bottiglia. Consiglio di prendere fra i secondi Crus (Leoville, Pichon Longueville, Gruand Larose etc.) ed anche il 1° dei terzi che è il Lagrange. Il 1864 e il 65 dei secondi Crus si deve poter avere a 7 od 8 franchi la bottiglia e il Lagrange a 6 o 7, e sono tutti squisiti, se presi nelle cantine dei proprietari o da negozianti di prim'ordine. Se la spedizione non preme ne parleremo a Roma. Saluta Visconti e tu credi alla vecchia amicizia del tuo affezionatissimo Costantino Nigra
Baden, 9 novembre 1868
Caro Amico, ho ricevuto finalmente ieri dal Ministero il permesso di recarmi in congedo, e Litta mi telegrafa che sarà qui martedì o mercoledì. E' quindi probabile che Io parta di qua giovedì alle 2,55, ed arrivi a Parigi venerdì per tempo. Abbi la bontà di farmi preparare la camera che Tu consideri ancora come mia poiché vuoi che accetti la Tua gentile ospitalità.
Salutami Ressman e, colla speranza di abbracciarti presto, ti stringo affettuosamente la mano. Artom
Carlsruhe, 3 febbraio 1869
Ti ringrazio della tua lettera dei 14 gennaio che ho ricevuto in Asti. Io vi arrivai qua il 20, e ieri mi furono consegnate le casse che mi hai fatte spedire. Ti prego di farmi conoscere quanto hai speso per la spedizione. Io da qui ho pagato trenta franchi, benché la spedizione fosse indicata come frais di porto. Ho reclamato qui, e benché abbiano trovato giusto il reclamo, mi scrissero che dovevo rivolgermi perciò allo speditore a Parigi. Ti mando qui unita la bolletta di spedizione, che ti prego di dare a M. Asso, affinché veda se c'è qualche cosa da fare. Fagli osservare le parole franco de port - gegen nachnahme (vale a dire contro la consegna) di 14 fiorini 17 kreuzer, cioè di 30 franchi. Pel dazio ho pagato 7 fiorini che mi saranno ulteriormente restituiti.
Ti ho mandato Fides, ed ho pregato un mio amico di farti spedire da Napoli 20 bottiglie di Marsala.
P.S. Quand'io partii dall'Italia, correva voce che Ricasoli andasse a Londra e Cialdini a Parigi. Villamarina e Carlo Toniatowski si disputavano l'eredita del moribondo Breme. Dipoi non seppi più nulla. Perfetta stagnazione politica qui ed in tutta la Germania del Sud.
Carlsruhe, 4 marzo 1869
Carissimo Amico, II tuo Champagne mi arrivò precisamente avant'ieri, giorno in cui ho dato il primo mio pranzo diplomatico. Esso fu trovato squisito. Figurati quindi se venne a proposito e quanto te ne sono riconoscente. Ma ciò non m'impedirà di farti i più acerbi rimproveri. Come! Dopo avermi hebergé (coccolato ndr) quasi un mese, tu non mi concedi nemmeno di mandarti un po’ di vino d'Italia (che per parentesi non sarà ancora arrivato, perché quello che ho ordinato per me non è ancora venuto) e rispondi a 20 bottiglie di Marsala, con 25 di Champagne? E' come dire che tu vuoi che rimanga sempre in debito di gentilezze verso di Te, cosa alla quale mi hai del resto abituato da gran tempo.
Qui l'incidente belga fece l'effetto dei fischi della locomotiva sopra un ronzino non troppo avvezzo ai rumori bellicosi. Si rizzò le orecchie, si voltò il muso in su, e si vide il cielo molto, ma molto buio. I rumori della Triplice Alleanza Austro-Franco-Italiana lasciarono, malgrado le smentite, una profonda e incancellabile diffidenza.
Io medito di recarmi ad Heidelberg dopo Pasqua e rimaner là per fare un rapporto sull'Università di cui fui incaricato da Broglio. Che significato ha la dimissione di Usedom? E' una concessione all'Austria ? Scrivimi tu stesso, se ne hai tempo, o fammi scrivere dall'ottimo Ressman qualche notizia. Io di qui non ho nulla da dirti. Da Firenze niuno mi scrive più e non ho alcun indizio di chi si voglia nominare a Londra. Anche del Regolamento Diplomatico, di cui Peiroleri mi mostrò le bozze quando fui a Firenze nel dicembre, non si sente più parlare. Ormai mi abituo ad essere nel numero dei dimenticati. Dimmi quando avranno luogo le elezioni. Sarei disposto a fare anche, quando tu credessi bene di comunicarmi qualche notizia a voce, una rapida corsa a Parigi; ma ciò solo in caso di avvenimenti importanti. Addio, carissimo, credi alla sincera amicizia del tuo affezionatissimo Artom
Firenze, 17 marzo 1869
Carissimo Amico, ho ricevuto qui la tua del 12. Ti ringrazio della tua gentile offerta. Ma dopo aver consultato mio suocero abbiamo risoluto di far venire Lello in Italia. Vegezzi andrà a prenderlo sui primi di aprile. Se tornando a Parigi passo per Carlsruhe te lo farò sapere a tempo. Ma è probabile che non prenderò quella via.
Ti saluta affettuosamente il Tuo vecchio amico Costantino
Carlsruhe, 21 luglio 1869
Carissimo Nigra, Ieri, nel momento di partire per Baden, ove m'ero già quasi mezzo stabilito, mi capita fra capo e collo il telegramma del Ministero che mi ordina di recarmi subito a Parigi, per la Conferenza che si riunisce lunedì venturo. Eccomi dunque di nuovo nell'alternativa, o di rifiutare sgarbatamente l'ospitalità che mi hai cortesemente fatto offrire da Ressman, o di abusare di nuovo della tua amicizia. Tu m'hai detto spesso con ragione che sono debole e che non so resistere alle tentazioni. Te ne dò un'altra prova amplissima cedendo al desiderio di riposar di nuovo sotto il tuo tetto, ove passai, prima di essere il Capo d'una microscopica Legazione tanti giorni tranquilli e felici. Ma tu dovresti anche metterti nei miei panni ed ascoltare la voce dei miei scrupoli di coscienza che tenterei di soffocare invano. Non sono molti mesi che Io passai parecchie settimane a casa tua, e t'ho dimostrato così che non rifuggo dall'aggiungere altri obblighi di gratitudine a quelli che mi legano a Te da tanti anni. Ora mi reco a Parigi non per mio capriccio ma per ordine del Ministero. II quale, poiché toglierà a me l'indennità per darla a Litta, dovrebbe almeno pagarmi le spese. Io non vedo perché non dovrei mettere in nota, invece dell'albergo, una piccola somma che mi permetterebbe di sognare che sono di nuovo, né più né meno che il tuo Consigliere di Legazione. Il Governo ci troverà il suo conto, ed Io potrò così farmi rimborsare le spese di viaggio. Non fare il viso dell'armi e permettimi di considerar la cosa come aggiustata. Parto domani alle due e spero di avere il piacere d'abbracciare Te e Ressman in ottima salute. Credimi in fretta il tuo canuto amico Artom
Firenze, 30 luglio 1869
Carissimo amico, Il telegrafo ti avrà annunciato le interpellanze d'ieri alla Camera e le risposte del Presidente del Consiglio. Esse ti spiegano la ragione della mia chiamata Firenze.
Le spiegazioni date dalla Francia sull'affare Dumont non sono qui giudicate interamente soddisfacenti. Al momento in cui scrivo fu risolto di mandare una nota a Parigi per domandare nuove ed esplicite dichiarazioni dal Governo francese nel senso della stretta applicazione della Convenzione (di settembre 1864 ndr).
Probabilmente questa nota partirà domani. Ben inteso tieni per te questa notizia finché non avrai ricevuto il dispaccio. Questo sciagurato affare Dumont ha preso qui gravi proporzioni. Le assicurazioni da me date verbalmente non bastarono a calmare il malumore. La sinistra specialmente, con cui al Governo conviene oramai che conti, prese le cose con una vivacità estrema. Io farò ufficio di moderatore più che potrò e quanto potrò. Ho visto Rattazzi e Campello e Melegari. Rattazzi fu meco cortese. Nessuno mi parlò finora di un cambiamento di destinazione o d'un richiamo. Ma oramai, tanto l'una quanto l'altra cosa sarebbero da me accettate con piacere. Sono stanco e disgustato. Ti prego di salutare mio Suocero, Sormani, Boyl, Ressman e Colobiano. Dì a mio suocero che mi faccia poi sapere quando parte e quando e per qual via farà ritorno a Torino. Ti stringo caramente la mano.
Tuo affezionatissimo Nigra
Baden, 21 agosto 1869
Carissimo Nigra, Leggo nei giornali che l'Imperatrice parte fra breve per la Corsica e si recherà di là in Italia. Mi pare che tu dovresti approfittare di questo tempo per venire a Baden, donde potresti poi andarla a raggiungere pel Brennero a Venezia.
Ora non sono qui né il Re né la Regina, questa è annunciata per la fine del mese, ma forse non arriverà che più tardi. Troverai qui i Principi d'Orleans, il Principe Gortchakoff e la Principessa Troubetskoi, la quale fu rapita al settimo cielo, quando Io le dissi che avevo la speranza che tu verresti a Baden.
Ti autorizzo a dirle che sei venuta apposta per lei, come Emile de Girardin, e come verrà, dicesi, Emile Olivier. Intanto t'offro una chaumiére (capanna ndr) et mon coeur una cameretta al N° 9 della Sophienstrasse, ed un letto pel tuo domestico Antoine.
Avvertimi del tuo arrivo perché possa venirti ad aspettare alla ferrovia.
Non oso sperare che Ressman possa lasciar Parigi nel medesimo tempo. Se ciò fosse, mi aggiusterei in modo da dare un letto anche a lui. Conto però sulla sua visita e spero che vorrà accettare anch'egli una chaumiére et mon coeur, che offro spudoratamente ad entrambi nello stesso tempo.
Il genio artistico di Sormani, quando t'empì la casa di legno scolpito, dimenticò un oggetto essenziale; un coucou (uccellino ndr) della foresta nera. Io mi sono permesso di riempire questa desolante lacuna. Il coucou ti sarà spedito da Carlsruhe a piccola velocità. Non aspettare il suo Manephares (lavoro manuale? ndr) e vieni, prima del suo arrivo, nella Foresta Nera. Addio in fretta e credi nella vecchia amicizia del tuo Artom
Carlsruhe, 1 dicembre 1869
Carissimo Nigra, I miei fratelli mi pregano di annunciarti che ti spedirono 5 o 6 giorni fa una cassetta di tartufi. Io temo però che sia rimasta sotterrata nelle nevi del Cenisio, colla valigia delle Indie. Se ciò non è mangiati una buona fonduta alla salute del tuo vecchio amico. Il quale sarebbe venuto volentieri a mangiarla teco se gli fosse arrivato il permesso di andare in congedo che ha chiesto da quindici giorni, e se il Cenisio fosse praticabile. Forse, mettendo gli scrupoli dove proprio sono inutili, B. e M. vogliono riservare al nuovo Ministro degli Esteri questa importantissima decisione. E chi sa quando avremo un Ministro. Hai tu veduto Sella quando fosti in Italia? Pare che non voglia saperne di portafogli. Temo che tu gli abbia messo troppa saviezza in corpo.
Io partirò, spero, per Asti fra pochi giorni passando per Monaco. Se ne hai tempo scrivimi una riga e fammi scrivere dall'ottimo Ressman. Digli che ho ricevuta a Baden l'ultima sua lettera, ma che per buone ragioni non ne avevo parlato con Litta. Non so se andrò a Firenze o no. Preferirei evitare il viaggio e la corvée inutile delle visite ecc. Dammi qualche notizia tua e ricevi una stretta di mano del tuo aff. Artom
Se vai al pranzo del venerdì, rammentami a Hetzel, Villemot, Depret, John Le Moinne etc. ed a Liebreich.
Parigi, 24 maggio 1870
Carissimo Amico, Ho tardato a rispondere alla cara tua lettera del 6 corrente perché desideravo, ringraziandoti del tuo regalo, darti nuove precise sul modo con cui sarebbe stato gustato dai convitati del Rond Point. Sappi ora dunque che avant'ieri il tuo vino ebbe l'onore di toccare le più belle labbra di Parigi e d'essere apprezzato da palati non facili, come quelli del Principe Napoleone, dei Rotschild, di Ali Pascià e d'altri meno celebri. Fu trovato eccellente e Ressman, che non è facile agli elogi, ne fu entusiasmato. Abbiamo finalmente Gramont agli Esteri. Sarà bene per noi in ogni questione, credo, tranne quella del ritiro delle truppe, sulla quale non ho ancora nessuna fondata speranza di riuscita. Ho dichiarato ad Ollivier, che, giunte le vacanze parlamentari, noi sospenderemo il pagamento del debito pontificio. Fo conto di dirlo lo stesso a Gramont fin d'ora.
Ma ti ripeto finora non ho e non vedo nulla su cui si possa fondare una speranza seria di far richiamar le truppe nell'anno. E d'altra parte non vorrei che si ripresentasse una di quelle occasioni che tanto ci diede a pensare altre volte. Ti stringo caramente la mano. Tuo affezionatissimo Nigra
Firenze, 14 marzo 1871
Carissimo Amico, ricevo oggi la tua del 10 da Bordeaux e ti rispondo immediatamente. Spiace assai a Visconti ed a me che tu abbia supposto che vi sia un partì pris (partito preso ndr) di toglierti da Parigi. Nulla è più lontano delle intenzioni del Ministro che di far cosa che possa spiacerti. Quanto alle mie, spero di non aver bisogno di manifestartele ora. Tu mi conosci da gran tempo e spero mi dispenserai dal ripeterti le proteste d'una amicizia che è ormai quasi ventenne. Visconti credette suo obbligo di offrirti altri posti, tutti quelli che erano disponibili, per quella ragione che tu comprenderai. Dopo le terribili mutazioni avvenute in Francia, fu generale, anche nei tuoi amici più schietti, la convinzione che a te non convenisse rimanere a Parigi. Io non so se questa opinione sia ragionevole o no: certo niuno sa meglio di te se tu puoi avere cogli uomini che ora reggono la Francia gli stessi amichevoli rapporti che avevi col Governo Imperiale. Visconti ed io abbiamo appreso con grandissimo piacere dalle lettere recate da Villa che tu hai potuto durante la terribile crisi far rispettare la legazione italiana, ed anche render servigi alle vittime di tutti i partiti. Visconti ed io terremo conto grandissimo di ciò e tu puoi esser certo che non ti si leverà da Parigi se non quando tu abbia anelato un posto che risponda completamente ai grandi servigi da te resi al paese, ed anche ai tuoi personali desideri. Non è quindi il caso di parlare della disponibilità, aspettativa, locazione o vendita di mobili ecc. Nemmeno è il caso di parlare di Madrid, ove non v'è che 60m lire d'assegno, le 15m di stipendio, il tutto, ben inteso, colle solite detrazioni fiscali. Parve a Visconti e te lo confesso schiettamente, anche a me, che Vienna potesse convenirti sotto tutti i rapporti. E' una Legazione di primo ordine essenzialmente. La politica, che non la cede a Parigi d'importanza per l'Italia, e che, certo, è preferibile come soggiorno, come affari, e dal lato pecuniario, alla Legazione di Londra. Ne è titolare ora Minghetti, che fu, e può essere fra breve Presidente del Consiglio: Lamarmora, Menabrea furono spesso in predicato d'esser Ministri colà. Non vedo quindi quale motivo tu possa avere per rifiutarla. Tuttavia Visconti farà nuovi tentativi per render disponibile la Legazione di Londra che tu desideravi due anni fa e che hai fatto chiedere per mio mezzo a Menabrea. E' poco probabile però che si riesca a toglier di là Cadorna. pare che il clima gli giovi, è convinto di far benissimo: è amico personale di Lanza; insomma il nostro desiderio di levarlo di là ha poca probabilità d'essere esaudito. Ad ogni modo non c'è alcuna necessità di appigliarsi d'urgenza ad una risoluzione disperata. Tu puoi rimanere tranquillo al tuo posto: se Londra sarà disponibile io cercherò che sia tenuto conto del tuo desiderio d'essere nominato colà. Il solo pericolo che tu devi evitare è questo. Se Visconti ed io ce ne andiamo e se vengono come non è difficile uomini che ti sono meno favorevolmente disposti, tu puoi trovarti nella necessità di lasciar Parigi senza avere nessun compenso adeguato. Visconti ed io lotteremo intanto con questa specie di pregiudizio per cui si crede generalmente inevitabile, che nella nuova situazione fatta all'Italia ed alla Francia dagli ultimi avvenimenti, altri sia chiamato a rappresentare il Governo a Parigi.
Aggiungerò che la scelta non è facile, e che qualunque possa essere il nuovo Ministro esso non farà probabilmente che dar la controprova della impossibilità di rendere in Parigi servigi eguali ai tuoi.
Credimi in fretta il tuo Artom
Firenze, 26 marzo 1871
Carissimo Nigra, ti mandiamo quest'oggi il Corriere perché rimanga a tua disposizione. Ed io aggiungo due righe in fretta alla mia lettera precedente per dirti che non si punta affatto a far cosa che ti sia sgradita. Le preoccupazioni personali non devono dunque aggravare uno stato d'animo che dev'essere già poco lieto per l'andamento delle cose in Francia. Pare che Minghetti non si decida a ripigliare il posto di Vienna. Saremo quindi costretti a nominarti là. salutami Ressman e Vimercati e credi all'antica amicizia del tuo Artom
Firenze, 13 aprile 1871
Il R. Commissario in Roma ha comunicato al Ministro degli Affari Esteri copia d'un rapporto dell'autorità di pubblica sicurezza di Civitavecchia nel quale sono esposti alcuni casi avvenuti in quella città fra alcuni abitanti del luogo e vari marinai della fregata francese Orénoque.
Dal rapporto medesimo risulta che l'autorità procedeva per la scoperta e la punizione dei colpevoli, ed il R. Commissario m'informa d'avere inoltre mandato a Civitavecchia un funzionario da lui dipendente per verificare esattamente tutte le circostanze dell'accaduto e vedere se altro resta da fare per assicurare il corso regolare e pieno della giustizia e per prevenire nuovi disordini.
Sebbene le informazioni avute farebbero credere che si tratti unicamente d'uno di quegli spiacevoli casi di cui si ebbero purtroppo a deplorare molti esempi in tutti i tempi ed in tutti i paesi, desidero tuttavia che V.S. conosca esattamente i fatti occorsi, non meno che i provvedimenti presi dall'autorità per assicurare l'azione della giustizia ed il mantenimento dell'ordine.
Se a Lei fosse tenuto discorso di quanto è accaduto a Civitavecchia, mi lusingo che nella presente comunicazione Ella troverebbe gli elementi sufficienti per ridurre i fatti alle vere loro proporzioni e per togliere ai medesimi qualunque carattere diverso di quello che essi ebbero realmente. Artom
Firenze, 11 maggio 1871
Carissimo (Nigra), ti rispondo in fretta all'ultima tua lettera. Prima di tutto ti dirò che ho raccomandato a Peiroleri di dar la decorazione al Maddalena, passando sopra, per le straordinarie circostanze attuali, alle considerazioni burocratiche che lo vietano. Ho pure firmato un altro mandato di L. 8milacper Cerruti. Egli avrà così in tutto L. 19mila. Il primo di 4m. era stato assegnato da Peiroleri, che mancava d'ogni dato positivo sulle perdite reali sofferte. Però permettimi di aggiungere che se si volesse far un esame della nota dei danni data dal Console sarebbe impossibile d'ammetterli tutti. E' evidente che il Ministero non può essere obbligato a rifarlo del lucro minore che ha fatto sui diritti. sarebbe un precedente ben pericoloso il farlo, se tu rifletti che in questi momenti infierisce la febbre grassa a Buenos Aires, che ad ogni istante in America avviene qualche fatto di forza maggiore che turba l'andamento regolare delle riscossioni. Il buon Galletti, che sai favorevolissimo al Cerruti mi disse che in nessun modo egli ammetterebbe una simile domanda. Anche le 5mila Lire spese per mantenere la famiglia a Roma sono di assai dubbio rifacimento. Se il Console avesse mandata la moglie in Italia, come lo fa ogni anno, non avrebbe avuto codesta spesa. Tuttavia io non volli procedere a quest'esame minuto, e stabilii d'accordo col Ministro altre L. 8mila. Queste osservazioni fo soltanto perché tu faccia comprendere al Console le difficoltà della mia posizione. devo litigare colla Corte dei Conti, che dopo l'istituzione della Ragioneria Generale è divenuta insopportabile per meticolosità e cretineria; inoltre tu conosci le condizioni del nostro bilancio, e la ferocia di sella, modello insuperabile, almeno per questo rispetto, d'un Ministro delle Finanze. Ho quindi d'uopo d'un po' d'indulgenza per parte vostra. Non abbiate paura di chiedere quanto è giusto. non lasciate al nostro criterio, per quanto equo e benevolo esso debba essere, e per quanto io mi sforzi d'esser tale, più del bisogno. Forniteci le indicazioni necessarie per discutere colle ... e colla Corte dei Conti; il Ministero non ha nessun potere discrezionale che in limiti augustissimi.
Ora permettimi di parlarti d'altro, e di chiederti consiglio. Il Ministro andò ieri a Roma per cercare un Palazzo pel Ministero. Egli mi incaricò di scriverti anche a nome suo. La camera vota a gran maggioranza la legge delle guarentigie quale fu emendata dal Senato d'accordo col Governo. Essa sarà tosto promulgata. Qual'è il metodo migliore per comunicarla ai Governi Esteri? Dobbiamo limitarci ad una sobria circolare che non richieda risposta? Dobbiamo andare al di là? Il mio avviso sarebbe di non fare una comunicazione identica e pubblica a tutte le potenze. Vorrei cominciare da quei gabinetti che ci sono più favorevoli, circa l'ottenere un'adesione più o meno esplicita, poi procedendo dal noto all'ignoto, comunicarla alle altre giovando delle risposte ottenute o facendosene un appoggio per chieder le adesioni che più importano. Questo metodo sembra il migliore anche a Visconti ed a Minghetti. Anzi, questi, benché rifiuti assolutamente di riprendere la Legazione di Vienna, non è alieno dal recarsi colà privatamente per pigliarvi sua moglie, ed egli spera che i suoi buoni rapporti personali col B. t lo metteranno in grado di ottenere da lui una risposta generica, ma non sfavorevole. Eguale risultato possiamo sperare da Londra, da Pietroburgo, da Madrid e da Lisbona. Se no si fosse ottenuto, sarebbe forse meno difficile che Thiers e Favre, invece di chiuderti in un silenzio enigmatico, imitassero l'esempio altrui. Ultima verrebbe la Prussia, non sfavorevole inforno, benché non abbia voluto ancora pronunciarsi categoricamente. Ma c'è una difficoltà. Tutto ciò richiede un tempo più o meno lungo. Ora è a temersi che v'abbia costì un mutamento di persone che non giovi al nostro intento. Ripresa Parigi, firmata la pace Visconti e Pasolini saranno essi ancora al potere? Gli elementi monarchici non preponderanti nell'assemblea non verranno a galla e non prenderanno verso di noi un atteggiamento ostile? Questa considerazione ci farebbe propendere a non ritardare questa comunicazione. E per ciò che io chiedo il tuo consiglio. Rispondi per telegrafo appena abbi inviata questa lettera. Dimmi apertamente il tuo avviso. Sai quanto io sento di averne d'uopo e quanto l'apprezzi anche Visconti. Io vorrei anzi, se mi è possibile, che tu stesso s'incaricasse di redigere la comunicazione da farsi al Governo francese. E' cosa estremamente delicata. Tu solo sai per quale verso s'hanno a pigliare codesti signori. Se tu ammetti questo partito sarà certo il migliore. Se no domani avvertimi per telegrafo o per lettera come la prendi. Forse è voler troppo il chiedere all'Europa un'adesione alla legge. Importano assai meno le dichiarazioni teoriche in essa contenute che l'applicazione di esse. Ma per la pace d'Europa è d'uopo non premettere nulla che giovi a non lasciare più oltre aperta la questione. tanto più che le altre Potenze non possono rinchiudersi in un'assoluta astensione. Il trasferimento della capitale fa sì che le Legazioni debbano seguirci a Roma; il loro rimanere qui sarebbe un atto ostile e gravissimo. Finora tutti si prevalgono della stagione estiva per chiedere congedi ecc. Il turco però ha fissato un appartamento a Vienna e verrà il russo e l'inglese pure. Non dubito della Spagna, della Grecia e del Portogallo. Il congedo dato al Trautmannsdorf pare indichi migliori disposizioni per parte dell'Austria. Kabek malato a Vienna deve giungere oggi o domani. Da lui sapremo qualche cosa di più. Tutti intanto ci chiedono l'annuncio ufficiale del trasferimento nostro per avere una ragione materiale di chiedere istruzioni ai loro governi. Il mal volere della Baviera non potè concretarsi in alcun modo positivo. La proposta della Conferenza dileguò. Beust le sostituì il progetto d'una riunione dei diplomatice accreditati presso il Papa per studiar la questione degli Istituti cattolici aventi rapporti coi governi esteri. Ma anche a questa noi obbiettammo l'incompetenza per l'ignoranza assoluta del diritto positivo italiano, che del resto non si vuole applicare tal quale, ma con importanti modificazioni, che un'apposta commissione indicherà.
Sono in pectore alcune nomine diplomatiche. Migliorati lascerà Monaco ed andrà ad Atene. Greppi sarà probabilmente nominato in Baviera. Lanza e Visconti vogliono nominare Robilant a Vienna; io mi oppongo rispettosamente. Barral andrebbe a Madrid. Blanc a Bruxelles. Latour a Stockolm. Cavalchini ritornerebbe a Rio. rati andrebbe a Stuttgard e Spinola sarebbe reggente a Copenhagen. Ma queste nomine non sono ancora decise e s'attenderà forse dopo la discussione dei provvedimenti finanziari. Sella e la Camera non sono d'accordo.
Addio in fretta. rammentami a Ressman che spero in salvo. Quando potremo stringerci la mano dopo tanti avvenimenti! Credimi in fretta il tuo Artom
Firenze, 19 giugno 1871
Carissimo Nigra, Visconti ti scrive a lungo di politica ed anche, com'egli mi disse, circa il tuo congedo. Credo anch'io che faresti meglio ad aspettare sino all'autunno. Probabilmente ai primi di settembre sarà inaugurato il tunnel del Cenisio. Suppongo che vorrai assistere a quella solennità, e che piglierai quest'occasione per venire in Italia. La stagione sarà più propizia per venire a Roma. Lascio a noi il non invidiabile privilegio d'andarci in luglio e nell'agosto. Ho firmato i mandati per le indennità di Ressman e degli altri nelle somme da te indicate. Non so se le 8mila che ho fatte dare a te bastino. Ti prego di mandarmi qualche indicazione sui guasti accaduti nel Palazzo della Legazione e nei tuoi mobili. Per questi indennizzi è impossibile procedere a capriccio mio, e senza aver qualche dato positivo. Avrei voluto far dare a Ressman una commenda: ma i regolamenti fatti dal Menabrea me lo vietano. Purtroppo è anche impossibile dargli una promozione. Colla nomina di Robilant non v'è più alcuna vacanza e s'è dovuto risponder con un rifiuto a De Launey che insiste per la 10a volta affinchè Tosi sia promosso Consigliere di Legazione.
Spero che a poco a poco riprenderai le abitudini parigine, e ti riposerai dalle emozioni e dalle cure dei mesi scorsi. Converrà che ti rassegni a rimanere sulla breccia e certo né Visconti né io ti leveremo da Parigi. Ora del resto riconoscono tutti che tu rendi grandissimi servizi, e che sarebbe inopportuna ogni mutazione finché non si sappia quale sarà la forma definitiva di governo adottata dalla Francia.
Pantaleoni, che non ha affatto l'abitudine di dar consigli, vorrebbe che Visconti mandasse a Parigi il Pere Hyarinthe a fare delle conferenze sull'abolizione del potere temporale. L'idea pare alquanto strana a Visconti ed a me: dimmi tuttavia se credi che il Pere H. abbia ancora qualche influenza nel partito gallicano e se può essere utile di pregarlo di andare a Parigi. Castelli mi prega di raccomandarti certo Rostagno, che fu arruolato per forza nella guardia nazionale di Parigi, ed ora è fra i prigionieri.
Addio carissimo. Salutami Ressman e pregalo di scrivermi, e credimi in fretta il Tuo Artom
PS. Salutami, se li vedi, Mazade, John Lemoisme e Depretis. Rammentami anche a Victor Lefrancs
Firenze, 21 giugno 1871
Carissimo amico, due righe in fretta per trasmetterti l'unito estratto di lettere da Roma. Il contegno di Choiseul e la stessa risposta da te trasmessa circa gli arruolamenti di Charretto non mi sembrano buoni indizi. Temo che F. serva, forse senz'andarsene, di paravento agli intrighi clericali e legittimisti. E' bene che tu vegli, e non ti lasci troppo tranquillizzare dalle buone parole. Se la Francia prendesse apertamente il suo partito della caduta del potere temporale riavrebbe tutte le simpatie dell'Italia. Ma ...
Non darti fastidio quanto al fioraio aggiusterò io la cosa con Peiroleri che ti scrisse senza avermene prima parlato.
Salutami Costantino II (Ressman ndr)e ringrazialo delle fotografie che mi ha mandato. Quelle dei Capi della Comune non sono ancora giunte. Spero d'aver tempo un altro giorno per scrivere un po' a lungo anche a lui.
Addio in fretta. Credimi il tuo vecchio amico Artom
Parigi, 25 giugno 1871
Ho scritto a Visconti ieri ed ho consegnato la lettera a Robbo. Ma non avendo egli potuto partire ieri sera, e partendo soltanto oggi, approfitto dell'occasione per scriverti una riga.
Prima di tutto ti ringrazio d'aver accolto la proposta d'indennità per Ressman, Franchetti e Gualtieri e ti ringrazio egualmente di quella che hai fatto fissare per me. Non voglio nessuna indennità per guasti fatti alla Legazione (trattasi dei danni provocati dalla guerra franco-tedesca del 1870 ndr).
Per i guasti delle mura farò provvedere dalla città; e per gli altri mi basta l'indennità che hai fissata e colla quale posso anche provvedere alle spese di Versailles e dei Corrieri tra Versailles e Parigi. Ti prego anche di ringraziare per me il Ministro a cui scrivo d'ufficio, e ringrazio Te della decorazione.
Non abbiate troppa inquietudine di quanto potrà dir qua Choiseul. Thiers è già stato da me avvertito e si terrà in guardia.
Siate sicuri che la Francia è nell'impossibilità assoluta di tentar nulla contro di noi. Ma Thiers, che ha bisogno di tutti, non vuoi osteggiare apertamente i legittimisti dell'Assemblea e tiene perciò una specie di neutralità tra il Papa e noi.
Il discorso di Beust favorevole all'Italia e la dichiarazione del Ministro Spagnolo alle Cortes relativamente alla legge delle garanzie sono fatti importanti che esercitano sull'animo di questi signori una certa impressione.
Fate tutto il possibile perché la condotta dell'Austria e della Spagna continui in questo senso. Io penso che abbiamo dinnanzi a noi due o forse tre anni interi di sicurezza assoluta. In questo frattempo noi possiamo consolidarci a Roma e prendere le nostre precauzioni.
A me pare evidente che la Prussia, anche dopo passati questi due o tre anni non si accomoderà facilmente a veder la Francia pigliar un'attitudine prepotente verso nessuno dei suoi vicini. Nigra
P. S. Aspetterò il congedo in Settembre. Ma ti assicuro che non sono bene in salute e mi sento oltremodo stanco.
Firenze, 29 giugno 1871
Caro Amico, ti mando copia della Nota di Choiseul sulla legge delle guarentigie. Essa ti darà un saggio della sua abilità e del suo buon volere. Pazienza se avesse riuscito a convincere Visconti che gli uomini politici fanno spesso desiderare gli uomini di carriera! E' certo che la partenza di Rothan non riuscì a migliorare i nostri rapporti. Non ch'io avessi molta fiducia nell'altro, ma ...
Ti ringrazio della tua lettera che Robbo mi recò. Non credo giusto che debbano essere a tuo carico le spese pei guasti nei mobili della legazione. Se quindi mi fai fornire qualche dato di fatto, o se nel modo più spiccio fai calcolare la spesa da un tappezziere, ti farò spedire un apposito mandato. L'importante per me si è di poter ottenere la controfirma della ragioneria e della corte dei Conti.
Il Ministro ed io partiremo domani sera per Roma. Al momento in cui ti scrivo, dodici capi missione hanno annunciato che verranno a Roma con noi, durante il soggiorno del Re. Mancano la Francia ed il Belgio. L'Austriaco, già autorizzato da 15 giorni a venire a far visita al Ministro a Roma, non si crede autorizzato a venirci in occasione delle feste del Re, e chiese altre istruzioni che non ebbe sinora. Io temo assai che il risultato sia che l'Austria segua l'esempio della Francia, mentre prima s'era quasi certi che questa seguirebbe l'esempio della prima. Mi manca il tempo di raccontarti quanti intrighi ci furono in quest'occasione. Ora pare che le cose si riavviino; ebbimo anche l'emozione d'una supposta fuga del Papa: oggi ci si assicura che rimarrà a Roma. farai benissimo a prendere il tuo congedo in settembre. Il luglio e l'agosto non sono certo i mesi migliori per Roma. Vorrei evitare anch'io d'andarci ora e di rimanervi, ma non so se mi sarà possibile di pigliare un congedo che mi è indispensabile per salute. Verso il 1° settembre vi sarà probabilmente l'inaugurazione del Cenisio. Credi che si debbano invitare Thiers e Favre? Villa e castagnola non vorrebbero far grandi spese. Ma Torino darà delle feste e la Società dell'alta Italia farà qualche cosa. Se credi che questa possa essere un'occasione di riavvicinamento, suggeriscici. Io cercherò che tu sia invitato o dal Governo o dalla Società. Durante il tuo congedo avremo modo di vederci a lungo e parleremo anche del tuo ritorno a Parigi. Addio in fretta. Tuo Artom
Roma, 16 luglio 1871
Carissimo Nigra, aggiungo due righe alla spedizione d'oggi per rammentarmi alla tua amicizia, ed eseguire un incarico della Contessa, la quale vuole che io ti raccomandi di tener presso di te, e non consegnar che a Ressman, quando sarà ritornato da Vienna, i celebri suoi pacchi. Non so s'Ella sia ancora a Firenze o sia già alla Spezia, come si proponeva. Ella desidera pure sapere per quale ragione non possa recarsi a Dieppe ecc. falle scrivere direttamente da Ressman pel quale essa è ora in un accesso di entusiastica adorazione. Io attendo il ritorno di Peiroleri dai bagni di Levico, per andare anch'io a far qualche bagno di mare. Siamo ancora alla Consulta, non avendo potuto ancora concludere l'acquisto del palazzo Valentini. Però non è impossibile che fra qualche settimana vi siano in quel palazzo locali sgomberi e sufficienti per potervi stabilire malamente gli scrittoi dei nostri travetti. Occorre fabbricare per avere nel nuovo palazzo un appartamento pei ricevimenti ufficiali.
Io spero di poterti stringere la mano all'epoca dell'inaugurazione del Cenisio. Intanto mi riservo di farti sapere se partirò il mese d'agosto, mi si è dato di respirare un po' d'aria salina di cui ho grandissimo bisogno. Salutami Costantino II ed abbimi in fretta pel Lignana che è a Roma e mi incarica di farti i suoi saluti. Addio
Castelli mi prega di rammentarti il prigioniero italiano che ti ha raccomandato. Egli dice che ormai nella questione romana dobbiamo diventare sordomuti. Invece Pantaleoni di cui ti unisco una lettera diretta a te vorrebbe che si facesse ogni giorno una circolare. Addio Artom
PS. Ti farò sapere dei discorsi programmati al Senato ed alla Camera nella discussione della legge delle guarentigie. Il Ministro ti prega di farne avere domani una al Pressensi ed una al Pére. Addio
Roma, 2 settembre 1871
Carissimo amico, ritornai ieri dal mio congedo e trovai qui la tua lettera con la domanda di M. Bertrand a favore di M. Barthelet. Nell'assenza di Visconti la comunicai a Sella. Questi promise di telegrafare a Grattoni e di scrivere per pregarlo di mettere a tua disposizione un certo numero di inviti, di cui tu possa disporre a favore di John Lemoine, Czarvady, Buloz, Berthelot ecc.
(la lettera è indecifrabile di qui in avanti)
Roma, 2 settembre 1871 (in francese)
L'Italia non ha preso parte all'incontro di Gastein. Le nostre informazioni dicono del resto che non è stato firmato alcun Trattato e che tutto si è limitato ad uno scambio di vedute con lo scopo del mantenimento della pace. Il Re e i Ministri essendo assenti, non mi è possibile chiedere per Voi l'autorizzazione di presentare al signor Thiers le felicitazioni del Re, pertanto, non vedo da parte mia alcun inconveniente a che Voi vi complimentiate a nome del Governo. Artom
Roma, 4 gennaio 1872
V. (Visconti) è partito stamane per una caccia in Maremma. Siccome Egli rimarrà assente da Roma due o tre giorni, mi pregò di rispondere in nome suo al tuo telegramma di ieri.
Tu sai quale condotta abbiamo sempre tenuto circa l'Orenoque. Le risse frequenti che accadono fra quegli equipaggi e la popolazione di Civitavecchia ci costrinsero spesso a parlare di questo argomento col Ministro di Francia. Rammento che sulle vive istanze del Ministro dell'Interno, Visconti si decise a scrivere una lettera particolare al Sig. de Remusat nel settembre 1871, e precisamente il giorno dopo che Visconti e E. (Remusat) si erano veduti a Torino per l'inaugurazione del tunnel del Cenisio.
A questa lettera, Remusat rispose in modo cortese ma evasivo. Dopo d'allora, niun passo ufficiale né ufficioso fu fatto da noi per ottenere l'allontanamento dell'Orenoque. Sulla chiassosa presentazione del Comandante di quella fregata e della sua ufficialità al Papa in occasione del primo dell'anno non solo non si scrisse, ma non si pronunciò mai parola alcuna da Visconti né da me. Mai non ci passò pel capo di chiedere che la stessa formalità si compisse al Quirinale. Per noi sarebbe bastato che l'Orenoque, se pur la Francia credeva dovesse stazionare a Civitavecchia, non assumesse pel linguaggio e l'atteggiamento degli ufficiali e della ciurma, il carattere di una permanente provocazione verso l'Italia. Circa la condotta degli Ambasciatori francesi e le continue smargiassate del personale dell'Ambasciata, niuna osservazione fu fatta mai a Fournier, né, se ben mi ricordo, a Remusat per mezzo tuo. Visconti credette sempre suo dovere di fingere di ignorare completamente che i due rappresentanti di uno stesso Governo rappresentassero a Roma, in realtà, due opposti partiti. In sua cura e mia di dimostrare che la legge delle guarentige è praticamente applicabile anche sotto questo rapporto, ed è realmente applicata, in quanto ci concerne, colla massima lealtà. Questa doppia rappresentanza ha, per noi degli inconvenienti gravissimi! Essa Mantiene e fomenta a Roma la divisione delle classi sociali e fa nascere fra i rappresentanti di un solo Governo, attriti spiacevoli.
Tuttavia, parve a Visconti che, almeno per qualche tempo ancora, giovi a noi di tollerare questi inconvenienti e gli intrighi che vi nascono da questo stato di cose. Nel fatto poi, questi intrighi e questi inconvenienti non si producono e non hanno vera importanza che quando l'antagonismo, sino ad un certo punto naturale fra questi due rappresentanti dello stesso Governo viene accresciuto dall'incertezza delle istruzioni che ricevono, e che ciascuno di essi interpreta in modo diametralmente opposto.
I due Ministri di Portogallo vivono in perfetto accordo fra loro. Quelli di Spagna pure per quanto Io sappia; l'Austria trae profitto dalla malattia del Conte de Kubeck per non avere presso il Vaticano che un semplice Incaricato d'Affari. Persino tra le due Legazioni belghe non è scoppiato finora alcun conflitto importante, o la cosa non è saputa dal pubblico. Le difficoltà vere nascono solo per l'Ambasciata francese. Questa, anche quando ebbe dei Titolari, se non liberali, prudenti, fu sempre composta da Segretari di Legazione che professano apertamente le opinioni più spinte e parlano nel modo stesso del Sig. Thiers e di Vittorio Emanuele, di Remusat e di Visconti.
E' molto probabile che il Conte di Villestrex sia stato spinto a dar la sua dimissione dal suo ex segretario d'Ambasciata. Questi venne da Parigi col mot d'ordre del Sig. Veuillot e dei legittimisti; conviene spinger la cosa all'estremo per rovesciare nello stesso tempo il Sig. de Remusat e il Sig. Fournier. Comprendo che presso il Vaticano non si possano accreditare rivoluzionari ma evidentemente è necessario che il Governo francese badi a non lasciarsi compromettere da strumenti infidi, da persone il cui maggior desiderio è di rovesciare il Sig. Thiers e i suoi Ministri.
Il Governo italiano è dunque perfettamente estraneo ai patti che spinsero il Sig. Villestreux a dar la sua dimissione. Quando ciò si seppe nel pubblico, essendo allora Visconti a Milano per Natale, Fournier si recò da Lanza e gli narrò l'accaduto, affermando che anch'Egli ignorava tutto, e non fu avvertito di ciò pel rifiuto datogli da Villestreux di pranzare a casa sua. Sei o sette giorni dopo, Fournier si recò da me a chiedermi se era vera la notizia dell'invio di Mr. de Courcelles, e che cosa ne pensassi. Risposi che noi ci eravamo astenuti, e ci astenevamo sistematicamente da ogni giudizio. Vous faites, gli dissi, vis à-vis du Vatican la politique qui vous convient. (Voi fate, nei confronti del Vaticano la politica che vi conviene ndr).
Visconti gli tenne dopo lo stesso linguaggio. Mi risulta però che in Vaticano si afferma che l'ordine dato al Comandante de l'Orenoque fu provocato da noi per mezzo suo. E' naturale che a noi si attribuirono dei meriti che noi sappiamo di non avere.
L'annuncio dell'invio del Sig. de Courcelles fu salutato dapprima al Vaticano con grida di esultanza. A qualche Cardinale che gli faceva osservare essere Mr. de Courcelles un anti infallibilità il Papa rispose: "E dove lo si trova ora il cattolico puro, illibato come l'ermellino?". Ma dopo l'arrivo di questo signore, le cose mutarono. Pare che l'accoglienza fattagli non sia stata tale da incoraggiarlo a rimanere definitivamente come Titolare dell'Ambasciata. Forse, Véuillot ebbe modo di far prevalere di nuovo la sua opinione, forse si desidera che la questione Orenoque et rimanga aperta perché sia più tempestosa la discussione che si provocherà nell'Assemblea e più facile di rovesciare De Remusat o costringerlo a richiamare Mr. Fournier.
So che furono fatte nuove istanze al Papa per deciderlo a partire e recarsi, non più in Francia, nel Tirolo né nel Belgio, ma nel Principato di Monaco. Il luogo sarebbe ben scelto per dar fastidi, ad un tempo, alla Francia ed all'Italia. In ogni caso però, non partirebbe che nel mese di marzo, e di qui a quell'epoca, colla mutabilità d'umore dal Papa, vi ha tempo per molte opposte determinazioni.
Ora credo d'averti detto a un di presso e, come potei, brevemente come stanno le cose. Noi siamo rimasti completamente estranei a quest'incidente. La nostra prima idea era di continuare nella stessa condotta; ciò pareva a noi più coerente colle nostre dichiarazioni generali, più conforme ad un tempo alla nostra dignità e a quella della Francia. Però, le parole del tuo ultimo telegramma sembrano accennare ad un desiderio del Sig. de Remusat che noi non abbiamo l'aspetto di disinteressarci completamente. Ora che l'incidente è scoppiato, che è inevitabile una nuova discussione nella Assemblea francese sulla questione romana, noi non possiamo aver altro scopo ed altro desiderio che di aiutare il Sig. de Remusat a far prevalere la sua politica. Se dunque Egli crede che possa convenire a lui di dire o di lasciar capire che nell'incidente dell'Orenoque Egli ha ceduto alle nostre istanze, noi ci guarderemo dallo smentirlo. Il Sig. Thiers e il Sig. de Remusat sono i migliori giudici di ciò. Pareva meglio a noi di lasciar loro anche il merito della iniziativa spontanea di questo atto di buona politica. Siamo disposti a ricrederci e a secondarli in quel modo che essi ci indicheranno, ben inteso però, senza porci in contraddizione con alcune delle nostre precedenti dichiarazioni,
Mi parve impossibile di dirti tutto questo per telegrafo. Ma basterà che tu risponda per telegrafo a questa mia lettera perché il Sig. de Remusat e Visconti possano per mezzo tuo accordarsi sul linguaggio da tenere. Artom
Roma, 7 gennaio 1872 (in francese)
Il signor Sella mi incarica di trasmettervi quanto segue: «Il progetto del Ministro delle Finanze francese per imporre una tassa sulle rendite straniere non è accettabile. Malvano che parte per Parigi vi porta le spiegazioni necessarie. Mi limito al momento a dirvi che il Governo italiano ed il suo mandatario Rotschild potrebbero facilitare molto l'esazione dell'imposta per conto del Governo francese, ma risulta impossibile che assumano a loro carico l'esazione dell'imposta dopo il progetto di legge, e ciò per svariati motivi d'altra parte legati all'estrema variabilità della somma pagata a Parigi». Artom
Nota del redattore: il Lei di Artom a Nigra, quando normalmente si danno del Tu, è legato al fatto che trattasi di dispaccio ufficiale
Roma, 28 gennaio 1872
Il Signor Ministro dell'Interno mi scrive che l'attività dell'Internazionale e del Partito mazziniano fra loro associati per tradurre in atto i loro disegni sovversivi, sembra essersi negli ultimi tempi notevolmente accresciuta, e che alcuni indizi farebbero credere essere l'esecuzione di tali progetti collegata ad un movimento in Francia che si annuncia poco lontano.
Se il Ministro dell'Interno, come esso lo accenna, si troverà più tardi in grado di fornirmi più esatte informazioni, non mancherò di comunicarle alla S.V. Artom
Roma, 25 aprile 1872
Carissimo amico, Visconti mi prega di dirti che sa indirettamente che M. Th. (parrebbe Marie Adolphe Thiers ndr) si interessa personalmente ad una soluzione nel senso desiderato da noi della questione delle ferrovie e della posta. Sarebbe dunque utile per paralizzare la routine ed il mal volere dei bureaux che tu gliene facessi molto.
(la lettera è indecifrabile di qui in avanti)
Parigi, 14 maggio 1872
Carissimo Amico, Ho ricevuto la tua buona lettera con cui mi raccomandasti il Prof. Cannizzaro. Non ho bisogno di dirti che mi misi a sua intera disposizione.
Decisamente il Palazzo della Legazione è messo in vendita fra il giugno e l'agosto prossimi. Scrivo oggi d'ufficio per proporne l'acquisto da parte dello Stato. Credo che ciò sia per me un debito di coscienza perché una simile occasione non si troverà più. Fammi il piacere di dirlo a Visconti e di dirlo a Sella. Fra 10 anni questo palazzo varrà 2 milioni. Nel caso poi che il Governo si decidesse alla compra, ciò che sarebbe grandemente desiderabile, vorrei che un impiegato dell'Estero od uno delle Finanze fosse delegato a fare il contratto. Quanto al pagamento credo si potrebbero trovare combinazioni favorevoli che permetterebbero al Ministero di pagare il suo debito in un periodo anche lunghissimo di anni. Ma questi riflessi sono prematuri finché non si saprà se la proposta è accettata in principio. La cosa merita tutta l'attenzione. Te la raccomando e la raccomando a Visconti e a Sella. Ti stringo cordialmente la mano. Tuo affezionatissimo amico C. Nigra
Roma, 26 maggio 1872
Carissimo amico, mi affrettai naturalmente a comunicare l'ultima letterina ad Emilio (Visconti Venosta ndr) ed a Quintino (Sella ndr). Visconti sarebbe assai desideroso che la tua proposta sul palazzo della Legazione potesse essere accolta, e ne parlò anch'egli al suo collega. Questi mi disse che egli non sa far direttamente la compera dal Governo francese senza essere prima autorizzata dalla Camera; che perciò il miglior mezzo sarebbe di trovare alcuno che servisse d'intermediario, vale a dire facesse l'acquisto per se e lo cedesse poi al Governo, dopo che la Camera avesse dato il suo consenso. Siccome il Commendatore Balduino è ora a Parigi, Quintino m'incarica di pregarti di parlargli di cotesto argomento, e di dirci subito che cosa ne pensa. Forse, anche Cavaglion, galantissimo com'è potrebbe o per sé o per la Banca Franco-Italiana, addivenire all'acquisto e cederlo poi al Governo mediante un'annualità da stabilirsi. Tenta un po' se pare a te di proporglielo, nel caso in cui Balduino non volesse occuparsene egli stesso. Il pericolo è che la Camera rifiuti il suo assenso. sai che lo stesso Cavour ebbe contro il voto della Camera nel celebre affare della casa Pollone. Ciò che complica la faccenda si è la necessità in cui ci troviamo di chieder denari alla Camera per la costruzione d'un Palazzo a Costantinopoli. L. S. Torta ci regalò un terreno ad hoc; malgrado ciò occorre circa un milione. Ma altro milione è necessario per Parigi. Sono due pillole difficili a far ingoiare nel tempo stesso a Sella ed alla Camera.
E' bene che tu conosca queste difficoltà, non per smettere dal tuo disegno che io approvo con calore, ma perché ti persuada che la mia buona volontà e quella d'Emilio possono trovarsi a fronte di difficoltà quasi insuperabili. Addio carissimo. Salutami Costantino II e ricevi una stretta di mano dal tuo vecchio amico Artom
Artom è inviato straordinario e Ministro Plenipotenziario, incaricato delle funzioni di Segretario Generale degli Esteri
Roma, 28 giugno 1872
Nella spedizione che le faccio oggi, Ella troverà copia di un rapporto del R. Ministro a Costantinopoli, e di un mio dispaccio a quel R. Rappresentante, riferentisi l'uno e l'altro alla questione degli Armeno-Cattolici.
Ella vedrà qual motivo abbia indotto il R. Ministro a tener parola di quell'affare a Server Pacha, ed in quali termini egli abbia ciò fatto. Vedrà pure che il Governo del Re se non stimò di dover esprimere un'opinione sulla questione degli Armeno-Cattolici nelle varie fasi anteriori, non poteva però disapprovare una conversazione del suo Ministro a Costantinopoli quando il linguaggio tenuto era conforme ai principi notoriamente professati dall'Italia.
Ma siccome il passo fatto dal signor conte Barbolani presso Server Pascià potrebbe dar luogo ad altre interpretazioni, cosi qualora V.S. fosse in proposito interrogata, Io desidero ch'Ella risponda senza ambage che la politica italiana in questa questione si riassume tutta nella parola astensione. Artom
IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM,
AI MINISTRI A PARIGI, NIGRA, A VIENNA, DI ROBILANT
E AGLI INCARICATI D'AFFARI A BERLINO, TOSI, A LONDRA, MAFFEI,
.E A PIETROBURGO, MAROCHETTI
Roma, 17 agosto 1872
La questione del progetto di una riforma giudiziaria in Egitto, entrata, dopo il recente viaggio a Costantinopoli di S.A. il Khedive, in una nuova fase, richiama in questo momento su di sé l'attenzione dei principali Governi.
Credo utile per conseguenza di inviarle qui unito un esemplare della relazione presentata a S.E. il Ministro di Grazia e Giustizia dalla Commissione istituita presso di noi e l'esame del progetto ulteriormente elaborato dalla Commissione riunitasi nel 1870 al Cairo, progetto che lasciava in sospeso vari punti importanti dell'allegata riforma. Le proposte contenute nella qui unita relazione frutto di studi profondi e coscienziosi sono quelle che il R. Governo intende sostenere qualora, come esso lo desidera, la questione della riforma divenga l'oggetto di una ulteriore ed ampia discussione. Collo studio di questo documento la S.V. potrà dunque mettersi in grado di esporre le vedute del Governo di S. M., ove le accadesse di dover entrare, con qualcuno dei suoi colleghi nel merito della questione.
Come Ella vedrà dai documenti diplomatici che oggi Le invio, una riunione preliminare dei rappresentanti delle Potenze ebbe luogo a Costantinopoli nella quale il conte Barbolani formulò alcune riserve per parte del Governo del Re. Noi attendiamo in questo momento i processi verbali di quella riunione per determinare quale via ci convenga ulteriormente seguire in una vertenza che, come ben sa la S.V., tocca molti interessi dell'Italia.
Intanto Io la prego, colla scorta di questi documenti in cui è descritta la situazione attuale e il contegno finora tenuto dal R. Governo, di volermi procurare colla maggior diligenza tutte le informazioni che Le verrà dato di raccogliere circa la condotta e gli intendimenti del Governo ... nella presente congiuntura. Artom
Roma, 31 agosto 1872
Carissimo amico, perdonami di non aver risposto prima d'ora alla tua lettera circa il tuo colloquio con T. (Thiers o Thouvenel ndr). Fui in tutto questo mese occupatissimo. Visconti era via, Peiroleri pure e Tornielli, che non prese congedo, andava però ogni giorno a Palo a fare i bagni di mare, nel che spendeva quasi l'intera giornata. Ero quindi solo, per gli affari correnti e le cose politiche, e m'era quasi impossibile rispondere alle mie lettere particolari. Naturalmente però non posi tempo in mezzo per mandar copia a Visconti della tua lettera. La comunicai pure a Scaloia ed a Castagnola, e Sella benché fosse assente n'ebbe pure notizia. Mi astengo dall'entrare sull'argomento. So che F. ha ricevuta la nota: e che S. e V. lo vedranno fra breve. Io vedo enormi difficoltà soprattutto parlamentari. Fra breve i Ministri saranno qui e potranno farti conoscere la loro opinione. Visconti mi scrisse che sarà qui giovedì. Il Barone Ricasoli mi pregò di mandarti un piego da lui diretto al Barone d'Ideville, di cui ignora attualmente l'indirizzo. Ti sarà facile procurartelo od agli Esteri od altrimenti l'Ideville dev'essere ora una celebrità dopo che Dumas (figlio ndr) gli ha indirizzato l'Homme-Femme (una pubblicazione in cui risponde a Henri d'Ideville sul tema dell'omicidio della moglie da parte di un marito tradito ndr).
Io passai alcune settimane molto bene a S. Moritz. Ma poi caddi qui in pieno caldo e nella stagione delle febbri. Finora le ho evitate; vorrei poter andar ancora per qualche giorno a veder la mia famiglia che trovasi a nervi ai bagni di mare. Aspetto però a decidermi dopo il ritorno di Visconti. E tu come hai passato l'estate? Spero che avrai fatto qualche gita frequente a Dieppe o a Trouville. Ho pregato Balduino di presentarci una proposta concreta per l'acquisto della tua bellissima casa. Se esso è moderato, spero ottenere da Sella che la presenti alla Camera. L'empirismo si è che nel tempo stesso s'è dovuto provvedere per la costruzione d'una casa al Giappone, ove non vi sono nemmeno alberghi, e si dovrà pensare a fabbricare a Costantinopoli ove abbiamo da un anno un terreno datoci ad hoc dal Sultano. Sella digrigna i denti quando gli si parla di tali spese. Fammi il favore di dire a Ressman che il piego della Contessa fu consegnato al Doria, che ne rilasciò ricevuta. salutalo a mio nome e pregalo di salutare per me la Diva, di cui è il costante e fedele adoratore. Peiroleri è giunto oggi.
Addio, scrivimi tosto ed ama il Tuo affezionatissimo Artom
Roma, 17 ottobre 1872
Carissimo amico, ho consegnato a Visconti la tua letterina colla nota dei vini. Finora questi non sono arrivati. Ti ringrazio d'avermi fatto spedire le 50 bottiglie del vino d'Alsace e ti prego di dirmi se devo farne pagar l'importo a Bordiana o qui al tuo procuratore.
Ti mando per mezzo del comune amico Allieri, un libricino in latino maccheronico che ebbe qualche successo a Roma in questi giorni. Il Papa, a quanto dicesi, lo lesse due volte e rise di gran cuore di questa burletta fotografica del Concilio Vaticano. Il Libraio Loescher ne vende molte copie a dei prelati, i quali avrebbero voluto poterne esaurire l'edizione, per sopprimerla. Se questa lettura procura anche a te ed a Ressman qualche momento di buonumore, sarò lieto di avervelo mandato come augurio di capo d'anno.
Vimercati parlò con Sella circa l'acquisto del Palazzo della Legazione ed assicura di avere ottenuto il suo assenso. Egli calcola d'arrivare a Parigi la settimana ventura e combinerà tutto con te e con Foubert. Siccome io temo che la vita del Ministero non abbia a durar molto, converrebbe non perder tempo e mandar subito delle proposte formali per iscritto. Vimercati chiese a Visconti a nome di Benedetti padre una piccola croce della Corona pel figlio di Benedetti Addetto alla Legazione di Francia a Washington. Non sarebbe invero cosa da potersi rifiutare. Ma credi conveniente di chiedere al Governo Francese l'assenso per ciò? Non è come non chiederlo trattandosi d'un diplomatico francese? Io ti prego di dirmi il tuo avviso, giacché preferirei che il figlio di Benedetti attendesse ancor qualche anno questa inutilissima crocifissione, anziché mettere te in impacci per cosa da nulla come questa. Attenderò quindi due righe tue a questo proposito. Autieri va per la prima volta a Parigi. Benché egli sia ora fuori dalla politica, è pur sempre un osservatore intelligente ed accurato, amatissimo dell'Italia ed intimo di Visconti. Egli non ha d'uopo d'esserti raccomandato. Se potrai aiutarlo farsi un concetto esatto delle cose francesi (finanziarie e politiche) presentandolo anche ad alcuno, te ne sarò grato anch'io.
dammi tue notizie e fammi scrivere anche da Ressman. Salutalo a mio nome ed ama sempre il Tuo vecchio amico Artom
Roma, 8 dicembre 1872 - lettera inviata anche all'Ambasciatore De Launey a Berlino
Chiamo la speciale attenzione di V.S. Ill.ma sui carteggi raccolti nei n. III, IV dell'incartamento 31 dei documenti litografati. Quei carteggi si riferiscono a gravi questioni di diritto pubblico riflettenti le relazioni non dell'Italia soltanto ma anche di molti altri Paesi con gli Stati dell'America meridionale.
Dalla corrispondenza del Perù Ella rileverà in qual modo ancora una volta per forza degli avvenimenti sia stato colà praticato l'asilo diplomatico in favore dei compromessi politici del Paese. Pare all'Italia che la gravità degli avvenimenti giustificasse la condotta dei rappresentanti esteri sulla quale non sembra si siano fatte serie osservazioni da parte dello stesso Governo peruviano. Io desidererei nondimeno conoscere se il nostro giudizio sia conforme a quello del Governo francese che al pari di noi avrà dovuto occuparsi di questa questione.
Un conflitto di legislazione nacque in Guatemala nell'applicazione della legge militare agli Italiani nati in quel paese. Dei termini e dell'indole di tale questione V. S. potrà informarsi sulla scorta dei documenti sopra indicati. Per quanto ci riguarda abbiamo dato delle istruzioni tendenti a salvare il rispetto della legislazione d'origine in materia di diritti personali senza però ricorrere ad atti che potessero minimamente impegnare la nostra condotta nelle relazioni internazionali, che vogliamo conservare con quel paese. Dal canto suo il rappresentante italiano in Guatemala si adoperò ad eliminare la causa dell'incidente od almeno a rendere meno sensibili le difficoltà che s'incontravano nel contrasto delle due legislazioni fondate su principi opposti. Ma la controversia non è nata solo fra quella Repubblica e l'Italia e siccome dai carteggi, ai quali mi sono più volte riferito risultò che anche altri Governi ebbero a far sentire le loro proteste al Guatemala per questo stesso affare, così Io bramerei ch'Ella mi facesse conoscere il giudizio che intorno al medesimo porta il Governo francese.
Più grave poi di tutti è la questione che, sotto forma diversa ed a proposito di differenti affari, si ripresenta tanto a Buenos Ayres quanto a Montevideo circa la definizione dei limiti entro i quali si circoscrive naturalmente l'azione diplomatica dei rappresentanti esteri. Prego V.S. di attentamente considerare ciò che in proposito scrivono i RR. Incaricati d'affari in quei paesi. A Montevideo soprattutto la pretesa del Ministro degli Affari Esteri è giunta a tal punto da respingere l'intervento della diplomazia anche quando a questa tocca di richiamare il Governo all'osservanza degli impegni assunti mediante transazioni aventi carattere diplomatico. La maggior parte delle Legazioni colà stabilite, compresa anche quella degli Stati Uniti, ebbe a sostenere senza frutti delle discussioni assai vive col Governo Uruguayano. Certamente la Francia avrà dovuto dare a questo riguardo delle istruzioni, del senso delle quali mi riuscirebbe grato aver precise notizie.
A noi sembra importante che, dal momento in cui si fa sempre più visibile la tendenza dei Governi sud-americani di stabilire un diritto nuovo talmente limitativo dell'azione diplomatica estera da renderne quasi impossibile l'esercizio per la legittima e necessaria tutela degli interessi degli stranieri, ai nostri Agenti in quei lontani paesi venga tracciata una linea di condotta seguendo la quale possano esser sicuri di trovare all'evenienza l'appoggio dei colleghi delle maggiori Potenze. E per dettare le istruzioni a tal fine necessarie a noi occorre di essere informati del senso di quelle che le Potenze stesse danno ai loro rappresentanti.
Trattandosi di stabilire per tal guisa un implicito accordo fra le Potenze che hanno analoghi interessi in quei paesi noi ci lusinghiamo che la Francia non avrà alcuna difficoltà a farci conoscere il suo modo di vedere ed a. parteciparci il senso delle istruzioni che darà alle sue Legazioni presso l' Argentina e l'Uruguay. Artom
Parigi, 10 gennaio 1873
Mio Carissimo Artom, Nel nostro piego ufficiale d'oggi troverai un dispaccio di Serie politica s. n. col quale si raccomanda il Sig. Luigi Carraud per una decorazione. Mi farebbe personalmente piacere che questa raccomandazione fosse bene accolta, e quindi, in pieno accordo con N. e anzi dietro sua istigazione, ti prego di voler tenere aperto il meno occupato dei tuoi occhi su quel foglio affinché la cosa non vada in oblio e l'esito sia favorevole e possibilmente pronto.
La verità vera è che nella massa di questa popolazione (della parigina, bene inteso) la notizia della morte di Napoleone III è accolta coll'esclamazione già divenuta formula: "quel débarras" (che liberazione ndr).
Tre anni fa, un leggero gorgoglio negli intestini imperiali era accolto dalla Borsa con tre franchi di ribasso; il primo effetto del messaggio di morte fu ieri quello di provocare in tutta la coulisse una recisa tendenza ad aumenti.
O sorti umane! Visibilmente nulla è mutato nell'aspetto della città: la sparizione delle baracche di capo d'anno e un po' di freddo la rendono anzi (almeno finora) più deserta che negli ultimi quindici giorni.
Ebbi di nuovo l'occasione di trovarmi ieri l'altro a pranzo e poi in conversazione en tete a tete colla tigre di Tours, col Dauphin de la République. Egli crede fermamente che nel prossimo luglio avranno luogo elezioni generali per una nuova assemblea e dice che sfida l'attuale a prolungare la sua permanenza oltre all'evacuazione del territorio che secondo lui non può protrarsi oltre il mese di giugno. E' pieno di fede nella coesione e vitalità del suo partito (dico suo) e mi confessò che aveva organizzata in tutti i dipartimenti di Francia una specie di polizia sua che gli permetteva di seguire, quasi ora per ora, il movimento dell'opinione in ogni punto del territorio. In quanto all'opera della Commissione dei Trenta, Egli crede che correranno ancora due mesi prima che ne esca un risultato, ed a suo giudizio questo risultato non eccederebbe una proroga dei poteri del Sig. Thiers e qualche Istituzione d'importanza secondaria e non sarebbe in nessun caso la creazione d'una 2a Camera (nel che Gambetta non trovasi punto d'accordo con molti suoi colleghi della sinistra). L'ex dittatore mi disse inoltre che probabilmente l'interpellanza De Bourgoing non avrà seguito.
Ti riferisco tutto ciò come semplice curiosum. Ma è innegabile che da 24 ore le chances di G. vanno di nuovo crescendo. Mille saluti ai N. e un bacio dal tuo vecchio amico Costantino Nigra
Roma, 26 febbraio 1873 (confidenziale)
In seguito alle comunicazioni favoritemi da V.S. e da me trasmesse al Ministero dell'Interno, furono fatte delle indagini per appurare varie circostanze relative ai maneggi del Partito d'azione. Ed ora il Ministero dell'Interno mi fa sapere di aver motivo di credere che della macchinetta elettrica, di cui parlava il Prefetto di Polizia di Parigi, si sia bensì tenuto un discorso dal Dubois, Bosio Mariano ed altri della Comune di Marsiglia, ma non per servirsene in Italia. Il modello di tal macchina sarebbe stato spedito a Londra al Pyat pel Comitato di colà. Le nostre Autorità sperano di giungere a scoprire l'autore di questo pericoloso congegno; non pare però che sia la persona stata indicata alla polizia francese. Si conosce che la macchina agisce colla dinamite accendibile coll'elettrico. Finora pare se ne siano fabbricate soltanto alcune per Barcellona, dove il Dubois predetto si troverebbe da qualche tempo con altri cinque notabili fautori dell'Internazionale.
Al quale proposito stimo opportuno che V.S. sappia essere stato notato dalle nostre Autorità un maggior movimento negli uomini appartenenti al Partito avanzato dopo che la situazione della Spagna loro offre speranze che prima non avevano.
Né debbo nasconderle che anche in Belgio vi siano fondate apprensioni di tentativi che il Partito radicale vorrebbe estendere prima al Portogallo e poscia alla Francia ed al Belgio, sperando di trascinare nel vortice di una rivoluzione anche l'Italia.
A questo riguardo il R. Ministro a Bruxelles ha richiamata l'attenzione del Ministero sulle relazioni che Egli dice esistere fra i capi del Partito rivoluzionario di tutti i paesi sopranominati, ed è notevole che in questi giorni, appunto si siano moltiplicati gli avvisi che il nostro Ministero dell'Interno riceve sui convegni che hanno luogo in Svizzera fra i membri più esaltati del Partito sopra indicato.
Le notizie raccolte su tali convegni non sono però abbastanza specificate per poter formare oggetto di comunicazioni al Governo francese che secondo le intelligenze prese, spero vorrà continuare a farci conoscere le informazioni che egli stesso riceverà sui tentativi che minacciano la causa dell'ordine sociale in tanta parte dell'Europa. Artom
Roma, 26 febbraio 1873 (confidenziale)
Gli ultimi casi di Spagna hanno risvegliato le speranze di alcuni fautori del Partito borbonico anche in Italia. Ed il Ministero dell'Interno mi ha a questo proposito notificato che il signor Alfredo Dentice, cavaliere di Compagnia del conte di Trapani, è arrivato recentemente a Napoli proveniente da Parigi.
Sembra che egli abbia portato istruzioni del partito legittimista francese poiché, dopo aver avuto frequenti colloqui coi noti borbonici di Napoli, fece partire per Parigi il signor Enrico Podestà, incaricato da un comitato borbonico di tenersi a disposizione del conte di Trapani per l'eventualità che le cose di Spagna volgessero in modo conforme ai desideri dei Borboni.
Di queste informazioni Ella vorrà fare quell'uso discreto che le sembrerà più opportuno, procurando tuttavia tenermi informato di tutto ciò che possa interessare la sicurezza pubblica del Regno contro i maneggi delle persone aderenti al partito borbonico. Artom
Parigi, 28 marzo 1873
Carissimo Amico, Se i pigri non si compatissero tra loro, chi li compatirebbe? Metti dunque Tu pure sul conto della mia pigrizia il ritardo della risposta che devo alla graditissima tua del 7 corrente. Cosi sarò più sicuro della tua indulgenza. Nel fatto passai in grazia delle continue variazioni del tempo un pessimo mese, accorgendomi ora per ora in modo più duro degli inesorabili rigori della vecchiaia. Da due giorni il sole risplende e con esso rinasco anch'Io un poco.
Grazie per le risposte che desti alle mie interrogazioni. Permettimi tuttavia di non dirmi soddisfatto delle tue previsioni (che d'altronde spero essersi modificate fino ad oggi) sulla tua permanenza nel Ministero. Confido che il solito spettro rimarrà più a lungo nel suo ripostiglio, e lo auguro per ragioni d'amicizia altrettanto quanto nell'interesse del paese. Capisco che il non digerire sia divenuto per Te un potente motivo onde augurarti un altro clima; ma sei bene sicuro che un altro cielo basterebbe per renderti capace di mangiare i polli senza spennarli? Altre volte anch'Io non avrei esitato a mandare il mio stomaco ad un'esposizione universale di macchine di distruzione, ed oggi devo scendere a trattative colla più piccola fettina di patata prima d'inghiottirla, per tema che non si vendichi. La libertà - ch'é sì cara,oh sì! - ed il moto, più d'ogni meglio depurata atmosfera, sarebbero i soli veri medici, come per noi entrambi, Io credo, il tavolino, l'eterno tavolino distillò il tossico. Comunque sia, se la sinistra sorte davvero volesse che ve ne andiate, fateci la carità di avvertircene in tempo, onde N. ed Io possiamo chiudere senza troppa precipitazione le valigie. Ti ripeto le sue parole. Per me, se dovessi chiuderle, ti confesso che mi vedrei gettato in una lotta terribile con me stesso, giacché vedo per me l'avvenire in questa disgraziata carriera cosi nero, così desolante, anche nelle migliori ipotesi, che non una, ma cento volte al dì mi domando se non sia più savio il fare getto delle fatiche finora spese e cercare almeno quel beneficio che é un domicilio ed un padrone fisso in una qualsiasi diversa via. La tua amicizia non mi farà carico di questa profondamente sincera confessione.
N. Ti prega di fargli sapere se il Ministero sia sempre disposto in modo favorevole per l'acquisto del palazzo della Legazione. Il progetto di vendita è ora sullo scrittoio del Sig. Calmon che manifestò a N. la fiducia di poter ottenere dal Consiglio municipale la vendita senz'asta pubblica, qualora si trattasse del Regio Governo. Il prezzo indicato dal progetto è di un milione, più 65.000 franchi circa per spese e tasse.
Giustificazioni più plausibili della domanda concernente il Sig. Louis Carrand che quelle puramente archeologiche, Tu le troverai rileggendo con un po' di benevolenza il dispaccio dell'8 gennaio col quale N. fece la proposta, che voi aveste la crudeltà di accogliere meno bene che le raccomandazioni del Sig. Edmondo à bout (et depuis longtemps!). (alla fine e dopo molto tempo ndr). Confido tuttavia ancora che la mia propria intercessione presso di Te, aggiunta all'attestazione ufficiale di N., varrà a rimuovere le esitanze e a far accordare un favore che per questa volta, credimelo, cadrà per avventura molto meglio che in cento altri casi in cui lo si prodiga.
Pensa alle enormi economie di croci che Io stesso, colle piccole mie forze, ebbi ed ancora sovente ho la fortuna di farvi! Ce ne vuole perché un'eccezione abbia anche il mio suffragio! In fatto, il raccomandato, benché scriva d'archeologia in periodici, non è uno scrittore archeologo noto per libri all'estero, né quindi mi sorprende che sia ignoto al Ministero dell'Istruzione Pubblica. E' invece conosciutissimo qui per diligenza di ricerche e somma competenza pratica, per l'opera prestata a Musei, e per quei titoli a noi più specialmente cari che il dispaccio sopra accennato brevemente menzionava. Nieuwerkerke, che molto se ne giovava e lo stimava, saprebbe dirla più lunga sul suo conto che Fiorelli o Minervini. Ad ogni modo, siccome nel fatto non ha poi né inventata, né salvata l'Italia meglio delle migliaia di francesi che furono ed ancora saranno da noi decorati (e potrei citarne dei nuovissimi), crederei che il Ministero degli Affari Esteri possa bastare a proporlo a titolo onorifico anche senza l'intervento d'altri Dicasteri. Se dividi la mia opinione e se vuoi avere la compiacenza di dirne una parola in questo senso a Visconti Venosta, Te ne sarò grato, e te lo sarò doppiamente se vorrai farmi il piacere d'avvisarmi a cosa fatta.
Giovedì prossimo, 3 aprile, Colobiano ed Io avremo l'alto onore di condurre alla primaverile ara l'illustre collega Vimercati che impalma Mademoiselle Fougeroux, già istitutrice della sua figlia adottiva Ninetta, ora Madame de Girardin. La notte coprirà col suo rughifugo velo la cerimonia ecclesiastica che per grazia speciale poté essere fissata alle 9 p.m. Quando il diavolo si fa vecchio .........
La bella Contessa continua ad essere in tutti i furori contro la Legazione, al solo fine, Io credo, di sdebitarsi d'ogni riconoscenza per gli infiniti guai che il trasporto e la custodia delle sue casse cagionarono. Trovò imperdonabile di non essere stata invitata a pranzo insieme a papà Adolfo, e, a quanto essa medesima mi disse, credo che abbia sfogato anche con Te il suo profondo risentimento. Ma non dubito que vous savez a quoi vous en tenir. (sapete che cosa fare ndr) Confesso che il suo proprio modo di vivere qui m'ispira commiserazione; ma mi strazia l'animo di vedere come agisce col suo figlio che non riceve più nessuna specie d'educazione né d'istruzione e le serve puramente e semplicemente da galoppino.
Amami e ricevi la più affettuosa stretta di mano dal tuo sincero amico C. Ressman
P.S. Aggiungo le mie alle raccomandazioni di Ressman per la decorazione Carrand. Ed a proposito di decorazioni,ho fatto un cenno a Remusat della decorazione domandataci per Benedetti figlio (Francesco Giovanni Ferdinando). Remusat è soddisfatto dei servizi di questo suo segretario di Legazione e non vedrà certamente di mal occhio che venga decorato da noi. Ti saluto di cuore e ti stringo caramente la mano. Il tuo vecchio amico Costantino Nigra
Parigi, 30 aprile 1873
Mio caro Amico, Ho scritto oggi a Visconti par raccomandargli di far accordare la decorazione di Cav. di S. Maurizio a Buloz (Carlo) figlio unico e successore futuro del direttore della Revue dea deux Mondes. Buloz padre è vecchio e malato. Oramai è il figlio che dirige la Revue. Non ho bisogno di dire a Te quali e quanti servizi rese e rende all'Italia questa pubblicazione. E' il solo fra gli organi importanti dell'opinione pubblica europea che ci ha costantemente aiutati da 25 anni, con una rara fedeltà. E' utile che questa fedeltà si mantenga. Il giovane Buloz cammina sulle orme del padre, di cui divide i sentimenti e le idee a nostro riguardo. Ora poi si marita. Io vorrei che in questa occasione il nostro Governo desse a questa benemerita famiglia un segno della sua benevolenza. Ti raccomando specialmente questa proposizione di decorazione, e ti sarò grato se vorrai fare in modo che la decorazione stessa mi pervenga prima del 15 Maggio prossimo.
Barodet è deputato di Parigi. Remusat rimane agli Affari Esteri. Goulard all'Interno; Simon all'istruzione pubblica, e Thiers alla Presidenza. Non v'é che un deputato radicale di più. Ma la situazione s'aggrava di giorno in giorno. La maggioranza di destra sembra decisa a tentare le ultime prove contro Thiers, e sopratutto contro Simon e Remusat. D'altro lato mi si assicura che, anche nell'esercito, o per meglio dire nei generali, il malcontento, per non essere apparente, non è meno grande, e che ad ogni modo non si vuole ammettere un ritorno a Gambetta ed alla Comune.
Thiers intanto fa buon viso a cattivo gioco. Egli è molto tranquillo o almeno sembra tale. E' più che mai deciso a non cedere la partita e confida nella sua destrezza per vincere gli ostacoli e gli imbarazzi. Il vero è che il Governo di Thiers riposa sulla sua sola persona non sopra un sistema. Il sistema della Repubblica conservatrice, quale fu vagamente indicato da Thiers, al pari di quello che si personifica in Grevy, ha ricevuto e riceve continue scosse, e dubito molto che venga affermato nelle future elezioni generali, quando si faranno e se si faranno. Ma per ora e fino alla riapertura dell'Assemblea non ci sarà gran novità. La lotta comincerà appena l'Assemblea sarà riunita di nuovo. Ti stringo cordialmente la mano. Il tuo vecchio amico Costantino Nigra
P.S. I miei studi sul gergo dei Ruga, ai quali in punizione dei tuoi peccati t'ho fatto prender parte di quando in quando, mi valse l'insigne ed inatteso onore d'esser fatto membro della "Royal Irish Academy" di Dublino. Ma vedi strana coincidenza degli eventi umani. Nella medesima seduta il Padre Secchi fu pure nominato membro della stessa illustre società. Così che Io mi trovo socio del celebre Gesuita. Dopo l'incidente del Metro, è il caso di esclamare coll'Ariosto (tratto da l'Orlando Furioso ndr):
"O gran bontà dei cavalieri antiqui
Eran di patria, eran di fé diversi,
E si sentian degli aspri colpi iniqui.
Per tutta la persona anche dolersi.
Eppur per valli oscure e calli obliqui
Insieme van senza sospetto avversi ..."
Il mio buon Ressman ti saluta. Io fo il possibile per incoraggiarlo e tenerlo di buon umore. Ma non è molto bene in salute, è scoraggiato, e nella sua situazione la prospettiva del cambio a 20% non è fatta per allietarlo.
Roma, 10 maggio 1873
Con telegramma dell'11 aprile scorso V.S. Ill.ma mi informava che Mirza Malcom Khan, Ministro straordinario dello Shah di Persia, stava per partire alla volta di Torino e di Roma, allo scopo di compiere anche presso l'Augusto nostro Sovrano la missione di annunziargli una visita probabile del suo Monarca in occasione del viaggio ch'Egli sta per intraprendere in Europa.
Da quell'epoca in poi Io non ebbi alcuna notizia dell'Inviato persiano. Fremendomi perciò di sapere qualcosa in proposito, non solamente per mia norma, ma più ancora per darne ragguaglio a S.M., a cui avevo annunziato la venuta di Malcom Khan e la missione ch'egli doveva eseguire, prego V.S. Ill.ma di volermi porgere, su tale oggetto, tutte quelle informazioni che le riuscirà possibile di procurarsi. Ella avrà, senza dubbio facile modo di sapere per quale motivo il detto Inviato abbia modificato il suo progetto, come pure se, e quando precisamente, la di lui venuta a Roma debba ancora avverarsi. Artom
Roma, 18 maggio 1873
Caro amico, il voto di ieri avendo, almeno per ora, allontanato la crisi, posso dirti finalmente che Sella e Visconti si sono messi d'accordo con Joubert circa l'acquisto del Palazzo della Legazione. Intanto che arriverà a Parigi verso il 25 ti dirò meglio il modo. D'altronde ti scriveremo ufficialmente appena il Ministero delle Finanze ci abbia fatto conoscere per iscritto le sue intenzioni. Ci basti sapere fin d'ora che pare stabilito che il Governo compri direttamente dalla Città di Parigi: incarichi una Società (per es. quella di Balduino) di fare i lavori di riparazione necessari e di pagare il prezzo dell'acquisto, corrispondendo ad essa un'annualità determinata per 30 o 40 anni. Sarei felicissimo che la mia amministrazione potesse riuscire a questo risultato di lasciare a Parigi un hotel decente ad uso stabile della Legazione. Abbiamo già ottenuto lo stesso successo a Costantinopoli ove Barbolini è ora il felice possessore d'un palazzino discreto a Pera e d'una bella villa a Cerapia. Un'altra cosa mi sta pure a cuore: ed è di riuscire a far pagare in oro se non gli stipendi almeno l'assegno di rappresentanza ai diplomatici ed ai Consoli. Ho fatto a Sella una proposta a cui egli pare disposto ad aderire. E' vero che allora teneva per certa la crisi; e non mi stupirei che ora, se ne schermisse. Ad ogni modo ritenterò la prova. Vorrei pure far qualche cosa che giovasse al nostro bravo Ressman. Ma qui le difficoltà sono grandi. Non posso pensare a promuoverlo Consigliere. Siamo sotto il peso delle incessanti sollecitazioni di De Launey per Tovi, di Barbolani per Cova, di De Martino per suo figlio. Io vorrei che Visconti si decidesse a mettere a riposo alcuno dei più vecchi o dei meno capaci; ma non credo che ci riuscirà mai. Forse proverebbe a Ressman di rassegnarsi ad andare in qualche Legazione lontana, quando gli si potesse lasciare una lunga reggenza. Ma oltre che mi farei scrupolo di toglierti un così utile collaboratore, non so se vi siano quattrini che valgano il sacrificio di lasciar Parigi e cacciarsi per un paio d'anni in capo al mondo. Ed inoltre non è il solo nel suo caso. Maffei sospira il grado di Ministro da tanto tempo, che era proprio impossibile non dare a lui la reggenza a Madrid. Però se tu mi puoi suggerire un modo pratico di giovare al nostro amico, mi farai cosa grata. Nulla è penoso quanto il pensiero dell'impotenza d'esser utile, quando altri può credere che manchi nel fatto non la possibilità ma il buon volere. Collobiano mi scrisse per pregarmi d'accordargli un congedo. Digli a mio nome che non vi saranno difficoltà se tu appoggi la sua domanda. Non saprei però come rimpiazzarlo presso te. Credo che avrai ricevuta oramai la decorazione Buloz. Hai letto l'articolo di Bonghi sulla Revue? Che impressione ti ha fatto? Ti dissi che la crisi è scongiurata per ora. Ciò vuol dire che forse saremo costretti a passar l'estate a Roma. però il Ministero si trova sempre in condizioni poco liete. Sella vuole andarsene, perché non è d'accordo con Lanza e con Ricotti. De Falco e De Vincenzi non sono una forza e Visconti è stanco più di tutti. E' però un gran vantaggio d'uscir dal ginepraio della legge sulle corporazioni religiose. Forse sarà meglio scioglier la Camera, non ora, ma al principio dell'inverno. E' d'uopo che il paese decida se vuole il pareggio o gli armamenti. Addio carissimo. Dimmi che cosa ti proponi di fare quest'estate. Verrai in Italia? Andrai a Vienna? E Ressman che farà?
Scrivimi e ricevi una stretta di mano dal tuo vecchio amico Artom
Roma, 30 giugno 1873
Fra il Governo persiano e quello della Sublime Porta esiste attualmente una vertenza che sembra ancor lontana dal poter essere appianata, e che trasse origine dall'avere la Porta proclamato la decisione che i sudditi dello Scià dimoranti nell'Impero abbiano d'ora innanzi ad essere parificati, in fatto di giurisdizione a quelli del Sultano. Il Ministro degli Esteri della Sublime Porta, stimò necessario intrattenere su tale argomento, in questi ultimi giorni, l'Incaricato d'Affari di S.M. a Costantinopoli, e lo informò che in seguito alle rimostranze fatte dal Governo persiano contro l'accennato provvedimento ed alla resistenza opposta da quello del Sultano, i rapporti fra le due Corti erano tesi oltremodo. Il Ministro dello Scià, d'ordine del suo Sovrano si era da ultimo rivolto con apposito memoriale alla persona stessa del Sultano, onde fosse revocata la misura presa, e questi emanava un recente Iradé , con cui si afferma il diritto del Governo Ottomano di provvedere ai rapporti dei sudditi persiani con le autorità dell'Impero in base al principio della parità di trattamento, ordinando però nel tempo stesso che nell'applicazione di tale principio vengano usate alcune agevolazioni a favore dei sudditi dello Scià stabiliti in Turchia.
Istruzioni speciali vennero diramate in questo senso ai Governatori delle Provincie. Ciò malgrado la controversia sussiste ancora ed il Ministro dello Scià, nel mentre sta aspettando nuovi ordini del suo Sovrano, lasciò intravedere al Governo ottomano la possibilità di un'interruzione dei rapporti diplomatici tra i due Stati laddove continui l'attuale condizione di cose.
Il Ministro degli Esteri della Sublime Porta informava il R. Rappresentante che gli risulta essersi tenuta parola della vertenza dal Governo dello Scià ai Governi dei vari Stati, che il Sovrano della Persia ha testé visitato, ed aver esso l'intenzione di fare altrettanto con gli altri. Potendosi quindi presentare il caso che anche il Governo del Re abbia ad essere interpellato in proposito, è mio desiderio di conoscere previamente quale accoglienza abbiano ricevuta le rimostranze dello Scià dal Governo presso il quale V.S. Ill.ma è accreditata. Per conseguenza Io La prego di voler assumere informazioni su questo particolare, come pure sulle intenzioni di codesto Governo, riguardo al contegno da osservarsi nella vertenza indicata.
L'arrivo del Monarca persiano in Francia essendo imminente ritengo che V.S. Ill.ma sarà fra breve in misura di riferirmi su quest'oggetto. Artom
Parigi, 12 settembre 1873
Carissimo Amico, Non so se queste mie poche righe ti trovino già di ritorno in Roma.
Ad ogni modo ti scrivo per pregarti di dire al Ministro di far preparare il più presto possibile una nuova cifra per la Legazione di Parigi. Credo che la cifra attuale era già in uso nel 1866. I dispacci cifrati che il Generale Lamarmora ha pubblicato nel suo libro consigliano ad ogni modo il cambiamento del dizionario. Vorrei prendere un congedo e parlare un po' a lungo con Minghetti, con Visconti e con Te. Ne ho scritto a Visconti. Possibilmente vorrei evitare d'andare fino a Roma. Posso avere la probabilità d'incontrarti? Fammi il piacere di farmi sapere se sarai a Torino all'epoca dell'inaugurazione del monumento di Cavour (8 novembre 1873 ndr).
Il tuo vecchio amico Costantino Nigra
Parigi, 21 settembre 1873
Carissimo amico, La questione di cui tratta il dispaccio ufficiale che qui unisco può dar luogo ad un incidente grave. Perciò prima di fare qualsiasi passo stimo mio dovere di pregarti di richiamare sopra di essa tutta l'attenzione del Ministro ed anzi del Consiglio dei Ministri. Tu sai come è considerata qui la questione dal duca di Broglie. Essa è posta in questo modo. Il Governo francese sostiene che il Marchese Incisa tacque la sua qualità di ufficiale di Stato Maggiore italiano fin dopo l'arresto; che tale qualità non era inscritta sul passaporto; che l'Incisa fu colto levando piani di fortilizi e di passaggi sulla frontiera francese e pigliando note militari. Sostiene che conseguentemente si era in diritto d'agire come s'è agito, e di sequestrare le di lui carte. L'affare fu portato qui in Consiglio dei Ministri ed esso fece un'impressione molto spiacevole su Mac Mahon, il quale insistette sul posto occupato dall'Incisa nella divisione comandata dal Principe Umberto. Ora dunque si tratta di sapere se costì si vuol dar seguito all'incidente. Il duca di Broglie m'ha detto che avrebbe lasciato cader la cosa, se la nostra stampa non se ne occupava; ma che in caso diverso il Governo francese avrebbe difeso vivamente ed avrebbe fatto difendere il suo operato. Quanto alla Legazione, appena da una lettera d'Incisa fui informato dell'arresto, feci i passi necessari per la sua liberazione. Questa fu ottenuta anche prima che Io avessi avuto il tempo di parlarne a Broglie.
Conviene pertanto esaminare la questione di fatto, la questione di diritto ed infine la questione politica. L'eccitazione sulle due frontiere è grandissima. La riproduzione di simili fatti può sollevare quando che sia un incidente d'indole grave. E' mio debito il farne avvisato il Ministero.
Ora poi, esaminata la questione sotto i suoi vari punti di vista, prego, anzi supplico il Ministero di mandarmi un ordine preciso. Io non voglio assumere la responsabilità d'un passo in questa questione. Desidero che il Ministero mi dia un ordine che Io eseguirò fedelmente. Perciò ti prego di considerare il dispaccio del 17 settembre come non avvenuto e di mandarmene un altro con istruzioni determinative, se così sarà giudicato.
Devo poi far osservare che la Legazione, per regola generale, approvata dal Ministero, non può entrare in corrispondenza con RR. sudditi dimoranti nello Stato e tanto meno con ufficiali del R. Esercito che si trovano sotto le bandiere in Italia.
Io non posso quindi accettare la lettera del Marchese Incisa. Ti prego di farlo sapere al Ministro della Guerra, il quale senza nessun dubbio approverà questa regola utilissima, e vorrà restituire colle debite osservazioni la sua lettera al Marchese Incisa. Questi poi avrà a dirigere le sue istanze al Ministero, ma non a me.
Scusami, Ti prego, questa lunga e noiosa lettera e ricevi una buona stretta di mano,
dal tuo affezionatissimo amico C. Nigra
Roma, 26 settembre 1873
Carissimo amico, ho ricevuto la lettera che hai consegnata a Villa per me. Desidero anch'io assai di poterti abbracciare e spero d'averne un'occasione nella feste che si faranno a Torino per l'inaugurazione del Monumento a Cavour. Sai che l'epoca non n'è ancora fissata; è probabile che sia nei primi giorni di novembre. Mi propongo d'andare a Torino in quell'epoca, ma non posso garantire per ora di poterlo fare. Ho pure ricevuto l'altra tua lettera, relativa al nostro dispaccio del 17 settembre. Non volendo lasciarti senza risposta lungo tempo, ne parlai col C.le Cantelli ed avendo egli approvato il mio invito di autorizzare te a ritenere quel dispaccio come non spedito, lo pregai di avvertirne ad ogni buon fine il Gen. Ricotti. Oggi appunto il C.le Cantelli venne a dirmi che il suo collega ci lascia piena libertà di non dare alcun seguito al reclamo di cui si tratta. Puoi dunque mettere l'animo in pace, che da questo lato non avrai difficoltà. Il dispaccio che io t'avevo spedito era stato redatto in modo, per espressa mia volontà, che tu avessi pienissima facoltà di fare quello che a te sarebbe sembrato opportuno. Comprendo però che tu preferiresti ora di non assumerti alcuna responsabilità. Ho quindi fatto apporre sulla minuta del dispaccio l'annotazione: annullato.
Visconti e Minghetti non arriveranno che lunedì o martedì. Suppongo che ti scriveranno particolarmente sugli argomenti più interessanti. io mi limito per ora a mandarti queste poche righe. Ti stringo affettuosamente la mano. Tuo Artom
PS. Le dimostrazioni fatte qui pel 20 sett. non furono punto dirette contro la Francia, ma contro i zuavi papalini. Del resto la Polizia fece il possibile per prevenirle anche con arresti numerosi.
Parigi, 9 ottobre 1873
Caro Amico, Anzitutto lascia che ti ringrazi di cuore della tua buona lettera. Spero di vederti in Italia presto. Io conto di partir di qua fra cinque o sei giorni. Sarò a Torino il 16 ed a Milano il 17, ed in quest'ultima città spero d'incontrarmi con Visconti. Inutile ch'Io ritardi più oltre il mio congedo, giacché oramai non si potrà più trovare alcuna correlazione fra questo congedo ed il viaggio del Re; e d'altra parte il Governo francese ha deciso che Pournier prolunghi il suo congedo, in guisa che non si trovi a Soma quando si voterà, o si discuterà la Monarchia all'Assemblea. Confidenzialmente poi ti dirò che credo che Pournier non tornerà più.
Ti dirò il rimanente a quattrocchi. Il tuo vecchio amico Nigra
Pisa, 27 ottobre 1873
Mio caro Artom, Ho convenuto con Visconti ch'Io ti terrei informato dei miei movimenti.
Io vado domani a stabilirmi ai Bagni di S. Giuliano alle porte di Pisa. Ho cominciato una cura per dolori reumatici e vorrei proseguirla interamente, se è possibile. Perciò, salvo il caso d'urgente ed assoluta necessità prego il Ministero di lasciarmi qui tranquillo per quindici o venti giorni. Visconti ebbe l'amabilità di promettermi che, se avesse qualche cosa da farmi sapere o da domandarmi, ti avrebbe pregato di fare una gita a Pisa. Non dispero quindi di vederti qui, e questa passeggiata farebbe bene anche a Te. Io sono assolutamente solo nello stabilimento di San Giuliano, la stagione balneare essendo terminata da un pezzo. Ma mi trovo soddisfattissimo di questi bagni. Ho partecipato a Visconti i miei desideri. Egli te ne parlerà. Conto sulla tua amicizia perché Tu non li combatta. Una lettera che ricevo oggi da Parigi reca quanto segue: "Les nouvelles politiques aujourd'hui sont un peu meilleures. On considere comme un symptome favorable que la réunion de la Chambre n'ait pas été avancée. La Droite n'en a pas maime fait la proposition a la Commission de permanence, d'après l'avis du Gouvernement, dit-on. Le Centre gauche semble très ferme et très uni. On espère beaucoup qu'il n'y aura pas de défection de ce coté. Les lettres de Jobert, Andre, Drouin, De Normandie etc. députés très conservateurs, qui ont assuré leurs votes a la République, ces lettres, parait-il, ont fait une profonde et très bonne impression. Il est impossible de rien préciser. Ce qui est certain c'est que les esprits s'agitent, que les rapports des Préfets sont absolument contraires a la Monarchie, et que si les royalistes perviennent a la faire déclarer, il y aura, je crois avoir de bonnes raisons pour n'en pas douter, un mouvement considérable dans le pays. L'armée est antimonarchiste. Pourra-t-on compter sur elle pour le reprimer?".
(Le notizie politiche oggi sono un poco migliorate. Si considera come sintomo favorevole che la riunione della camera non è stata annunciata. La destra non ha neppure fatto la proposta alla Commissione di permanenza, dopo il consiglio del Governo, diciamo. Il centro sinistra sembra fermissimo e unitissimo. Si spera molto che vi saranno defezioni da questa parte. Le lettere di Jobert, Andre, Drouin, De Normandie etc. deputati molto conservatori, che hanno assicurato i loro voti alla repubblica, queste lettere, pare, hanno fatto profonda e assai buona impressione. E' impossibile precisare qualsiasi cosa. La cosa certa è che gli spiriti si agitano, che i rapporti dei Prefetti sono assolutamente contrari alla Monarchia e che, se i Regalisti riescono a farla dichiarare, si avrà, credo di avere buone ragioni per non dubitarne, un movimento considerevole nel paese. L'esercito è antimonarchico. Potrà contare su di essi per reprimerlo? ndr).
Bada però che queste notizie emanano da una sorgente bonapartista. Saluta Visconti e ricevi una stretta di mano dal tuo affezionatissimo amico Nigra
Parigi, 28 novembre 1873 (lettera di Ressman ad Artom)
Amico carissimo, Un estratto dal Soir di ieri, che qui unisco e che concorda con notizie date da molti giornali e ripetute in molti circoli seri ti proverà quale sia la situazione in un paese in cui è possibile che simili colpi siano anche soltanto immaginati, e che sia anche soltanto senza ridere raccontato che lo furono. Non sono nei segreti del Conte di Chambord e non posso quindi riferire questa storia che come una semplice stranezza; ma devo ancora aggiungere che fu non meno seriamente attribuita al Conte l'intenzione di presentarsi in persona all'Assemblea, qualora la discussione sulla proroga avesse presa un'altra piega, e di esclamare, modificando un poco la frase di Choufleury "Me voici! je suis lui!". Anzi alcuni predicono che l'occasione d'un tentativo di genere più o meno simile sarà afferrata un'altra volta, e il recente articolo solennissimo dell'Union che vi mandai non dimostra invero che Enrico V abbia lasciata ogni speranza. Senonché, i chevaulégers (cavalleggeri ndr) sono in quest'ora furiosi ed accusano Broglie di tradimento, minacciando di far crollare alla prima occasione il nuovo Gabinetto. Questa mattina si parlava anzi d'una nuova crisi ministeriale, prima quasi che il Ministero si trovi in funzione. La burrasca sarà probabilmente evitata per ora; dubito che lo sia a lungo.
Vedendo da una letterina ch'ebbi da Nigra, ch'Egli sarà in breve a Roma (dove Io già lo credevo arrivato) mando qui unita a Te una lettera che gli è destinata e che tu pure non leggerai senza ammirazione pei Prefetti francesi dell'ordre moral. Antica storia narra cosi. Tuo di cuore C. Ressman
Roma, 24 dicembre 1873
Da un rapporto testé pervenuto dal R. Rappresentante in Rio Janeiro risulta che il Governo brasiliano, commosso dalla notizia che il congresso argentino teneva delle sessioni segrete per dibattere un progetto di alleanza col Perù, la Bolivia e l'Uruguay contro il Brasile, il Cile ed il Paraguay, diresse una nota al Gabinetto di Buenos Ayres allo scopo di chiedere spiegazioni sulle voci che correvano ostili all'Impero. Il Signor Tejedor rispose con una nota nella quale egli protesta dei sentimenti di amicizia della Repubblica verso il Brasile, dichiarando che questioni dei limiti del Paraguay non sono tali da far temere per la pace.
Questa Nota fu pubblicata dal giornale ufficiale dell'Impero ed a quest'ora Ella ne avrà potuto aver cognizione dai pubblici fogli.
Il barone Cavalchini ebbe inoltre una conversazione in proposito col Ministro degli Affari Esteri del Brasile. Questi dopo aver constatato che per il momento le velleità guerresche della Repubblica Argentina parevano svanite, aggiunse non essere però scomparso ogni pericolo di complicazioni, giacché tutti i partiti che aspirano a popolarità hanno preso il vezzo di mettere sulla loro bandiera • guerra all'Impero •. Ciò naturalmente non manca, continuò, di creare difficoltà al Brasile, il quale dal canto suo ha sempre rispettato colla massima scrupolosità i diritti e le istituzioni degli Stati limitrofi ed in particolare i suoi incomodi vicini del Rio della Plata, dimostrando colla sua moderazione nella recente guerra del Paraguay che non nutriva mire ambiziose su quelle Repubbliche.
Il Visconte di Caravellas terminò assicurando che il Gabinetto di Rio avrebbe evitato qualunque occasione che potesse far nascere un conflitto pregiudizievole agli interessi generali in quelle contrade.
Da quanto Le ho esposto Ella potrà scorgere che fortunatamente sono allontanati i pericoli d'una rottura imminente.
Sussistono però ancora delle cause di malumore; noi crediamo quindi che l'azione conciliatrice esercitata in comune dalla diplomazia italiana e francese sia a Rio De Janeiro che a Buenos Ayres possa ancora produrre utili risultati, e speriamo che il Gabinetto di Versailles confermerà le istruzioni già in passato impartite ai suoi Agenti in quelle contrade. Artom
Roma, 24 dicembre 1873
Col mio dispaccio del 23 novembre ultimo n. 484 politico Io La pregava di far conoscere al Governo francese che noi dividevamo perfettamente il suo modo di vedere nella questione della giurisdizione consolare in Tripoli di Barberia, e che avevamo dato istruzioni alla R. Legazione in Costantinopoli di adoperarsi, d'accordo col rappresentante di Francia, presso la Sublime Porta per fare sparire le difficoltà insorte, principalmente per opera del Governatore di Tripoli, relativamente all'attuazione del protocollo dei 24 febbraio 1873.
Da un rapporto testé giuntomi della R. Legazione in Costantinopoli risulta che Rachid Pascià ha accolto favorevolmente le osservazioni in proposito presentategli dal conte Barbolani. Egli ha riconosciuto di buon grado come tutto il torto stia da parte del Governatore e non dei Consoli ed ha quindi promesso di inviare tosto istruzioni a Samyk Pascià prescrivendogli di procedere senza ulteriore indugio alla costituzione del Ticaret (Tribunale ndr) in Tripoli nel modo stesso in cui funziona nel resto dell'Impero, componendolo perciò d'un Presidente turco e due Giudici anche turchi, nonché di due assessori stranieri.
Io La prego quando ne avrà occasione di portar ciò a notizia del Signor duca Decazes esprimendogli in pari tempo la mia soddisfazione che i passi fatti dai due Governi presso la Sublime Porta abbiano ottenuto una pronta ed equa soluzione. Artom
Parigi, 22 gennaio 1874
Carissimo Amico, Non voglio lasciar partire il Corriere senza mandarti una riga che ti porti le mie nuove e i miei saluti. Ho scritto a Visconti intorno alle dichiarazioni di Decazes. Qui sono giudicate buone anche dai giornali difficili a contentarsi. Spero che anche in Italia l'effetto sarà stato buono. Io ho vivamente insistito presso Decazes, presso Broglie e presso lo stesso Maresciallo perché si facessero queste dichiarazioni. L'ho fatto cosi sovente e così ostinatamente che ho dovuto parere seccante ed anche esagerato nell'accennare ai pericoli di dichiarazioni insufficienti presso il Duca di Broglie, il quale certamente non avrebbe parlato come parlò Decazes. Ma l'importante si é d'avere ottenuto queste dichiarazioni, e credo d'aver reso servizio al Governo francese ed alla Francia non dissimulando il pericolo della situazione.
Un cenno retrospettivo sulla nomina dei Cardinali francesi. Il Papa era disposto a dare alla Francia quattro cappelli. Ma non fu possibile d'intendersi col Governo francese che sulle due nomine degli Arcivescovi di Parigi e di Cambrai. Il terzo cappello era chiesto dalla Francia per Dupanloup, che fu assolutamente escluso dal Vaticano. Per contro il Vaticano voleva per terzo cardinale Francese Msgr Pie, che fu assolutamente escluso dal Gabinetto di Versaglia.
Soggiungo un piccolo fatto che Ti prego di far conoscere a Visconti. Pel primo dell'anno non portai carte, limitandomi a restituire le ricevute, e ciò, come ben Tu sai, secondo un uso recentemente stabilito nel Corpo diplomatico. Il Conte di Parigi e il Duca d'Aumale lasciarono entrambi, per primi, le loro carte coronate per me. Naturalmente in seguito a ciò mi feci inscrivere presso le LL. AA.
La rivoluzione novella accaduta in Spagna provocherà probabilmente il riconoscimento della Repubblica Spagnola per parte delle Potenze. Questo evento potrebbe fornirvi il modo di provvedere a Melegari, mandandolo a Madrid, posto molto più importante di Berna, ed in tal caso vi rinnovo formalmente la mia domanda pel posto di Berna. Dopo mature riflessioni, questa soluzione è pur sempre quella che preferisco. Non mi sento proprio il coraggio di ricominciare una carriera a Pietroburgo o a Costantinopoli, mentre accetterei Berna con riconoscenza. Ti sottometto di nuovo la cosa. Vorrei che Visconti se ne preoccupasse fin d'ora, e naturalmente desidererei che fosse nel senso da me vagheggiato. Ti stringe cordialmente la mano il tuo vecchio amico Costantino Nigra
PS in lettera aggiuntiva di pari data
Caro Amico, Aggiungo un rigo per dirti che ho rimesso ad Armillet, affinché te lo consegni, un pardessus (soprabito ndr) da viaggio, di cui ti parlai a Roma. Il palazzo della Legazione, come vi telegrafai, è venduto definitivamente. A questo proposito devo domandarti che cosa vuoi ch'io faccia dei tuoi mobili. Ti prego di farmi sapere a suo tempo, se vuoi che te li faccia spedire in Piemonte, o li faccia vendere qui quando farò vendere i miei.
Ti mando qui unita una supplica che mi è raccomandata da Torino. Nel caso, probabile, in cui non possa aver esito favorevole, fammi il favore di farmi scrivere una risposta ostensibile, tuo di cuore Costantino Nigra
Roma, 8 febbraio 1874
Caro Nigra, approfitto della partenza del Cav. Casana, direttore dell'Italie, il quale mi chiede di essere presentato a te, per ringraziarti delle due ultime tue lettere, e del paletot che mi fu recato da Armittent. Ho pregato Cattaneo di farne pagare l'importo in oro al procuratore. Ti scriveremo ufficialmente per incaricarti di far ricerca d'una nuova casa per la Legazione, facendo il contratto d'affitto a nome e per conto del Governo per un dato numero d'anni. Deploro per conto mio che non si sia potuto ottenere l'acquisto del palazzo attuale. Minghetti vi si sarebbe deciso all'ultimo; ma colla poca autorità del Ministero sulla Camera, nella attuale situazione finanziaria, credo che le difficoltà sarebbero state gravissime. Fa pure vendere i miei pochi mobili coi tuoi. Non val la pena di farli mandare in Piemonte.
E' successo da poco uno screzio personale fra Visconti e Sella. Pochi giorni fa essi vennero a pranzo con me. Biancheri, Lanza e Minghetti erano pure fra i convitati. Continuo ad adoperarmi per cercare di raccogliere nello stesso Ministero Sella, Visconti e Minghetti. sarebbe la sola combinazione che potesse avere guarentige di serietà, e di durata. Purtroppo gli intrighi in senso contrario non mancano. Visconti afferma che Minghetti ha preso oramai impegni irrevocabili colla sinistra. Sella dice che Visconti fa opposizione alle sue leggi di finanza. Certo è che la confusione dei partiti è grandissima nella Camera e nel paese. Ne abbiamo avuto prove nell'ultimo voto sull'obbligatoria istruzione. La legge era mal fatta ma il principio era ottimo. Una coalizione di voti di sinistra e d'estrema destra ottenne il rigetto della legge ed allora Scialoja a dar le dimissioni. Per mantenervi un bilico fra i partiti, Minghetti non scempirà per ora la crina. Uno dei Ministri attuali assumerà l'interim. Ma intanto gli intrighi parlamentari invece di scemarsi s'aumenteranno. Non so come Minghetti possa contare sul centro sinistra. Esso manca assolutamente d'uomini capaci ed autorevoli. Voteranno la legge sulla circolazione cartacea, perché dà soddisfazione alle esigenze regionali dei banchi di Toscana, di Napoli e di Sicilia. Ma quanto a votar leggi efficaci d'imposta, è inutile sperarlo. Intanto l'aggio cresce, il disavanzo non diminuisce, la rendita ed il credito pubblico ne soffrono. Dio ce la mandi buona.
Avrai veduto l'incidente La Marmora. E' stato un altro brutto episodio. Gli articoli furibondi dei giornali prussiani avevano eccitata una reazione a favore del Generale. Visconti se la cavò destramente con qualche frase. Speriamo che anche questa pagina dolorosa di storia sia terminata. Lamarmora è furibondo contro Visconti, Minghetti. Ben lungi dal riconoscere il suo torto, è fiero delle sue indiscrezioni. Vedo che i giornali francesi lo approvano e non me ne stupisco.
La circolare sul Conclave fece ottima impressione a Vienna. era il solo nostro scopo. Essa fu comunicata dal Conte Andrassy (Gyula Andrassi politico ungherese e già Presidente del Consiglio ndr) alla Neue Free Presse. Anche a Berlino non dispiacque. Si comprende anche là che noi dobbiamo avere verso il Papa una politica diversa da quella seguita in Prussia. Invece non mi stupirei che il chiasso fatto per l'affare Lamarmora abbia per vera ragione l'appagamento momentaneo prodotto in Italia dalle dichiarazioni Decazes. Del resto l'Orenogir è sempre a Civitavecchia e parte per la Prussia nei prossimi giorni. Ti mando un bigliettino di Cattaneo che può servir di risposta al ricordo che tu mi hai mandato. Aggiungo che non v'è posto disponibile per un impiego fisso agli esteri. Sai che occorre un esame di concorso oltre le condizioni d'età, di carte etc. che mi sembrano inapplicabili al presente. Addio carissimo. Scrivimi se ne hai il tempo e ricevi una stretta di mano. Tuo affezionatissimo Artom
IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM,
AI MINISTRI A LONDRA, CADORNA, E A PARIGI, NIGRA,
E ALL'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, TOSI
Roma, 19 febbraio 1874
Sarà noto probabilmente anche al Governo presso il quale V.S. ha l'onore di essere accreditato che da parecchi anni verte fra la Repubblica Argentina e il Cile una questione di dominio sulla Patagonia e le isole adiacenti che formano lo stretto di Magellano. Recentemente, il Governo Cileno ha fatto ai rappresentanti esteri accreditati a Santiago una comunicazione ufficiale sopra questo affare, pel quale esso sembrerebbe inclinare a sottoporsi a un giudizio arbitrale. Contemporaneamente il Cile fa intendere che esso propenderebbe a far dichiarare la neutralità dello stretto di Magellano, obbligandosi dal canto suo a mantenere quel passaggio libero alla navigazione, senza percepire altra tassa fuorché quella che si vorrebbe stabilire per il mantenimento di un buon sistema di fari.
L'importanza che può acquistare il passaggio dello stretto di Magellano quando i territori che lo formano venissero convenientemente colonizzati, e un Governo regolare vi assumesse gli occorrenti regolari servizi amministrativi, mi induce a incaricare la S.V. Illustrissima di conferire officiosamente sopra questo affare con codesto Ministro degli Affari Esteri, sia per conoscere quale
risposta esso abbia fatto al Governo Cileno, sia per valutare l'interesse che costì si annette alla vertenza in discorso. Acciocché a V. S. non manchino le necessarie informazioni per poter conversare di questo affare con piena cognizione di causa, Le mando, unitamente a questo dispaccio, copia della Nota del Governo Cileno e di un rapporto del R. Vice Console a Santiago, che espone con chiarezza lo stato presente della questione. Artom
Roma, 25 febbraio 1874
Dall'Incaricato d'Affari di Francia mi venne fatta in questi ultimi giorni una nuova comunicazione circa le difficoltà esistenti nelle relazioni internazionali del Brasile con la Repubblica Argentina. Il Signor Tiby mi ha lasciato prendere lettura di un dispaccio del suo Governo il quale, in seguito alle ultime informazioni avute dai suoi Agenti nell'America Meridionale, inclina a credere che qualche passo potrebbe farsi utilmente a Buenos Ayres per conseguire che quel Governo tenga una condotta più conciliante e compatibile con le giuste esigenze del Brasile.
Io prego V.S. Illustrissima di far conoscere a S.E. il duca Decazes quanto gli sono grato di voler continuare con noi uno scambio di idee sopra una questione che tanto interessa il commercio e la navigazione italiana. Ella potrà aggiungere che le informazioni trasmesse al R. Governo dal barone Cavalchini concordano con quelle che il Governo francese ha ricevuto da Rio Janeiro. Il R. Agente a Buenos Ayres non tarderà a ricevere delle istruzioni le quali avranno per base di procedere d'accordo con il diplomatico che colà rappresenta la Francia. Artom
Roma, 22 marzo 1874
In seguito ai passi che di concerto con il Rappresentante Francese furono fatti dal R. Ministro presso il Governo del Brasile allo scopo di consigliare una politica conciliativa verso la Repubblica Argentina, il Gabinetto di Rio De Janeiro ci ha segnalato il pericolo che da parte della Repubblica stessa venissero fatti degli arruolamenti fra i numerosi Italiani che emigrano nei paesi della Plata. Ancora più recentemente il Governo brasiliano ha segnalato la presenza di pretesi Agenti di emigrazione che sarebbero venuti in Italia per farvi dei clandestini arruolamenti per conto del Governo Argentino. Tutta la vigilanza del R. Governo si è adoperata e si adopera per impedire che tali progetti possano effettuarsi. E certamente degli arruolamenti non avrebbero alcuna probabilità di riuscire se gli Agenti di emigrazione non prestassero la loro opera inducendo in inganno coloro che per ignoranza si lasciano persuadere dalle più fallaci promesse.
L'attività spiegata dal Governo italiano per tutelare anche nell'interesse della pubblica moralità le classi più bisognose contro le insidie che loro sono tese dalle Agenzie di emigrazione trova, come V.S. Illustrissima ben sa, delle difficoltà nella tolleranza che viene usata in Francia a certi Agenti che per esercitare più agevolmente la colpevole loro industria hanno spinto l'audacia fino a stabilirsi sulle nostre frontiere. Citerò ad esempio certi Rochas che da Modane continuano ad esercitare sulle frontiere italiane la loro colpevole industria.
Io vorrei che V.S. Illustrissima facesse presenti queste circostanze a S.E. il duca Decazes rappresentandogli che, dal punto di vista dell'interesse politico che acquista questa questione per lo stato delle relazioni attuali delle Repubbliche dell'America Meridionale e del Brasile, sarebbe sempre più urgente che dei provvedimenti fossero adottati per l'allontanamento dalle nostre frontiere di persone che Vi tengono aperte Agenzie o succursali di Agenzie di emigrazione. Artom
Roma, 7 giugno 1874
Le difficoltà esistenti da qualche tempo nelle relazioni fra il Brasile e la Repubblica Argentina debbono essersi aggravate dopo che le trattative per la delimitazione della frontiera fra quella Repubblica e il Paraguay andarono rotte.
Il Governo di Sua Maestà ne ebbe avviso ufficiale da una Circolare che il Governo dell'Assunzione gli ha indirizzato il 15 Aprile. Con quel documento il Governo del Paraguay espone in quali termini si trovava la questione al momento della rottura delle trattative e fa appello a tutti gli Stati dell' America e dell'Europa per far valere la giustizia della sua causa.
Gli ultimi rapporti del R. Console in Assunzione recano pure delle gravi notizie. Era stato colà ritirato l'exequatur (autorizzazione diplomatica ndr) al Console Argentino e le truppe Argentine erano in procinto di concentrarsi a Villa occidentale, ritirandosi dai luoghi finora occupati nel Paraguay dove questi ed altri fatti di eguale natura si attribuivano alla predominante influenza del Brasile sul Governo dell'Assunzione.
Benché dalle relazioni più recenti mandate da Buenos Ayres al Ministero, risulterebbe che la Repubblica Argentina non pensa seriamente a intraprendere una guerra contro il Brasile e sebbene dalle informazioni avute si possa ritenere che anche nella classe dei Commercianti era colà tutt'ora ferma la fiducia nel mantenimento della pace, ciò non di meno il R. Governo si preoccupa delle conseguenze che potrà avere l'interruzione ormai completa di qualunque relazione fra l'Argentina e il Paraguay. La Repubblica Argentina come sarà noto al Governo francese ha comperato in Inghilterra alcune navi corazzate che ora navigano già attraverso l'Oceano per recarsi sul Mar della Plata. Tutto ciò non è fatto per rassicurarci. E siccome il Governo francese ha sempre dimostrato di voler intendersi con noi per tenere, in presenza degli avvenimenti che potrebbero turbare la pace fra gli Stati dell'America meridionale una condotta identica, così io bramerei che V.S. chiedesse a S.E. il duca Decazes se al suo Gabinetto sia pervenuta la Circolare del Paraguay e se egli si disponga a darvi una risposta. In quest'ultimo caso, Io bramerei conoscere in qual senso sembrerà utile alla Francia di concepire la comunicazione che farà al Governo dell'Assunzione. Il Governo di Sua Maestà sarebbe d'avviso che mentre nella risposta si dovrebbe esplicitamente dichiarare che in caso di conflitto il Governo del Re manterrebbe la più stretta neutralità, si possa però esprimere ancora una volta il desiderio di uno scioglimento pacifico delle difficoltà insorte e consigliare di nuovo la moderazione e la conciliazione nell'interesse del ristabilimento delle relazioni amichevoli fra le due repubbliche. Artom
Roma, 11 luglio 1874
Il Signor Tiby mi ha dato oggi lettura di un dispaccio del suo Governo relativo alla questione cui ha dato origine la pretesa dei Principati Danubiani di essere ammessi a fare convenzioni diplomatiche con le Potenze estere senza il concorso della Potenza Sovrana.
V.S. ,conoscerà forse a quest'ora che il Governo austro-ungarico più particolarmente interessato in quest'affare per le maggiori e più frequenti relazioni che esso ha con la Romania, ha iniziato in proposito delle pratiche a Costantinopoli ed ha pure interrogato i vari Governi per conoscere la loro opinione su questo soggetto.
Ella si ricorderà parimenti che ad una prima interrogazione fatta dal Governo francese noi non abbiamo creduto opportuno di rispondere in modo troppo categorico sul merito di una questione che certamente riguarda più direttamente altri Stati e che non ha in questo momento per l'Italia un carattere di attualità. Alla comunicazione che il Gabinetto di Vienna ci ha fatto noi ci siamo finora astenuti dal rispondere desiderando prima scandagliare l'opinione degli altri Governi. Ci pare che quando vi sono dei paesi pei quali una questione ha un'importanza reale al proprio punto di vista della teoria e della pratica non spetti a chi non ha in essa che un'opinione teorica da emettere, di impegnarsi preventivamente in un senso piuttosto che in un altro.
Però la decisione della questione di cui qui si tratta non potrà a lungo essere rimandata anche dall'Italia. Per effetto della denuncia dei Trattati di Commercio esistenti con la Turchia, l'Inghilterra, l'Austria-Ungheria e noi pure dovremo ben presto iniziare ad esaminare come si potrà conciliare la pretesa del Governo di Bukarest e di quello di Belgrado di trattare separatamente con le Potenze per gli accordi commerciali, con i riguardi richiesti dalla situazione politica stabilita in favore della Turchia nel concerto delle Potenze europee.
Il Governo del Re, sebbene non abbia ancora preso in esame la questione sulla quale il Gabinetto di Versailles ebbe la cortesia di volerlo interrogare, è grato a quest'ultimo di aver preso con lui l'iniziativa di uno scambio di idee di cui apprezza moltissimo l'utilità ed il valore. E mentre dal canto nostro non mancheremo di mantenerci in rapporto con la Francia portando sollecitamente a sua conoscenza le risoluzioni che troveremo nel caso di dover pigliare, ci auguriamo che il Governo Francese vorrà anche in avvenire esserci cortese delle sue comunicazioni intorno ad una questione che è desiderabile possa risolversi mediante un accordo generale. Artom
Parigi, 30 luglio 1874 (in francese)
Vi ho chiesto, tramite il Corriere, istruzioni relative all'Indirizzo dell'Arcivescovo di Parigi. Ricevo ora il vostro telegramma di ieri sera. Vedrò oggi il duca Decazes e gli chiederò la repressione o la disapprovazione. Vogliate dirmi se preferite che lo faccia verbalmente o per iscritto. Nigra
Roma, 30 luglio 1874 (in francese)
Fate immediatamente una comunicazione verbale e telegrafatemi la risposta del duca Decazes. Se non è soddisfacente gli annuncerete e farete al più presto una comunicazione scritta. Artom
Parigi, 30 luglio 1874 (in francese)
Sono stato oggi a Versailles ed ho chiesto a Decazes atto di repressione o di disapprovazione esplicita dell'Indirizzo dell'Arcivescovo di Parigi. Decazes si è riservato di riferirne al Consiglio dei Ministri ed al Maresciallo Mac Mahon, ma mi ha detto non senza amarezza che constatava con dolore l'abbandono delle tradizioni di tolleranza liberale che avevamo seguito sin qui. Nigra
Parigi, 31 luglio 1874 (in francese)
Il Consiglio dei Ministri presieduto dal maresciallo Mac Mahon ha deciso di far sapere al momento che potrebbe al vostro reclamo far seguire la pubblicazione nel Journal Officiel una Nota indicante che il Governo ha visto a malincuore la pubblicazione dello scritto. Vi telegraferò più diffusamente in giornata. Il maresciallo Mac Mahon mi ha espresso di persona il suo dispiacere per questo atto dell'Arcivescovo di Parigi. Nigra
Parigi, 31 luglio 1874 (in francese)
L'Officiel di oggi contiene la seguente Nota: «I giornali si occupano da qualche giorno della lettera pastorale indirizzata dal cardinale Arcivescovo di Parigi al clero ed ai fedeli della sua diocesi. Il Governo vede con dispiacere la pubblicazione di questa lettera. Sarebbe desiderabile che essa non fosse più a lungo oggetto della polemica dei giornali». Nigra
Parigi, 31 luglio 1874 (in francese)
Spero che terrete conto della prontezza con cui il Governo francese ha fatto seguito, nella misura che gli pareva possibile, al nostro reclamo. tenete conto anche dei dispiaceri espliciti che il Presidente della Repubblica mi ha espresso spontaneamente. Lo scritto ha avuto qui pubblicità assai ristretta essendo stato riprodotto esclusivamente da organi clericali. Di conseguenza, a meno che voi giudichiate al proposito di spingere oltre le cose ed arrivare ad una rottura, penso che valga la pena di considerare l'incidente come concluso. Vi scrivo a questo riguardo col Corriere. Nigra
Parigi, 22 settembre 1874 - rue Saint Dominique 127
Carissimo Amico, Ho ricevuto ieri sera la vostra lettera del 20 scrittami da Torino.
Se non erro, giungiamo finalmente al termine di questa noiosa questione dell'Orénoque. Dopo nuove conferenze tenute qui fra Decazes, Noailles e me, eccovi il risultato delle deliberazioni che sembrano oramai definitive del Governo francese.
Il Duca Decazes mi farebbe verbale comunicazione della decisione del Governo di richiamare 1'Orénoque, annunziandorni ad un tempo che un nuovo bastimento è mantenuto nelle acque francesi a disposizione del Papa in caso di partenza di S.S. ed esprimendo la convinzione che tale bastimento avrà nei nostri porti le facilitazioni necessarie per adempiere la sua missione il giorno in cui vi fosse chiamato per ricevere il Santo Padre a bordo. Io vi farei parte di queste comunicazioni con un dispaccio concepito presso a poco nei termini dell'annesso A.
Voi mi rispondereste come dite nella vostra lettera. La redazione, da me immaginata, dell'annesso B accontenterebbe Decazes. Di questo vostro dispaccio Io darei poi comunicazione a Decazes. L'Orénoque sarebbe richiamato subito. Una nota inserita nel Giornale ufficiale annunzierebbe il doppio fatto del richiamo dell'Orénoque e della designazione del bastimento destinato alla stessa missione, ma tenuto in stazione nei porti francesi. La nota stessa menzionerebbe l'assicurazione data dal nostro Governo che tale bastimento potrà compiere la sua missione senza ostacolo quando dovesse venire nei nostri porti per prendervi a bordo Sua Santità. Il Duca Decazes mi ha promesso di sottomettere al mio esame la nota, prima di pubblicarla. Naturalmente farò il possibile perché non vi sia nessuna frase che possa ferire la nostra suscettibilità. E' già inteso che la frase che vi ha offuscato nella mia lettera ultima a Minghetti, non figurerà nella nota. Ad ogni modo riserverò il diritto del nostro Governo di rispondere, ove occorra, alla nota stessa, come ad ogni altra manifestazione ufficiale del Governo francese a questo soggetto.
A me sembra che il progetto di risposta che vi sottometto, e che accontenterebbe il Governo francese, possa essere adottato da voi senza rischio e senza difficoltà. Esso in fondo esprime la verità.
Decazes tiene specialmente alla frase toujours assurè (sempre garantito ndr), ed all'altra liens d'amitié qui unissent les deux nations (legami di amicizia che uniscono le due nazioni ndr).
Se è vostro desiderio che si guadagni qualche giorno di tempo, ed ove approviate le redazioni che vi propongo, vogliate mandarmi da Milano un telegramma, anche non cifrato, che saprò interpretare, ed Io darò corso alla vostra risposta. In caso contrario attenderò le vostre ulteriori istruzioni.
Vi stringo cordialmente la mano. Vostro affezionatissimo Nigra
P. S. Noailles, che Decazes ha tenuto a giorno d'ogni cosa, parte oggi per Biarritz nella fiducia che la sua presenza non sia necessaria in Italia. Ma si tiene pronto a partire per costà al primo cenno telegrafico. Se la soluzione, quale è proposta, trovasse ancora qualche ostacolo per parte vostra sarebbe conveniente, credo, che Noailles od Io partissimo per conferire con voi. Io proposi a Decazes di partire Io stesso per l'Italia invece di Noailles. Ma Decazes teme i commenti che si farebbero sulla mia partenza. Cionondimeno, Io penso che oramai, se la cosa non si conclude, non sarebbe possibile giungere ad un risultato senza che Noailles od Io conferissimo verbalmente con voi.
Roma, 12 ottobre 1874 - Nota di Visconti ad Artom
Già scritto al Prefetto il quale piglierà tutte le più decise disposizioni per impedire ogni dimostrazione in occasione della partenza dell'Orenoque. Puoi darne le più ampie assicurazioni a Nigra
Parigi, 13 ottobre 1874 - rue Saint Dominique 127
Carissimo Amico, Dirigo a te la corrispondenza confidata al Corriere Villa, conformemente alle tue istruzioni. Ti prego di prender lettura del contenuto, di comunicarlo nel modo che crederai, a Minghetti e a Visconti.
Credo utile che Tu provveda perché la nostra stampa seria giudichi la soluzione della questione dell'Orénoque in modo favorevole alle buone relazioni dell'Italia e della Francia. Spero del resto che questa soluzione sarà ben accolta in generale, in Italia come nel resto dell'Europa. Ti sarò poi grato se vorrai farmi sapere la tua impressione e quella di Visconti e di Minghetti. Ben ci posso assicurare che le difficoltà a vincere erano molte e gravi. Ti mando alcune addizioni al cifrante, e ti stringo cordialmente la mano. Tuo affezionatissimo Costantino Nigra
P.S. Se hai occasione di scrivermi, dimmi, ti prego, qualche cosa sulle future elezioni.
Parigi, 13 ottobre 1874 - rue Saint Dominique 127
Carissimo Amico, finalmente, dopo lunghe esitazioni e non meno lunghe discussioni, delle quali i miei telegrammi e le mie lettere han potuto darvi un'idea, il richiamo dell'Orénoque è deciso, e sarà un fatto compiuto, spero, quando riceverete questa lettera. La soluzione mi sembra tale da poter essere accettata con soddisfazione dall'opinione pubblica del nostro paese. Essa è del resto conforme in sostanza, e per quanto era possibile, al desiderio del Governo del Re. Questa soluzione risulta dai tre documenti ufficiali (i soli ufficiali), che vi trasmetto qui uniti, e che sono:
1° Un mio telegramma del 3 Ottobre, che vi prego di far registrare e che è indispensabile per spiegare la vostra risposta.
2° II vostro telegramma del 6 Ottobre (in risposta al precedente) da me comunicato al Duca Decazes.
3° Un mio dispaccio in data di ieri che riassume la soluzione. Tutti questi documenti furono da me letti al Duca Decazes, il quale li trovò conformi al suo modo di vedere in ordine alla questione.
Aggiungendo a questi documenti la nota del Giornale Ufficiale Francese d'oggi, si avrà l'incartamento ufficiale completo della soluzione data alla questione del richiamo dell'Orénoque.
Spero che voi darete la vostra approvazione al mio operato, che ebbe per guida le vostre istruzioni e le idee che m'avete ripetutamente manifestato.
II Duca Decazes ha annunziato, od annunzierà, con appositi dispacci, la soluzione della questione all'Ambasciata di Francia presso il Papa, ed alla Legazione presso S.M. il Re. Dalle assicurazioni datemi, e dalla lettura che qui fu fatta degli squarci importanti di questi due documenti, risulta che il linguaggio del Duca Decazes concorderà in sostanza con quello dei nostri documenti.
Nel mio dispaccio ufficiale non entrai nei particolari della corrispondenza scambiata fra la Santa Sede e la Francia a questo riguardo, obbedendo così ad un sentimento d'alta convenienza pel caso in cui il mio dispaccio dovesse esser pubblicato.
Voi sapete già, del resto, che tale corrispondenza si compone d'una lettera del Maresciallo di Mac Mahon al Papa, portata dal Corcelle quando tornò a Roma, e dalla risposta del Papa, scritta in latino in termini di benevola acquiescenza.
Quanto al Cardinal Antonelli, Sua Eminenza si sarebbe limitata a dire a Corcelle: "Si vous rappelez l'Orénoque, nous ne nous plaindrons pas, mais nous vous plaindrons".
(se richiamate l'Orénoque, non ci lamenteremo con noi stessi, ma ci lamenteremo con Voi ndr)
Vi stringo cordialmente la mano. Vostro affezionatissimo Nigra
Roma, 14 novembre 1874
Ho ricevuto ieri dalla Legazione di Francia la comunicazione di cui qui unisco la copia. Per essa, il Governo della Repubblica invita l'Italia ad intervenire insieme ad altre Potenze ad una Conferenza diplomatica che dovrà provvedere per la formazione, la verifica e la conservazione dei tipi del metro.
La Conferenza si riunirebbe a Parigi il l° febbraio prossimo. Vi interverrebbero i rappresentanti diplomatici accreditati presso il Governo francese ed uno o più delegati tecnici.
Mi propongo d'intendermi senza ritardo col mio collega, il Ministro della Pubblica Istruzione circa l'invio del Delegato tecnico e sulle istruzioni da darsi in occasione della Conferenza. Aspetterò però a rispondere all'invito che ci è fatto per mezzo della Legazione di Francia, finché non avrò da V.S. informazione d'una conversazione che Io la [prego] di avere il più presto possibile col Duca Decazes.
Vorrei che V.S. esponesse a codesto Ministro degli Affari Esteri lo stato della questione nata in seguito alla partecipazione del Delegato pontificio nei lavori della Commissione del metro. Quella Commissione che aveva, come Ella ben si rammenta un carattere strettamente scientifico, ha ecceduto, a parer nostro, i limiti del suo mandato, nominando un Comitato esecutivo. Alla nomina non concorsero i delegati italiani e così noi non abbiamo rappresentanza nel Comitato medesimo.
Sarebbe desiderabile che parlando al duca Decazes, Ella, Signor Ministro, ricordasse le dichiarazioni che vennero fatte dal signor di Rémusat ed ottenesse dall'attuale Ministro degli Affari Esteri di Francia, la conferma delle medesime, se la Santa Sede dovesse essere rappresentata o diplomaticamente od anche semplicemente da un Delegato tecnico, l'Italia non prenderebbe parte alla Conferenza e declinerebbe di accettare l'invito.
Per ciò che al Comitato si riferisce, Io desidererei che il duca Decazes conoscesse esattamente il nostro modo di vedere, perché Io spero che egli non avrà difficoltà ad adoperarsi nel senso che quel Comitato abbia da ricevere dalla Conferenza diplomatica il carattere che sinora gli è mancato e forse la Conferenza stessa troverà utile di completarlo facendovi entrare anche i Delegati di Governi che rimasero esclusi nella prima composizione.
Appena Io avrò avuto da V.S. la relazione del colloquio che Ella potrà avere con codesto Ministro degli Affari Esteri, sull'oggetto sopra esposto, mi farò premura di rispondere alla Nota della Legazione francese, ed Io mi lusingo che tale mia risposta possa essere un'adesione senza alcuna riserva. Artom
Roma, 25 dicembre 1874
Il rapporto presentato all'Assemblea Francese sulle operazioni dell'Esercito dell'Est nelle campagne del 1870 ha suscitato, com'Ella ben saprà, molto rumore in Italia pei giudizi ch'esso contiene sulla condotta del Generale Garibaldi in quel tempo, quale Comandante dei volontari accorsi in aiuto della Francia. Non sarebbe improbabile che al riaprirsi delle Camere nel prossimo mese venisse mossa qualche domanda al Governo su quel soggetto, come già se n'ebbe qualche sentore fin dall'ultima seduta prima delle attuali vacanze. Nella previsione di ciò, benché fiducioso che la detta interrogazione possa evitarsi, Io credo opportuno di pregare V.S. Illustrissima di volermi procurare in tempo utile, tutti i dati e documenti che si riferiscono a quella pubblicazione ufficiale, onde il R. Governo possa, all'evenienza, trattarne davanti al Parlamento con piena cognizione di causa. Artom
Parigi, 26 dicembre 1874 - rue Saint Dominique 127
Carissimo Amico
In assenza di Visconti, dirigo a Te, a piego alzato, l'unita lettera particolare affinché Tu possa fargliela pervenire dopo che l'avrai letta, ed anche perché tu possa, in caso di urgenza, farmi impartire istruzioni, ove occorra.
Ti ringrazio dell'ultima tua lettera. Qui siamo sepolti nella neve, e nella nebbia, e quest'ultima sembra che penetri più fitta che mai, anche nelle aule di Versaglia.
Non v'é finora la minima speranza che si riesca a costituire un gruppo qualunque di maggioranza per votare 1'una o l'altra delle leggi costituzionali. Ma con o senza queste leggi, il Maresciallo è deciso a restare al suo posto ed a governare come potrà e col Ministero che avrà. E nello stato delle cose in Francia è questo ancora il più savio partito, com'è la sola cosa certa che ti posso dire.
Posso aggiungere che l'Assemblea non è per nulla disposta, per ora, alla propria dissoluzione o ad una rinnovazione anche parziale.
Ti auguro buone feste e ti stringo cordialmente la mano.
Il tuo affezionatissimo Costantino Nigra
I saluti di Ressman
Roma, 8 gennaio 1875
Col mio dispaccio del 14 novembre, Le trasmisi copia della lettera del marchese di Noailles, contenente l'invito per l'Italia di farsi rappresentare nella Conferenza diplomatica per il Metro, la Quale si riunirà in Parigi il l° febbraio prossimo.
Dopo le assicurazioni avute da V.S. nel colloquio con S.E. il duca Decazes, mi affrettai di mettermi d'accordo col mio collega, il Ministro dell'Istruzione Pubblica, circa la designazione del Delegato tecnico che sarebbe stato aggiunto alla S.V. per prendere parte ai lavori della Conferenza.
Quel mio collega ha scelto per tale ufficio il Prof. Govi, che ha già avuto parte ai lavori della Commissione scientifica internazionale. Conseguentemente Io ho risposto al marchese di Noailles con la lettera di cui Le trasmetto copia e dalla quale risultano la nostra accettazione, la designazione di V.S. Illustrissima e del Prof. Govi come rappresentanti italiani nella futura Conferenza ed il concetto generale delle istruzioni che Io mi occuperò di preparare per la S.V. e che mi farò premura di spedirle affinché sappia se converrà che i pieni poteri per firmare siano dati soltanto a Lei od anche al Delegato tecnico.
Sopra quest'ultimo punto Le sarei grato di favorirmi sollecitamente le necessarie informazioni. Artom
Roma, 5 febbraio 1875
Il Ministero dell'Interno ha richiamato qualche tempo fa la mia attenzione sulla presenza di un sedicente Console Pontificio a Marsiglia, il quale, d'accordo con la compagnia des Transports maritimes e con alcuni parroci dell'Italia meridionale, si varrebbe della qualità che egli si attribuisce per facilitare l'emigrazione degli italiani verso l'America meridionale.
Di questo Console Pontificio il signor comm. Strambio mi aveva opportunamente riferito in altre occasioni, pareva però che seri atti di giurisdizione consolare non fossero stati da lui compiuti rispetto a cittadini italiani dopo la cessazione del potere temporale del Papa.
Volli tuttavia scrivere al Console Generale di Sua Maestà per metterlo in grado di riferirmi quali nuovi fatti avessero potuto dar motivo alle osservazioni pervenutemi da parte del Ministero dell'Interno.
Ella troverà qui unita la risposta datami dal signor comm. Strambio, risposta dalla quale risulta manifestamente che se non si hanno prove che il signor Prospero Gueyrand, già Console Generale pontificio prima del 22 settembre 1870, abbia, dopo questa data, esercitato atti di vera e propria giurisdizione consolare, si hanno invece continui esempi del riconoscimento in lui della qualità consolare da parte dell'autorità governativa francese.
Prescindendo dalla parte che si può ragionevolmente supporre che egli abbia nei colpevoli raggiri relativi all'emigrazione nelle nostre provincie meridionali, pare a me che convenga concentrare la nostra attenzione esclusivamente su ciò che si riferisce ai rapporti del Signor Gueyrand come Console pontificio con l'autorità francese. Quest'ultima non solamente gli permette di far uso dei distintivi esteriori che sono riservati ai Consoli legalmente riconosciuti, ma gli accorda tuttora delle prerogative e delle distinzioni incompatibili con la cessazione della giurisdizione consolare.
Su queste cose V.S. dovrà richiamare l'attenzione di S.E. il duca Decazes pregandolo di far cessare al più presto possibile una irregolarità che, avvertita dal pubblico in Italia, potrebbe essere causa di spiacevoli apprezzamenti circa i sentimenti del Governo francese a nostro riguardo.
Se V.S. trovasse più opportuno di aspettare che siano cessate le preoccupazioni presentemente create dal movimento elettorale in Francia prima di chiedere a codesto Signor Ministro degli Affari Esteri un provvedimento relativo al Signor Gueyrand, Io non vedo motivo per non soprassedere di alcuni giorni nei passi da farsi in proposito.
Ella sarà buon giudice del momento più opportuno per intavolare queste pratiche alle quali vorrei assicurare un pronto e favorevole esito per impedire che una questione di questa natura possa venire inasprita da una intempestiva ed appassionata pubblicità. Artom
Roma, 29 maggio 1875
Ringrazio V.S. Illustrissima dell'interessante sua corrispondenza pervenutami sino al N. 2514, non mi è ancora stato consegnato il N. 2512, ed Io Le sarò grato se Ella vorrà informarmi se vi sia stato errore nella numerazione, oppure se il ritardo debba attribuirsi a qualche altra causa.
Le informazioni trasmesse da V.S. Illustrissima circa gli ultimi incidenti della politica generale dell'Europa, mi riuscirono di grandissima utilità. Il linguaggio ch'Ella tenne in varie occasioni al duca Decazes era ispirato da quegli stessi sentimenti che ci guidarono in tutte le occasioni in cui abbiamo potuto opportunamente affermare il nostro desiderio che la pace non sia turbata.
Appena fu conosciuto l'esito dell'abboccamento dei due Imperatori in Berlino, i timori di guerra sono cessati. Il marchese di Noailles è venuto a leggermi un telegramma del duca Decazes nel quale si diceva che al Governo francese sembrava ora poter considerare con maggiore fiducia l'avvenire dal punto di vista della conservazione della pace. Gli sforzi ed i consigli dell'Europa non erano stati inefficaci. Il duca Decazes aveva apprezzato l'utile concorso dell'Italia in quest'opera di pacificazione e ne ringraziava il Governo del Re. Artom
IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM, AI MINISTRI A
BERLINO DE LAUNAY, A PARIGI NIGRA, A VIENNA DI ROBILANT,
E AGLI INCARICATI D'AFFARI A LONDRA R. DE MARTINO,
E A PIETROBURGO COLLOBIANO ARBORIO
Roma, 20 settembre 1875
Affinché la S.V. Illustrissima abbia ad essere debitamente informata riguardo all'andamento della missione che sta ora compiendo il R.Console cavaliere Durando nelle provincie insorte della Turchia unitamente agli altri Consoli delle grandi Potenze, credo opportuno di darle confidenziale comunicazione, per ora, del primo rapporto da lui mandatomi da Mostar, ch'Ella troverà in copia qui unito. Il contenuto di esso potrà servirle oltre che a di Lei informazione anche come base delle conversazioni ch'Ella avrà a fare su quell'argomento.
Dopo la data che trovasi indicata su detto rapporto, Io ho ricevuto dal cavaliere Durando due telegrammi, di cui uno da Metkovic, l'altro da Ragusa.
Nel primo dicevami di aver avuto un abboccamento il giorno prima in quella località con alcuni capi degli insorti dell'Erzegovina, e un altro nel giorno stesso, che era il 13, nelle vicinanze di Stolac. Avendo egli esposto loro qual'era il mandato affidatogli dal Governo del Re, ebbe per risposta che essi non si fidavano delle promesse del Governo turco, che non si sarebbero presentati
al Commissario Imperiale per timore di un tradimento, che persistevano a tenersi in armi, che preferivano morire combattendo anziché soccombere ai cattivi trattamenti dei loro imperanti. La parte di paese percorsa dal R. Console portava le impronte della desolazione e dell'anarchia; dappertutto tracce di saccheggi e di incendi. I cattolici e gli altri cristiani 'erano alleati fra loro.
Nel secondo telegramma, che porta la data del 17, il Cavaliere Durando mi informava di aver percorso il confine Dalmato e di trovarsi in Trebigne.
Dagli insorti si erano avute le stesse risposte come dai primi interrogati.
In Popowolje i cristiani custodivano i villaggi non ancora incendiati dai musulmani.
Quelli di Scuma erano fuggiti, in parte nella Dalmazia; gli altri si erano uniti agli insorti di Zupei. La situazione era identica a quella della regione già percorsa. Le rappresaglie però, tra cristiani e musulmani, sembravano sospese in seguito alla missione dei Consoli.
All'indomani avrebbe visitato gli insorti di Zupei e di Bilek.
Mi riservo di trasmettere egualmente anche in seguito, a V.S. Illustrissima, i ragguagli che mi perverranno sullo stesso argomento. Artom
IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ARTOM,
AI MINISTRI A BERLINO, DE LAUNAY, A PARIGI, NIGRA,
A VIENNA, DI ROBILANT, E AGLI INCARICATI D'AFFARI A LONDRA,
R. DE MARTINO, E A PIETROBURGO, COLLOBIANO ARBORIO
Roma, 26 settembre 1875
Mi pregio di comunicare a V.S. Illustrissima le seguenti informazioni mandatemi da Mostar, per telegrafo, dal signor cavaliere Durando il giorno seguente a quello del suo ritorno colà coi suoi colleghi di Austria-Ungheria e di Germania, ritorno che ebbe luogo la sera del 23 corrente.
Gli insorti dei distretti da noi percorsi, così mi fa sapere il cavaliere Durando, hanno dichiarato di non voler sottomettersi. Essi chiedono un armistizio onde i vari capi dell'insurrezione possano riunirsi in qualche località presso i confini della Dalmazia o del Montenegro per intendersi sulla proposta delle riforme desiderate dal paese.
Domandano che le condizioni dell'armistizio siano garantite dai delegati delle Potenze e che le riforme da accordarsi siano confermate da una Commissione europea di cui formi parte anche un delegato della Turchia. Per l'esecuzione poi delle riforme stesse intendono avere la garanzia delle Potenze.
Il cavaliere Durando aggiunge esser Egli persuaso che finora veruno degli insorti si è sottomesso. L'insurrezione, a suo giudizio, va prendendo consistenza e difficile egli ritiene che il Governo turco ne venga a capo; quand'anche ciò accadesse, non potrebbe, secondo lui, esser altro che una semplice tregua. Passa poi a descrivere il paese percorso e ne fa un quadro straziante.
Gli incendi, le rovine, i massacri s'incontrano ad ogni passo; i raccolti giacciono abbandonati per i campi; il bestiame è scomparso.
Le popolazioni emigrarono in gran parte o si rifugiarono sui monti dove trovansi prive di tutto e minacciate dalla fame, intanto che malattie d'ogni genere fanno strage delle donne e dei fanciulli.
Questo è il lugubre spettacolo che si presentò ai Consoli d'Italia, d'Austria-Ungheria e di Germania. I loro colleghi di Francia, d'Inghilterra e di Russia, al dire del cavalier Durando, fecero eguale relazione riguardo al risultato della missione nell'altra parte del territorio da essi percorso.
Roma, 6 ottobre 1875
Colgo l'occasione della partenza per Parigi del commendator Balduino per mandarti un saluto in fretta e renderti conto d'un piccolo incidente che mi par bene non sia ignorato da Te.
Alcuni giorni sono, mentre Visconti era a Milano, il signor Tiby venne da me e dopo avermi parlato della questione dell'Erzegovina, ed avermi espresso molti sospetti sul contegno dell'Austria, che non pareva a lui così corretto come quello della Russia, aggiunse che il duca Decazes gli aveva manifestato in modo confidenziale il disegno di mandare la flotta francese nell'Adriatico.
Tiby mi chiese che cosa ne pensassi e se poteva dire al suo Governo che la flotta francese sarebbe ben accolta ad Ancona ed a Venezia.
Risposi subito che i porti italiani sono sempre aperti ai bastimenti francesi come a quelli di tutte le potenze amiche, ma non potei astenermi dall'esprimere qualche dubbio sull'opportunità di questo progetto in questo momento, potendo sembrare un atto di diffidenza verso l'Austria. Conclusi però che avrei scritto a Visconti e gli avrei comunicato fra due o tre giorni la risposta.
Tiby ritornò infatti martedì scorso e mi disse, dopo aver parlato d'altro, e come en passant che il duca Decazes aveva mutato avviso circa l'invio della flotta.
Io non ebbi dunque a comunicargli la risposta di Visconti che sarebbe stata conforme, del resto, alla mia. Pel caso però che la reticenza con cui mi espressi avesse avuto qualche influenza sul cambiamento di quella determinazione, mi preme che tu conosca le ragioni della riserva della mia risposta. Avevo ricevuto nel giorno stesso l'avviso ufficiale dell'arrivo dell'Imperatore di Germania, senza però che ne fosse ancor fissata la data. La coincidenza di questo viaggio coll'arrivo della flotta francese nei nostri porti sarebbe stata deplorabile. Visconti e Minghetti furono d'accordo con me che avrebbe fatto un pessimo effetto sull'opinione pubblica, che non si sarebbe potuto garantire un'accoglienza molto cordiale ai marinai francesi ad Ancona ed a Venezia, e che anche nel caso in cui questo pericolo si fosse potuto evitare, le interpretazioni più strane, i confronti più pericolosi non avrebbero potuto scansarsi. Avevamo quindi già preparato un telegramma per Te, dandoti l'incarico di cercar di impedire in modo gentile e confidenziale questa strana coincidenza.
Fortunatamente Tiby lo rese inutile col suo secondo colloquio.
Ma è bene che tu sia informato di ciò, sia perché il progetto di mandar la flotta francese a Venezia può riapparire in questi giorni, sia perché tu possa distruggere l'impressione che noi, in circostanze ordinarie, esitiamo a concedere alla Francia ciò che è accordato ad altre Potenze. È meglio non parlare con Decazes di questo incidente perché può darsi benissimo che non fosse altro se non un pensiero di Tiby. Ma se te ne fosse parlato, Tu potrai spiegare nel modo più semplice la mia risposta, se pure non credi meglio tacerne il vero motivo.
Visconti è ritornato ieri. Partiremo probabilmente per Milano il 15 od il 16 corrente. Rivedrò B. (praticamente impossibile da individuare, trattasi di una signora non meglio identificata? ndr) a cui mi presentai altra volta, se lo ricordi, con una tua lettera. Artom
Roma, 2 novembre 1875 (in francese)
Il signor Luzzati parte per Parigi dove arriverà il 5 o 6 corrente. Si fermerà dieci o dodici giorni. Minghetti e Visconti mi incaricano di raccomandarti di dargli l'aiuto della Legazione per i negoziati che è incaricato di seguire riservando comunque la firma del Trattato di Commercio a Roma. Il Ministro sarà di ritorno qui venerdì o sabato. Artom
Roma, 12 novembre 1875
Col giorno 20 novembre dovrebbe aver luogo lo scambio delle ratifiche della Convenzione di Parigi relativa al Metro. Come Ella sa, il progetto di legge per l'approvazione di quella Convenzione, che importa aggravio alle pubbliche finanze, fu da me presentato alla Camera dei Deputati sullo scorcio dell'ultimo periodo dei lavori parlamentari, ma finora esso non è uscito dallo stadio dell'esame preliminare in seno agli uffici. In Questo stato di cose, e benché sia mia intenzione di sollecitare i lavori relativi a quel progetto di legge tosto che la Camera avrà ricominciato le sue sedute, riesce evidente l'impossibilità che l'approvazione di esso, per la quale non crederei che possano sorgere difficoltà, abbia luogo in tempo pel giorno indicato.
È bensì vero che Io potrei far tenere a V.S. Illustrissima, anche in pendenza di tale approvazione, gli strumenti di ratifica perché Ella possa procedere allo scambio, ma non parmi conveniente di farlo dal momento che le Camere stanno già occupandosi di quella materia.
Ad ogni modo Io spero che il ritardo non sarà lungo, e intanto stimo opportuno di esporre a V.S. quale sia il motivo per il quale non Le posso ancora fare la spedizione dei detti Atti sovrani di ratifica onde Ella possa dare su di ciò le spiegazioni occorrenti. Artom
Roma, 2 febbraio 1876
Il signor marchese di Noailles che si è tenuto costantemente in relazione con me per conoscere le disposizioni del R.Governo circa le pratiche da farsi a Costantinopoli nel senso della Circolare del Conte Andrassy, ebbe incarico di comunicarmi anche il sunto telegrafico della Nota che il Governo francese ha deliberato di rimettere in copia alla Sublime Porta.
La Nota francese inizia coll'accennare alle trattative preliminari che ebbero luogo fra le Potenze, trattative dalle quali risultò un accordo comune intorno ai provvedimenti i più appropriati per facilitare la pacificazione delle provincie insorte. Questi provvedimenti sarebbero quelli enunciati nell'Iradé e nel Firmano del 12 dicembre e quelli più particolarmente indicati nei cinque punti speciali della Nota del conte Andrassy che ai primi servono di complemento.
Questi cinque punti sono testualmente ripetuti nel dispaccio del duca Decazes. Nell'esame del terzo punto il Gabinetto di Parigi trova opportuno di esprimere il timore che l'applicazione del provvedimento di cui si tratta possa nuocere in qualche modo agli interessi dei creditori della Turchia.
Il Governo francese osserva che l'occasione gli si offrirà ulteriormente di acquistare a questo riguardo una maggiore certezza. La raccomandazione alla Turchia di accettare il programma delle riforme proposte dall'Austria-Ungheria, all'infuori della sopra indicata riserva, è piena ed assoluta. La Francia nutre fiducia che la Sublime Porta darà al programma stesso una conferma pronta e completa colla sua accettazione.
Il Gabinetto di Versailles ha nel tempo stesso il desiderio di vedere ristabilita la pace in Bosnia ed in Erzegovina e l'autorità del Sultano assicurata in tutti i suoi domini.
Il duca Decazes ricorda le principali fasi delle pratiche anteriori. L'azione delle Potenze in favore della pacificazione degli animi tanto in Serbia che in Montenegro, fu esercitata su domanda del Governo ottomano. La necessità di far cessare i patimenti di cui si lagnano le popolazioni mediante alcuni determinati provvedimenti è incontestabile se pur si vuole che le rimostranze pacifiche delle Potenze abbiano a conseguire il loro effetto. Le decisioni che può prendere il Governo del Sultano non possono produrre un'impressione sufficiente negli animi mal disposti delle popolazioni, se quelle decisioni non saranno rivestite di una forma abbastanza solenne. Pare dunque al Governo francese che sia necessario che la Turchia manifesti le sue risoluzioni notificandole ufficialmente alle sei Potenze ed in questa notificazione dovrebbero essere compresi, insieme ai cinque punti elaborati dal Gabinetto di Vienna, tutti i provvedimenti già promulgati dal Governo ottomano.
La nota del Governo francese afferma la necessità di procedere prontamente e tenacemente nell'esecuzione delle generose ispirazioni del Governo del Sultano.
La Francia sarà lieta di trovare un'occasione di darne atto alla Turchia.
Il Gabinetto di Versailles ritiene che le dichiarazioni anteriori e gli impegni sinceri già presi sembrerebbero sconfessati dalla Sublime Porta se questa esitasse a rinnovarli in una comunicazione che sarebbe una nuova testimonianza delle intenzioni generose del Sultano verso i suoi sudditi appartenenti a diversa fede religiosa.
Per corrispondere alla cortese comunicazione del Gabinetto francese Io ho desiderato che la S.V. fosse in grado di comunicare al Duca Decazes il sunto telegrafico del dispaccio che a mia volta ho indirizzato al Rappresentante del Re a Costantinopoli per associare l'Italia alle pratiche che le Potenze hanno deciso di fare nel senso della circolare austriaca del 30 dicembre.
Ora mi affretto di mandare qui unito una copia di quella mia comunicazione acciocché Ella possa darne lettura a S.E. il duca Decazes se questi Le dimostrasse il desiderio di averne più completa notizia.
Dal suo rappresentante a Roma il Governo francese fu informato dei motivi che ci indussero a seguire un modo di procedere diverso da quello che fu preferito dalla Francia.
Nella sostanza però delle cose l'armonia la più perfetta regna fra i due Governi e noi saremo sempre lieti di cooperare al mantenimento di questo accordo continuando l'amichevole e frequente scambio di idee che si è stabilito fra Roma e Parigi.
Roma, 31 marzo 1876
Carissimo Nigra, "Alea jacta est" (Il dado è tratto ndr). Tornelli è nominato Segretario Generale (del Ministero Affari Esteri ndr), avendo io rifiutato di rimanere col nuovo Ministero. Domani gli lascerò l'ufficio. Lascio non senza pena queste camere ove abitai sei anni in comunione intima d'idee con Visconti e con te. Benchè i giornali abbiano sparsa la voce che io vada a Berna, ciò non è vero. Non ho alcun posto, e non voglio chiederne alcuno. Suppongo che il buon Melegari (Luigi Melegari nominato Segretario Generale del Ministero Esteri e Ministro d'Italia a Berna nel 1876 ndr) desideri riservarsi il posto di Berna, pel caso sempre possibile di rimpasti o di crisi. Rimarrà qualche tempo in congedo e poi in disponibilità in aspettazione di tempi migliori. Melegari e Tornielli sono una guarentigia per la carriera. Essi resteranno quanto più potranno, all'onda di affamati che chiedono posti diplomatici. Io non dubito che tu potrai rimanere a Parigi. Però ne sarò sicuro soltanto quando siasi avverata la nomina a Prefetto di un diplomatico che tu ben conosci. Non sarà male intanto che Nouilles dica in nome di Decases che la tua presenza a Parigi è sempre desideratissima. Visconti ed io avremmo desiderato poterti fare Ambasciatore a Parigi. Ma si attese che fosse costituito il nuovo Governo in Francia, ed intanto ruinò il nostro. Io ho ferma speranza che le considerazioni d'interesse pubblico indurranno i nostri successori a fare ciò che noi avremmo fatto anche per debito di giustizia e per le nostre vivissime ed antiche affezioni.
Non ti parlo di politica interna. Non ho il vizio di veder le cose color di rosa ed ora mi trovo in disposizioni d'animo poco liete. Spero però che l'esperienza d'un governo di sinistra non sarà così funesta. Rimarrò a Roma qualche settimana ancora, per attendere che la primavera faccia capolino nell'Alta Italia. sarò all'Albergo ma tu potrai indirizzarmi le tue lettere al Ministero ove capiterò qualche volta al mese. In ogni caso lascerò il mio indirizzo. Ti ringrazio intanto di tutte le prove d'amicizia che mi hai dato e mi duole solo di non averti potuto dimostrare altro che il mio buon volere. Ricevi una stretta di mano dal tuo vecchio amico Artom
Parigi, 6 aprile 1876
Carissimo Amico, ti ringrazio della tua buona lettera, alla quale spero di poter rispondere fra breve a quattrocchi. Conto di essere a Roma martedì prossimo, e confido di vederti il giorno stesso. Adunque per ora non fo che mandarti i saluti affettuosi del tuo
Nigra
Roma, 8 aprile 1876
Carissimo Nigra,
nella speranza che tu non parta da Parigi che questa sera, Minghetti ti deve spedire in cifra per mezzo di Faubert, il consiglio amichevole di ritardare, con qualche pretesto la tua partenza, finchè ti giungesse, sotto l'indirizzo di Ressman questa mia lettera.
Tutti i tuoi amici sono d'avviso che la tua corsa a Roma è inopportuna e può compromettere gravemente la tua posizione. Melegari stesso lo disse a me martedì, quand'io fui a prender congedo da lui lasciando l'ufficio. Io gli offrii di scriverti di non muoverti da Parigi, ed egli mi vi aveva autorizzato. Ma dopo mi fece chiamare dicendomi che Depretis lo aveva persuaso a mandarti il telegramma con cui ti si autorizza a partire e che era inutile ti scrivessi, poichè la mia lettera non ti sarebbe pervenuta. Tuttavia Minghetti, Dina, Degny ed io stesso risolvemmo ieri sera di far questo tentativo. Le ragioni per cui è inopportuna la tua partenza sono serie. Finora, ch'io sappia, così disse Melegari, non vi sono contro che gli attacchi indolenti del Bersagliere e del Diritto, che tu devi tenere in giusto conto. Non è degno di te di venire a scolparti di ingiuste accuse. Tu devi lasciare al Ministero tutta la responsabilità della decisione. Melegari non desidera gli altri non oseranno toglierti da Parigi. Dietro loro v'ha un gruppo di ambiziosi, affamati d'impieghi che avrebbero voluto vedere i posti diplomatici vacanti per poterli occupare. Essi vorrebbero che come i principali prefetti diedero la dimissione volontaria in seguito al cambiamento avvenuto così avessero fatto i principali diplomatici nostri. Ma se è naturale che ciò avvenga il cambiamento avvenuto nella politica interna, non è così per la politica estera ove si dichiara che non si faranno mutazioni. Nè Robilant[42], nè De Launey pensano a dimettersi. Menabrea e Barral insistono per andar l'uno a Londra e l'altro a Bruxelles. Perchè non potrai rimanere tu solo al tuo posto?
Venendo qui ti esponi ad accuse insulse che avrebbero per scopo che tu giustamente offeso, chieda la dimissione o la traslocazione ad altro posto. Ora è questo appunto che si desidera. ma tu non devi prestarti a questo gioco. Se il Governo vuol trattarti male, lo dica chiaro e ne assuma la responsabilità. Un uomo come te non deve credersi minacciato per ciò solo che dei giornali, che non esprimono punto il pensiero del Ministro degli Esteri, lo attaccano in modo ingiustificabile. Fanno correr la voce che gambetta ti crede un agente bonapartista, e desidera il tuo richiamo. Io non starei al gioco e non mancano mezzi per dire quanto possa esservi di vero in queste affermazioni. Ad ogni modo se questo mio messaggio ti giunge in tempo, rimani a Parigi e non muoverti di là, finchè Depretis[43] e Melegari non ti abbiano fatto sapere chiaramente che non hai più la loro fiducia. Questa è nella convinzione di tutti i tuoi amici migliori, la sola linea che tu abbia a seguire in questo momento.
Melegari mi costringe a rimanere a Roma con Torrielli. Ho preso un piccolo quartierino di due camere e cercherò di passare il mio tempo orecchiando. Scrivimi dirigendomi le lettere al Ministero.
Addio in fretta. Valuta e ricevi una stretta di mano dal Tuo Artom
Roma, 30 aprile 1877
Carissimo Costantino,
sono giunto quì solo da pochi giorni, e non fu che al mio arrivo qui che mi furono consegnate le due scatole di sigarette che hai avuto la bontà di mandarmi. Ho pure ricevuto soltanto testè la tua bellissima fotografia. Perdonami dunque d'aver ritardato finora a ringraziarti del tuo dono gentile e squisito e del buon ricordo che serbi di me. Tu ti sarai domandato spesso che razza di vita io abbia fatto quest'inverno in Asti, lontano da ogni centro di vita politica ed intellettuale. Ti dirò chiaramente che ho voluto sperimentare contro la mia dispepsia un metodo di cura che mi era spesso stato raccomandato dai migliori medici: quello di astenersi da ogni medicina e di limitarsi alla cucina domestica. da quasi vent'anni non passavo qualche mese in famiglia. Ho voluto provare se la mancanza d'ogni preoccupazione, il clima corroborante del Piemonte non potessero giovarmi meglio di tutti i veleni che mi erano stati consigliati. Per vero ho ottenuto già un notevole miglioramento e, se non sono ingrassato quanto il Duca di San Donato (Gennaro Sembiase figura di spicco del Risorgimento e dalla corporatura imponente ndr), non ho l'aspetto allampanato che tu spesso rammaricavi sul tuo vecchio amico. La noia a grandi dosi non mi è mancata, ma ho preferito questa agli innumerevoli pettegolezzi della vita romana. Per fortuna l'inverno fu splendido: era più caldo in Asti che a Roma ed a Napoli; facevo lunghe gite in campagna coi miei nipotini e coi miei fratelli, e leggiucchiavo qualche libro. E tu che fai? La tua fotografia mi tranquillizza sulla tua salute. So che sei stato affettuosamente accolto dall'Imperatore e che sei in ottime condizioni sociali. Eccoti ora più che mai nel centro dell'azione diplomatica: se v'ho un mezzo ragionevole di risolvere l'inestricabile questione d'Oriente, tocca a te ritrovarlo prima che la spada abbia troncati bensì alcuni nodi, ma abbia fatto sorgere altre questioni occidentali. Mi compiaccio che tu almeno non sia come Visconti ed io fuori d'ogni campo d'attività concreta, in un momento così importante. Quanto a me Io ondeggio fra il rammarico d'esser quasi estraneo alla politica attuale, e la povera soddisfazione di non incorrer rischi di responsabilità in un periodo così difficile, in cui non v'è, per noi almeno, che delle fautes à commettre (errori da fare ndr). E perciò non ti parlo di Melegari e di Torrielli: li ho veduti, ma ne so quanto prima. Piuttosto ti dirò della situazione interna. La quale è tutt'altro che buona senza che si sappia come possa cangiare in meglio. Il paese comincia ad accorgersi, almeno nell'Alta Italia, a che razza di riparazione si è sottomesso, e le recenti elezioni furono quasi tutte contrarie al Ministero. Questo è discorde. La maggioranza, piena di malumore morse il fieno con rabbia. Ma che giovò? Appena Sella e Minghetti danno segno di vita i Ministri seccati si uniscono di nuovo contro quel fantasma di consorteria che, almeno dopo la depressione della Toscana, dovrebbe cader nell'oblio. E perciò Visconti fa il morto, ma se è una buona tattica parlamentare, ciò non può dirsi che giovò all'opposizione nell'opinione pubblica. L'antica destra, per quanto scarsa di numero, ha sempre uomini a cui il paese accorda ingegno ed autorità maggiori che ad altri; ma sarebbe inutile ch'essi in ogni questione facessero sentir la loro voce, anche evitando di venir ai voti. Parlar alla camera, perché è questo il solo modo di parlare al paese; suo il vero scopo d'un opposizione seria e parlamentare. Ma il peggio si è che Visconti pur accettando d'esser capo della destra, non è d'accordo con questa su molte importanti questioni. Egli accetta la legge sugli abusi del Clero, ed in tutta la politica ecclesiastica è più d'accordo cogli attuali che cogli antichi Ministri. E sai di quanta importanza ha il tenersi uniti per una opposizione che conta appena 100 su 500 deputati. Intanto Nicotera (Giovanni Nicotera, deputato e Ministro degli Interni ndr) ha costituito quella che chiamano la legione telegrafica; un centinaio di deputati napoletani stanno ai suoi cenni ed al primo squillo del campanello elettrico vengono in sei ore a votare, mentre ce ne vogliono 24 pei piemontesi e lombardi. Così hanno i voti e quando, per una ipotesi poco probabile, la Camera desse torto al Ministero, questo le tiene sospesa sul capo la riforma elettorale, di cui tiene nascoste le basi e che ci regalerà chissà quale altra maggioranza. Ma basti per ora. M'accorgo che l'aria di Roma comincia a darmi fastidio. Non voglio annoiarti di questa malinconia. Addio affettuosamente con una stretta di mano dal tuo grandissimo amico Artom
Asti, 22 novembre 1886
Carissimo amico,
trovandomi in Asti nella stagione dei tartufi mi sono preso la libertà e fatto un piacere di mandartene una piccola quantità, quanta cioè se ne può spedire col pacco postale. Io spero che tu, malgrado i tuoi gusti e le tue abitudini della gran società cosmopolita in cui vivi da gran tempo, vorrai accoglier con piacere questo modestissimo prodotto delle colline piemontesi, rude ed agreste come il dialetto della nostra terra.
Tuo vecchio amico Artom
Vienna, 24 novembre 1886
Carissimo amico,
la corrispondenza giuntami oggi dall'Italia è tutta profumata dallo squisito odore dei tartufi che hai avuto la bontà di spedirmi. Essi mi giunsero doppiamente graditi e per se stessi, e molto di più per il ricordo dell'antico e fedele amico. Accetta tutti i miei ringraziamenti che ti mando dal cuore, insieme coi miei migliori ricordi. Ultimamente ebbi licenza di fare una corsa d'otto giorni a Parigi (non ebbi altro congedo quest'anno). Ci vidi Ressman e con esso ricordammo i tempi del mio soggiorno colà. Purtroppo degli amici e collaboratori di quell'epoca oramai lontana, pochi rimangono, e mi trovo fra gente nuova e in luoghi nuovi. Mi avete lasciato solo o quasi solo all'opera. Quando vedrai Visconti e Minghetti, salutali per me, mi duole assai di saper l'uno rattristato da grave lutto e l'altro tormentato da dolorosa e crudele malattia. Fo voti sinceri perchè guariscano entrambi.
E fo voti perché tu sia in buona salute. Ti invidio l'aria e l'ozio dei tuoi colli Monferrini e se ami meglio, Astigiani. Continua a ricordare e ad amare il tuo vecchio amico Nigra
Monza, 12 ottobre 1887
Carissimo Artom,
Sormani mi ha comunicato la tua cartolina. Io sono ora a Monza e ci starò credo fino a domenica o lunedì. Ti dò convegno per martedì alle 6 all'Hotel Continentale in Milano. Vorrei poterti dare convegno a Torino che sarebbe più vicino per te. Ma non so ancora se e quando ci andrò e intanto un telegramma può interrompere improvvisamente il mio congedo. Sicché, tutto ben considerato, ho pensato che era meglio e più sicuro il fissare il convegno come sopra. Sarò lietissimo di rivederti dopo tanto tempo di separazione. Intanto ti mando i miei più cordiali saluti. Tuo affezionatissimo Nigra
Monza, 14 ottobre 1887
Carissimo Artom
ho avuto la tua letterina. Siccome devo passare per Torino penso che ti sarà più comodo di vedermi colà. Ti dò quindi convegno in Torino all'Albergo d'Europa mercoledì 19 corrente, dopo le due e prima delle 4 pomeridiane.
Tuo affezionatissimo amico Nigra
23 novembre 1888
Carissimo amico,
non ho la fortuna di incontrarti né a Torino, ove mi recai appena seppi dai giornali che tu eri giunto colà, né a Roma ove arrivai il giorno dopo la tua partenza. E non potendo ricordarmi alla tua amicizia in modo migliore, ho scritto a mio fratello di mandarti da Asti un piccolo pacco pieno di tartufi. Spero che li riceverai ancora ben conservati e mangiabili, e che li gradirai. Ebbi da Sormani le tue buone notizie, ma sarei lieto se potessi riceverne la conferma da te. Io ritornerò in Asti verso il 7 o l'8 dicembre, poiché mi pare che il Senato non abbia lavoro per trascinare le sue sedute sino a Natale. Quì continuiamo a far della poli6tica radicale alla francese all'interno e teutonica all'estero. Ma tu di cui sai e giudichi meglio di me. Io mi limito a stringerti la mano ed a pregarti di conservare la tua amicizia al tuo affezionatissimo Artom
Vienna, 30 novembre 1888
Ho ricevuto la tua buona lettera e fin da ieri l'altro la magnifica scatola di tartufi, che giunsero in perfetto stato e che profumarono subito la mia tavola, con grande soddisfazione dei convitati. Io ti ringrazio di cuore per questo tuo regalo e per la lettera e per la fedele memoria che serbi del tuo vecchio amico. Speravo vederti in Roma. Ma ho dovuto ripartire in fretta e seppi da Tornielli che non eri al Senato alla riapertura di esso. Ti dirigo a Roma queste righe, pensando che ora tu devi esserci ancora. Ti auguro buona fine e buon capo d'anno. Soprattutto guarda di star sano. Conservami la tua buona amicizia. Io sono, come sempre, il tuo vecchio e fedele amico.
Acqui, Stabilimento termale, 16 ottobre 1890
Carissimo Amico,
sono in Acqui in cura per una decina di giorni. Non vorrei esserti tanto vicino senza vederti. Puoi venire qui? O vuoi darmi convegno alla stazione di Alessandria al mio ritorno? Fai come meglio ti serva purché Io ti veda. Intanto ti saluto ben caramente. Tuo affezionato e vecchio amico Nigra
Vienna, 2 gennaio 1891
Sono dolentissimo d'apprendere la grave e dolorosa perdita che hai fatto. So quanto sia la tua affezione per i tuoi fratelli, e partecipo sinceramente al tuo cordoglio.
Io fui, come bene hai pensato, ripreso dai dolori reumatici che tanto mi hanno tormentato lo scorso autunno. Ora cessarono ma non mi sento ancora assicurato contro un ritorno offensivo.
Crispi mi ha messo nella lista dei nuovi Senatori senza farmene motto. La nomina mi giunse inaspettata, ma fatta. Le ragioni che mi avevano indotto a non lasciarmi mettere in lista per il passato esistevano anche ora. Ma fatta la nomina non mi rimaneva che di acquetarmi al fatto compiuto. Mi è difficile il chiedere un congedo straordinario in questo momento ma spero che verrà presto il tempo in cui ne piglierò uno definitivo. E allora se Dio ci dà vita e salute, ci vedremo spesso.
Vienna, 28 aprile 1891
Eccoti le informazioni. Gilberto Hohenwart figlio del Conte Carlo di Hohenwart di Gerlachstein, Consigliere intimo e Presidente di Corte in ritiro. E' il terzogenito dei quattro figli e di una figlia, viventi. Il padre è pensionato, ma non ha fortuna.
II Gilberto come terzogenito non ha nulla, o quasi. E' intelligente e per bene. Al Ministero ne sono abbastanza contenti. Se il padre vivrà e finché vivrà gli darà tanto da campare, e lo spingerà nella carriera; ma anche con questo appoggio i progressi in una carriera ingombrata come quella diplomatica, i progressi saranno ben lenti.
Ha 37 anni e non è che consigliere onorario (non ancora effettivo) di Legazione. Se abbia avuto o abbia legami intimi non so né posso sapere, quanto al fisico, si può sapere che cosa è più a Roma dove si trova, che qui. In Vienna non si è inteso nulla di male sul conto suo e al Ministero, ripeto, è ritenuto come un giovane intelligente.
La mia salute va ora un po’ meglio, ma temo sempre le ricadute.
Vienna, 14 maggio 1891
Suppongo che all'Esposizione enologica di Asti avrà fatto bella comparsa qualche campione di Champagne Italiano. Se così è, ti prego di farmene mandare una dozzina di bottiglie, come campioni, giacché sto studiando il modo di far conoscere in Vienna i nostri vini a uso di Champagne. Ne feci venire di quello dei Fratelli Gancia da Canelli, e dal Beccaro da Acqui. Ma furono trovati troppo deboli e non ebbero il successo che speravo. Forse alla mostra d'Asti ci sarà qualche cosa di meglio.
Fa seguire la nota che sarà subito pagata allo speditore. Occorre anche sapere l'anno del vino e, ben inteso il prezzo sul luogo.
Riceverai fra qualche giorno un esemplare del mio opuscolo su la Chioma di Berenice. Ti servirà di lettura in ferrovia da Asti a Roma.
Tuo affezionatissimo amico Nigra
Vienna, 24 novembre 1891
Ti ringrazio cordialmente della scatola di tartufi, giuntami ieri, in buone condizioni. Davvero Io non so come mostrarti la mia riconoscenza per le continue prove di buona memoria di amicizia che mi dai. Io devo ancora ringraziarti per i campioni di Champagne Astigiano. L'abbiamo qui gustato in mezzo a persone competenti. Ma purtroppo abbiamo dovuto convenire che la riuscita era, più che mediocre, infelice. Finora tutti i campioni mandatimi da ogni parte d'Italia fallirono completamente. Non solo il Champagne Italiano non si avvicina al mediocre Champagne Francese, ma è inferiore al tedesco ed all'austriaco.
Ora scriverò a Camporeale a Palermo per sapere se a quella esposizione si riuscì a presentare qualche vino spumante che possa sostituire il Champagne. Per noi italiani questa questione del vino è grossa assai. Se non riusciamo a un risultato soddisfacente, converrà cambiar cultura e intraprenderne un'altra. Ma quale?
Io spero vederti nell'inverno, perché vorrei pure andare a prestar giuramento in Senato, e farmi introdurre da Te e da Sormani.
Vienna, 22 dicembre 1891
Ti mando i migliori saluti e auguri per il nuovo anno e ti ringrazio ancora per i tartufi che erano veramente squisiti.
Ho preso la libertà di farti mandare in Asti, dove suppongo che tu ora ti trovi, un Panettone dal Caffé Cova di Milano.
Io sto qui aspettando il passaggio di Ressman che probabilmente avrai visto a Roma.
Ha ritardato la sua partenza per Costantinopoli per la faccenda della casa.
Sta sano e ama il tuo vecchio amico.
Vienna, 6 aprile 1893
Ti ringrazio dal fondo del cuore per le tue affettuose condoglianze. Provato Tu stesso da perdite crudeli, Tu hai dovuto comprendere quale e quanta sia la mia afflizione per la morte di mio fratello. Egli era per me l'amico sicuro di tutta la vita. Era adorato dalle popolazioni del Canavese che concorsero in folla straordinaria ai suoi funerali.
Visse beneficiando morì da stoico. E mi lasciò in profondo dolore.
Compiangimi un poco e conservami la tua buona amicizia. Nigra
Vienna 5 agosto 1893
Carissimo amico,
sto scrivendo alcuni ricordi, bada bene, non ricordi di tutta la mia vita, ma alcuni soltanto, e pochi, scelti fra quelli che mi paiono i meno indifferenti.
Un brano di questi ricordi che compilo in questo momento si riferisce al periodo che va dalla dichiarazione di guerra della Francia alla Prussia fino alla caduta dell'Impero, cioè dal 19 luglio al 4 settembre 1870. E qui mi trovo in presenza di tentativi di negoziati franco-italico-austriaci che non passarono per le mie mani, e che mi sembrano non bene definiti dai documenti che ho sottocchio. Ci fu una specie di negoziato, ma molto confuso, mi pare, per un'alleanza a tre, e poi a due (Austria-Francia e Austria-Italia), per l'intermediario di Vitzthum; questo negoziato fu fino a un certo punto ufficiale, perché Vitzthum portò un progetto a Gramont[44] e uno a Visconti. Poi vi fu allo stesso tempo una proposta portata da Vimercati all'Imperatore Napoleone per parte del Re Vittorio Emanuele a Metz (2-6 agosto 1870) all'infuori di ogni partecipazione del Ministero, della quale proposta parlò poi il Principe Napoleone nel suo articolo della « Revue des Deux Mondes »[45]. In che termini fosse questa proposta, Visconti non sa, e io non seppi mai, e la sola notizia più o meno autentica di essa l'abbiamo nel citato artìcolo del Principe Napoleone.
Ma non è su quest'ultimo negoziato che io vengo ora a invocare la tua memoria. La invoco invece per l'altro negoziato, quello di Vitzthum. In un tuo importante telegramma da Vienna del 28 luglio tu scrivevi a Visconti : « Le projet de traité (porté par Vitzthum) n'a pas d'importance par lui-mème. L'essentiel c'est l'entente sècrete des trois Cabinets pour le passage de la neutralité apparente a la guerre, et les conditions de l'action combinée. Je vous suis trop dévoué pour ne pas dire franchement ma pensée. Je ne signerai rien, ni a deux, ni a trois, sans concessions réelles et définitives de la France dans la question romaine. La promesse des bons offices de l'Autriche n'est qu'un leurre. L'Empereur Napoléon doit choisir entre le Pape et l'alliance offensive et défensive autrichienne et italienne ».
"Il progetto di trattato (portato da Vitzthum) non ha importanza secondo lui. L'essenziale è l'intesa segreta dei tre Gabinetti per il passaggio della neutralità apparente alla guerra, e le condizioni dell'azione combinata. Vi sono troppo devoto per non dirvi francamente ciò che penso. Io non firmerei nulla, né a due né a tre, senza concessioni reali e definitive della Francia sulla questione romana. La promessa di buoni uffici dell'Austria non è che un bleuf. Beust è protestante; ma l'Imperatore Francesco Giuseppe è clerciale. lo sim sa a Parigi. Non approvo la combinazione ipotizzata da Vimercati. Mi posso sbagliare ma non vedo né l'interesse dell'Italia né quello di Casa savoia.
L'unità tedesca non sarà un pericolo per noi che se la Prussia divenisse alleata. Il Governo prussiano non è a nord delle Alpi, cosa che non fa credere sia che la Francia possieda Nizza e la Savoia e l'Austria le Alpi Giulie. La Prussia non può avere sull'Italia le vecchie pretese dell'Impero romano. Giammai saremo in condizioni migliori. Il Papa senza prestigio; la Francia imprudentemente impegnata in un conflitto dai risultati dubbi e talmente odiosi che il Governo austriaco si metta dietro all'Italia e sostiene i nostri sforzi dopo di essa per farsi scusare delle simpatie francesi. L'Imperatore Napoleone deve scegliere tra il Papa e l'alleanza offensiva e difensiva austriaca e italiana. L'opinione liberale, anche in Francia, ci approverà. Armiamoci, stiamo calmi e non impegniamoci a concludere".(ndr)
Il giorno dopo un telegramma di Vimercati da Milano diceva : « L'Empereur Napoléon accuse Beust d'avoir soulevé la question romaine pour paraliser le bon vouloir de l'Italie et gagner du temps ».
"L'Imperatore Napoleone accusa Beust di aver sollevato la questione romana per paralizzare la buona volontà dell'Italia e guadagnare tempo". (ndr)
D'altra parte, il 26 luglio Gramont mi dichiarava che la Francia non poteva prendere alcun impegno per Roma al di là della Convenzione del 1864.
Ora Io desidererei sapere da Te quale era press'a poco la proposta portata da Vitzthum a Parigi e a Firenze; se ci fu un progetto a tre o soltanto a due (Austria-Francia, Austria-Italia), progetto di neutralità armata, con riserve segrete di convertirla in concorso armato; in che cosa consistevano questi buoni uffici di Beust per la questione romana. Infine mi sarà utilissimo e gratissimo ogni altro particolare su queste oscure, e aggiungo miserabili trattative, nelle quali è difficile il determinare se fu maggiore l'inconseguenza e la versatilità di Beust, l'imbarazzo doloroso nostro, l'incapacità altera di Gramont, o la mancanza di volontà dell'Imperatore Napoleone.
Scusa, carissimo amico, la noia; consòlati pensando che questa noia l'ho data anche a Visconti e credimi sempre tuo aff.mo amico Nigra
Asti, 11 agosto 1893
Carissimo amico,
per rispondere con esattezza alle domande contenute nella tua lettera occorrerebbe avere sotto gli occhi le carte ed i documenti di Vimercati[46] che fu l'attore principale dell'intrigo, assai più che negoziato diplomatico, al quale tu alludi. Quei documenti furono, a quanto mi si disse, depositati nell'Archivio segreto di Corte. Io non ho alcuno scritto di quell'epoca e sono costretto a dirti quel poco che ancora ricordo. ma sono trascorsi orsono ventitre anni e non vorrei che tu ti fidasi soltanto della mia memoria. Ad ogni modo, ecco quel poco che posso dirti. Come sai, nel 1870 ero Ministro a Baden. Per ordine del medico e con licenza regolare del Ministero mi ero recato nel mese di giugno a Franzensbad (località termale della Boemia ndr). Pochi giorni dopo che avevo incominciato la mia cura, ricevetti l'ordine di ritornare a Carlsruhe (città del Baden in Germania vicino a Stoccarda ndr) ove mi attendevano istruzioni urgenti. Attraversai non senza grande disagio la Baviera ove tutti i treni erano gremiti di soldati chiamati sotto le armi. Giunto a Carlsruhe trovai l'ordine di partire immediatamente per Vienna in missione segreta. Quella Legazione era allora vacante; vi era destinato Minghetti ma egli non aveva ancora accettato e non era ancora disposto a partire. Rimasi a Vienna due o tre mesi in posizione difficile e penosissima. Sentivo la grave responsabilità dell'incarico affidatomi, senza avere il modo di adempirlo convenientemente. I mezzi di informazione mi mancavano affatto non potendo frequentare i membri del Corpo Diplomatico, né lasciarmi vedere in società. Conoscevo La Tour d'Auvergne (Ambasciatore francese ndr) e Mostourg (?) ma dovevo non lasciarmi vedere da loro. Ebbi parecchi colloqui col Conte B. che era però tutt'altro che espansivo. Capivo che vi era un doppio giuoco che era difficilissimo da sventare. Agli antichi progetti d'alleanza a tre colla Francia (anche Vittorio Emanuele accarezzava sempre per mezzo di Vimercati, malgrado le ripugnanze di parecchi dei suoi Ministri e specialmente di Sella) era stato sostituito un progetto d'accordo segreto con cui l'Austria e l'Italia si obbligavano alla neutralità armata, ma col patto di non passare a prender parte alla guerra senza un accordo per un'azione comune.
Questa era la base del progetto Vitzthum. Ma, al di sopra di tutti questi, le dichiarazioni fatte allora da B. nella questione romana gli valsero anticipatamente ogni mezzo decente di porre ostacolo al nostro ingresso a Roma. Io non ho mai rivendicato per me il merito di avere contribuito a raggiungere questo risultato. ma i miei telegrammi da Vienna ad Emilio (Visconti Venosta ndr), che tu hai sotto gli occhi e dei quali amerei ottenere per mezzo tuo una copia, dimostrano che io non sono rimasto estraneo a questo risultato.
Mentre io ero a Vienna, venne colà Vimercati e si vantò pubblicamente d'avere malgrado mio ottenuto la firma d'un trattato di alleanza, quello forse che portò a Metz. Io lo lasciai dire, sicuro com'ero che non se ne sarebbe fatto nulla. Chiesi Io stesso ad Emilio di richiamarmi da Vienna e non pare ch'egli fosse malcontento dell'opera mia, poiché mi nominò subito Segretario Generale (del Ministero Esteri ndr) in luogo di Blanc.
Suppongo che Visconti ti scriverà o ti avrà scritto a un dipresso le stesse cose. Se ti preme conoscerle meglio, consulta i documenti di Vimercati che a te non saranno negati. Sono anch'io però d'avviso che giovi lasciare nella penombra l'intrigo Vitzthum-Vimercati.
Sono lieto che tu scriva i tuoi ricordi, ma hai nella tua vita politica tanti altri periodi splendidi e gloriosi, che puoi lasciare a Vimercati questa fase speciale. Io non ho qui le memorie di B., probabilmente tu le hai già consultate e saprai se e come parla di questa parte del suo Ministero. Se vieni in Italia nell'estate fammelo sapere, affinché trovi il modo di venirti a salutare.
Addio carissima Eccellenza, credimi sempre il tuo vecchio e fedele Artom
Vienna, 16 agosto 1893
Carissimo amico,
ti ringrazio della tua lettera, ma essa mi lascia nell'incertezza in cui ero, anzi la rende più buia. Ti mando qui unito: 1) il solo telegramma che Io ho; fu quello che tu spedisti da Vienna e lo possiedo perché rinchiuso in uno a me diretto da Visconti; 2) una lettera di Visconti, che ti prego di rimandarmi, assicurata; 3) le prime pagine del capitolo delle mie memorie che si riferisce a quell'epoca (semplice minuta beninteso), che ti prego di restituirmi egualmente assicurata. Il punto che si tratta di chiarire è se dal 20 luglio al 3 agosto 1870 ci fossero due negoziati paralleli o uno solo; se vi fossero due progetti o uno solo; cioè se parallelamente al progetto a due portato da Vitzthum a Firenze il 1° agosto, e da Vimercati a Metz il 2 agosto, vi fosse un altro progetto di trattato a tre, segreto, in tre articoli, a cui sarebbe stato aggiunto un quarto articolo del Re Vittorio Emanuele, del quale secondo progetto sembra esclusivamente parlare il Principe Napoleone, nel suo scritto inserito nella «Revue des Deux Mondes » del 1° aprile 1878. La mia impressione è che il Principe Napoleone è inesatto, e che non vi era che un solo progetto, quello austro-italiano, ma che vi erano clausole segrete per il passaggio del trattato di neutralità armata delle due potenze, a un trattato di alleanza, offensiva e difensiva.
Per me l'ipotesi di due progetti che sarebbero stati portati a Metz contemporaneamente da Vimercati si urta contro molte inverosimiglianze. E, d'altro lato, la lettera di Emilio Visconti Venosta (che sembra credere a due progetti) non da alcuna prova in favore di quella ipotesi.
Ti impegno di leggere l'articolo del Principe Napoleone, o almeno lo squarcio che ho copiato nella mia minuta e a compararlo col telegramma mandato da Vimercati da Metz il 3 agosto. A me pare evidente che nella variazione del primo e nel telegramma del secondo si tratta di un solo ed identico progetto.
Ti sarò grato se potrai rispedirmi colla posta assicurata, gli annessi predetti, salvo il tuo telegramma che ho già in copia.
Credimi sempre tuo aff.mo amico Nigra
Copia del telegramma inviato da Visconti Venosta a Nigra da Firenze il 28 luglio 1870
"Vimercati telegrafa che l'Austria crede impossibile attualmente un trattato tra lei e la Francia, ma che è disposta a concludere con l'Italia un trattato separato il cui progetto ci sarà fatto recapitare da Vitzthum e che il re ed Io ci siamo riservati di esaminare. Nell'attesa, Vimercati si è impegnato a portare questo progetto a Metz".
Vienna, 16 agosto 1893
... Il punto che si tratta di chiarire è... se parallelamente al progetto a due portato da Vitzthum a Firenze il l° agosto e da Vimercati a Metz il 7 agosto, vi fosse un altro progetto di Trattato a tre, segreto, in tre articoli, a cui sarebbe stato aggiunto un quarto articolo dal Re Vittorio Emanuele, del quale secondo progetto sembra esclusivamente parlare il Principe Napoleone nel suo scritto inserito nella Revue des deux mondes del 1° aprile 1878. La mia impressione è che il principe Napoleone è inesatto, e che non vi era che un solo progetto, quello austro-italiano, ma che vi erano clausole segrete per il passaggio dal trattato di neutralità armata delle due potenze, a un trattato di alleanza offensiva e difensiva ...
... Ti impegno di leggere l'articolo del principe Napoleone, o almeno lo squarcio che ho copiato nella mia minuta e a compararlo col telegramma mandato da Vimercati da Metz il 3 agosto. A me pare evidente che nella variazione del primo e nel telegramma del secondo si tratta di solo e identico progetto. Nigra
agosto 1893
... Forse Beust col progetto di trattato Vitzthum non aveva altro scopo che di riservare a sè la scelta dell'ora e del modo di azione e forse era dubbia la sua sincerità nell'aderire ai nostri desideri nella questione di Roma. È certo ad ogni modo che ciò servì a far guadagnare tempo ai due Governi, sin dopo le prime sconfitte francesi, le quali resero evidente che i nostri aiuti sarebbero stati inutili e pericolosi. Ma intanto l'appoggio, sincero o non, dato allora da Beust alle nostre mire nella questione romana servì ad impedire che il Governo austriaco ponesse ostacoli al nostro ingresso a Roma. Io non ho mai reclamato il merito di avere contribuito ad ottenere ciò che fu attribuito a Minghetti. Ma i miei telegrammi che tu hai sott'occhio, e dei quali amerei ottenere per tuo mezzo una copia, attestano che non sono rimasto estraneo a tale fatto. Mentre Io ero là, Vimercati venne a Vienna, fu accolto da Francesco Giuseppe e si vantò con me d'avere malgrado mio ottenuto la firma d'un Trattato che forse fu quello che portò a Metz. Ma Io non chiesi di vederne il testo, sicuro com'ero, che non se ne sarebbe fatto nulla ....
... Ti confesso che propendo per credere che Visconti Venosta sia completamente nel vero. Forse Ottaviano Vimercati non portò a Metz la minuta di un Trattato: egli fu probabilmente incaricato da Vittorio Emanuele sul modo e sulle condizioni con cui egli avrebbe potuto aiutare la Francia. Forse Ottaviano si vantava assai più che non avesse il diritto di farlo, ma Egli parlò con me a Vienna in modo da far credere, che malgrado l'insuccesso di Vitzthum, Egli fosse riuscito o fosse sul punto di stabilire un accordo fra il Re e l'Imperatore di cui Francesco Giuseppe avrebbe dovuto essere consapevole ma non partecipe ...
Sembra infatti che il solo risultato ottenuto da Ottaviano sia stato quello di sentir ripetere direttamente dall'Imperatore la dura risposta di Gramont che tu avevi già trasmessa al Ministero. E tale conferma non è necessaria e nulla aggiunge alla storia di quel doloroso periodo. Artom
agosto 1893
Caro amico,
Ti rimando con piego assicurato il brano delle tue memorie e la lettera di Visconti Venosta. Trattengo, come tu m'autorizzi a farlo, la copia del mio telegramma. È fatta da te, e l'aggiungerò ad altri preziosi tuoi autografi che conservo con cura[47].
Ti scrivo dalla mia campagna e non mi è facile di qui procurarmi il n° della « Revue des Deux Mondes » nel quale v'è l'articolo del Principe Napoleone di cui tu parli. Sono abbonato alla Revue ma mentre Io ero fuori d'Asti i fascicoli non furono tenuti in ordine. Rammento del resto d'aver letto l'articolo e non lo credo esattissimo. Tuttavia dopo aver interrogato con cura la mia memoria, ti confesso che propendo per credere che Visconti Venosta sia completamente nel vero. Forse Ottaviano Vimercati non portò a Napoleone minuta d'un trattato: egli fu probabilmente incaricato da Vjttorio Emanuele soltanto d'una comunicazione confidenziale sul modo e sulle condizioni con cui egli avrebbe potuto aiutare la Francia. Forse Ottaviano si vantava assai più che non avesse il diritto di farlo, ma egli parlò con me a Vienna in modo da far credere, che malgrado l'insuccesso di Vitzthum, Egli fosse riuscito o fosse sul punto di stabilire un accordo tra il Re e l'Imperatore di cui Francesco Giuseppe avrebbe dovuto essere consapevole, ma non partecipe.
Mi duole di non poter risolvere meglio il quesito che Tu mi hai formulato. Forse lo potrai Tu stesso quando verrai in Italia ed otterrai il permesso di frugare nei documenti di Ottaviano Vimercati. Ma Io non mi meraviglierei che di questa come delle altre missioni confidenziali che Vittorio Emanuele spediva dietro le spalle dei suoi Ministri non sia rimasta alcuna traccia. Sembra infatti che il solo risultato ottenuto da Vimercati sia stato quello di sentir ripetere direttamente dall'Imperatore la dura risposta di Grammont che Tu avevi già trasmesso al Ministero. E tale conferma non è necessaria e nulla aggiunge alla storia di quel doloroso periodo. Artom
Vienna, 26 settembre 1893
Ricorro alla tua memoria per una, anzi per due notizie.
1° In una lettera della Contessa di Circourt trovo mentovata, alla data 21 marzo 1862, - une brochure qui révèle les négociations avec le cardinal Antonelli publiée a Turin -(un volantino che rivela i negoziati col cardinal Antonelli pubblicato a Torino ndr)
Potresti procurarmi qualche notizia su tale pubblicazione, cioè sul nome, l'autore, sulla data e sul contenuto.
2° In una lettera di Cavour del 7 luglio 1856 è mentovato il primo libro Chiala, del quale Cavour non parla con entusiasmo. Ora Io ho dimenticato il libro, il suo titolo, il suo oggetto, benché mi ricordi perfettamente d'aver avuto il libro in mano, e anche d'averlo letto. Probabilmente tu avrai serbato miglior memoria di esso e in ogni caso potrai, spero, trovar modo di rinfrescare le mie rimembranze. E ti sarò grato se lo farai, potendolo. Come avrai supposto, leggendomi, sto mettendo in ordine le lettere di Cavour alla Contessa di Circourt, perché siano pronte per la stampa, da farsi da o da altri dopo di me. In quelle della Contessa dirette a me il tuo nome ricorre più volte.
3° In gennaio o febbraio 1862 Rattazzi fece o lasciò pubblicare a Londra vecchie lettere di Cavour a lui dirette, alcune confidenzialissime. Ti ricordi in quale giornale inglese furono pubblicate?
Asti, 6 ottobre 1893
Carissimo amico,
una, non grave ma noiosa, indisposizione di salute m'impedì di rispondere prima d'ora alla tua lettera del 26 settembre scorso. Se non prendo sbaglio, la brochure alla quale allude la contessa di Circourt nella lettera de 21 marzo 1862 è quella d'un certo Abate Antonino Starà. In questi, a quanto afferma, segretario particolare del Cardinal Antonelli, e con quest'Abate si mise in relazione l'Avvocato Omero Bozino di Vercelli; questi recandosi a Roma per affari professionali offrì i suoi servigi al Conte di Cavour, il quale certamente lo incaricò di aiutare segretamente il buon Pantaleoni nei suoi negoziati per riuscire ad una rinuncia al potere temporale. L'opuscolo di Chiala merita ancor meno d'esser tratto dall'oblio in cui è caduto. Era, se non m'inganno, una critica acerba dell'accordo fra Cavour e Rattazzi. Chiala, giovanissimo allora, prendeva le difese dell'estrema destra, e molti giovani aristocratici cercarono allora di fondare un giornale contro Cavour. Ho rovistato nei miei vecchi libri ma non ho trovato questi due opuscoli. Sarà facile trovarli a Roma, sia nella Biblioteca del Senato, sia nella Biblioteca Vittorio Emanuele alla quale Dina legò la sua raccolta di opuscoli politici relativi alla storia contemporanea d'Italia. Ti indico questa collezione perché essa possa esserti utile pei tuoi importanti lavori. Non rammento il nome del Giornale inglese nel quale furono pubblicate le lettere di Cavour a Rattazzi. Ma le troverai certamente riprodotte o nei sei volumi del Chiala, od in una pubblicazione, a quanto mi pare, Politica Segreta Italiana.
Spero che la tua sciatica ti abbia definitivamente abbandonato. Dammi notizia della tua salute, e se verrai in Italia fammelo sapere affinché troviamo modo di vederci.
Addio, eccellenza carissima. Credimi sempre il tuo vecchio amico Artom
Asti, 29 dicembre 1893
Tu hai tante cose pel capo che Io non ho d'uopo di scusarmi presso te del mio lungo silenzio. Non avevo nulla di consolante da dirti, né di me che invecchio vegetando, né delle cose nostre che tu giudichi ed apprezzi meglio di me. A che pro’ dunque scriverti ed obbligarti a rispondermi? Sperando di vederti, sono corso a Torino quando vidi annunciato dai giornali il tuo arrivo, ma tu eri già ripartito. Ora che finalmente questo 93', d'infelicissima fama, sta per finire, auguro a te ed a me che il '94 lo faccia dimenticare. Per me non spero nulla e quasi non so desiderar nulla: ma tu che sei in luogo così elevato e così difficile, puoi sperare e desiderare all'Italia ed a Te tempi migliori. Ed Io li auguro a te con quell'affetto che invecchia cogli anni, e di cui tu conosci la sincerità e l'ardore.
Serbami dunque un posticino nel tuo cuore, e ricevi una buona stretta di mano dal tuo antico e fedele amico. Artom
Asti, 2 gennaio 1895
Carissima Eccellenza,
malgrado la stagione troppo inoltrata, ho potuto andare a trovare, nei dintorni di Asti, una piccola quantità di tartufi che ti mando con pacco postale. Tu che ami le tradizioni popolari e le cose paesane, accoglierai benevolmente l'omaggio rusticano d'un vecchio amico. Ho lasciato Roma verso Natale, coll'animo desolato dalla babele parlamentare. Dicono inevitabili le elezioni generali ma quelle parziali avvenute testé, non lasciano quasi sperare una Camera migliore dell'attuale. Il peggio poi si è che le liste elettorali nuove non saranno finite che verso aprile, poi si dovranno rinnovare i Consigli Comunali e Provinciali, e solo dopo queste elezioni amministrative procedere alle elezioni politiche.
Intanto si avrà lo scandalo di nuove accuse, di nuovi giudizi; mentre il paese non piglia interesse né pel Ministero né per la Camera, e non chiederebbe altro che di viver tranquillo a liberarsi da Governo e da deputati, l'Italia passa un lungo e brutto quarto d'ora! Voglia almeno il '95 recarti salute e prosperità come te lo auguro di cuore. Il tuo vecchio amico Artom
Asti, 2 febbraio 1896
Carissima Eccellenza,
ricevo in questo momento la cassetta con due squisiti fagiani di Romania, e mi affretto a ringraziarti del tuo magnifico dono. Mi spiace solo che tu ti sia data la pena di scrivermi due lettere e di farmi spedire quella raccolta per quel poco vino che mi sono preso la libertà di mandarti. Come circostanza attenuante, dirò che avendo letto per caso, in un giornale d'Agricoltura, una relazione dell'Enologo governativo di Vienna con cui faceva elogi del Moscato di Canelli, mi venne l'idea di fartelo gustare.
Certo esso non potrà sostituire il Champagne nei tuoi pranzi diplomatici; ma vi hanno occasioni in cui il vino dev'essere patriottico e retorico come i discorsi, p.es. quando ricevi la Colonia del 14 marzo. In quella circostanza spero che anche il moscato di Canelli potrà essere bevuto.
Orsi mi aveva fatto sperare che tu facessi una gita nell'Alta Italia prima di ritornare a Vienna, ed Io mi proponevo di andarti a stringere la mano a Milano od a Torino. Evitai finora di recarmi a Roma, perché mi fa troppa rabbia di vedere sprecate in Africa le poche forze morali e materiali del nostro povero paese.
Ora siamo in grande ansietà per la battaglia che dicono imminente. I tuoi consigli certo avranno potuto giovare, e quanto alla politica generale sono tranquillo. Ma l'Africa è un gran guaio ed è penoso che certi Ministri si lascino trascinare alle peggiori avventure.
Non voglio abusare del tuo tempo prezioso per ripetere cose che sai meglio di me. Perdonami l'invio del vino, e credimi sempre il tuo vecchio amico Artom
Asti, 5 settembre 1897
Carissima Eccellenza,
ieri andai a San Martino Canavese a far visita al marchese Alfieri ed ebbi da lui l'incarico gradito di darti le sue notizie. Egli sta relativamente bene, non è dimagrito quanto si poteva temere, ed ha superato a quanto pare la grave malattia da cui fu colpito. Mi parlò a lungo e con grande interesse del suo Istituto di Scienze Sociali di Firenze. Egli vorrebbe farne il semenzaio degli alti impiegati dello Stato, diplomatici, prefetti, consiglieri di stato ecc. Si lagna di non trovare mai professori nel Ministero della Pubblica Istruzione, e forse anche in altri Ministeri pel concorso da lui desiderato. Parlò a lungo e con vivo affetto di te: mi chiese se verrai presto in Italia e mi incaricò di salutarti a suo nome. Parlammo pure a lungo di suo genero ch'è ora come sai in Germania. Alfieri è come lo sono io lieto che Egli abbia occasione di conoscere personalmente l'Imperatore. Sua moglie crede che Egli voglia recarsi a Vichy come le annunciavano i giornali francesi. In esso articolo consacrato specialmente a te, il Prof. delfino Orsi ebbe la bontà di rammentare anche il mio povero nome. ogni cosa che ricordi i begli anni nei quali io ebbi la buona ventura d'essere tuo collaboratore, mi commuove, e mi fà un vivo piacere. Ma nel tempo stesso mi fa sentire vieppiù il rammarico di non aver potuto o saputo continuare come te a rendere grandi servigi al paese, nella politica, nelle scienze, nelle lettere.
Perdonami questo piccolo sfogo di sentimenti personali e credi al sincero e riverente affetto del tuo vecchio amico Artom
Asti, 23 agosto 1898
Carissimo amico,
ti mando con plico assicurato il brano delle tue memorie e la lettera di Visconti Venosta. Ritengo, come tu mi autorizzi a farlo, il mio telegramma copiato da te, e l'aggiungerò agli altri preziosi autografi tuoi che serbo con cura. Ti scrivo dalla mia villetta presso Asti. Non è facile di qui procurarmi il fascicolo della Revue des deux Mondes nel quale v'è l'articolo del Principe Napoleone di cui tu parli. Sono abbonato alla Revue ma nel tempo in cui ero fuori d'Asti i fascicoli non furono tenuti in ordine. rammento d'aver letto l'articolo e non mi pare esattissimo. Ma dopo avere interrogato con cura la mia memoria, non ti nascondo che propendo a credere che Visconti Venosta sia nel vero. Forse Ottaviano non portò a Metz la minuta d'un trattato: probabilmente egli fu incaricato soltanto d'una comunicazione confidenziale circa il modo e le condizioni con cui Visconti sarebbe tentato di aiutare la Francia. Forse Ottaviano si vantava assai più che non avesse il diritto di farlo; ma egli parlò con me a Vienna in guisa da lasciarmi l'impressione che malgrado l'insuccesso della missione Witz, Ottaviano fosse sul punto di riuscire a stabilire un accordo fra V.E. (Vittorio Emanuele ndr) e l'Imperatore, accordo di cui il Graz.(?) avrebbe dovuto essere, se non partecipe, consapevole. Ti sarà facile, quando verrai in Italia, di consultare i documenti lasciati da Ottaviano. Io non mi stupirei però, che di questa, come di altre missioni segrete tentate all'insaputa dei Ministri, non vi sia rimasta alcuna traccia.
Leggo nel Dibattimento che Visconti Venosta è andato a Carlsruhe.
O nell'andare o nel ritorno egli passerà forse da Vienna e tu potrai avere verbalmente da lui altri ragguagli. Ti prego di salutarlo a mio nome e di felicitarlo dell'opera sua nell'arbitrato di Behring. Dolente di non poterti aiutare di più nella soluzione del quesito storico circa la missione di Vimercati ti auguro buona salute e ti stringo la mano. Il tuo vecchio amico Artom
Roma, Trinità dei Monti 18, 28 novembre 1898
Carissimo Amico,
non voglio aspettare il momento in cui avrò il piacere di rivederti per ringraziarti del nuovo profumato regalo che hai avuto la bontà di farmi.
Ti sono veramente e cordialmente riconoscente della tua buona memoria e della tua fedele amicizia per me. E non posso che ripeterti che ricambio questi sentimenti con una fedeltà che durerà per quel poco di vita che mi resta.
Credimi dunque tuo vecchio e costante Costantino
Vienna, 17 aprile1899
Ho chiesto oggi stesso, appena ebbi la tua lettera, che tuo nipote Ernesto sia addetto, durante tutto il tempo in cui sarà riunita la Conferenza, alla Regia Legazione all'Aja.
Non sono interamente del tuo avviso sulla convenienza di non mandare un giure consulto. Io credo invece che bisogna mandarlo, non già perché i suoi lumi possano giovarmi molto nel fatto, ma perché 1°: la Russia, la Francia, la Germania, 1'Austria-Ungheria mandano una loro rispettiva specialità; 2°: perché Io prevedo, che in presenza dei pochi risultati immediati della Conferenza, i lavori di questa solleveranno critiche vivaci nei Parlamenti e nella Stampa d'ogni paese, e specialmente in Italia, ove non si ammette che il Ministero degli Affari Esteri e i diplomatici che ne dipendono sappiano il diritto internazionale. Perciò la nostra responsabilità deve essere coperta da quella d'uno specialista, anche se per avventura ne sapesse meno di noi. Persuaso di ciò, ho insistito ed insisto perché si aggiunga alla missione un delegato giurista. E ciò facendo credo di agire anche nell'interesse di Canevaro, di cui non si mancherà di negare la competenza in fatto di diritto internazionale, sui banchi dall'opposizione e nelle colonne dei nostri giornali.
Sarò lieto d'avere per collaboratore tuo nipote, e suppongo che la mia proposta sarà senz'altro accettata. Nigra
Asti, 11 maggio 1899
Carissima Eccellenza,
i giornali avendo annunciato che saresti venuto a Roma, prima di recarti all'Aja, io mi ero proposto di venirti a ringraziare personalmente della cortese premura con cui tu hai aderito al desiderio che io ti avevo espresso per mio nipote. ma la crisi scoppiata improvvisamente rende inutile il mio viaggio e probabilmente avrà tolto anche a te la voglia di recarti alla capitale. Ti scrivo due sole parole per esprimerti la mia gratitudine. Mio nipote che ti consegnerà quelle poche righe, ti dirà con maggiore effusione dell'amico i sensi di riverente riconoscenza che egli ha per te. E' una grande fortuna per un giovinetto di poterti avvicinare di quando in quando e di eseguire i tuoi ordini e le tue istruzioni. La Conferenza (trattasi della Conferenza Internazionale della Pace del 1899 all'Aja dove Nigra è capo della delegazione italiana ed avrà la presidenza della Commissione per l'arbitrato internazionale ndr) che tu probabilmente dovrai presiedere, acquisterà per ciò una storica importanza ed anche dubitando assai dei suoi risultati possibili sul campo politico, eserciterà, non ne dubito, sull'ambiente politico un'influenza morale durevole ed oltremodo benefica.
Addio, carissimo Conte, credimi sempre il tuo devotissimo I. Artom
Vienna, 12 settembre 1899
La tua lettera del 5 corrente mi ha fatto doppiamente piacere perché mi recò le tue notizie e quelle di Alfieri. Sono lieto di sapere che le tue sono buone e che quelle di Alfieri non troppo cattive, come Io temeva. Voglio sperare che il soggiorno di San Martino lo metta in grado di passare l'inverno senza nuovi attacchi del suo male. Ma credo che il clima di Firenze non sia il migliore per lui nell'inverno.
Se lo rivedi prima di me, ti prego di ricordarmi a lui come uno dei suoi più vecchi amici. Nigra
Io spero di vederti nel tardo autunno, cioé in novembre o dicembre. E spero di ritrovarti in ottima salute e in high spirits. Intanto ti mando qui etc. etc.....
v
Isacco Artom morirà improvvisamente a Roma il 24 gennaio 1900,
4 mesi dopo quest'ultima lettera.
Una personalità straordinaria, vissuta nella penombra delle vicende risorgimentali, ma certamente una mente politica viva e vivace e degna di essere ricordata tra i protagonisti delle vicende unitarie e post-unitarie.
Vogliamo riportare ancora un brano di una lettera di Artom a Nigra di cui conserviamo soltanto un foglio, senza luogo e senza data.
"Io sono felice d'essermi procurato un'occasione di rammentarmi a te che amo ed ammiro da tanto tempo. Speravo che tu facessi una corsa in Piemonte in quest'autunno, ma vedo che le cose d'Oriente ti impediscono di muoverti dal tuo posto. Ed Io, divenuto oramai un senatore rurale ed un diplomatico in aspettativa della tomba, non oso annoiarti colle mie lettere. Di politica estera sarebbe ridicolo parlarti. Ed anche dell'interno che dire, sinché Depretis non ha altra opposizione da affrontare che quella della sua podagrosa ma robusta salute? Purtroppo i nostri amici non si fanno più vivi da gran tempo. Minghetti è afflitto da grave malattia della vescica e Visconti, accasciato dalla perdita d'una sua bimba, non è nemmeno venuto a prestar giuramento in Senato. E' gran conforto per me che tu almeno, solo fra cotanto senno, sopravviva ai nostri naufragi e continui a rendere all'Italia servigi che sono inapprezzabili. E poiché hai ottimo il cuore quanto è vasta e profonda la mente, rammentati qualche volta anche di me, e se ne hai il tempo, scrivimi una riga sola, che mi autorizzi a dirmi, come sono sempre, il tuo vecchio amico Artom".
LETTERE SENZA DATA
mercoledì, 22 aprile
Caro Costantino
Ti scrivo una sola riga per salutarti, la nota che ho redatta fu approvata in Consiglio dei Ministri. Tuttavia non sono tranquillo sul mio lavoro finché tu non m'abbia detto il tuo parere. Ho pregato Vimercati di lasciarti intera facoltà di sospenderne la comunicazione se tu hai qualche osservazione da fare.
Addio credimi sempre
Tuo Artom
v
Lettera particolare autografa di I. Artom a C. Nigra - Missione segretissima di Arese a Parigi con l'incarico di comunicare a Napoleone che l'Italia
é disposta ad entrare nelle combinazioni che si preparano. Anche il Nigra deve
fingere di ignorare lo scopo del viaggio di Arese. Arese desidera sopratutto
che Vimercati non ne sappia nulla - L'Insurrezione polacca -
la data è intorno agli anni 1861-1863
Carissimo Costantino
Come ti scrisse il Ministro, il Conte Arese è incaricato di dire all'Imperatore che vogliamo metterci con lui nelle combinazioni che si preparano. Egli è inoltre incaricato di cercare di stabilire qualche accordo pel caso della morte del Papa.»
Le notizie di Roma fanno credere prossima questa eventualità . Niun Ministero potrebbe assumersi la grave responsabilità di lasciare che essa avvenisse senza avere, per lo meno, tentato di prendere occasione per far fare un passo alla questione romana.
Gli impegni della Francia sono più verso la persona del Papa che verso l'istituzione, se ciò non fosse avrebbe a disperarsi di riuscir mai a risolvere la questione romana.
Ogni potere elettivo subisce una crisi all'atto del cambiamento del Sovrano.
Bisogna approfittarne ad ogni costo, tanto più che a Roma tutto è pronto per che morto il Papa, si gridi viva il Papa. Dopo averci pensato lungamente si venne nel pensiero di proporre di riconoscere il potere temporale limitato al territorio circoscritto alla riva destra del Tevere, il Mediterraneo tra Fiumicino e Porto Clementino, ed i fiumi Vico e Marta... Come vedrai dalla carta che abbiamo data al
Conte Arese, questo territorio abbastanza vasto comprende la città leonina, tutta la provincia di Civitavecchia e gran parte di quella di Corneto. Il paese però è quasi popolato, cosicché non vi sarebbe che il Trastevere e Civitavecchia che rimarrebbero soggetti alla dominazione papale. Questo accordo dovrebbe essere segretissimo, ed in forza di esso le truppe francesi, appena avvenuta la morte del Papa, dovrebbero sgombrare tutta la riva sinistra del Tevere, e lasciar le popolazioni libere di esercitare se lo credono, il suffragio universale. Il nuovo Papa nascerebbe così, di fatto, sovrano della Città Leonina e non di tutta Roma. Mi spiace che non si abbia avuto il tempo di concertare con Te questo progetto. Dubito assai ch'esso sia accettato. In caso di rifiuto Arese dirà all'Imperatore che saremmo pronti ad accettare anche il progetto di Cavour. Se anche questo sarà rifiutato, sarà constatata almeno l'impossibilità dell'accordo, e tutta la responsabilità di quanto potrà accadere all'epoca delle vacanze della Santa Sede cadrà su altri anziché su di noi. Il conte Pasolini ha espressamente raccomandato ad Arese di accordarsi in tutto con Te. Ma è a desiderarsi che questa missione rimanga segretissima e perciò sarà bene che tu sia informato di tutto ma finga di credere che Arese non faccia che una corsa di piacere, o d'affari od anche tutt'al più una visita di complimento all'Imperatore. Arese desidera soprattutto che Vimercati non sappia nulla di nulla. Il Conte Pasolini lo desidera pure. Il solo Conneau conosce il viaggio di Arese ma senza saperne però lo scopo.
Ieri anche al Senato fu rimproverato, al Ministero di non avere politica estera, d'incrociarsi le braccia etc. Montanari chiese che si pensa di fare all'epoca della morte del Papa e Diotto Pintor annunciò una interpellanza sulla questione romana.
E' d'uopo, te lo ripeto, fare almeno un tentativo.
Rattazzi pure ha fatto dire che prepara un discorso su Roma per l'epoca della discussione del bilancio degli Esteri.
Per Tua norma ti dirò che spiacque molto al Ministro che Villa sia andato a lasciare una carta da visita a Sartiges. Questi mandò a chiamare Pasolini, e gli chiese con una ingenuità senza pari che cosa gli avesse portato il Corriere di Gabinetto di cui gli mostrò la carta.
Il Conte Pasolini si cavò d'imbarazzo con delle generalità, ma fu assai malcontento di ciò. Nulla di nuovo del resto.
Io ho dovuto fare una gita in Asti per vedere mio fratello malato. Di più sono tormentato dall'emicrania. Dimmi se approvi il doppio tentativo fatto per mezzo di Arese. Addio Artom
PS: Per tua norma ti dirò che si è scritto a Pepoli un dispaccio per dirgli che il Governo spera, prima ancora del suo arrivo a Pietroburgo, che lo Czar avrà fatto ai Polacchi le concessioni chieste dall'opinione pubblica; in caso diverso lo si autorizza a manifestare al P. Gorchakoff il desiderio che un atto di generosità dello Czar ponga fine all'insurrezione.
Il Prefetto di Nizza minaccia di espellere parecchi nizzardi che hanno conservato la nazionalità italiana, e fra gli altri il deputato Laurenti Robandi. Sarebbe un vero scandalo. Ti unisco una sua lettera a me diretta perché tu veda se puoi impedirlo parlandone a D. (Rubin) o a Persigny.
v
sabato, 10 di sera
Caro Artom,
Mi si dice che domattina parte il Generale Cucchiari per Parigi. Ti scrivo in fretta pochi ragguagli sui quali ti darei più ampie spiegazioni se avessi tempo.
Anzitutto il telegramma relativo al colloquio con Rouher soddisfece completamente il Generale, il quale aveva trovato in parecchie conversazioni con Malaret argomento di sospettare che a Parigi si volesse far intendere al Governo che avrebbe torto ad insistere sul giuramento. Mentre i giornali assicurano che nel Ministero 1'elemento militare è disposto alle concessioni su quella materia, e che invece gli altri Ministri si dimostrano più esigenti, invece la verità è che i tre generali nel Ministero credettero indispensabile la condizione del giuramento ed insistettero perché fosse mantenuto. Se il Papa la respinge per le provincie ex-pontificie, l'accordo potrà limitarsi alle altre provincie. Ai Ministri rincresce che parecchi giornali influenti abbiano guastata la faccenda, facendo considerare il giuramento come argomento di poco rilievo, od autorizzando quasi la Corte di Roma a credere che su questo argomento si cederà, ciò mi pare più che dubbioso.
Gortchakoff, in un colloquio con De Launay, disapprovò le concessioni (a lui note per mezzo di un rapporto dell'agente russo in Roma) fatte riguardo all'exequatur e disse che né Russia né Francia potrebbero concedere altrettanto. Ma siete grandi peccatori, soggiunse e gli dovete far atto di umiltà verso Roma.
Egli poi confermò che contrariamente a quanto dissero l'Europe e parecchi altri giornali, fra i quali Le Alpi,1'incidente occorso nel pranzo del club a Pietroburgo non ebbe nulla di sgradevole a Launay, che anzi la relazione accolta da giornali amici di Italia, e specialmente dall'Italie, era veracissima, e che il Conte Launay è a Pietroburgo persona grata, anzi gratissima. Nigra
v
lettera particolare autografa di Artom a Nigra
Il Ministero Farini. Giudizio di Cialdini sulla situazione:
"S.M. ha ingoiato alcuni degli attuali Ministri ma non li ha digeriti"
Primi sintomi della malattia mentale di Farini.
carissimo Costantino,
Ho impiegato i due giorni di venerdì e di sabato a parlar lungamente con Farini, Minghetti, Pasolini, Borromeo e Castelli, ed ora ti scrivo da Asti ove venni per abbracciare mia madre e passar la Domenica. Eccoti qual'é la mia impressione generale. Il Gabinetto precedente era caduto in tal discredito che, per ora almeno, i nuovi Ministri non troveranno alcuna opposizione. Temo anzi che debba accadere un vero baiser Lamourette (tentativo di conciliazione ndr) fra tutti i partiti, e che un'effimera ed insipida unanimità impedisca la pronta riorganizzazione d'una vera maggioranza. Boggio, La Farina e Bottero, i tre più caldi difensori del Gabinetto hanno già fatto i primi passi per un retrofronte e lo stesso Diritto, dice che l'equa opposizione cesserà finché i Ministri resteranno sul terreno della legalità costituzionale. Prima ancora che Io avessi parlato con Pasolini e gli avessi consegnato il tuo dispaccio egli aveva fortemente insistito presso i Ministri affinché il programma ministeriale fosse eccessivamente riservato sulla politica estera.
Infatti, benché un po' ampolloso nella forma, il discorso di Farini é assai riservato nella sostanza. Il paese non solo tollera ora ma approva apertamente questa riserva, e questo è un gran progresso. Possiamo sperare che per alcuni mesi almeno si cesserà dall'incalzare il Governo nella questione romana, e questo è appunto quello che Tu ed Io abbiamo desiderato.
Pasolini è pienamente d'accordo con noi a non far nulla per ora rispetto a Roma. Egli non crede possibile nemmeno di ostacolare negoziati con la Santa Sede ed in ciò Io sono perfettamente del suo avviso. Per quanto spetta la politica tu puoi dunque essere perfettamente tranquillo. Gli dissi che tu mettevi a sua disposizione il posto di Parigi: egli mi rispose che contava sulla tua cooperazione e che ti avrebbe pregato di rimanere. Allora Io gli suggerii di scriverti due righe di suo pugno ed egli promise che lo avrebbe fatto. Aggiunsi che tu eri pronto a venire a conferire con lui se lo credeva necessario. Egli osservò che v'era tale accordo fra le sue idee e quelle da te esposte nel tuo rapporto che una tua gita a Torino sarebbe ora perfettamente superflua. Dissi ad Arese che tu avresti creduto con piacere ch'egli venisse a Parigi per esaminare la situazione, ecc.; Egli mi rispose che ti ringraziava, ma che non sarebbe andato a Parigi, sia con missione sia senza incarico, che nel caso in cui l'Imperatore gliene avesse dimostrato il desiderio. Finalmente per finire di dirti tutto quello che ci può essere di roseo nello stato attuale delle cose, aggiungerò che Minghetti è pieno di coraggio, ch'Egli spera di protrarre il prestito sino al marzo od all'aprile, e ch'Egli è disposto a fare cessare, quando tu lo desideri, le difficoltà che si opponevano da Sella alla conclusione definitiva del Trattato di Commercio colla Francia.
Ora vengo alle tinte oscure dell'orizzonte. In primo luogo S.A. ha ingoiato alcuni degli attuali ministri, non li ha digeriti; questa espressione energica appartiene a Cialdini, e dipinge assai bene come stanno le cose. E' vero però che Rattazzi, negli ultimi giorni, perdette il cervello, rimproverò acerbamente S.A. di non volere acconsentire allo scioglimento della Camera, e finì per scrivergli una lettera impertinente, ma questo dispetto amoroso durerà a lungo ? Sapranno i nuovi Ministri approfittarne ? Certo che faranno il possibile per tentarlo, ma non so se ci riusciranno, giacché bisognerebbe perciò cambiare interamente 1'entourage di S.M. Ad ogni modo io ho posto in avvertenza Pasolini e Minghetti su questo punto e non cesserò di fare lo stesso anche cogli altri.
Un'altra difficoltà assai grave consiste nella concisione fisica e morale di Farini. Egli non è guarito, ma crede d'esserlo e s'offende quando qualcuno gli raccomanda di badare alla sua salute. Egli s'impadronì delle sale di ricevimento degli Esteri, vuole impiantarvi un ufficio della Presidenza, con segretario generale, particolare ecc. e costrinse Pasolini a stabilirsi nelle sale del Ministero dell'Interno. La presidenza diventa cosi non più un ufficio meramente onorifico, ma un grave intoppo agli altri Ministeri sopratutto a quello degli Esteri. Io temo che, presto o tardi ricadrà gravemente malato o Pasolini sarà in una condizione affatto intollerabile. Ciò può recare una crisi e far nascere sin da ora dei gravi imbarazzi. Io credo bene di avvertirtene in confidenza affinché tu sappia sin d'ora con esattezza ciò che può costituire il germe di complicazioni ulteriori.
Quanto a me ho dovuto cedere alle gentili preghiere di Pasolini ed acconsentire a rimanere provvisoriamente a Torino, per prestare a lui ed a Visconti Venosta il mio concorso. Però dichiarai che desideravo conservare il posto di Primo Segretario a Parigi, e che vi sarei ritornato appena il Ministro ed il Segretario Generale avessero acquistato pratica sufficiente dei diversi rami di servizio. Se tu lo credi necessario, ti farò scrivere da Cravosio per interpellarti sulla necessità di mandare un altro in mia vece, ed Io ti sarò oltremodo riconoscente se tu vorrai scrivere al Ministero che per qualche tempo tu puoi fare senza d'un altro Primo Segretario.
Ho detto a Pasolini che credevo inutile di mandare una circolare diplomatica e che la semplice tua emissione del programma mi pareva sufficiente. Egli vorrebbe che si aggiungesse qualche frase: Io ti mando qui un brouillon (bozza ndr) che contiene un periodo o due di più. Se credi che le frasi che Io propongo siano convenienti, mandami martedì un dispaccio diretto a me a Torino, con queste parole: "notre ami va bien". Se sei di parere di limitarti ad una trasmissione pura e semplice, scrivimi:
"notre ami va mal". Artom
v
Caro Nigra,
Il Ministro m'incarica di scriverti circa l'affare di Baden. Ecco in poche parole di che si tratta. Sai che fu ammesso con patente del Re d'Italia un Console nostro a Mannheim e fin d'allora s'era sparso voce nei giornali del riconoscimento dell'Italia per parte del Granduca. In seguito a ciò Melegari fece stanziare nell'Appendice del bilancio una somma per una Legazione presso una Corte germanica. Più tardi Oldoini, probabilmente nell'intento di farsi un piccolo nido, parlò del riconoscimento coll'erede presunto del Granducato, sposo della figlia della Duchessa di Leuchtenberg. Trovò, a quanto disse, ottime disposizioni. Ora il Ministro desidera che tu cerchi di appurare quanto v'ha di vero in ciò, parlandone in modo affatto riservato a M. Schweizer, Ministro di Baden a Parigi, e dicendogli che ove la proposta fosse ben accolta, il Governo Italiano stabilirebbe colà un Incaricato d'Affari od un Ministro residente, ed accoglierebbe l'erezione d'una Legazione badese a Torino. La cosa vorrebbe essere colorita colla necessità di stabilire buoni rapporti commerciali fra l'Italia e la Germania meridionale, ferrovie, Luclonainer ecc.-
Dal nostro lato la cosa avrebbe un certo interesse per due ragioni. In primo luogo sarebbe una piccola soddisfazione data all'opinione pubblica. Da più mesi la nostra causa non fa alcun progresso visibile; questo ne sarebbe uno, piccolo invero, ma che è pur qualche cosa. Inoltre la mancanza di corrispondenza da Vienna e da Monaco si
fa sentire assai e la Legazione di Baden vi potrebbe supplire. Infine l'esempio del Baden potrebbe trascinar seco più tardi il Wurtemberg o la Sassonia, e ciò sarebbe importante. E per ultimo si avrebbe modo di soddisfare alle esigenze dei diplomatici di carriera, i quali s'arrabbiano vedendosi portar via dagli uomini politici le principali Legazioni.
Pare al Ministro ed a me che giovi assai più far questo tentativo a Parigi per mezzo tuo che a Francoforte per mezzo di Barral; perché il Ministro del Baden a Francoforte esiterà certo a tirarsi addosso il corruccio dei suoi colleghi d'Austria e Baviera. Però, se tu credi il contrario, o se i tuoi rapporti collo Schweizer non te lo permettono, si tenterà l'altra via o si smetterà affatto il pensiero.
Addio: manda subito a Szarvady una corrispondenza sullo splendido risultato della sottoscrizione pel brigantaggio.
Se lo Schweizer obbietta che il Baden non ha fondi per stabilire la Legazione a Torino, potresti proporgli di farsi accreditare egli stesso a Torino, come fa il Kalergi. Artom
v
Ti mando per mezzo di Noja una corrispondenza fatta da Blanc sulla condizione del paese. Se lo credi, consegnala a Szarvady facendogli i miei saluti. Essa contiene troppe frasi ed è più un articolo che una corrispondenza; tuttavia mi sembra che, modificata come parrà a te, possa servire di commento al programma del Ministero. Quando sia più netta la situazione ne farò fare un'altra pei Debats.
Come sai Lamarmora rimane a Napoli. Esso è amicissimo di Pasolini ed era già da molto tempo poco favorevole al Ministero Rattazzi. Questi aveva perduto affatto la testa e si è messo in brouille (confusione ndr) persino col povero Castelli!! Ma di ciò non far motto col tuo Consigliere Onorario!
Siamo preoccupati dell'affare dei fucili spediti dalla Russia in Serbia. Kossuth pretende che c'è sotto la nano dell'Imperatore. Dimmi, se lo puoi, se ne sai qualche cosa.
Sartiges ne ha fatta una grossa. Ieri invitò a pranzo Melegari, Rattazzi e Brassier!! Il poverino non sa che Brassier è tutt'altro che Rattazziano.
Niuno dei Ministri fu invitato. Artom
v
caro Nigra,
Approfitto della partenza del Fenili per scriverti finalmente qualche riga. Tu non ti stupirai del silenzio da me finora tenuto, quando saprai che rimasi quasi tutto il mio mese di congedo a Savona, ove mi mancavano persino l'Opinione e l'Italie. Negli ultimi giorni della mia dimora colà giunse il Hat., il quale tentò a più riprese di parlare di politica con me e mi lasciò intendere che egli non voleva entrare ora al Ministero, né assumere la responsabilità dell'attuale politica estera. Ritornato al Ministero parlai col Barone (Ricasoli ndr) il quale mi disse in modo piuttosto asciutto che ora la questione romana aveva progredito di molto, che le cose si trovano in stato assai migliore di quando Arese ed Io lasciammo Parigi. E finì quasi coll'accusare Arese e me d'aver intrigato contro di lui!!! Tu saprai meglio di me se le famose circolari del Celestino abbiano fatta buona impressione a Parigi. Io non vedo alcuna lettera particolare e rimango al Gabinetto senza conoscere alcuno dei segreti politici in cui si avvolge l'impenetrabile Barone.
La partenza di M. e di Borromeo rende vieppiù doloroso il mio isolamento. Tu saprai già ormai quale fu l'occasione della crisi: l'abolizione della Luogotenenza Napoletana che si vuoi togliere come estremo rimedio, ma a cui non si sa che cosa sostituire. Nota che si conserverà la Luogotenenza di Sicilia, accettata dal Gen. Pettinengo e che questa diversità di trattamento accrescerà ancora il malcontento napoletano. Nota altresì che il Ministero dell'Interno non è certo organizzato in modo da poter dare spaccio a tutti gli innumerevoli affari delle provincie napoletane!!
Tuttavia non si può non ammirare il coraggio di chi nelle circostanze attuali si assume l'enorme responsabilità di avere i due portafogli dell'Estero e dell'Interno!
Io temo però che fra un mese i Rattazziani si mettano ad abbaiare contro Ricasoli come fecero contro M. e che così tutto il prestigio del Barone si perda prima ancora che si riaduni il Parlamento. Quanto più si va innanzi, tanto più si sente la grandezza della sventura che ci ha colpiti. E tu che fai? Come ti trovi a Parigi? Credo che Vimercati debba venir presto a Torino e ciò ti libererà da certi imbarazzi. Credi Tu che desideri rimanere a Parigi? Artom
v
Caro Nigra,
.... Come sai nel 1870 ero Ministro a Baden. Per ordine del medico e con regolare licenza del Ministero, mi ero recato nel mese di giugno ai bagni di Franzeshad. Pochi giorni dopo che avevo intrapreso la mia cura, ricevetti ordine telegrafico di ritornare a Carlsruhe ove mi attendevano istruzioni urgenti.
Attraversai, non senza gran disagio, la Baviera ove i treni erano gremiti di soldati chiamati sotto le armi . Giunto a Carlsruhe trovai l'ordine di partire per Vienna in missione segreta ...........
v
Caro Nigra,
Non so come esprimerti la mia gratitudine per l'affettuosa tua lettera.
Io desidero assai di venire a Parigi, perché in questo tempo di crisi frequenti e tempestose la vita di Capo del Gabinetto è divenuta molto dura. Inoltre la mia posizione rispetto al Ministro è imbarazzante. L'Opinione e la Perseveranza gli fanno una guerra accanita e non manca chi crede o finge di credere che Io scriva in quei due giornali. Arese, Borromeo, quasi tutti i miei amici appartengono all'opposizione; Io non posso rimanere loro amico ed esser Capo del Gabinetto. Ho dunque deciso di ritirarmi in Asti, finché Io possa venire teco a Parigi. Ma temo che se l'influenza di Carutti gli sopravvive, il povero Fé dovrà sospirare ancora per lungo tempo gli amplessi della moglie. Carutti infatti pare deciso ad impedire l'invio di Fé al Brasile. Nota che Galateri non farebbe difficoltà, giacché egli è già destinato al Perù. Ad ogni modo Io aspetterò che la cosa sia decisa, e lascerò il mio posto a chi goda di tutta la fiducia del Ministro.
Un'altra cosa di cui mi duole assai è il rifiuto dato a Sormani di dargli lo stipendio che gli compete. Se Io avessi influenza la eserciterei a favore di lui. Ma non conosco Melegari ed assai poco il Ministro. Fra qualche giorno, quando Carutti se ne sia andato, Tu potrai forse richiamare l'attenzione del Ministro sull'equità di codesto provvedimento.
Il voto di ieri dà al Ministero qualche mese di vita. Esso implica adesione al programma ma non significa ancora confidenza nelle persone. Nel fatto tutti erano furiosi contro Gallenga, le cui interpellanze, inopportune sotto ogni aspetto, furono poi sconvenevolmente acerbe. Perciò moltissimi votarono per l'ordine del giorno, senza essere perciò fautori del Ministero.
Pasolini diede la sua dimissione dal posto di Prefetto a Milano. Pare che gli sia stato offerto, o si abbia intenzione d'offrirgli, il Ministero dell'Interno. In caso di rifiuto si offrirebbe a Torrearsa il Ministero degli Esteri.
Ho veduto ieri Gropello, il quale ritornerebbe a Parigi sotto due condizioni; cioè d'esser fatto Consigliere di Legazione ed Ufficiale di S. Maurizio. Non vi sarebbe difficoltà per la seconda, ma non so se la prima sia possibile.
Salutami Fè, Sormani, Incontri, Boyl ecc. Artom
v
2 giugno
Carissimo Costantino,
ti rimando il bigliettino di Drohuin de Lhuys che era annesso all'ultimo tuo rapporto su Tunisi.
Fui molto lieto di sapere che tu abbia approvato la nota su Roma. Ero assai imbarazzato nel farla temendo di scrivere una seconda edizione della circolare Durando.
Ti ringrazio dell'invito gentile che m'hai mandato per mezzo di Villa. Ressman t'avrà spiegato che non ho rinunciato alla speranza,e meno che mai al desiderio di riprendere le mie funzioni di Consigliere a Parigi. Ho fatto venire il mio baule, perché dopo due anni è indispensabile ritornare a Parigi con des nippes plus fraiches e meno passate di moda.
Del resto m'annoio a Torino oltre ogni dire e rimpiango la tua affettuosa e gentile ospitalità. Pare che non vi sarà più discussione seria sulle finanze. Il Ministero vegeterà sino all'autunno. Allora si dovrebbero fare le elezioni generali, ma su quali questioni farle, e con quale autorità? L'inchiesta sull'affare delle ferrovie meridionali ha finito per togliere nel pubblico ogni prestigio alla Camera attuale. Sia non credo che le elezioni generali possano fornire al Parlamento nuovi e più sani elementi.
Addio, caro Costantino, saluta gli amici, conservami il tuo affetto e credimi
Tuo Artom
Sommario
GENERALE ALFONSO LA MARMORA.. 35
PRINCIPE GEROLAMO NAPOLEONE. 73
PASQUALE STANISLAO MANCINI 103
[1] Vittorio Bersezio (1828-1900) da -I miei tempi-.
[2] A causa dell'impresa di Garibaldi, che i francesi giudicavano pericolosa per l'intergrità dello Stato Pontificio, Nigra, allora Ministro Residente a Parigi, aveva dovuto abbandonare la legazione d'Italia a Parigi, come mossa conseguente al ritiro dell'Ambasciatore francese presso il Regno di Sardegna, e rientrare a Torino.
[3] Marco Minghetti (Bologna, 8 novembre 1818 – Roma, 10 dicembre 1886) è stato un Politico italiano, appartenente alla Destra storica. Sotto il Governo Minghetti II si raggiunse (nel 1876), per la prima volta in Italia, il Pareggio di Bilancio. Tra il 1848 ed il 1849, nelle file dell'esercito piemontese, partecipò alla Guerra di Indipendenza, vivendo poi a Bologna negli anni della seconda restaurazione. Nel 1849 per breve tempo divenne ministro dei Lavori Pubblici. Nel 1859, dopo i moti popolari e la guerra di indipendenza, divenne presidente dell'Assemblea delle Romagne. Successivamente fu Ministro degli Interni con Camillo Benso di Cavour e Bettino Ricasoli, poi del Ministero delle Finanze con Luigi Carlo Farini. Nel 1857, fondò la "Banca delle quattro legazioni" e, su indicazione del Cavour, scrisse alcune relazioni sullo stato delle provincie pontificie da presentare al Congresso di Parigi. Nel1858, collaborò all'attività del comitato bolognese della "Società nazionale". Tra il 24 marzo1863 e il 28 settembre 1864 succedette a Luigi Carlo Farini nella carica di presidente del Consiglio.
[4] Tratto da "I giorni del mondo" di Guido Artom, Longanesi Milano, 1981
[5] Il Conte Giuseppe Francesco Leonardo Apollinare Pasolini Dall'Onda (Ravenna, 7 febbraio 1815 – Roma, 4 dicembre 1876) è stato un politico italiano. È stato Presidente del Senato italiano del regno d’Italia.
Nel 1848, fu Ministro del Commercio, Belle Arti e Agricoltura nel primo governo con componente laica (il Pasolini appunto) dello Stato Pontificio, retto dal Cardinale Giuseppe Bofondi.
[6] Diomede Pantaleoni (Macerata 1810 - Roma 1885). Educato in collegio a Ravenna, nel 1829 si laureò in medicina a Roma ed esercitò la professione per molti anni, distinguendosi per la sua dedizione durante l’epidemia di colera del 1837.
Eletto al Consiglio dei deputati per il collegio di Cingoli nel maggio 1848, fu piuttosto assiduo alle sedute anche dopo la partenza da Roma di Pio IX.
Il 15 novembre 1848 accorse sulle scale della Cancelleria ad assistere il ministro Pellegrino Rossi, vittima di un fatale attentato maturato in ambiente democratico, protestando in seguito per il fatto che non si facesse alcuna indagine per scoprire gli autori dell’assassinio.
Il mese successivo intervenne al Consiglio in altre due occasioni: il 3 dicembre, propose di inviare a Gaeta una delegazione che esortasse il papa a rientrare a Roma, mentre il 26 si oppose alla proposta di una Costituente, ma non potendo terminare il discorso per le continue interruzioni provenienti dalle tribune, scelse di darlo alle stampe.
Rifiutando di presentarsi alle elezioni per la Costituente del gennaio 1849, espose le sue ragioni in una lettera agli elettori pubblicata il 12 gennaio, e scelse in ogni caso di continuare a risiedere a Roma anche durante il periodo repubblicano marcando con ciò un’obiettiva presa di distanza dalle direttive del governo pontificio.
Dopo la restaurazione del governo pontificio, compì lunghi viaggi in Piemonte, Francia, Inghilterra e Germania, stringendo rapporti di amicizia con gli uomini più rappresentativi di quei paesi.
Intimo di Cavour, nel 1861 fu incaricato di due missioni che tendevano a risolvere la questione romana: la prima mirava a tentare i primi approcci presso Pio IX e il cardinale Antonelli e si svolse a Roma in collaborazione con padre Passaglia, ma si risolse in un totale fallimento; la seconda, presso il Ministro degli Esteri francese Èdouard Antoine Thouvenel, sembrava destinata al successo ma venne troncata per la improvvisa morte di Cavour il 6 giugno 1861.
Eletto in Parlamento per la VIII legislatura, fu nominato senatore il 6 novembre 1873. Si spense a Roma nel 1885.
[7] Ruggero Settimo (Palermo, 19 maggio 1778 – La Valletta, 2 maggio 1863) è stato un Ammiraglio e Politico italiano.
[8] Federico Sclopis di Salerano (Torino, 10 gennaio 1798 – Torino, 8 marzo 1878) è stato un Giurista, Magistrato e Politico italiano.
[9] Carlo Poerio (Napoli, 13 ottobre 1803 – Firenze, 27 aprile 1867) è stato un Patriota e Politico italiano.
[10] Conte Raffaele Ulisse Barbolani (Chieti, 30 aprile 1818 – Palena, 17 ottobre 1900) è stato un Diplomatico e Giornalista italiano. Segretario Generale del Ministero Affari Esteri (1867- 1869) ed appassionato della Cultura giapponese.
[11] Nigra fu nominato da Cavour, per i suoi grandi meriti nella fase dell'alleanza con l'Impero di Francia di Napoleone III che portò alla seconda guerra di Indipendenza del 1859, Ministro Residente a Parigi.
[12] La Barriera dell’Esseillon o Forti dell’Esseillon è una serie di cinque fortificazioni costruite nel XIX secolo su uno sperone roccioso che sbarra l’alta valle dell’Arco (fiume Savoia), sul comune di Aussois (Valle della Maurienne), a due chilometri a monte di Modane), per proteggere il Piemonte da un’eventuale invasione francese. Essa comprende quattro forti e una ridotta, che portano i nomi di membri della famiglia dei Savoia.
[13] Giovanni Lanza (Casale Monferrato, 15 febbraio 1810 – Roma, 9 marzo 1882) è stato un politico italiano. Tra gli altri incarichi ricoperti, è stato Presidente del Consiglio dei Ministri dal 1869 al 1873, e deputato al Parlamento ininterrottamente dalla concessione dello Statuto fino alla sua morte. Durante il suo governo vi fu la Breccia di Porta Pia, compiendo così, nove anni dopo l'Unità d'Italia, l'ultimo atto del Risorgimento nazionale.
[14]Andrea Massena, o André Masséna, duca di Rivoli, principe di Essling (Nizza, 6 maggio 1758 – Parigi, 4 aprile 1817), è stato un Generale francese, Maresciallo dell’Impero.
Di modeste origini sociali, Massena diede prova di grandi qualità militari durante le Guerre rivoluzionarie francesi, dimostrandosi uno dei migliori generali della Francia Rivoluzionaria. Dopo essere stato il principale luogotenente del generale di Napoleone Bonaparte durante la Campagna d’Italia (1796-1797), vinse la Battaglia di Zurigo, che ebbe grande importanza per le sorti francesi nel 1799. Durante l'Impero napoleonico confermò le sue capacità di condottiero sia alle dipendenze dirette di Napoleone, sia come comandante autonomo in teatri secondari. L'insuccesso della sua campagna nella penisola iberica contro gli anglo-portoghesi nel 1810 mise fine alla sua carriera di comandante sul campo.
Dotato di elevate capacità strategiche e tattiche, in grado di esercitare il comando con energia e avvedutezza, dal carattere solido ed entusiasta, Massena venne considerato da Napoleone il suo miglior comandante e venne da egli soprannominato "il figlio prediletto della vittoria" per la sua brillante prova alla Battaglia di Rivoli. Nonostante alcune debolezze morali, la notevole avidità personale e i suoi metodi di guerra a volte spietati, Andrea Massena è considerato uno dei più grandi generali francesi del periodo rivoluzionario e napoleonico.
[15] Emersero problemi legati all'emancipazione delle classi popolari e il malcontento operaio, indirizzate dai moti mazziniani esclusi fino ad allora dalla rappresentanza politica.
[16] Trattasi di una lettera che Cavour scrisse al giornale l'Armonia, in risposta ad un articolo in cui si criticava Cavour per aver scelto come segretario un ebreo (Isacco Artom)! Lettera pubblicata sul giornale
[17] Con il passaggio di Guglielmo de Cambray-Digny da sindaco di Firenze a ministro delle Finanze si avvertì con maggiore impellenza la necessità di ampliare le basi della maggioranza di Governo. Il primo obiettivo fu di cooptare alcuni gruppi dell’opposizione e in particolare quello mordiniano che già a livello locale manifestò la propria disponibilità a collaborare in consiglio comunale con la giunta fiorentina. A livello nazionale gli indugi vengono rotti nel momento in cui la maggioranza dimostrò tutta la sua fragilità non riuscendo a eleggere un Presidente della Camera in sostituzione di Adriano Mari, nominato Ministro della Giustizia. Si coagulò, così, un gruppo di parlamentari intorno all’onorevole Antonio Mordini soprattutto per sbarrare la strada alla dirompente candidatura Rattazzi avanzata dalla Sinistra costituzionale.
[18] Deputati del Parlamento del Regno di Sardegna
[19] Ottaviano Vimercati (Milano, 26 marzo 1815 – Monza, 25 luglio 1879) è stato un Militare italiano. Fu Senatore del regno d’Italia nella XIII Legislatura, nonché ufficiale della Legione straniera francese. Come aiutante di campo del sovrano sabaudo, partecipò alla Guerra di crimea e alla Seconda Guerra di indipendenza italiana di nuovo con le truppe francesi come ufficiale di Stato Maggiore del generale F. Canrobert. Dopo l'Armistizio di Villafranca andò a Parigi dove fu un abile informatore di Cavour. Fu al fianco di Garibaldi nella campagna delle Marche nel 1860 e poi tornò a Parigi dove svolse le trattative per il riconoscimento del regno d’Italia e per lo sgombero delle truppe francesi da Roma.
Nel 1861 condusse senza esito positivo le trattative per la triplice austro-franco-italiana; tornato in Italia fu nominato Senatore il 16 marzo 1879.
[20] Luigi Tosti (Napoli, 13 febbraio 1811 – Abbazzia di Montecassino, 24 settembre 1897) è stato un Abate, patriota e storico italiano. Monaco dell’Ordine di san Benedetto e abate di Montecassino, studioso di cose ecclesiastiche ed esponente del Neoguelfismo, ha avuto un ruolo di primo piano non soltanto nell'ambito della Storiografia del cattolicesimo liberale del XIX secolo, come peraltro attestato da Benedetto Croce, ma anche per il coinvolgimento attivo nella Primavera dei popoli, sostenendo le idee di Vincenzo Gioberti e contribuendo a rilanciarle con il volume sulla Storia della Lega lombarda, dedicato a Pio IX, che si configurava come una sorta di inno al Patriottismo per i cattolici. Ebbe anche rilievo, nel 1887, il suo tentativo, poi risultato vano, di favorire la Conciliazione fra lo Stato e la Chiesa cattolica ed in questo ebbe diversi incontri con Costantino Nigra durante la sua permanenza a Napoli come Segretario di Stato delle Province Meridionali.
[21] Vincenzo Santucci (Gorga(Italia), 18 febbraio 1796 – Rocca di papa, 19 agosto 1861) è stato un Cardinale della Chiesa cattolica, nominato da Papa Pio IX..
[22] Michel Lévy (1821–1875) è stato il fondatore della Casa Editrice Michel Lévy Frères.
[23] Ottaviano Vimercati (Milano, 26 marzo 1815 – Monza, 25 luglio 1879) è stato un Militare italiano. Fu Senatore del regno d’Italia nella XIII Legislatura, nonché ufficiale della Legione Straniera francese.
[24] István Türr, conosciuto in Italia come Stefano Turr (Baja, 10 agosto 1825 – Budapest, 3 maggio 1908), è stato un Militare e Politico ungherese. Noto in Italia per la grande parte avuta nella campagna dei Cacciatori delle Alpi e nella Spedizione dei Mille.
[25] Il bastimento coinvolto nella querelle fu un piroscafo, che portava il nome d'una provincia francese e che svolgeva servizio di messaggeria postale imperiale. Quel giorno, esso annoverava come passeggeri cinque guerriglieri del deposto sovrano delle Due Sicilie Francesco II. I "briganti" possedevano un regolare passaporto che li qualificava "onesti industrianti", vistato dalle ambasciate francese e spagnola di Roma (come meta c'era non solo Marsiglia, ma anche Barcellona). Su delazione di qualche spia capitolina, il prefetto di Livorno segnalò al collega di Genova la presenza a bordo dei ricercati. Sicché, appena il vapore fece scalo intermedio nel porto ligure, il questore inviò sulla nave una squadra di poliziotti con l'ordine di perquisizione e arresto. E solo dinanzi alle resistenze del comandante e del suo vice le autorità locali si decisero a rivolgersi al Consolato francese della città. Messo sotto pressione, il console cedette, salvo rimangiarsi tutto a cose fatte adducendo d'aver voluto "evitare scandali". Sta di fatto che i cinque passeggeri vennero comunque arrestati, anche se i due fratelli La Gala tentarono invano d'evitar la cattura buttandosi in mare. Due giorni dopo, il ministro degli esteri francese accusò apertamente il prefetto italiano e il console francese d'eccesso di potere in una questione politica, la quale dipendeva esclusivamente dalla Legazione dell'Imperatore in Italia. Chiese quindi la restituzione dei prigionieri. Anche la stampa transalpina s'accodò alla protesta, toccando le corde dell'onore offeso della bandiera di Francia e accusando il governo italiano di 'Violazione della territorialità". Di rimando, alcuni giornali italiani come L'Armonia e Il diritto arrivarono ad incitare il governo a fucilare i prigionieri e a restituirne i corpi per la tumulazione "nelle tombe dei Reali di Francia". Questa virulenta reazione rendeva evidente che a Torino qualcuno non aveva ancora digerito il precedente "affronto" del Gulnara. Nel 1844, questo bastimento sardo era stato costretto da una tempesta ad un approdo forzato a Bastia. La polizia francese ne aveva però subito profittato, per arrestare un brigante corso che era a bordo. A certi oltranzisti non sembrava vero di poter rendere ora la pariglia ai cugini francesi, tanto che la discussione rimbalzò in Parlamento. A conti fatti, dunque, per l'affaire Aunis il governo italiano si trovò compresso tra l'incudine francese e il martello dell'opposizione. Dovette assumere di conseguenza una posizione imbarazzata, in quanto, checché ne pensasse Pasquale Stanislao Mancini che ne assunse le difese, le disposizioni dei trattati erano chiare. il Consiglio del contenzioso diplomatico il 19 luglio del '63 ritenne che gli arrestati dovessero essere restituiti alla Francia, suggerendo però all'Italia di richiederne l'estradizione in base ad una convenzione del 23 maggio 1838. Il seguito si svolse di conseguenza. In sostanza, i cinque ricercati passarono dal carcere di Genova a quello di Chambery e di lì, una volta estradati, finirono il 24 febbraio 1864 davanti alla Corte d'assise di S. Maria Capua Vetere. Il processo, che ebbe una risonanza enorme tale da imporre l'uso di un'aula più grande, fu condotto avanti a ritmi davvero inconsueti perché si concluse in un paio di settimane appena. Inutilmente l'ottimo collegio di difesa degli imputati s'industriò a smantellare le testimonianze, poste a base del castelletto d'accusa. L'esito inevitabile fu la condanna a morte per i fratelli La Gala e una serie variabile di condanne detentive per gli altri imputati minori. Si tacitava in tal modo quella parte d'opinione pubblica, reclamante il pugno di ferro contro i ribelli meridionali che ancora s'opponevano con le armi all'annessione. In realtà, come ammise nel gennaio 1865 il ministro di grazia e giustizia Vacca, c'era stato un accordo sottobanco con la Francia con la quale si stava per addivenire alla Convenzione di settembre. In pratica, venne fuori che l'Italia aveva assunto l'impegno morale di salvar la vita ai detenuti. Ciò spiega la ragione per cui la domanda di grazia, avanzata dai due condannati a morte, venne subitaneamente commutata nei lavori forzati a vita.
[26] Fausti, uomo di fiducia del Cardinale Antonelli, fu processato e condannato con Venanzi nel 1863, per un furto di carte processuali avvenuto in un processo in Vaticano.
[27] Edoardo De Launay (1820-92), dal 1867 ministro e poi (dal 1875) ambasciatore a Berlino.
[28] La decifrazione di questa lettera è stata effettuata per mezzo di un cifrario carte dell'Artom.
[29] II cav. Antonio Tosi, segretario di Legazione a Berlino.
[30] Allusione al convegno di Salisburgo del 19 agosto tra Francesco Giuseppe, accompagnato dal Beust, e Napoleone III.
[31] Nel suo discorso al Corpo legislativo del 14 marzo 1867.
[32] Che Napoleone III aveva cercato di comperare dal Re d'Olanda Guglielmo III. Il Bismarck aveva, in realtà, fatto fallire tale combinazione.
[33] II principe di Latour d'Auvergne Laraguais (1823-71), ambasciatore a Berlino (1860-62), e poi a Roma e a Londra (1863-69); dal luglio '69 al 2 gennaio '70 ministro degli Esteri; quindi ambasciatore a Vienna e nuovamente ministro degli Esteri nel gabinetto Palikao (10 agosto - 4 settembre 1870). Il conte Vincenzo Benedetti (1817-1900), di origine còrsa, fu dal 1862 al '70 ambasciatore francese a Berlino.
[34] Gabriele Galateri di Genola e di Suniglia, console generale incaricato d'affari presso le città anseatiche, con residenza ad Amburgo.
[35] Luigi Amedeo Melegari (1807-81) fu effettivamente inviato come ministro a Berna, dove rimase poi sino alla morte.
[36] Il figlio del Nigra Lionello
[37] Per assurdo
[38] Trattasi del figlio del Nigra, Lionello di 12 anni
[39] La morte del padre del Nigra Ludovico.
[40] Non possumus è una locuzione latina che significa letteralmente "non possiamo".
La formula è derivata dalla tradizione paleocristiana: non possumus (non parlare di Gesù Cristo) è la frase che gli apostoli Pietro e san Giovanni Apostolo ed Evangelista avrebbero opposto a chi chiedeva loro di non predicare il Vangelo subito dopo la morte di Cristo.
La frase fu rilanciata da Papa Pio IX, che usò questa formula per rispondere ai tentativi del Regno d’Italia di confrontarsi con il vaticano per risolvere la Questione Romana. Ma già nel 1809 il Papa Pio VII aveva utilizzato questa formula per rispondere alla richiesta di Napoleone di cedere alla Francia i territori dello Stato Pontificio: "Non debemus, non possumus, non volumus".
[41] La Città Leonina è la cittadella murata posta attorno alla Basilica di San Pietro in Vaticano. Corrisponde, all'incirca, con l'odierno Stato del Vaticano. In passato si estendeva fino al fiume Tevere e a Castel Sant’Angelo. I vari interventi architettonici testimoniano la continuità del disegno di realizzare la residenza del Vicario di Cristo, successore di San Pietro Apostolo, come cittadella della fede, della sapienza e della bellezza (e anche della fortezza), proiezione terrena della Città celeste.
[42] Carlo Felice Nicolis conte di Robilant, noto semplicemente come conte di Robilant o Robilant (Torino, 8 agosto 1826 – Londra, 17 ottobre 1888) è stato un Diplomatico, generale e Politico italiano. Fu ambasciatore a Vienna dal 1871 al 1885; periodo nel quale si rivelò determinante per la conclusione della Triplice Alleanza fra Italia, Impero tedesco e Impero austro-Ungarico. Dal 1885 al 1887 fu ministro degli Esteri e come tale contribuì nel 1887 a rinnovare la triplice alleanza, ottenendo l'impegno della Germania a sostenere l'Italia in una eventuale guerra nel Mediterraneo. Nella medesima occasione ottenne dall'Austria l'impegno a riconoscere all'Italia compensi territoriali in caso di espansione austriaca nella penisola balcanica.
Lo stesso anno concluse con regno Unito, Austria e Spagna specifici accordi per la salvaguardia degli interessi italiani nel Mediterraneo, completando un intenso lavoro politico e diplomatico tale da salvaguardare verosimilmente l'Italia da qualsiasi minaccia.
[43] Agostino Depretis o De Pretis (Bressana Bottarone, 31 gennaio 1813 – Stradella, 29 luglio 1887) è stato un Politico italiano. Fu ministro dei Lavori pubblici (1862), ministro della Marina (1866-1867), ministro delle Finanze (1867) e nove volte Presidente del Consiglio dei Ministri del Regno d'Italia dal 1876 al 1887, anno della sua morte. Durante i governi da lui presieduti ricoprì anche la carica di ministro degli Esteri (1877-1879, 1885, 1887), ministro dell’Interno (1879-1887), ministro delle Finanze (1876-1877) e ministro dei Lavori pubblici (1877). Fu esponente moderato della Sinistra storica della quale divenne il capo nel 1873 alla morte di Urbano Rattazzi. All'interno del suo schieramento politico fu antagonista di Francesco Crispi, Giovanni Nicotera e Benedetto Cairoli. Nel 1876 guidò il primo governo della storia d'Italia formato da soli politici di Sinistra. Tale esecutivo varò la riforma scolastica istituendo l'istruzione obbligatoria, laica e gratuita per i bambini dai 6 ai 9 anni.
Benché filofrancese, per rompere l'isolamento del Regno d’Italia, nel 1882 accettò la Triplice Alleanza con l’Impero austro-Ungarico e l’Impero tedesco, per la quale ottenne una formula marcatamente difensiva. Lo stesso anno portò a termine la riforma elettorale che fece salire gli aventi diritto al voto dal 2 al 7% della popolazione.
Fu il fautore del Trasformismo, un progetto che prevedeva il coinvolgimento di tutti i deputati del regno d’Italia che volessero appoggiare un governo progressista a prescindere dagli schieramenti politici tradizionali, che Depretis considerava superati. Fu appoggiato in questo progetto dal capo della Destra storica Marco Minghetti. I governi "trasformisti" così costituiti eliminarono definitivamente la Tassa sul macinato, introdussero le tariffe doganali favorendo l'industria (soprattutto settentrionale) e vararono il Colonialismo italiano.
Il trasformismo, tuttavia, ridusse il potere di controllo del parlamento e favorì eccessi nelle spese statali.
[44] Antoine-Alfred-Agénor duca di Gramont (1819-80), Ministro degli Esteri nel gabinetto Ollivier dal maggio al 10 agosto 1870.
[45] Del 1° aprile 1878.
[46] Alfonso Sanseverino Vimercati (Milano, 28 gennaio 1836 – Milano, 31 marzo 1907) è stato un Politico italiano.
Laureato in ingegneria presso l'Università di Pavia, divenne Conte di Castel Palazzo, in seguito sposò Giulia Tarsis dalla quale ebbe due figli Roberto e Laura. Ricoprì vari incarichi nelle istituzioni del Regno d’Italia, dapprima consigliere comunale al Comune di Milano, dal 1873 al 1879 (gli ultimi due anni anche assessore), poi venne nominato prefetto della città di Napoli per 8 anni, dal 1881al 1888.
Fu Senatore del Regno d’Italia nella XIII Legislatura, è stato inoltre presidente della Società per le strade ferrate e di Banca Popolare di Milano nel 1892 e nel 1895, ha poi fondato e presieduto la neonata Banca Commerciale Italiana dal 10 ottobre 1894 al 31 marzo 1907.
[47] Ad eccezione di questo e di pochi altri la maggior parte delle lettere e dei d autografi del Nigra vennero restituiti dal nipote Isacco Artom al loro autore. Il Ni^3 abbiamo già indicato in una nota precedente, restituì a sua volta le lettere di I. Artom.